ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1, 2,
3  e  4,  lettera  a,  e  6  della  legge  24 novembre  2000,  n. 340
(Disposizioni   per   la   delegificazione   di   norme   e   per  la
semplificazione   di   procedimenti   amministrativi   -   Legge   di
semplificazione  1999),  promossi con ricorsi della regione Liguria e
della regione Emilia-Romagna, notificati il 22 e il 27 dicembre 2000,
depositati  in cancelleria il 29 dicembre 2000 e il 4 gennaio 2001 ed
iscritti  al  n. 25 del registro ricorsi 2000 ed al n. 2 del registro
ricorsi 2001.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri nonche' l'atto di intervento del Comune di Genova;
    Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 2002 il Giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Barbara  Baroli  per  la  regione  Liguria,
Giandomenico  Falcon  e  Luigi  Manzi per la regione Emilia-Romagna e
l'avvocato  dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio
dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Con ricorso notificato il 22 dicembre 2000 e depositato il
successivo 29 dicembre (reg. ric. n. 25 del 2000), la regione Liguria
ha  sollevato  due questioni di legittimita' costituzionale aventi ad
oggetto,  rispettivamente,  l'art. 1, commi 1, 2, 3 e 4, lettera a, e
l'art. 6  della  legge  24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la
delegificazione  di  norme  e  per la semplificazione di procedimenti
amministrativi - Legge di semplificazione 1999).
    La  prima  censura  -  concernente  l'art. 1,  commi 1, 2, 3 e 4,
lettera a, nella parte in cui sostituisce il comma 2 dell'articolo 20
della   legge   15 marzo  1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per  il
conferimento  di  funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per
la  riforma  della  pubblica amministrazione e per la semplificazione
amministrativa) - viene sollevata in riferimento agli artt. 117 e 118
della Costituzione.
    I commi 1, 2 e 3 dell'art. 1, che disciplinano la delegificazione
e   la   semplificazione   dei   procedimenti   e  degli  adempimenti
amministrativi  individuati  negli  allegati  A  e B alla legge, e la
lettera  a,  del  comma 4, la quale dispone che "nelle materie di cui
all'articolo   117,   i   regolamenti   di   delegificazione  trovano
applicazione   solo   fino   a  quando  la  regione  non  provveda  a
disciplinare  autonomamente  la  materia  medesima",  intervengono  -
osserva  la  regione  -  sul  rapporto  intercorrente tra regolamenti
delegati   di   semplificazione  e  competenze  normative  regionali,
riconosciute   e  garantite  dell'articolo  117  della  Costituzione,
considerato  che l'elenco dei procedimenti allegato alla legge n. 340
del 2000 comprende procedimenti riservati alla competenza legislativa
delle  regioni.  Secondo  la  ricorrente,  la  competenza del Governo
all'emanazione  dei  regolamenti delegati di semplificazione dovrebbe
necessariamente   essere  circoscritta  alle  materie  di  competenza
statale;  mentre i procedimenti relativi alle materie attribuite alla
competenza   regionale   dovrebbero   essere  semplificati  solo  dal
legislatore   regionale   sulla   base   di  principi  stabiliti  dal
legislatore statale.
    Le   disposizioni   denunciate   realizzerebbero   pertanto   una
illegittima   compressione  della  competenza  legislativa  regionale
garantita dall'art. 117 della Costituzione: i regolamenti governativi
non  potrebbero  disciplinare  materie  di  competenza regionale e lo
strumento  della delegificazione non sarebbe abilitato ad operare per
fonti  tra  le  quali  vi  e'  un  rapporto  di  competenza  e non di
gerarchia.
    La  seconda censura ha ad oggetto l'art. 6 della legge n. 340 del
2000,  che  introduce  l'art. 27-bis del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato  alle  regioni  ed  agli  enti locali, in attuazione del capo I
della  legge  15 marzo  1997,  n. 59).  Tale disposizione, nel porre,
apparentemente,  una  norma  di  per  se'  ovvia  ed  implicita nella
normativa  vigente,  si  proporrebbe, secondo la ricorrente, lo scopo
effettivo  di  qualificare  espressamente  come "atti istruttori" gli
atti  ed  i  provvedimenti  propri  dei diversi enti coinvolti (Stato
nelle  sue  diverse  articolazioni,  regioni,  province,  enti parco,
aziende  sanitarie  locali,  e  cosi'  via)  al fine di attribuire al
comune   la   competenza  sostanziale  all'esercizio  delle  funzioni
relative agli insediamenti produttivi.
    In  realta',  secondo la regione, con tale "degradazione" ad atti
istruttori,  si  tenderebbe  a  concentrare in un unico ente l'intera
potesta'  autorizzativa,  residuando  in  capo  agli  altri  soggetti
coinvolti  (Stato,  regioni,  province)  un  potere  istruttorio "non
riservato" ed "eventuale".
    Si  delineerebbe, in tal modo, un quadro in cui il comune sarebbe
il   titolare  di  tutte  le  funzioni  autorizzative  relative  agli
insediamenti  produttivi, funzioni che potrebbe svolgere direttamente
o avvalendosi di altri enti pubblici.
    Questa   linea  normativa  troverebbe  completamento  e  conferma
interpretativa  in  una  correlata modificazione al d.P.R. 20 ottobre
1998,  n. 447,  approvata dal Consiglio dei ministri nella seduta del
3 novembre  2000,  che  sopprimerebbe  ogni  riferimento  ai  termini
"procedimentale",  "provvedimento"  e "procedimento", per sostituirli
con le parole "atti istruttori".
    La   regione   ricorrente  osserva  che  in  sede  di  conferenza
Stato-regioni e di conferenza unificata la nuova previsione era stata
oggetto   di   richiesta   di   specifica  modifica  per  ragioni  di
costituzionalita'  e  che la finalita' sottesa all'art. 6 della legge
n. 340   del  2000  non  e'  stata  adeguatamente  evidenziata  nella
relazione   al   disegno   di  legge,  rendendo  cosi'  "occulta"  la
disposizione.
    La  norma  censurata  eluderebbe i principi di collaborazione tra
Stato  e  regioni  e  le  procedure  legislative come delineate dalla
Costituzione,  ledendo  cosi', per un primo profilo, gli articoli 70,
71  e 72 della Costituzione (in connessione con gli articoli 117, 118
e  119 della Costituzione), "per gli aspetti relativi alla formazione
delle  leggi",  nonche' gli articoli 5, 128 e 129 della Costituzione,
siccome  lesiva  "sia dei principi dell'autonomia e del decentramento
riconosciuti  alle  autonomie  locali  (art. 5),  per i quali sono le
leggi  generali  della  Repubblica  che  determinano  le funzioni dei
comuni  e  delle  province  e  non un insieme di disposizioni sparse,
derivanti   da  fonti  normative  diverse,  continuamente  modificate
(art. 128), sia dei principi sul decentramento (statale e regionale),
per  cui  sono  i comuni e le province le circoscrizioni di esercizio
del medesimo (art. 129)".
    Inoltre  l'art. 6  sarebbe  lesivo delle competenze legislative e
amministrative  delle  regioni  di  cui  agli articoli 117, 118 e 119
della  Costituzione, nella parte in cui "riconforma, sostanzialmente,
procedure  e  competenze  in  materie,  quali sono quasi tutte quelle
riconducibili  allo  sportello  unico  per  le imprese, di competenza
legislativa   concorrente   della  regione",  e  perche'  "altera  la
disciplina  regionale vigente, per le numerose funzioni delegate alle
province  o  alle  comunita'  montane,  riconducibili  allo sportello
unico, ... incidendo gravemente sulla autonomia regionale".
    L'art. 6  contrasterebbe  poi  con  l'art. 81 della Costituzione,
giacche'  "attribuisce  competenze  ai  comuni  senza  la correlativa
copertura  finanziaria  e,  nel  contempo,  altera  la copertura gia'
prevista  nelle  leggi e nei bilanci delle regioni che hanno delegato
numerose funzioni riconducibili allo sportello unico, prevedendone il
relativo finanziamento".
    La  norma  denunciata  comporterebbe  infine violazione tanto dei
principi  di  certezza  del  diritto  e  di chiarezza della normativa
quanto  di  quelli  di  legalita'  e di buon andamento della pubblica
amministrazione  sottesi agli articoli 70, 71, 72, 97, 101, 111 e 113
della  Costituzione,  perche',  degradando  a funzioni istruttorie le
attivita'    provvedimentali   degli   enti   diversi   dal   comune,
introdurrebbe  "situazioni  normative non chiare sia per le pubbliche
amministrazioni   in  oggi  titolari  delle  funzioni",  "sia  per  i
cittadini e per le imprese che necessitano di norme chiare e certe al
fine di poter legittimamente esercitare i propri diritti e concorrere
allo sviluppo della comunita' nazionale".
    1.2. - Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e'  costituito il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  chiedendo  che  la  prima
questione  sia  dichiarata  non  fondata  e che il secondo motivo del
ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque non fondato.
    Premesso  che  la  delegificazione,  consistendo in una complessa
operazione  di  riordino  e  di  "bonifica"  della normativa, sarebbe
rivolta  ad  assicurare il miglior funzionamento del sistema-Paese, e
che le leggi per la delegificazione di norme concernenti procedimenti
amministrativi  devono essere qualificate leggi di principio, anzi di
riforma, vincolanti per i legislatori regionali, l'Avvocatura osserva
che  l'art. 1,  comma  4,  lettera  a, della legge n. 340 del 2000 ha
confermato  il  carattere  "cedevole"  dei regolamenti governativi di
delegificazione  rispetto  alla  legislazione  regionale  (ovviamente
nelle  materie  di  competenza  delle  regioni)  gia'  in  precedenza
desumibile  dal  sistema  normativo.  Tale disposizione avrebbe cosi'
salvaguardato le autonomie regionali, razionalmente contemperando con
esse le finalita' di "interesse nazionale" perseguite dalle leggi per
la delegificazione.
    La  produzione  ad  opera  dell'esecutivo  statale di regolamenti
"cedevoli",  oltre  a  non  comprimere le autonomie delle regioni (ad
esse  rimanendo  la facolta' di normare diversamente le materie senza
assillo  di  "tempi"),  dovrebbe  essere  collocata  nel novero delle
modalita'  di  leale  cooperazione.  Non sarebbe corretto raffigurare
l'ambito  delle  competenze  regionali concorrenti alla stregua di un
"recinto  chiuso"  nel quale apporti normativi di provenienza statale
(diversi   dalla  legislazione  di  principio)  non  possano  trovare
ingresso;  e neppure sarebbe corretto negare rilevanza alle peculiari
funzione  e  forza dei regolamenti "delegati" di delegificazione, sia
perche'  l'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, reca
solo   una   delle  molteplici  disposizioni  legislative  prevedenti
l'effetto  di delegificazione "condizionata e differita", sia perche'
soltanto per i regolamenti di cui al comma 1, lettera b, dello stesso
art. 17  e'  prevista  l'esclusione  con riguardo a materie riservate
alla competenza regionale.
    Osserva  inoltre  l'Avvocatura  che  le  disposizioni legislative
statali  di  delegificazione  per  loro natura inciderebbero sulla, e
sarebbero   riconducibili   alla,  normativa  di  principio,  sicche'
l'eventuale  effetto  di  abrogazione  di  disposizioni  regionali si
configurerebbe  come  una  normale abrogazione da modificazione della
anzidetta    normativa.    Inoltre,    la   disposizione   denunciata
concernerebbe  soltanto  aspetti  procedimentali,  prevedendo un mero
snellimento  delle forme dell'agire amministrativo, e non toccherebbe
gli  aspetti  sostanziali,  disciplinati  pur  sempre dalla normativa
statale o regionale di riferimento.
    La  doglianza  della  regione,  infine, sarebbe formulata in modo
astratto,  non  essendo specificamente indicate le procedure elencate
negli allegati A e B alle quali la regione stessa intende riferirsi.
    Il  secondo  motivo,  riguardante  lo  "sportello  unico"  per le
attivita' produttive, sarebbe inammissibile, in quanto sull'argomento
la  disciplina  e'  stata  posta  dagli  artt. 23, 24 e 25 del d.lgs.
31 marzo   1998,   n. 112,   avverso   i   quali  il  motivo  sarebbe
sostanzialmente  rivolto. In ogni caso la censura, pur evocando molti
parametri  costituzionali,  sarebbe  formulata in modo allusivo e non
esauriente. La denuncia sarebbe anche infondata nel merito.
    1.3. - In  data 15 marzo 2001 ha depositato atto di intervento il
Comune  di  Genova,  affermando  di  vantare un interesse - in quanto
destinatario, ai sensi degli artt. 23 e ss. del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112,  delle  funzioni  in  materia di rilascio dell'autorizzazione
unica alle imprese - alla corretta applicazione del sistema normativo
che  presiede  al procedimento dello sportello unico, e chiedendo che
la  questione  avente ad oggetto l'art. 6 della legge n. 340 del 2000
sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
    2.1. - Con ricorso notificato il 27 dicembre 2000 e depositato il
successivo  4 gennaio  2001  (reg.  ric.  n. 2  del  2001) la regione
Emilia-Romagna  ha  sollevato,  in  relazione  agli  artt. 117, primo
comma,  e  118,  primo  comma,  della  Costituzione,  e  ai  principi
costituzionali   relativi  all'esercizio  del  potere  regolamentare,
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  4,
lettera  a, della legge n. 340 del 2000, in quanto, nel sostituire il
comma  2  dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, dispone che "nelle
materie  di  cui  all'art. 117,  primo  comma,  della Costituzione, i
regolamenti  di delegificazione trovano applicazione", sia pure "solo
fino a quando la regione non provveda a disciplinare autonomamente la
materia medesima".
    Secondo   la   ricorrente,   sul   tema  della  incompetenza  dei
regolamenti  delegati  di delegificazione a disciplinare procedimenti
nelle  materie  di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione,
il  disposto  dell'art. 20  non  era  chiaro. Il testo originario del
comma   2   prevedeva  che  il  Governo,  nel  disegno  di  legge  di
semplificazione,  avrebbe  provveduto  ad individuare "i procedimenti
relativi  a funzioni e servizi che, per le loro caratteristiche e per
la  loro pertinenza alle comunita' territoriali, sono attribuiti alla
potesta'  normativa delle regioni e degli enti locali", e ad indicare
"i principi che restano regolati con legge della Repubblica, ai sensi
degli articoli 117, primo e secondo comma, e 128 della Costituzione".
Alle  regioni  era  ed  e'  invece  dedicato  il comma 7 dello stesso
art. 20, secondo cui esse "regolano le materie disciplinate dai commi
da  1  a 6 nel rispetto dei principi desumibili dalle disposizioni in
essi  contenute, che costituiscono principi generali dell'ordinamento
giuridico.  Tali disposizioni operano direttamente nei riguardi delle
regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia".
    La  ricorrente  ricorda  poi  come  queste  norme  fossero  state
impugnate  da  parte  di  una regione, e come la Corte avesse "fugato
ogni  dubbio" affermando, nella sentenza n. 408 del 1998, che, "fermo
il  valore  di principio, legittimamente vincolante per i legislatori
regionali,    dei    criteri   indicati   nell'art. 20,   comma   4",
all'espressione   del   comma  7  non  e'  possibile  attribuire  "un
significato  che  riguardi  o  comprenda l'attitudine di future norme
regolamentari  a  disciplinare  materie  di competenza regionale". La
sentenza  della  Corte,  dunque,  nell'escludere  che la legislazione
statale  in  vigore preveda l'ingresso dei regolamenti delegati nella
disciplina delle materie regionali, indicherebbe che le regioni hanno
in  proprio,  nelle materie di loro competenza, la responsabilita' di
riordinare la propria normazione adeguandola agli stessi principi cui
lo  Stato da' attuazione, nei settori di propria competenza, mediante
tali  regolamenti.  La  disposizione  ora impugnata avrebbe invece il
significato  inequivoco  di  estendere  il  potere  regolamentare del
Governo  alla  disciplina  dei  procedimenti regionali, e dunque essa
recherebbe  quel  vulnus  alla  competenza  regionale che la sentenza
n. 408 aveva allora escluso.
    La regione ricorrente afferma che la disposizione andrebbe intesa
nel  senso che, secondo l'intenzione di essa, la disciplina stabilita
con  il  regolamento di delegificazione vale ad abrogare, nelle parti
incompatibili  e  potenzialmente  in toto, la previgente legislazione
regionale,  sostituendosi  ad  essa  nella disciplina della materia e
rimanendo  in vigore fino a quando non venga eventualmente sostituita
da  nuova  autonoma  disciplina  regionale.  Dunque,  il  regolamento
statale   di   delegificazione  prevarrebbe  sulle  precedenti  leggi
regionali,  e  sarebbe  invece  (in linea puramente teorica) cedevole
rispetto a norme regionali successive.
    L'altra  interpretazione  possibile,  che  comunque presenterebbe
problemi  di  costituzionalita',  secondo  cui  i regolamenti statali
opererebbero  nella  regione  soltanto  in quanto non sia attualmente
operante  una  autonoma disciplina regionale, non corrisponderebbe al
senso della modifica portata dalla legge n. 340 del 2000, la quale ha
introdotto  il  meccanismo  contestato  al  fine palese di realizzare
rapidamente  e coattivamente il processo di semplificazione, mediante
l'introduzione  automatica  di  una disciplina governativa, lasciando
alle regioni la cura di modificarla se lo ritenessero opportuno.
    Una  ulteriore  interpretazione,  che  avrebbe  il  pregio di far
venire  meno l'irrazionalita' intrinseca della disposizione impugnata
(tenendo conto del fatto che a tre anni di distanza dalla legge n. 59
del  1997 le regioni hanno gia' provveduto a disciplinare con proprie
leggi   molte   materie   di   loro   competenza),   ma  non  la  sua
incostituzionalita',  sarebbe  quella  secondo  cui  le  disposizioni
regolamentari  statali si sovrappongono, abrogandola, alla disciplina
legislativa  regionale  precedente  alla  legge  n. 59  del  1997,  e
soltanto  ove  questa non abbia provveduto ad applicare i principi di
semplificazione.  Anche seguendo questa interpretazione, tuttavia, si
avrebbe  lesione  della prerogativa costituzionale delle regioni, per
cui la legge regionale sarebbe in rapporto di parziale subordinazione
rispetto  alla sola legge statale e agli atti ad essa equiparati (con
l'unica eccezione degli atti di indirizzo e coordinamento).
    Che  i  regolamenti  governativi  non  possano  intervenire nella
disciplina   delle   materie   affidate   alla  potesta'  legislativa
concorrente  delle  regioni  deriverebbe  innanzitutto dall'art. 117,
primo  comma,  della Costituzione, secondo cui la regione emana norme
legislative,  nelle  materie  ivi  elencate, "nei limiti dei principi
fondamentali   stabiliti   dalle  leggi  dello  Stato".  La  garanzia
costituzionale si riferirebbe in astratto alle fonti, ma includerebbe
anche  un  aspetto  per cosi' dire soggettivo, nel senso che i limiti
all'organo  legislativo  regionale  possono derivare solo dall'organo
legislativo statale, o da atti del Governo di rango legislativo.
    Sarebbe  invece  escluso  che  una  volonta'  normativa  espressa
dall'organo  governativo  possa  incidere  sull'autonomia legislativa
regionale,  salva l'eccezione (criticata da parte della dottrina) dei
regolamenti  per  l'attuazione delle direttive comunitarie: eccezione
fondata  su  cogenti  ragioni di responsabilita' internazionale dello
Stato,  e  dunque  di  stretta  interpretazione,  e subordinata dalla
stessa  giurisprudenza  costituzionale  al  limite  del  principio di
legalita'.  Limite  che, fra l'altro, se si volesse applicare al caso
di specie, i regolamenti di delegificazione non rispetterebbero.
    Al  di  fuori  della necessita' di dare attuazione alla normativa
comunitaria,  l'inammissibilita'  costituzionale  di  una  disciplina
regolamentare  in  materia  regionale  emergerebbe  in modo esplicito
anche dalla costante e consolidata giurisprudenza costituzionale.
    L'eventuale   "interesse   nazionale"  alla  semplificazione  dei
procedimenti  delle  regioni  dovrebbe pur sempre trovare espressione
nelle  forme  tipiche  del rapporto tra la legge regionale e le fonti
costituzionalmente  idonee  a  vincolarla.  La  potesta'  legislativa
concorrente  concorrerebbe  con  la potesta' legislativa statale, mai
con  quella  regolamentare  del Governo. Nel caso, poi, mancherebbero
persino  i nuovi principi della materia: non sarebbero tali, infatti,
i   principi  e  criteri  di  semplificazione,  che  hanno  carattere
metodologico  e  operano  trasversalmente alle materie, esprimendo un
indirizzo di riforma, ma non nuovi principi di materia.
    2.2. - Anche  in questo secondo giudizio si e' costituito dinanzi
alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la
questione sia dichiarata non fondata.
    Dopo  avere  svolto  osservazioni  del  tutto  analoghe  a quelle
proposte in relazione alla prima censura del ricorso iscritto al reg.
ric.  n. 25  del  2000,  di  cui  si  e'  riferito  al  punto 1. 2. ,
l'Avvocatura  rileva  che  nel  ricorso  la regione Emilia-Romagna fa
presente  di  avere  gia' provveduto a disciplinare con proprie leggi
molte  delle  procedure  considerate  dalla  legge di semplificazione
1999,  e  osserva che, se cio' fosse accaduto, non vi sarebbe materia
del   contendere,   "non   sussistendo  quella  incompatibilita'  che
costituisce  presupposto  di qualsiasi abrogazione non esplicitamente
statuita".
    3.  1.  - In relazione al ricorso iscritto al reg. ric. n. 25 del
2000, in prossimita' dell'udienza hanno depositato memorie la regione
Liguria,  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri e il Comune di
Genova.
    La   regione   Liguria  sottolinea,  con  riguardo  alla  censura
concernente  l'art. 1  della  legge  n. 340  del  2000,  che  permane
l'interesse a veder eliminata l'impugnata disposizione, pur a seguito
del  radicale  mutamento del quadro costituzionale intervenuto con la
legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto il nuovo art. 117 della
Costituzione,  al  sesto  comma,  limita  esplicitamente  l'ambito di
operativita'   dei  regolamenti  governativi  alle  sole  materie  di
competenza   esclusiva  statale,  come  enumerate  tassativamente  al
secondo  comma, ed attribuisce la potesta' regolamentare alle regioni
in ogni altra materia.
    Con  riferimento  al  secondo motivo dell'impugnativa, la regione
ricorda  di aver dato attuazione alla normativa statale in materia di
sportello  unico  delle imprese con la legge regionale 24 marzo 1999,
n. 9. Senonche', mentre le originarie previsioni contenute nel d.lgs.
n. 112  del  1998  e  la normativa regionale lasciavano inalterato il
valore  sostanziale  degli atti imputabili alle varie amministrazioni
intervenienti  nel  procedimento, limitandosi a concentrare tali atti
in un modello procedimentale unico, gestito dal comune in qualita' di
soggetto  con  funzioni  di coordinamento procedimentale, tale quadro
normativo  sarebbe  stato  illegittimamente alterato con l'entrata in
vigore  dell'impugnato  art. 6  della  legge  n. 340  del  2000. Esso
avrebbe  degradato  ad  "attivita' istruttorie" l'apporto delle varie
amministrazioni  intervenienti  nel  procedimento,  mutando il valore
sostanziale  degli  atti  permissivi  occorrenti  per  l'insediamento
produttivo,  che  giungono a perdere il valore di "provvedimenti" per
ridursi  ad  atti  endoprocedimentali, con conseguente individuazione
del   comune   quale   ente   titolare   esclusivo   e   responsabile
dell'attivita' amministrativa in materia di insediamenti produttivi.
    In  altri termini, l'impiego della locuzione "atti istruttori" in
luogo  di "autorizzazioni" condurrebbe alla elisione delle competenze
autorizzatorie  sostanziali  esistenti  in capo ai vari enti pubblici
coinvolti (tra cui la regione) a beneficio della struttura "sportello
unico", alla quale verrebbe attribuita non tanto la regia di tutte le
fasi  di  cui il modello procedimentale si compone, ma addirittura la
titolarita'   degli   atti   di   consenso   occorrenti   al  privato
imprenditore.
    Le   norme   denunciate,   gia'   contrastanti   con   le   norme
costituzionali  vigenti  all'epoca  dell'introduzione  del  giudizio,
sarebbero  ancor  piu' confliggenti con il nuovo Titolo V della Parte
II  della Costituzione, ed in particolare con l'assetto di competenze
introdotto dal nuovo art. 117.
    3.2. - Il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri chiede in via
preliminare  di  dichiarare  improcedibile  o  inammissibile il primo
motivo  del  ricorso, in quanto formulato con riferimento a parametri
costituzionali   non   piu'   utilizzabili  per  la  decisione  della
controversia,  come  dimostrerebbero  le recenti pronunce della Corte
costituzionale   di   improcedibilita'   dei  ricorsi  statali  e  di
restituzione degli atti nei giudizi incidentali. La regione - osserva
l'Avvocatura  -  entro  il  termine decorrente dall'entrata in vigore
della novella costituzionale avrebbe forse potuto riproporre - ma non
lo  ha fatto - la doglianza, riformulandola mediante un nuovo ricorso
ed  in  relazione  ai  sopravvenuti  parametri  costituzionali; e non
sarebbe  dato  sapere se la mancata riproposizione stia a significare
abbandono  di  fatto  della  controversia  in  parte  qua,  od invece
speranza nell'adozione di quel criterio di continuita' normativa e di
"conversione"  delle  doglianze  che  fino  ad  oggi  e' stato invece
rifiutato.
    La  censura  mossa  all'art. 1, comma 3, e, in parte, al comma 1,
sarebbe  altresi'  inammissibile  in  quanto l'allegato B della legge
avrebbe  contenuti  inidonei  a  ledere  le  autonomie  regionali, ed
entrambi gli allegati (A e B) elencherebbero soltanto fonti normative
statali.  Le  disposizioni  dell'art. 1,  commi  1  e 3, della legge,
dunque,  che  tali  allegati richiamano, prospettando la sostituzione
delle  fonti  legislative  con  regolamenti cedevoli, per loro natura
piu'   deboli   e   meno   vincolanti  per  le  autonomie  regionali,
comporterebbero  un ampliamento delle autonomie regionali rispetto al
tessuto  normativo  ancora  vigente  alla  data della loro entrata in
vigore,  e  non  una maggiore compressione delle autonomie stesse. Il
primo  motivo  sarebbe  poi  inammissibile  perche' troppo generico e
privo  delle  indicazioni  necessarie  per  valutare  la  sussistenza
dell'interesse a ricorrere.
    Quanto  al  secondo motivo del ricorso, l'Avvocatura fa proprie e
riproduce le motivazioni a sostegno dell'inammissibilita' e della non
fondatezza della censura contenute nell'atto di intervento del Comune
di  Genova. La disposizione recata dall'art. 27-bis del d.lgs. n. 112
del  1998  (introdotto  dall'art. 6  della  legge n. 340 del 2000) si
limiterebbe  a  porre  una regola che garantisce il coordinamento dei
tempi  delle  attivita'  endoprocedimentali  con  il  termine  per la
conclusione  del  procedimento e, nel qualificare "istruttorie" dette
attivita',   ricalcherebbe  puntualmente  la  dizione  contenuta  nel
precedente art. 25.
    Peraltro,  secondo  la difesa del Presidente del Consiglio, tutto
il  secondo  motivo del ricorso sarebbe superato, nello spirito prima
ancora  che  negli argomenti, dai parametri costituzionali introdotti
dalla  legge  costituzionale  di modifica del Titolo V della Parte II
della  Costituzione,  i quali non soltanto avrebbero molto ampliato i
compiti  dei  comuni,  ma  avrebbero anche ad essi assegnato una piu'
rilevante collocazione costituzionale.
    3.3. -  La memoria del Comune di Genova insiste nelle conclusioni
gia' assunte nell'atto di costituzione.
    4.1.   -  Nell'imminenza  della  medesima  udienza  pubblica,  in
relazione  al  ricorso  iscritto  al  reg.  ric.  n. 2 del 2001 hanno
depositato  memoria  sia  la regione Emilia-Romagna che il Presidente
del Consiglio dei ministri.
    La  ricorrente chiede in via principale che, previa constatazione
della  avvenuta  abrogazione  della  disposizione  impugnata ad opera
della  legge  costituzionale  n. 3  del 2001 - la quale, riformulando
l'art. 117  della  Costituzione,  ha previsto, al sesto comma di tale
articolo,  che  "la  potesta'  regolamentare  spetta allo Stato nelle
materie  di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni", e che
"la potesta' regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia"
-  la Corte accolga il ricorso, nei termini originariamente formulati
ed  in  base  ai  parametri  costituzionali  precedenti  la  modifica
costituzionale,  in relazione al periodo per il quale la disposizione
e'  stata  in vigore; in subordine, ove ritenga la perdurante vigenza
della   disposizione   impugnata,   ne   dichiari  la  illegittimita'
costituzionale  per  le  ragioni  formulate nel ricorso ed in base ai
parametri  costituzionali  precedenti  la modifica costituzionale; in
ulteriore  subordine, dichiari la illegittimita' costituzionale della
stessa  disposizione  sulla  base  del  contrasto tra essa e il testo
attuale dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione.
    Nella sua memoria la regione, replicando all'atto di costituzione
dell'Avvocatura  dello  Stato, precisa che la questione non sta nella
qualificazione  della legge o delle leggi di semplificazione come "di
principio" o "di riforma", ma nel fatto che alla semplificazione e al
riordinamento  della  normativa  regionale deve provvedere la regione
stessa  e  non lo Stato, neppure in via temporanea, tramite l'uso dei
regolamenti  di  delegificazione.  Per  questo motivo non rileverebbe
affatto  che  l'abrogazione  delle leggi regionali sia fatta risalire
alla   legge   di   delegificazione  piuttosto  che  al  regolamento:
l'utilizzo  dei  regolamenti statali di delegificazione nelle materie
regionali  sarebbe  comunque illegittimo. Ancora, dovrebbe escludersi
che  costituisca "interesse nazionale", come afferma l'Avvocatura, la
delegificazione  della  disciplina  regionale  dei  procedimenti:  la
scelta  della  fonte,  nei  limiti  in  cui non e' costituzionalmente
vincolata, sarebbe rimessa alla regione, e inoltre, se il legislatore
ravvisasse  un  urgente interesse alla semplificazione procedurale di
determinati procedimenti regionali, dovrebbe pur sempre provvedervi -
sin  dove consentito - direttamente con lo strumento legislativo. Non
apparirebbe   poi  pertinente  il  richiamo  al  principio  di  leale
collaborazione,  ne'  avrebbe  pregio  l'argomento fondato sul tenore
letterale  del  comma 2 dell'art. 17 della legge n. 400 del 1998, che
non  esclude  i  regolamenti  di  delegificazione  nelle  materie  di
competenza  della  regione, al contrario di quanto disposto dal comma
1,  lettera b: quest'ultimo, infatti, conferisce al Governo un potere
regolamentare   di   attuazione   esercitabile   in  generale,  senza
necessita'  di ulteriore base legislativa, per cui si rende opportuno
chiarire  direttamente i limiti del potere; mentre il comma 2 prelude
ad  una  ulteriore  legge,  rispetto  alla  quale  non  sarebbe utile
ribadire  il  divieto, gia' derivante dalla Costituzione, di incidere
sulle materie regionali.
    Quanto  poi  agli  effetti  della nuova disciplina costituzionale
sulla  legislazione  preesistente,  la  regione  ritiene  che,  nella
situazione di contrasto palese tra il nuovo sesto comma dell'art. 117
della Costituzione e le precedenti disposizioni attributive di poteri
normativi secondari, il regime della diretta abrogazione si addica al
caso   in   questione   meglio   del   regime   della  illegittimita'
costituzionale  sopravvenuta. Da un lato, infatti, si tratterebbe qui
di  pura e semplice cessazione di un potere, e non di sue limitazioni
o  trasformazioni;  dall'altro,  affermare che le norme che prevedono
poteri   regolamentari   statali   sono   ancora   operanti,  benche'
costituzionalmente  illegittime, comporterebbe che i titolari di tali
poteri   dovrebbero   continuare  ad  esercitarli,  dando  origine  a
contenziosi  nei  quali  le  regioni  ed  altri eventuali interessati
dovrebbero  far valere con i mezzi ad essi consentiti (cioe' mediante
il  conflitto sugli atti secondari ovvero mediante il giudizio in via
incidentale)  la  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
legislative attributive del potere.
    L'abrogazione  della disposizione oggetto del giudizio, tuttavia,
non  potrebbe  determinare la cessazione della materia del contendere
nel giudizio stesso, perche' tale disposizione da un lato manterrebbe
anche   dopo   l'abrogazione  la  propria  operativita'  quale  fonte
legittimante  gli  atti  normativi  secondari emanati sulla sua base,
dall'altro  ne stabilirebbe il regime giuridico quali disposizioni in
grado  di  abrogare  le precedenti disposizioni legislative regionali
dettate nella materia. Sussisterebbe dunque l'interesse della regione
a   che   sia   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale  della
disposizione  per  il  periodo  in  cui  essa  ha  operato o e' stata
suscettibile di operare.
    4.2.  -  Anche nella memoria relativa a questo secondo ricorso il
Presidente  del  Consiglio dei ministri ha chiesto in via preliminare
la  dichiarazione  di  improcedibilita'  o  di  inammissibilita'  del
ricorso  regionale,  sulla  base  di considerazioni analoghe a quelle
gia'  svolte  in relazione alla prima censura del ricorso iscritto al
reg. ric. n. 25 del 2000, di cui si e' riferito al punto 3.2.

                       Considerato in diritto


    1. - I   due  ricorsi,  promossi  rispettivamente  dalla  regione
Liguria  (reg.  ric.  n. 25  del 2000) e dalla regione Emilia-Romagna
(reg.  ric.  n. 2  del  2001),  sollevano  questioni  di legittimita'
costituzionale  di  alcune  disposizioni,  parzialmente  coincidenti,
della   legge   24 novembre   2000,   n. 340   (Disposizioni  per  la
delegificazione  di  norme  e  per la semplificazione di procedimenti
amministrativi  -  Legge  di semplificazione 1999). I giudizi possono
dunque essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

    2. - Deve   preliminarmente   essere   dichiarato   inammissibile
l'intervento  spiegato dal Comune di Genova nel giudizio promosso con
ricorso  della  regione  Liguria  (reg.  ric.  n. 25  del  2000), per
l'assorbente  ragione che il relativo atto e' stato depositato quando
il  termine  di cui all'art. 23, terzo comma, delle norme integrative
era  scaduto,  anche se dovesse computarsene la decorrenza dal giorno
della pubblicazione del ricorso nella Gazzetta Ufficiale.

    3. - Entrambe  le  regioni  ricorrenti  impugnano  l'art. 1 della
legge  n. 340  del 2000: la regione Liguria censura i commi 1, 2, 3 e
4,  lettera  a;  la  regione  Emilia-Romagna censura il solo comma 4,
lettera  a.  Ma  la  sostanza  delle due impugnazioni non e' diversa.
Infatti i primi tre commi dell'art. 1 prevedono "la delegificazione e
la  semplificazione",  ai  sensi  dell'art. 20,  comma 1, della legge
n. 59  del  1997,  di  una  serie di procedimenti amministrativi e di
adempimenti  elencati nell'allegato A alla legge e la soppressione di
quelli  elencati  nell'allegato  B  (comma 1); alla delegificazione e
alla  semplificazione  si  provvede  mediante  regolamenti emanati ai
sensi  dell'art. 17,  comma  2,  della  legge  n. 400  del  1988, nel
rispetto  dei  principi, criteri e procedure di cui all'art. 20 della
legge  n. 59 del 1997 (comma 2); quanto ai procedimenti soppressi, le
relative  disposizioni  sono  abrogate  a  far  tempo dall'entrata in
vigore  della  stessa  legge  n. 340  del 2000 (comma 3). Il comma 4,
lettera  a,  sostituisce il testo dell'art. 20, comma 2, della citata
legge   n. 59   del  1997,  stabilendo  che  "nelle  materie  di  cui
all'articolo  117,  primo comma, della Costituzione, i regolamenti di
delegificazione  trovano  applicazione  solo fino a quando la regione
non  provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima" e che
"resta fermo quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, della presente
legge  e dall'articolo 7 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli  enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267"  (questi  due  ultimi  rinvii  normativi  si riferiscono alla
potesta' riconosciuta alle regioni e agli enti locali di disciplinare
l'organizzazione  e  lo  svolgimento  delle  funzioni rispettivamente
conferite).
    In  entrambi  i  ricorsi  si  lamenta  che  la  previsione  della
emanazione di regolamenti di delegificazione si estenda a materie e a
procedimenti  di  competenza regionale, come risulterebbe, secondo il
ricorso  della  regione Liguria, dal fatto che l'elenco allegato alla
legge   comprenderebbe   appunto   anche  procedimenti  di  spettanza
regionale,  e, secondo il ricorso della regione Emilia-Romagna, dalla
esplicita  statuizione  del  nuovo testo dell'art. 20, comma 2, della
legge   n. 59   del  1997  (applicabile  a  tutti  i  regolamenti  di
delegificazione  in  tema di procedimenti amministrativi, emanati sia
sulla  base  della  stessa legge n. 59 del 1997, sia sulla base delle
successive  leggi  annuali "di semplificazione", come la legge n. 340
del  2000),  il  quale,  nel  prevedere il carattere "cedevole" della
disciplina  regolamentare  rispetto  alla sopravveniente legislazione
regionale,  implicitamente  disporrebbe  l'efficacia  dei regolamenti
nelle  materie  regionali,  e  anzi  la  loro  idoneita' a prevalere,
abrogandole, sulle leggi regionali preesistenti.
    Le  ricorrenti  sostengono,  richiamandosi alla giurisprudenza di
questa  Corte,  che  la  disciplina  dei  procedimenti afferenti alle
materie  di  competenza  regionale  spetta  alle  regioni, con i soli
limiti  derivanti dai principi fondamentali che si traggono da leggi,
e  non da regolamenti, statali; che questi ultimi non possono dettare
norme  sui  procedimenti  regionali,  e comunque norme che prevalgano
sulle  leggi  regionali  preesistenti,  ancorche' "cedevoli" rispetto
alle   leggi  regionali  sopravvenute;  e  che  il  meccanismo  della
delegificazione  previsto  da  una legge dello Stato non puo' operare
nei  confronti di fonti regionali. Per queste ragioni le disposizioni
impugnate violerebbero gli articoli 117 e 118 della Costituzione (nel
testo  in  vigore  prima  della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3).

    4. - La    questione   deve   essere   decisa   avendo   riguardo
esclusivamente  alle  disposizioni costituzionali nel testo anteriore
alla   riforma  recata  alla  legge  costituzionale  n. 3  del  2001,
trattandosi  del ricorso proposto anteriormente all'entrata in vigore
di quest'ultima, che invoca quindi come parametri dette disposizioni.
    La  Corte  non  ha  invece  motivo  per porsi, in questa sede, in
assenza   di   nuove   impugnazioni,   il   diverso   problema  della
compatibilita'  della legge impugnata con il sistema cui ha dato vita
il  nuovo  Titolo  V,  Parte  II, della Costituzione, che non solo ha
posto  su  basi  rinnovate  il riparto delle competenze normative fra
Stato e regioni, ma ha stabilito che la potesta' regolamentare spetta
allo  Stato solo "nelle materie di legislazione [statale] esclusiva",
mentre  "spetta  alle regioni in ogni altra materia" (art. 117, sesto
comma, Cost., nel nuovo testo).
    D'altronde,  mentre  la  sorte  dei regolamenti che fossero stati
legittimamente  emanati,  prima  della  riforma,  in  base alla norma
impugnata,  discenderebbe  dal  principio  di  continuita',  per  cui
restano  in vigore le norme preesistenti, stabilite in conformita' al
passato  quadro  costituzionale, fino a quando non vengano sostituite
da  nuove norme dettate dall'autorita' dotata di competenza nel nuovo
sistema  (cfr. sentenza n. 13 del 1974), le regioni non mancherebbero
di strumenti processuali per censurare eventuali nuove manifestazioni
di  potesta' regolamentare statale, che fossero ritenute in contrasto
con  le  attribuzioni  ora  ad esse spettanti, aprendo cosi' anche la
strada,   ove   necessario,   ad   una  valutazione  della  ulteriore
applicabilita'  e  della  compatibilita'  della  norma  di  legge qui
impugnata nel nuovo quadro costituzionale.

    5. - La  questione, cosi' delimitata, e' infondata nei termini di
seguito specificati.
    Nel sistema del vecchio art. 117 della Costituzione, costituivano
punti fermi le seguenti affermazioni:
        a)  nelle  materie  di  competenza  propria  delle regioni, i
principi  fondamentali della disciplina, vincolanti nei confronti dei
legislatori regionali, potevano trarsi solo da leggi o da atti aventi
forza  di  legge  dello  Stato,  con  esclusione  dunque  degli  atti
regolamentari;
        b)  le leggi regionali potevano essere abrogate, oltre che da
leggi  regionali  sopravvenute,  solo per effetto del sopravvenire di
nuove leggi statali recanti norme di principio, con le quali la legge
regionale  preesistente  fosse  incompatibile,  secondo il meccanismo
previsto dall'art. 10 della legge n. 62 del 1953.
    Tali  principi,  che  derivavano dalla configurazione del sistema
costituzionale delle fonti e dei rapporti fra Stato e regioni, devono
essere qui ribaditi.
    Essi   comportavano,   di   conseguenza,   che   l'intervento  di
regolamenti  statali fosse di norma precluso nelle materie attribuite
alle  regioni,  come  risultava  anche dal disposto dell'articolo 17,
comma  1,  lettera  b  della  legge n. 400 del 1988, che escludeva le
materie di competenza regionale da quelle nelle quali potevano essere
emanati   regolamenti   statali   per  disciplinare  "l'attuazione  e
l'integrazione"  dei  principi  recati  da  provvedimenti legislativi
(cfr.  ad  es.  sentenze n. 204 del 1991, n. 391 del 1991, n. 461 del
1992,  n. 250  del  1996,  n. 61 del 1997, n. 420 del 1999, n. 84 del
2001).
    Non  diversamente si poneva il problema dei regolamenti detti "di
delegificazione",  previsti dall'art. 17, comma 2, della stessa legge
n. 400,  destinati  a  sostituire,  in materie non coperte da riserva
"assoluta"  di  legge, preesistenti disposizioni legislative statali,
in  conformita'  a  nuove  "norme generali regolatrici della materia"
stabilite  con  legge,  e  con effetto di abrogazione differita delle
disposizioni  legislative  sostituite. Anche per tali regolamenti era
di  norma  esclusa la possibilita' di operare nelle materie spettanti
alla  potesta'  legislativa  delle regioni, quanto meno in assenza di
ragioni  giustificatrici  particolari che abilitassero il legislatore
statale  a sostituirsi a quelli regionali nella disciplina di qualche
aspetto  delle materie medesime (cfr. ad es. sentenze n. 465 del 1991
e n. 482 del 1995).
    Si  deve  tuttavia ricordare che in molte materie, pur attribuite
alla  competenza  regionale,  la  mancanza di una compiuta disciplina
dettata  da leggi regionali ha fatto si' che continuassero a spiegare
efficacia  leggi  statali  previgenti,  non solo come fonti da cui si
desumevano i principi fondamentali vincolanti per le regioni (secondo
la  previsione  dell'art. 9, primo comma, della legge n. 62 del 1953,
come  modificato  dall'art. 17 della legge n. 281 del 1970), ma anche
come  disciplina di dettaglio efficace in assenza dell'intervento del
legislatore  locale. Per di piu' la giurisprudenza di questa Corte, a
partire  dalla  sentenza  n. 214  del  1985,  ha ammesso che la legge
statale,   allorquando   interveniva   a  modificare  i  principi  di
disciplina  di  una  materia  di  competenza  regionale  (con effetto
eventualmente  abrogativo delle leggi regionali preesistenti divenute
incompatibili,  ai  sensi  del  citato  art. 10 della legge n. 62 del
1953),  potesse altresi', al fine di garantire l'attuazione immediata
dei nuovi principi, recare una normativa di dettaglio, immediatamente
operativa, idonea a disciplinare la materia fino a quando non venisse
sostituita  da  una legislazione regionale conforme ai nuovi principi
(anzi,  talvolta  si  e'  ammesso  espressamente  che potessero anche
essere  dettate  -  in  mancanza  di  legislazione  regionale - norme
regolamentari  "cedevoli",  per  dare  esecuzione a leggi statali o a
norme comunitarie operanti in materie regionali: cfr. ad es. sentenze
n. 226  del  1986, n. 165 del 1989, n. 378 del 1995, n. 425 del 1999,
n. 507   del  2000,  ordinanza  n. 106  del  2001).  Si  aggiunga  la
circostanza   che,  non  di  rado,  la  legge  statale  continuava  a
disciplinare,  sul  piano  sostanziale  e  procedurale,  in base alle
previsioni  costituzionali  degli  articoli  118,  primo comma, e 128
(vecchi testi) della Costituzione, l'esercizio di funzioni attribuite
agli  enti  locali,  pur  in  ambiti  materiali  spettanti  in via di
principio alla competenza regionale.
    Tutto cio' spiega perche' il legislatore statale, allorche' si e'
posto, in anni recenti, il problema di interventi generalizzati volti
a realizzare la "semplificazione" dei procedimenti amministrativi, in
vista  della  riduzione  dei  tempi e degli oneri per i cittadini che
chiedessero  provvedimenti  abilitativi  o  concessivi  o prestazioni
dovute dalla pubblica amministrazione, si sia trovato di fronte ad un
corpo  di  norme statali in vigore di grado legislativo, talora assai
risalenti,  altre  volte  rinnovate  in epoca piu' recente, ancora di
fatto operanti, in taluni casi, in ambiti appartenenti, in tutto o in
parte, alla sfera della competenza regionale.
    L'art. 20  della  legge  n. 59  del  1997  ha previsto, all'uopo,
l'emanazione  di  una  legge  annuale di semplificazione che operasse
mediante  meccanismi di delegificazione, ai sensi dell'art. 17, comma
2,  della  legge n. 400 del 1988, nel quadro dell'indirizzo generale,
seguito nella legislazione piu' recente, di favore per un consistente
passaggio da una disciplina legislativa ad una regolamentare di molti
aspetti  dell'organizzazione  e  dell'attivita' amministrativa, salvo
quelli  coperti  da  riserva  di  legge  secondo  la Costituzione. La
semplificazione  era  l'obiettivo, la delegificazione lo strumento: i
nuovi regolamenti avrebbero dovuto da un lato realizzare l'obiettivo,
prevedendo  procedimenti  "semplificati",  dall'altro  sostituire  la
disciplina  legislativa  in  vigore  con  una  modificabile, anche in
seguito, mediante l'esercizio della potesta' regolamentare.
    La  delegificazione  - cioe' la sostituzione di una disciplina di
livello  regolamentare  ad  una  preesistente  di livello legislativo
riguardava  pero'  (e poteva riguardare) solo la legislazione statale
preesistente:  ed  infatti  nell'elenco  di provvedimenti legislativi
elencati,  nell'allegato  alla  legge  n. 59  e  negli  allegati alle
successive leggi annuali di semplificazione, come fonti di disciplina
dei  procedimenti  destinati  ad essere ridisegnati e "semplificati",
compaiono solo leggi dello Stato.
    Riguardo  al  problema  dei  procedimenti  afferenti a materie di
competenza  regionale,  il  legislatore  del 1997 indicava un modo di
procedere  conforme  ai  principi consolidati in tema di rapporto fra
fonti statali e regionali. Il comma 2 dell'art. 20 della legge n. 59,
nel   testo  originario,  prevedeva  che  con  la  legge  annuale  di
semplificazione fossero individuati altresi' "i procedimenti relativi
a  funzioni  e servizi che, per le loro caratteristiche e per la loro
pertinenza alle comunita' territoriali, sono attribuiti alla potesta'
normativa   delle   regioni   e   degli   enti   locali",  e  fossero
contestualmente  indicati  "i principi che restano regolati con legge
della  Repubblica ai sensi degli articoli 117, primo e secondo comma,
e  128  della  Costituzione"  (si consideravano dunque insieme sia le
materie di competenza propria delle regioni, che quelle di competenza
"integrativa-delegata"  delle regioni stesse e quelle attribuite alla
competenza  amministrativa  degli  enti  locali,  nelle quali potesse
dispiegarsi  la potesta' regolamentare di questi ultimi, riconosciuta
in generale dall'art. 2, comma 2, della stessa legge n. 59 del 1997).
Si indicavano poi, al comma 5 dell'art. 20, i "criteri e principi" di
semplificazione  cui  avrebbero  dovuto  conformarsi i regolamenti di
delegificazione.  Il  comma  7  prevedeva  che  le  regioni a statuto
ordinario  regolassero "le materie disciplinate dai commi da 1 a 6" -
cioe',  piu'  propriamente, i procedimenti afferenti all'ambito delle
materie  di  propria  competenza,  ai  quali  potessero  riferirsi  i
principi   della  "semplificazione"  -  "nel  rispetto  dei  principi
desumibili  dalle  disposizioni  in  essi  [cioe' nei commi da 1 a 6]
contenute,   che  costituiscono  principi  generali  dell'ordinamento
giuridico".  Si sanciva cioe' il vincolo per le regioni a rispettare,
nella  propria  legislazione  di  semplificazione dei procedimenti, i
"criteri  e  principi"  indicati  nel comma 5 (e cio' era conforme al
sistema,   trattandosi   di   principi   espressi   in   disposizioni
legislative).  Si aggiungeva poi che "tali disposizioni [vale a dire,
sembrerebbe,  sempre  quelle dei commi da 1 a 6] operano direttamente
nei  riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato
in  materia":  previsione  invero di oscuro significato, dato che non
era  chiaro  come principi quali quelli di semplificazione, riduzione
di  procedimenti  e  di termini, regolazione uniforme di procedimenti
dello   stesso   tipo,   accelerazione   delle  procedure  contabili,
sostituzione  di organi collegiali con conferenze di servizi (cfr. il
citato  comma  5),  potessero  operare direttamente in assenza di una
disciplina attuativa.
    Comunque  fosse, il comma 7 dell'art. 20, come ebbe a riconoscere
questa  Corte  con  la sentenza n. 408 del 1998, non conteneva alcuna
previsione   di   possibile  efficacia  dei  regolamenti  statali  di
delegificazione,  da emanarsi ai sensi del comma 1, per la disciplina
di materie di competenza regionale.
    Dopo  una  prima  modifica, irrilevante in questa sede, apportata
all'art. 20 con l'art. 1 della legge 16 giugno 1998, n. 191, il comma
2 venne sostituito dall'art. 2 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (legge
di semplificazione per il 1998), che integro' anche l'indicazione dei
criteri  e  principi  da  rispettare  nell'emanazione dei regolamenti
(comma  5).  Il  nuovo  testo  del  comma 2 stabiliva che "in sede di
attuazione  della  delegificazione,  il  Governo  individua,  con  le
modalita'  di  cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 241 [che
riguarda  la  conferenza  Stato-regioni  e  la  conferenza  unificata
Stato-regioni-citta],  i  procedimenti o gli aspetti del procedimento
che  possono  essere autonomamente disciplinati dalle regioni e dagli
enti locali": dizione che sembrava alludere ad una disciplina in sede
regolamentare,  sia  pure eventualmente in funzione solo ricognitiva,
dell'ambito della competenza regionale.
    La  disposizione  in  esame  e'  stata  poi nuovamente sostituita
dall'art. 1,  comma  4,  lettera  a,  della  legge  n. 340  del 2000,
impugnato  in  questa  sede.  Il testo attuale non allude piu' ad una
normativa  regolamentare  che riguardi la competenza regionale per la
disciplina  dei  procedimenti,  ma  si  limita  a prevedere che nelle
materie attribuite dalla Costituzione alla potesta' legislativa delle
regioni  i  regolamenti  di delegificazione trovano applicazione solo
fino  al  sopravvenire di una autonoma disciplina regionale: sancendo
dunque   espressamente   il  carattere  "cedevole"  della  disciplina
regolamentare  nei  confronti  della  successiva  normazione di fonte
regionale,  ma  implicitamente  confermando che i regolamenti possono
riguardare procedimenti in materie regionali, anche se viene ribadita
la  competenza delle regioni ad attuare i principi di semplificazione
in  tali  materie,  ai  sensi  dell'invariato  comma  7  dello stesso
art. 20.

    6. - Se,  come  sostiene  in  particolare  la  ricorrente regione
Emilia-Romagna,   cio'  significasse  che  la  legge  attribuisce  ai
regolamenti   di   delegificazione   l'efficacia   di  sostituire  la
preesistente  disciplina  delle  leggi  regionali  (dettata o meno in
attuazione  dei  nuovi  criteri  di  semplificazione dei procedimenti
amministrativi),   causandone   l'abrogazione,   sarebbe   giocoforza
concludere   che   la   disposizione  impugnata  altera  il  rapporto
costituzionalmente  dovuto tra fonti statali e fonti regionali. Ma le
disposizioni  impugnate  consentono, e dunque richiedono, una diversa
lettura, rispettosa invece di quel rapporto.
    La premessa sta nei principi che si sono richiamati all'inizio, e
che  la  legge impugnata non smentisce. La delegificazione e' solo lo
strumento adottato dal legislatore statale per realizzare l'obiettivo
della  semplificazione  dei  procedimenti nell'ambito di cio' che era
gia'  disciplinato  dalle leggi statali precedentemente in vigore. La
sostituzione,   in   parte   qua  con  norme  regolamentari  riguarda
esclusivamente  le  preesistenti  disposizioni di leggi statali, come
confermano    i   riferimenti   negli   allegati   delle   leggi   di
semplificazione:  e  dunque,  per  cio' che rileva in questa sede, le
disposizioni  di  leggi  statali  che gia' operavano nelle materie di
competenza regionale.
    Tali leggi (a parte i casi di interventi particolari che lo Stato
avesse  effettuato  sulla base di specifici titoli costituzionalmente
giustificati,   e   che   pero'   in   quanto  tali  si  collocavano,
propriamente,  al  di fuori dell'ambito delle attribuzioni regionali)
potevano spiegare efficacia ad un doppio titolo: in quanto recanti le
disposizioni  da cui si desumevano i principi fondamentali vincolanti
per  i  legislatori  regionali,  o  in  quanto  recanti  disposizioni
immediatamente   operative   (di   dettaglio)  applicabili  a  titolo
suppletivo in mancanza di legislazione regionale.
    L'operazione   di   delegificazione   non  riguarda  e  non  puo'
riguardare  il  primo  tipo  di  disposizioni (e infatti l'originario
testo   dell'art. 20,   comma  2,  della  legge  impugnata  prevedeva
espressamente  che  i principi delle materie restassero "regolati con
legge   della   Repubblica"),   poiche'   la  sostituzione  di  norme
legislative  con norme regolamentari esclude di per se' che da queste
ultime  possano  trarsi  principi  vincolanti per le regioni: come e'
testualmente  confermato,  del  resto, dalla esplicita ammissione del
carattere "cedevole" dei regolamenti.
    La  delegificazione  riguarda  dunque e puo' riguardare - oltre a
disposizioni  di  leggi  statali regolanti oggetti a qualsiasi titolo
attribuiti  alla  competenza dello Stato - solo disposizioni di leggi
statali  che,  nelle  materie  regionali,  gia' avessero carattere di
norme   di   dettaglio   cedevoli   la  cui  efficacia  si  esplicava
nell'assenza  di legislazione regionale. La delegificazione, anzi, e'
in  grado  di  introdurre,  da  questo punto di vista, un elemento di
chiarezza:  mentre  in  presenza  di norme tutte legislative, nel cui
ambito  non si faceva alcuna distinzione, poteva sussistere il dubbio
circa  la  loro  natura  di  principio  o  di dettaglio, vincolante o
cedevole,   in  presenza  invece  di  norme  regolamentari  non  puo'
sussistere dubbio alcuno sull'assenza di ogni loro carattere di norme
di  principio,  come  tali  vincolanti per le regioni, e dunque sulla
loro inidoneita' a prevalere sulle disposizioni di leggi regionali.
    Quanto  alle  leggi  regionali  preesistenti, su di esse non puo'
spiegare  alcun  effetto  abrogativo  l'entrata in vigore delle nuove
norme   regolamentari.   Esse   potrebbero  ritenersi  abrogate  solo
dall'entrata   in  vigore  di  nuove  norme  legislative  statali  di
principio,  con  le  quali  risultino  incompatibili.  E' vero che lo
stesso  art. 20  della legge n. 59 stabilisce "criteri e principi" di
semplificazione   dei  procedimenti,  affermandone  espressamente  il
carattere  vincolante anche per le regioni (comma 7). Ma - a parte il
fatto che si tratta di principi procedurali, di massima inidonei, per
il loro contenuto, a causare l'abrogazione per incompatibilita' delle
leggi   regionali   anteriormente   vigenti   (tanto  che  lo  stesso
legislatore  statale  li qualifica alla stregua di "principi generali
dell'ordinamento  giuridico":  comma  7  dell'art. 20) -, l'ipotetica
abrogazione  sarebbe  effetto  autonomo  dell'entrata in vigore delle
disposizioni   legislative  contenenti  i  principi  (secondo  quanto
previsto  dall'art. 10  della  legge  n. 62  del  1953),  e  non gia'
dell'entrata  in  vigore  dei  regolamenti  di  delegificazione,  che
condiziona soltanto secondo il meccanismo sancito dall'art. 17, comma
2,  della  legge  n. 400  del 1988, e ribadito dall'art. 20, comma 4,
secondo  periodo,  della  legge  n. 59  del  1997 l'abrogazione delle
disposizioni di leggi statali delegificate.
    Conclusivamente:   fermo   restando   il  consueto  rapporto  fra
legislazione regionale e principi fondamentali desumibili dalle leggi
statali,  l'emanazione  dei  regolamenti  statali di delegificazione,
riguardanti  eventualmente  ambiti materiali di competenza regionale,
non ha alcun effetto abrogativo ne' invalidante sulle leggi regionali
in vigore, sia emanate in attuazione dei principi di semplificazione,
sia  semplicemente preesistenti, ne' produce effetti di vincolo per i
legislatori  regionali.  Le norme regolamentari vanno semplicemente a
sostituire,  in  parte qua, le norme legislative statali di dettaglio
che gia' risultassero applicabili, a titolo suppletivo e cedevole, in
assenza di corrispondente disciplina regionale.
    E'  questa  l'unica  lettura  della norma impugnata che si rivela
coerente  con  il  sistema  e con i presupposti costituzionali. Cosi'
intesa,  essa  non  incorre  nelle censure di costituzionalita' mosse
dalle regioni ricorrenti.

    7. - La sola ricorrente regione Liguria impugna altresi' l'art. 6
della  legge  n. 340  del  2000, che introduce nel capo IV del d.lgs.
n. 112 del 1998 (intitolato "Conferimenti ai comuni e sportello unico
per  le  attivita'  produttive") un art. 27-bis (Misure organizzative
per lo sportello unico delle imprese).
    L'art. 23, comma 1, del decreto legislativo attribuisce ai comuni
"le    funzioni    amministrative   concernenti   la   realizzazione,
l'ampliamento,  la  cessazione, la riattivazione, la localizzazione e
la  rilocalizzazione  di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio
delle  concessioni  o  autorizzazioni  edilizie". L'art. 24, comma 1,
stabilisce  che  "ogni  comune  esercita,  singolarmente  o  in forma
associata,   anche   con  altri  enti  locali,  le  funzioni  di  cui
all'articolo  23, assicurando che un'unica struttura sia responsabile
dell'intero  procedimento"  (comma  1), e che "presso la struttura e'
istituito  uno  sportello  unico  al  fine  di  garantire a tutti gli
interessati  l'accesso,  anche in via telematica, al proprio archivio
informatico   contenente   i   dati   concernenti   le   domande   di
autorizzazione  e  il  relativo  iter  procedurale,  gli  adempimenti
necessari   per   le   procedure  autorizzatorie,  nonche'  tutte  le
informazioni  disponibili  a  livello  regionale, ivi comprese quelle
concernenti le attivita' promozionali, che dovranno essere fornite in
modo   coordinato".   L'art. 25,  a  sua  volta,  prescrive  che  "il
procedimento    amministrativo    in    materia   di   autorizzazione
all'insediamento   di   attivita'   produttive   e'   unico"   e  che
"l'istruttoria  ha  per oggetto in particolare i profili urbanistici,
sanitari,  della  tutela  ambientale  e  della  sicurezza"; e detta i
principi  cui  si  ispira  tale procedimento, "disciplinato con uno o
piu'  regolamenti  ai  sensi  dell'articolo  20, comma 8, della legge
15 marzo 1997, n. 59".
    L'art. 27-bis  aggiunto  dalla  disposizione  impugnata in questa
sede,  stabilisce  che  "le  amministrazioni, gli enti e le autorita'
competenti  a svolgere, ai sensi degli articoli da 23 a 27, attivita'
istruttorie  nell'ambito  del  procedimento  di  cui  al  regolamento
previsto dall'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59,
per   la   realizzazione,   l'ampliamento,  la  ristrutturazione,  la
riconversione  di  impianti  produttivi  e  per l'esecuzione di opere
interne  ai  fabbricati,  nonche'  per  la  determinazione delle aree
destinate agli investimenti produttivi, provvedono all'adozione delle
misure  organizzative  necessarie  allo  snellimento  delle  predette
attivita'  istruttorie,  al  fine  di assicurare il coordinamento dei
termini di queste con i termini di cui al citato regolamento".
    Secondo  la  regione  ricorrente,  tale  disposizione  avrebbe lo
scopo,  ancorche'  "occultato"  sotto  l'apparenza  di una previsione
ovvia, di qualificare espressamente come "atti istruttori" gli atti e
i  provvedimenti  propri dei diversi enti coinvolti nel procedimento,
fra  cui  la regione, e cio' al fine di spostare in capo al comune la
competenza   sostanziale   all'esercizio   delle  relative  funzioni,
lasciando  agli altri enti solo un potere istruttorio "non riservato"
ed "eventuale".
    In  questo  modo,  prosegue  la  regione, omettendo di mettere in
evidenza tale scopo concreto e di accedere alle richieste di modifica
avanzate   in   proposito  dalla  Conferenza  Stato-regioni  e  dalla
conferenza  unificata,  si  sarebbero  violati  anzitutto  i principi
costituzionali  sulla  collaborazione  fra  Stato  e  regioni e sulle
procedure  legislative  (articoli  70, 71, 72, in connessione con gli
artt. 117,  118  e  119  della  Costituzione),  nonche' i principi di
autonomia  e  decentramento  (artt. 5, 128 e 129 della Costituzione).
Sotto  un secondo profilo, sarebbero lese le competenze delle regioni
di  cui  agli  artt. 117,  118  e  119  della Costituzione, per avere
ri-conformato sostanzialmente procedure e competenze, incidendo anche
sulla  disciplina  regionale  vigente  in tema di deleghe di funzioni
alle  province  e  alle  comunita'  montane.  Sotto un terzo profilo,
sarebbe  violato  l'art. 81  della Costituzione per l'attribuzione di
competenze  ai comuni senza copertura finanziaria e per l'alterazione
della  copertura  gia'  prevista  dalle  leggi  regionali  che  hanno
delegato  funzioni ad altri enti. Infine sarebbero violati i principi
di  certezza  del  diritto, di chiarezza normativa, di legalita' e di
buon  andamento della pubblica amministrazione (artt. 70, 71, 72, 97,
101,  111  e 113 della Costituzione), perche' si sarebbero introdotte
situazioni  normative  non chiare sia per le amministrazioni titolari
delle funzioni, sia per i cittadini e per le imprese.

    8. - La questione non e' fondata.
    Anche  tale  questione deve essere valutata alla luce delle norme
costituzionali,  invocate dalla ricorrente, come risultanti dal testo
anteriore  alla  riforma  del  Titolo V, Parte II, della Costituzione
recata   dalla   legge  costituzionale  n. 3  del  2001.  L'eventuale
incidenza  delle  nuove norme costituzionali, in termini di modifiche
delle  competenze  rispettive  di  Stato  e  regione, sarebbe infatti
suscettibile  di  tradursi  solo  in  nuove e diverse possibilita' di
intervento  legislativo  della regione o dello Stato, senza che pero'
venga  meno, in forza del principio di continuita', l'efficacia della
normativa  preesistente  conforme  al quadro costituzionale in vigore
all'epoca della sua emanazione (cfr. sentenza n. 13 del 1974).
    La  disciplina  concernente il cosiddetto "sportello unico per le
attivita' produttive" e' dettata dagli articoli da 23 a 27 del d.lgs.
n. 112 del 1998, non contestati in questa sede. Essa e' fondata sulla
concentrazione  in  una  sola  struttura, istituita dal comune, della
responsabilita'  dell'unico  procedimento  attraverso  cui i soggetti
interessati  possono ottenere l'insieme dei provvedimenti abilitativi
necessari  per  la  realizzazione  di  nuovi insediamenti produttivi,
nonche'  sulla  concentrazione  nello  "sportello  unico",  presso la
predetta struttura, dell'accesso a tutte le informazioni da parte dei
medesimi  soggetti  interessati:  cio'  al  fine  di  evitare  che la
pluralita'  delle  competenze  e  degli interessi pubblici oggetto di
cura  in  questo  ambito  si  traduca per i cittadini in tempi troppo
lunghi e in difficolta' di rapporti con le amministrazioni.
    Quello  che  la  legge configura e' una sorta di "procedimento di
procedimenti", cioe' un iter procedimentale unico in cui confluiscono
e  si  coordinano  gli atti e gli adempimenti, facenti capo a diverse
competenze,  richiesti  dalle  norme in vigore perche' l'insediamento
produttivo  possa  legittimamente essere realizzato. In questo senso,
quelli che erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei
quali  veniva  adottato  sulla  base di un procedimento a se' stante,
diventano   "atti   istruttori"   al  fine  dell'adozione  dell'unico
provvedimento  conclusivo, titoloper la realizzazione dell'intervento
richiesto  (cfr.  art. 4,  comma  1, del d.P.R. n. 447 del 1998, come
modificato   dall'art. 1  del  d.P.R.  n. 440  del  2000).  Cio'  non
significa pero' che vengano meno le distinte competenze e le distinte
responsabilita'   delle  amministrazioni  deputate  alla  cura  degli
interessi  pubblici  coinvolti:  tanto  e'  vero  che, nel cosiddetto
"procedimento semplificato", ove una delle amministrazioni chiamate a
decidere  si  pronunci  negativamente,  "il  procedimento  si intende
concluso",  salva  la  possibilita'  per l'interessato di chiedere la
convocazione  di  "una conferenza di servizi al fine di eventualmente
concordare  quali  siano  le  condizioni  per ottenere il superamento
della  pronuncia  negativa"  (art. 4,  comma 2, del d.P.R. n. 447 del
1998, come modificato dall'art. 1 del d.P.R. n. 440 del 2000).
    In  ogni  caso,  la  configurazione  delle  competenze  in questa
materia  risulta dai citati articoli da 23 a 27 del d.lgs. n. 112 del
1998.  La  disposizione  in  questa  sede  impugnata ha lo scopo e la
portata,  assai piu' modesti, di prevedere che ciascuna delle diverse
amministrazioni competenti adotti, nella propria autonomia, le misure
organizzative necessarie perche' le attivita' ad essa demandate siano
svolte  nel modo piu' rapido, cosi' da coordinare i termini stabiliti
per  ciascuna  di  tali  attivita'  con  i  termini  previsti  per il
compimento  del  procedimento  unico di cui all'art. 25, comma 1, del
medesimo  d.lgs.  n. 112  del  1998.  Un'esigenza  di  coordinamento,
questa,  che  si  correla  naturalmente  con  l'intento  unificante e
semplificante che sta a base della scelta del legislatore.

    9. - Stante  l'effettiva  portata  della  norma  impugnata, quale
emerge  dalle  considerazioni  svolte,  sono  prive  di fondamento le
censure  mosse  dalla  ricorrente  sotto  i  profili  della affermata
violazione  delle  competenze  regionali,  che non sono modificate da
detta  norma,  del principio di leale collaborazione e della presunta
incidenza  sulla  finanza regionale, che non e' toccata. Ma risultano
altresi' privi di consistenza anche gli altri profili di censura, che
si  richiamano alle regole del procedimento legislativo e ai principi
di  certezza  del diritto, di chiarezza normativa e di buon andamento
dell'amministrazione,  senza  che  la  Corte  debba porsi il problema
della  loro ammissibilita' nel giudizio in via principale promosso da
una regione nei confronti di una legge dello Stato.