ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 410, comma 3,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso con ordinanza emessa il
18 settembre  2001  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale  di Venezia, iscritta al n. 929 del registro ordinanze 2001
e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica, 1a serie
speciale, n. 47 dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 19 giugno 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  emessa  il  18 settembre 2001, il
giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di Venezia -
chiamato  a  delibare  una  richiesta di archiviazione avanzata in un
procedimento  penale  per  i  reati  di cui agli artt. 612 e 594 cod.
pen.,  nel  quale  risultava originariamente indagata una "persona da
identificare" - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 410, comma 3, del codice di procedura penale in riferimento
agli artt. 3, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione;
        che,  secondo  quanto  premette  il  giudice  rimettente,  la
richiesta  di  archiviazione del pubblico ministero - avanzata "senza
svolgere  alcuna  indagine  e senza nemmeno iscrivere nel registro di
cui  all'art. 335 cod.  proc. pen. il nominativo della denunziata", e
percio' non condivisibile - era stata peraltro oggetto di opposizione
del   querelante:   con  conseguente  necessita'  di  procedere  alla
fissazione  di  un'apposita  udienza in camera di consiglio, ai sensi
del combinato disposto degli artt. 410, comma 3, e 409, comma 2, cod.
proc.  pen., previa richiesta al pubblico ministero di iscrizione del
nominativo   dell'indagato   nel   registro   di   cui   all'art. 335
cod. proc. pen., in violazione di numerosi parametri costituzionali;
        che  sarebbe  violato,  in  primo  luogo,  il principio della
ragionevole  durata  del  processo  sancito  dall'art. 111  Cost., in
quanto   la   fissazione   dell'udienza   ex   art. 410,   comma   3,
cod. proc. pen.,   si  risolverebbe  "in  una  assolutamente  inutile
perdita   di   tempo",   essendo  scontato  il  suo  esito,  e  cioe'
l'indicazione   all'organo   dell'accusa   di   effettuare  ulteriori
indagini;
        che  sarebbe  leso,  altresi',  l'art. 3 Cost., risultando la
fattispecie  disciplinata  in modo irragionevolmente diverso rispetto
all'ipotesi  -  "sostanzialmente eguale" - della richiesta di proroga
delle  indagini  preliminari avanzata dal pubblico ministero: ipotesi
nella     quale     l'art. 406    cod. proc. pen. non    prevederebbe
l'obbligatoria  fissazione  di  un'udienza in camera di consiglio, ma
solo   la  notifica  della  richiesta  alle  parti  interessate,  con
contestuale  avviso della facolta' di presentare memorie, consentendo
cosi'  al  giudice  di  provvedere  "de  plano",  sulla  scorta di un
semplice "contraddittorio cartolare";
        che  risulterebbe  inoltre violato, sotto un duplice profilo,
l'art. 97  Cost.:  da  un lato, in quanto l'"inutile lungaggine della
procedura   lamentata"   pregiudicherebbe  il  buon  andamento  della
pubblica  amministrazione;  dall'altro  lato,  poiche', nella pratica
impossibilita'   di  approfondire,  con  la  fissazione  di  apposita
udienza,  tutte  le  richieste  di archiviazione avanzate dall'organo
della   accusa,   verrebbero   ad  essere  privilegiati  solo  taluni
procedimenti,  ritenuti  meritevoli  di  approfondimento  per la loro
"importanza",  ad insindacabile giudizio del giudice: con conseguente
compromissione del principio di imparzialita' dell'amministrazione;
        che   da   cio'  discenderebbe  altresi'  la  violazione  del
principio  della soggezione del giudice esclusivamente alla legge, di
cui  all'art. 101,  secondo  comma, Cost., in quanto - in presenza di
un'  inerzia  investigativa  del  pubblico  ministero  -  il  giudice
obbedirebbe   "alla  convenienza  o  peggio  ancora  alla  immotivata
discrezionalita'"  nella  trattazione,  con  udienza,  solo di talune
richieste   di  archiviazione:  con  conseguente  lesione  anche  del
principio  dell'obbligatorio  esercizio  dell'azione  penale,  di cui
all'art. 112  Cost.,  venendo  comunque ad affermarsi la volonta' del
pubblico ministero di non esercitare l'azione penale;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale ha concluso per l'inammissibilita' e, comunque, per
l'infondatezza della questione.
    Considerato   che  il  giudice  rimettente,  nel  dubitare  della
legittimita'   costituzionale  dell'art. 410,  comma  3,  cod.  proc.
pen. in   riferimento   ai  vari  parametri  costituzionali  evocati,
prospetta   censure   sostanzialmente  identiche  a  quelle  gia'  in
precedenza  scrutinate  da  questa  Corte con la ordinanza n. 408 del
2001;
        che,  in  particolare,  il giudice a quo fonda i propri dubbi
sull'assunto  della  superfluita'  della  fissazione  di  un'apposita
udienza  in  camera  di  consiglio,  prevista  dalla  norma impugnata
nell'ipotesi  di opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata
dalla  persona  offesa:  udienza  che,  ad  avviso del rimettente, si
risolverebbe  in  un intollerabile aggravio nell'organizzazione degli
uffici  giudiziari  ed  in  un  fattore  di  dilatazione dei tempi di
definizione dei procedimenti, anche in rapporto ai conseguenti avvisi
ed adempimenti;
        che  tuttavia,  come  gia' evidenziato da questa Corte (v. la
richiamata  ordinanza n. 408 del 2001), tale premessa fondante appare
"centrata   piu'   che   su   di   una   intrinseca  incompatibilita'
costituzionale   del   dispositivo   processuale   censurato,   sulle
conseguenze di mero fatto che esso e' in grado di generare, sul piano
dell'organizzazione del lavoro";
        che,  in  tale prospettiva, si rivela dunque insussistente la
pretesa   violazione  del  principio  della  ragionevole  durata  del
processo  di  cui  all'art. 111 Cost., in quanto essa viene collegata
alla  peculiare  e contingente situazione dell'ufficio giudiziario in
cui  opera  il  rimettente  - situazione che impedirebbe la sollecita
fissazione  dell'udienza  in questione - piuttosto che essere dedotta
quale  conseguenza  astratta e generale dell'applicazione della norma
impugnata;
        che,  del  pari,  si rivelano manifestamente insussistenti le
dedotte violazioni dell'art. 97 Cost., posto che il principio di buon
andamento  della pubblica amministrazione - pur concernendo anche gli
organi  dell'amministrazione  della  giustizia  - secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte (v. ordinanze n. 204 del 2001 e n. 490
del   2000),   si   riferisce   esclusivamente  alle  leggi  relative
all'ordinamento degli uffici giudiziari ed al funzionamento di questi
ultimi  sotto l'aspetto amministrativo, risultando del tutto estraneo
all'esercizio della funzione giurisdizionale;
        che appare priva di fondamento altresi' la dedotta violazione
dell'art. 101   Cost.,  considerato  che  il  meccanismo  procedurale
conseguente  al mancato accoglimento della richiesta di archiviazione
-  soprattutto  in  caso  di  opposizione  della persona offesa - non
implica,  in  se',  alcuna  elusione  del principio di soggezione del
giudice solo alla legge, risultandone, anzi, piena espressione;
        che,  infine,  appare  infondata  la  denuncia  di violazione
dell'art. 3  Cost., avuto riguardo non solo alla palese eterogeneita'
dei  due  moduli  posti  a  confronto,  ma  anche  e soprattutto alla
mancanza  di  quelle  "divergenze" sulle quali il rimettente fonda le
proprie doglianze;
        che  -  come  gia'  evidenziato  nella  piu' volte richiamata
ordinanza  n. 408  del 2001 - "quanto al primo aspetto, basta infatti
osservare  che,  mentre  nella procedura della proroga delle indagini
preliminari  la  verifica  del giudice, concentrandosi sul tema della
durata  delle  indagini,  e' limitata ad un riscontro di legittimita'
dei  presupposti  per autorizzare la proroga stessa; nel procedimento
di archiviazione il giudice, attraverso l'esame di profili di merito,
e'  invece  chiamato  ad una declaratoria che, previo controllo della
richiesta  dell'accusa,  chiude  la  fase  delle indagini e lo stesso
procedimento,  "evitando  il  processo  superfluo  senza  eludere  il
principio di obbligatorieta'" (v. sentenza n. 88 del 1991)";
        che, quanto al secondo profilo, occorre rammentare come - nel
caso  in  cui il giudice ritenga, allo stato degli atti, di non poter
concedere  la  proroga  richiesta  - il modello evocato quale tertium
comparationis  divenga del tutto coincidente con quello oggetto della
censura,  essendo  ugualmente  previste  la  fissazione  dell'udienza
camerale  e l'effettuazione degli avvisi a norma dell'art. 406, comma
5, cod. proc. pen;
        che,  pertanto,  la  questione  va  dichiarata manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.