ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1,
numero 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle   leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali),  in  relazione
all'articolo   9  dello  stesso  decreto  legislativo,  promosso  con
ordinanza  del  19 ottobre  2001 dal Tribunale di Rimini, iscritta al
n. 967  del  registro  ordinanze  2001  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 2, dell'anno 2002.
    Visti gli atti di costituzione di Tommaso Ferri ed altra, Alberto
Ravaioli  e  del  Comune  di Rimini, nonche' l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 3 luglio 2002 il Giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  del  19 ottobre 2001, pervenuta a
questa Corte il 10 dicembre 2001, il Tribunale di Rimini ha sollevato
questione   di   legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli
articoli  24,  primo  e  secondo  comma, 51, primo comma, e 97, primo
comma,  della  Costituzione, dell'articolo 63, comma 1, numero 4, del
decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali),  in  relazione all'articolo 9
dello stesso decreto legislativo;
        che  il remittente premette di essere chiamato a giudicare su
un  ricorso  di  attori  popolari  i  quali chiedono di dichiarare la
decadenza  dalla  carica  del  Sindaco di Rimini, eletto il 27 maggio
2001, in relazione a due ipotesi di incompatibilita', di cui la prima
(prevista  dall'art. 63,  comma  1, numero 4, del testo unico citato)
concerne  la  pendenza  di una lite fra il Sindaco ed il comune: lite
che  deriverebbe,  nella specie, dalla azione popolare promossa dagli
stessi  ricorrenti  contro  il  Sindaco,  ai  sensi  dell'art. 9  del
predetto  testo  unico,  per far valere l'asserito diritto del comune
alla restituzione degli emolumenti percepiti dallo stesso Sindaco nel
periodo  di  carica succeduto alla sua elezione nel luglio 1999, fino
alla  decadenza  pronunciata  per  incompatibilita'  dalla  Corte  di
cassazione  con  sentenza  n. 16205 del 2000, nonche' al risarcimento
dei danni subiti dal comune per l'organizzazione delle nuove elezioni
amministrative del maggio 2001;
        che,  secondo  il  remittente,  l'esperimento di quest'ultima
azione  popolare comporterebbe la pendenza di una lite fra il Sindaco
ed  il  comune,  ancorche' "versante in una fase che, allo stato, non
consente   neppure  di  apprezzare  l'atteggiamento  processuale  del
comune, non ancora costituitosi";
        che  il  remittente,  pur  dando  atto  dell'esistenza, nella
giurisprudenza  di  legittimita',  di  diversi  orientamenti circa la
possibilita' che il giudice del contenzioso elettorale non arresti la
sua  indagine  alla  semplice  constatazione  della  pendenza  di  un
giudizio   fra   l'amministratore  ed  il  Comune,  ma  valuti  anche
l'eventuale  manifesta  infondatezza o il carattere pretestuoso della
lite,  afferma  che  la  valutazione  circa  "l'effettivita'  di  una
controversia"  resta preclusa nei casi, come il presente, in cui, non
essendo ancora intervenuta una presa di posizione del Comune, sarebbe
"impossibile  anche solo delibare l'interesse dello stesso"; e cio' a
tacere  della  possibilita'  che quest'ultimo, dopo essersi associato
alla  posizione  del  Sindaco,  muti atteggiamento processuale, anche
solo  domandando  la  compensazione  delle  spese  di  lite, con cio'
determinando la sussistenza di una domanda contro il Sindaco;
        che, a giudizio del remittente, l'art. 63, comma 1, numero 4,
del  testo  unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (che
prevede  l'incompatibilita'  per  lite pendente), in correlazione con
l'art. 9  dello stesso testo unico (che prevede l'azione popolare per
far  valere in giudizio "le azioni e i ricorsi che spettano al Comune
e  alla Provincia"), sarebbe di dubbia legittimita' costituzionale in
riferimento  all'art. 51,  primo comma, della Costituzione, in quanto
pregiudicherebbe  il  diritto  di accedere all'ufficio di Sindaco per
effetto  della  mera  proposizione  di  una azione giudiziaria "sulla
quale   non   e'   compiuta  alcuna  delibazione  ne'  dall'autorita'
giurisdizionale, ne' da autorita' amministrative"; all'art. 97, primo
comma,  della  Costituzione,  poiche'  lederebbe  il  buon  andamento
dell'azione  amministrativa  del  comune,  consentendo in sostanza di
provocare  "una decadenza ad nutum del Sindaco"; all'art. 24, primo e
secondo comma, della Costituzione, poiche' nella sede del contenzioso
elettorale  il  Sindaco  non potrebbe difendersi, dovendo l'autorita'
giudiziaria  limitarsi  a  prendere atto della sussistenza della lite
pendente;
        che  si  sono  costituiti  gli attori popolari nel processo a
quo,  sostenendo anzitutto che la questione sarebbe inammissibile per
irrilevanza, perche' il giudice remittente avrebbe omesso di motivare
in  ordine ad altra causa di incompatibilita' del Sindaco, pure fatta
valere   dagli   attori   popolari   medesimi;   e  sarebbe  altresi'
inammissibile   perche'   il   giudice  remittente  contesterebbe  la
irragionevolezza  di  una  tesi  interpretativa  e  non di una norma,
prospetterebbe   dubbi   interpretativi,   chiedendo  alla  Corte  di
scegliere  fra  due  indirizzi  interpretativi,  non  preciserebbe il
"petitum  perseguito", e solleverebbe la questione in modo generico e
contraddittorio;
        che  comunque,  secondo i detti attori popolari, la questione
sarebbe infondata;
        che  si  e' costituito il Comune di Rimini, il quale conclude
chiedendo, in via principale, che la Corte sollevi davanti a se', per
poi  accoglierla,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dello
stesso  art. 63,  comma  1,  numero  4,  del  testo unico delle leggi
sull'ordinamento  degli enti locali, nella parte in cui non estende a
qualsiasi  lite  il  trattamento previsto per le liti tributarie - la
pendenza   delle   quali  "non  determina  incompatibilita'",  -  per
contrasto  con  l'art. 3  della  Costituzione,  sotto i profili della
irragionevolezza   e   della   disparita'   di  trattamento  rispetto
all'ipotesi  della  lite  tributaria,  nonche'  per contrasto con gli
artt. 24  e  113  della  Costituzione;  in  subordine,  che  la Corte
dichiari   la  questione  non  fondata,  in  quanto  il  giudice  del
contenzioso  elettorale  ha  gia' i poteri che gli consentono l'esame
della  fondatezza  della  lite e della sua non pretestuosita' al fine
della  pronuncia  sulla  sussistenza  della incompatibilita' per lite
pendente;   in   ulteriore   subordine,   che   la   Corte   dichiari
l'illegittimita'  costituzionale  della norma denunciata, nella parte
in  cui  non  consente  al giudice del contenzioso elettorale l'esame
della  fondatezza  della  lite e della sua non pretestuosita' ai fini
dell'accertamento della incompatibilita';
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  infondata,  in quanto
l'interpretazione  della  norma  conforme a Costituzione, vale a dire
nel  senso  che  al  giudice  elettorale  e'  consentito un sindacato
delibatorio sulla pretestuosita' o artificiosita' della lite, conduce
a ritenere non violati i parametri evocati;
        che,  all'udienza  del  23 aprile  2002,  le parti costituite
hanno  preso  atto dell'approvazione da parte del Parlamento, in sede
di  conversione  in  legge  del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 13
(Disposizioni  urgenti  per  assicurare  la  funzionalita' degli enti
locali),  di  una  modifica  della  disposizione  denunciata, in quel
momento  peraltro  non ancora entrata in vigore, concludendo anche in
relazione ad essa;
        che la questione e' stata, quindi, rinviata a nuovo ruolo;
        che,  a seguito della successiva pubblicazione e dell'entrata
in  vigore  della  legge  24 aprile  2002, n. 75, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge n. 13 del 2002, il cui art. 3-ter ha
modificato  l'impugnata disposizione dell'art. 63, comma 1, numero 4,
del  testo  unico  sull'ordinamento  degli  enti locali, la causa era
nuovamente fissata nella camera di consiglio del 3 luglio 2002;
        che,   con   atto  depositato  il  4 maggio  2002,  le  parti
ricorrenti,  attori  popolari  nel  giudizio  a  quo, avevano intanto
chiesto  che la Corte, previa fissazione di nuova udienza, sollevasse
davanti  a  se'  questione  di  legittimita' costituzionale del nuovo
testo  dell'art. 63,  comma  1, numero 4, del testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, nelle parti modificate e aggiunte
dalla legge n. 75 del 2002, per contrasto con gli articoli 3, 24, 25,
secondo comma, 97, 101, secondo comma, e 113 della Costituzione;
        che  ha  depositato  altresi'  memoria  il  Comune di Rimini,
contestando  l'ammissibilita'  e  la  fondatezza  della  eccezione di
legittimita' costituzionale delle norme sopravvenute.
    Considerato  che, successivamente all'udienza del 23 aprile 2002,
e prima della nuova camera di consiglio fissata per il 3 luglio 2002,
e'  entrata  in vigore la legge 24 aprile 2002, n. 75, di conversione
del  decreto-legge  22 febbraio 2002, n. 13 (Disposizioni urgenti per
assicurare   la   funzionalita'  degli  enti  locali),  la  quale  ha
introdotto   nel   decreto-legge   convertito   un   articolo  3-ter,
modificativo  dell'art. 63,  comma 1, numero 4, del testo unico delle
leggi   sull'ordinamento   degli  enti  locali,  vale  a  dire  della
disposizione   oggetto   della  presente  questione  di  legittimita'
costituzionale;
        che,  a  seguito  delle  modifiche cosi' introdotte, il nuovo
testo  del citato art. 63, comma 1, numero 4, prevede fra l'altro che
"la  pendenza  di  una  lite in materia tributaria ovvero di una lite
promossa  ai  sensi  dell'art. 9 del presente decreto [vale a dire di
una  lite  promossa in via di azione popolare per far valere azioni o
ricorsi  spettanti  al  comune,  come  nel caso di cui si discute nel
giudizio  a  quo]  non determina incompatibilita'" (secondo periodo);
che  "la  lite  promossa  a  seguito  di  o conseguente a sentenza di
condanna  determina incompatibilita' soltanto in caso di affermazione
di  responsabilita'  con  sentenza  passata  in  giudicato"  (settimo
periodo);  e  che  "la  presente  disposizione  si  applica  anche ai
procedimenti in corso" (ultimo periodo: disposizione che, pur essendo
inserita  nel  testo  dell'art. 63  del  testo  unico,  si riferisce,
evidentemente,  ai  procedimenti  in  corso  alla  data di entrata in
vigore della predetta modifica);
        che  si rende pertanto necessaria una nuova valutazione della
rilevanza  della questione ad opera del remittente, in relazione alla
sopravvenuta modifica della norma oggetto della questione medesima;
        che  anche  i dubbi di costituzionalita', che una delle parti
solleva riguardo alle norme sopravvenute, rientrano nell'ambito delle
valutazioni  che  devono essere rimesse al medesimo giudice a quo, al
quale  spetta  vagliarne  la eventuale rilevanza ai fini del giudizio
davanti ad esso pendente, nonche' la non manifesta infondatezza;
        che  non  puo'  essere, invece, questa Corte a sostituirsi al
remittente  in  tali valutazioni, come chiede la parte ricorrente nel
giudizio  a  quo,  poiche'  anche  l'eventuale  rilevanza della nuova
questione  ai  fini  del  giudizio  gia'  rimesso  a  questa Corte in
relazione  al  precedente  testo dell'art. 63, comma 1, numero 4, del
testo  unico  presuppone il previo esame, spettante al giudice a quo,
della permanente rilevanza della questione originariamente sollevata.