ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 5, del
decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di
autonomia   impositiva  degli  enti  locali  e  di  finanza  locale),
convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 aprile 1989, n. 144,
come  modificato  dal  d.l. 30 settembre 1989, n. 332 (Misure fiscali
urgenti),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 27 novembre
1989,   n. 384,  nonche'  dal  decreto-legge  27 aprile  1990,  n. 90
(Disposizioni  in materia di determinazione del reddito ai fini delle
imposte  sui  redditi, di rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e
di  contenzioso  tributario,  nonche'  altre  disposizioni  urgenti),
convertito,  con  modificazioni,  nella legge 26 giugno 1990, n. 165,
promosso  con  ordinanza  emessa  il 10 maggio 2001 dalla Commissione
tributaria  provinciale  di  Biella  sul  ricorso  proposto da T.M.T.
Manenti  S.r.l.  contro  il comune di Bioglio, iscritta al n. 596 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 33, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 19 giugno 2002 il Giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del 10 maggio 2001, la Commissione
tributaria  provinciale  di  Biella  ha  sollevato  - nel corso di un
giudizio  promosso  per  l'annullamento  degli avvisi di liquidazione
ICIAP  emessi  dal  comune  di  Bioglio  -  questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge 2 marzo 1989,
n. 66  (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli
enti  locali  e  di  finanza  locale), convertito, con modificazioni,
nella  legge  24 aprile  1989,  n. 144,  cosi'  come  modificato  dal
decreto-legge  30 settembre  1989,  n. 332  (Misure fiscali urgenti),
convertito,  con  modificazioni nella legge 27 novembre 1989, n. 384,
nonche'  dal  decreto-legge  27 aprile  1990,  n. 90 (Disposizioni in
materia  di  determinazione  del  reddito  ai  fini delle imposte sui
redditi,   di   rimborsi   dell'imposta  sul  valore  aggiunto  e  di
contenzioso   tributario,   nonche'   altre   disposizioni  urgenti),
convertito,  con  modificazioni,  nella legge 26 giugno 1990, n. 165,
nella  parte in cui stabiliscono che - in presenza di un insediamento
produttivo  insistente  sul territorio di piu' comuni - il tributo e'
dovuto  in  misura unica a ciascun comune sulla base della superficie
complessiva   ricompresa   nell'ambito  territoriale  degli  enti  di
riferimento;
        che  il  giudice rimettente premette che con ordinanza n. 242
del   2000   la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato  la  manifesta
inammissibilita'   della  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata dallo stesso giudice con ordinanza del 23 novembre 1998 per
avere questi:
          a) impugnato il d.l. 30 dicembre 1988, n. 549 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  autonomia impositiva degli enti locali e di
finanza  locale),  non convertito in legge e la legge 24 aprile 1989,
n. 144   (indicata  come  legge  di  conversione),  che  ha,  invece,
convertito, con modifiche, il d.l. 2 marzo 1989, n. 66;
          b) non tenuto conto che la norma denunciata e' stata, a sua
volta, interamente sostituita nell'art. 1 con una norma (parzialmente
diversa)  contenuta  nell'art. 1  del  d.l. 30 settembre 1989, n. 332
(Misure  fiscali urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge
27 novembre 1989, n. 384;
        che,   ad   avviso   del   giudice  a  quo,  anche  le  norme
successivamente  modificative  non  garantirebbero  il  rispetto  dei
principi  costituzionali  stabiliti  dagli  artt. 3 e 53, prevedendo,
infatti,  che  il  tributo  dovuto  sia determinato in relazione alla
superficie,   sui   cui  insiste  in  ciascun  comune  l'insediamento
produttivo, e potrebbero determinare una maggiorazione di imposta nei
casi - come quello di specie - in cui ciascuna porzione di superficie
rientra  in classi alle quali corrisponde un tributo complessivamente
superiore  a  quello  corrispondente  alla classe di superficie dello
stabilimento industriale unitariamente considerato;
        che,  sempre  secondo  il  giudice rimettente, l'applicazione
della  norma  impugnata  creerebbe una "disparita' di trattamento tra
insediamenti  della  stessa  tipologia  ricadenti  su un unico comune
rispetto  a quelli ricadenti su due o piu' comuni", verificandosi nel
caso specifico un'eccedenza di imposta;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo,  in  via  preliminare,  che  la questione venga dichiarata
inammissibile:
          a)  perche'  mirerebbe  a provocare il riesame della stessa
questione  gia' sottoposta a scrutinio di legittimita' costituzionale
con ordinanza di rimessione del 23 novembre 1998;
          b) perche' solleciterebbe l'adozione di un diverso criterio
di tassazione con consequenziale invadenza della sfera riservata alla
discrezionalita' del legislatore;
        che  la difesa statale sostiene, nel merito, che la questione
sarebbe  manifestamente infondata sulla base di quanto gia' affermato
dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 61 del 2001, in relazione
ad  una  fattispecie  simile; le situazioni poste in comparazione dal
giudice  rimettente sarebbero, infatti, secondo l'Avvocatura diverse,
in quanto l'ubicazione dello stabilimento in piu' comuni comporta per
ciascun  ente  oneri maggiori  (per  la  fornitura  di  servizi,  che
entrambi  i comuni sarebbero tenuti a fornire per la parte di propria
competenza),  rispetto  a  quelli che sarebbe necessario sostenere se
l'immobile fosse, invece, ubicato nel territorio di un solo comune.
    Considerato  che  l'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla
difesa  statale  e'  priva  di  fondamento, in quanto la questione di
legittimita' costituzionale e' stata proposta rispetto a disposizioni
di  legge  diverse  da  quelle  sulle  quali,  nel corso del medesimo
giudizio  a  quo,  era  stata  in  precedenza  sollevata la questione
dichiarata inammissibile da questa Corte (ordinanza n. 242 del 2000);
        che  l'inammissibilita'  era stata dichiarata con la predetta
ordinanza    in   relazione   sia   alla   erronea   indicazione   ed
identificazione   delle   norme  disciplinanti  la  fattispecie  (era
indicato  l'art. 1,  comma  5,  del  d.l.  30 dicembre  1988, n. 549,
recante  "Disposizioni  urgenti  in  materia  di autonomia impositiva
degli enti locali e di finanza locale", non convertito in legge, e la
legge  di  conversione  24 aprile  1989, n. 144, relativa, invece, al
d.l. 2 marzo 1989, n. 66, recante "Disposizioni urgenti in materia di
autonomia  impositiva  degli  enti  locali e di finanza locale"), sia
alla   intervenuta   sostituzione,   parzialmente  innovativa,  della
disciplina  della  tassazione  operata  dall'art. 1 del decreto-legge
30 settembre  1989,  n. 332 (Misure fiscali urgenti), convertito, con
modificazioni, nella legge 27 novembre 1989, n. 384, entrambi vigenti
alla  data  della  prima  ordinanza  di  remissione  e  non  presi in
considerazione dal giudice a quo;
        che  non  esiste,  pertanto, preclusione alla possibilita' da
parte   dello   stesso   giudice  di  sollevare  nuova  questione  di
legittimita'   costituzionale  in  via  incidentale,  tanto  piu'  se
riferita  a  norme  diverse,  nei  casi  in  cui  la dichiarazione di
inammissibilita'   della   precedente   si   fondava   sulla  erronea
individuazione della norma applicabile in relazione alla non rilevata
modifica delle stesse norme denunciate;
        che,  in  via  generale,  non  esiste  una  preclusione  alla
riproponibilita'    di    questione   incidentale   di   legittimita'
costituzionale da parte dello stesso giudice e nello stesso giudizio,
quando  sia  intervenuta da parte della Corte una pronuncia meramente
processuale  (v. sentenze n. 189 del 2001; n. 42 del 1996; n. 433 del
1995)  ed il giudice a quo abbia rimosso gli elementi ostativi ad una
pronuncia sulla fondatezza o meno della questione;
        che la questione e' manifestamente infondata sulla base delle
considerazioni  contenute  nella  ordinanza di manifesta infondatezza
n. 61  del  2001  non  presa  in  considerazione  dalla  ordinanza di
rimessione del 10 maggio 2001;
        che questa Corte con ordinanza n. 61 del 2001 ha sottolineato
che  la  determinazione  dell'  imposta  comunale  per l'esercizio di
imprese,  arti  e  professioni  (ICIAP)  -  ora  abolita  - e' basata
sull'attivita'  esercitata  (settori  di attivita' aventi una diversa
tariffazione)  e  per  classi  di  superficie utilizzata, secondo una
tabella che attuava un sistema tariffario con andamento nel complesso
regressivo  (riferito  a scaglioni fissi di tariffa di superficie via
via piu' ampia);
        che,  trattandosi  di imposta comunale, la determinazione era
effettuata  separatamente per ogni comune nel cui ambito territoriale
erano  ubicati  gli  insediamenti  produttivi ed era dovuta a ciascun
ente   secondo  gli  anzidetti  criteri  (classe  di  superficie  con
differenziazioni   secondo   effettiva   destinazione  e  settore  di
attivita) e con ripartizione della superficie in caso di insediamenti
interessanti il territorio di piu' comuni (ordinanza n. 61 del 2001);
        che  la  tariffa  prevedeva  una  agevolazione  nel  caso  di
pluralita'  di  insediamenti  separati nello stesso comune attraverso
una  sommatoria  delle  superfici  ed unica liquidazione complessiva,
nonche'  una serie di esclusioni dal computo della superficie, sempre
agevolatorie  in  relazione alle finalita' di utilizzazione di alcune
aree  (parcheggi  per  dipendenti  e  clienti),  o  di  riduzioni  di
superficie   calcolabile   per   le  imprese  artigiane  ed,  infine,
correttivi in aumento o diminuzione a seconda del livello del reddito
di impresa, di arti e professioni;
        che   il  sistema  di  tariffa  principalmente  agganciato  a
quantita'  e  classi di superficie dell'insediamento e correlato alla
particolare  utilizzazione  dei  servizi  comunali  in  pluralita' di
comuni  (esistendo  l'obbligo  di ciascun comune di fornire i servizi
stessi  per  la parte del territorio in cui e' ubicato l'insediamento
produttivo)  non  comporta,  di per se', ne' duplicazione di imposta,
atteso  il  ragguaglio  alla  superficie  nel singolo comune, ne' una
manifesta  irragionevolezza tenuto conto degli oneri dei servizi, cui
sono tenuti i diversi comuni;
        che  un sistema tariffario per classi fisse, come, del resto,
ogni  meccanismo  di  tassazione per raggruppamenti di attivita' o di
iniziative,  correlato  a indici di capacita' diversi dal reddito, si
basa  su  elementi  quantitativi  per  scaglioni  di imposta, che non
devono  necessariamente  considerare  tutte le differenze che possono
prodursi   per   effetto  di  unificazione  o  di  separazione  della
tassazione:  in  alcuni  casi,  puo'  risultare una minore tassazione
complessiva,  in  altri  casi  puo'  comportare una maggiorazione nel
totale,  essendo  decisivo  che  nel  complesso  il  sistema  non sia
manifestamente irragionevole, ne' discriminatorio in modo palesemente
arbitrario;
        che  rientra nella discrezionalita' del legislatore, fermo il
limite  della  non  irragionevolezza,  di  scegliere  il  sistema  di
tassazione   per   il   caso  di  insediamenti  unitari  coinvolgenti
pluralita'  di  Comuni,  unificandolo  con  il  caso di pluralita' di
insediamenti  produttivi in differenti Comuni (tassazione separata in
base alla superficie in ciascun Comune);
        che,   d'altro  canto,  la  localizzazione  dell'insediamento
dipende da una scelta della impresa o del professionista e da una sua
valutazione  di  convenienza  economica,  anche  meramente soggettiva
(attivita'  esercitata  nel  territorio  di  piu' Comuni con maggiori
possibilita' di utilizzazione dei relativi servizi);
        che,  di  conseguenza,  deve  essere  dichiarata la manifesta
infondatezza  di  tutte  le  questioni di legittimita' costituzionale
sollevate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.