ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1,
4,  comma  2,  5,  commi  1  e 2, della legge della Regione Lombardia
23 novembre  2001,  n. 19 (Norme in materia di attivita' a rischio di
incidenti   rilevanti),  promosso  con  ricorso  del  Presidente  del
Consiglio  dei ministri, notificato il 23 gennaio 2002, depositato in
Cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi
2002.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  21 maggio  2002  il  Giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Uditi  l'avvocato  dello  Stato Glauco Nori per il Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e  gli  avvocati Giuseppe Ferrari e Massimo
Luciani per la Regione Lombardia.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri solleva, con
ricorso  notificato  il  23 gennaio  2002,  depositato  il successivo
31 gennaio,   questione   di   legittimita'   costituzionale  in  via
principale  degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della
legge  della  Regione  Lombardia  23 novembre  2001,  n. 19 (Norme in
materia  di  attivita' a rischio di incidenti rilevanti) - pubblicata
sul  Bollettino  ufficiale  della  Regione  Lombardia del 27 novembre
2001,  supplemento  ordinario  n. 48  -  in riferimento all'art. 117,
secondo  comma,  lettere  h)  ed  s) della Costituzione, nonche' agli
artt. 8,  9,  15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo 17 agosto 1999,
n. 334  (Attuazione  della direttiva 96/1982/CE relativa al controllo
dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze
pericolose),  ed  all'art. 72  del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle  regioni  ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L.
15 marzo 1997, n. 59).
    2.  -  Il ricorrente premette che la disciplina delle attivita' a
rischio  di  incidenti  rilevanti  sarebbe  riservata  alla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere
h)  ed  s) nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n. 3,  in  quanto  riconducibile  alle  materie  "sicurezza" e
"tutela dell'ambiente".
    L'art. 18   del   d.lgs.   17 agosto   1999,   n. 334,  ai  sensi
dell'art. 72  del  d.lgs.  31 marzo  1998, n. 112, ha attribuito alle
regioni  il  potere  di  regolamentare il procedimento di istruttoria
tecnica,  le  autorita'  titolari  delle  competenze  conseguenti, il
raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale, le
modalita'  di  coordinamento  dei soggetti che svolgono l'istruttoria
tecnica,   le   procedure   per   gli   interventi   di  salvaguardia
dell'ambiente  e  del  territorio.  Le  regioni  potrebbero,  quindi,
disciplinare  esclusivamente gli interventi strumentali, nel rispetto
della  disciplina  stabilita  dalla legge statale, che sarebbe invece
violata dalle disposizioni impugnate.
    2.1. - Il  ricorrente  deduce  che  l'art. 9, comma 1, del d.lgs.
n. 334  del  1999  stabilisce  che,  "affinche'  sorga  l'obbligo del
rapporto  preliminare  di sicurezza", le sostanze pericolose presenti
in  determinati  stabilimenti  "debbono  essere in quantita' uguali o
superiori  a  quelle indicate nell'allegato I, parti 1 e 2, colonna 3
(v. richiamo all'art. 8. 1)".
    L'art. 3,  comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 19 del
2001  dispone,  invece,  che  il  rapporto  preliminare  debba essere
presentato  dal  gestore  di nuovi stabilimenti, qualora negli stessi
siano  presenti sostanze pericolose in quantita' uguale o superiore a
quella  indicata  nell'allegato  I,  parte  1,  colonna  2 e parte 2,
colonna  2  del  d.lgs.  n. 334  del  1999. Dunque, secondo la difesa
erariale,  "le  quantita'  indicate  nella  norma  statale  sono piu'
elevate  di quelle richieste dalla norma regionale che in questo modo
ha  ampliato la sfera normativa della legge statale", non limitandosi
a disciplinare le materie indicate nell'art. 18 del d.lgs. n. 334 del
1999,   ne'   ad  esercitare  le  funzioni  amministrative  conferite
dall'art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998.
    2.2. - L'art. 28 del d.lgs. n. 334 del 1999 ha disposto che, sino
alla  emanazione  del  decreto di cui all'art. 10, sono applicabili i
criteri  fissati nel decreto del Ministro dell'ambiente del 13 maggio
1996.
    L'art. 4,  comma  2,  della  legge  regionale  in  esame,  in via
transitoria  e fino al termine fissato dalla legge statale, ad avviso
dell'Avvocatura,  avrebbe  invece illegittimamente stabilito che sono
obbligatori  gli  elementi  previsti  dal suo allegato 2, i quali non
coincidono con quelli richiesti dalle norme dello Stato.
    2.3. - L'art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 334 del 1999 dispone che
per  le modifiche di impianti e di depositi, di processi industriali,
della  natura  o  dei quantitativi di sostanze pericolose individuate
con  il  decreto  di  cui  all'articolo  10,  ossia  per  quelle  che
potrebbero  costituire  aggravio del preesistente livello di rischio,
deve  essere avviata l'istruttoria per la valutazione del rapporto di
sicurezza.
    L'art. 5,  commi  1  e  2,  della  legge  regionale impugnata, in
contrasto  con la norma statale, dispone invece che, anche qualora le
modifiche  "non comportano aggravio di rischio", debba essere redatta
una  scheda  valutativa  tecnica,  la  quale,  ovviamente, presuppone
un'attivita' preparatoria.
    Secondo  l'Avvocatura, le norme impugnate realizzerebbero effetti
innovativi  e  sarebbero  costituzionalmente illegittime, dato che il
livello  di sicurezza, salvo che non sussistano situazioni ambientali
differenti - cio' che non accade nel caso in esame -, dovrebbe essere
identico   sull'intero   territorio   nazionale.   La  fissazione  di
adempimenti differenziati realizzerebbe "alterazioni sotto il profilo
della  concorrenza  in  danno  di  quelle  imprese  che si trovano ad
operare  in  regioni  la  cui  disciplina  piu'  gravosa costringe ad
affrontare costi maggiori".
    Infine,  conclude  il  ricorrente,  la  circostanza che l'art. 10
della legge regionale rinvia la sua entrata in vigore alla data della
stipulazione  dell'accordo  di programma Stato-Regione ex art. 72 del
d.lgs.    n. 112    del    1998,   non   inciderebbe   sull'interesse
all'impugnazione  poiche', una volta concluso detto accordo, le norme
censurate diverrebbero immediatamente efficaci.
    2.4. - La   difesa   erariale,   nella   memoria   depositata  in
prossimita'  dell'udienza pubblica, ha insistito per la dichiarazione
di  illegittimita' costituzionale delle norme impugnate, ribadendo le
argomentazioni svolte nel ricorso.
    3. - Nel   giudizio   si  e'  costituita  la  Regione  Lombardia,
chiedendo   che   la   Corte   dichiari   il  ricorso  manifestamente
inammissibile e, in linea gradata, manifestamente infondato.
    Nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica, la
resistente deduce che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di
interesse all'impugnazione, poiche' l'efficacia delle norme censurate
e'  condizionata  alla  stipulazione  di  un accordo di programma tra
Regione e Stato, il quale, rifiutando il proprio assenso alla stipula
di  siffatto  accordo,  puo'  impedire che la legge impugnata produca
effetti.
    Nel  merito,  la  Regione  Lombardia  sostiene  che,  sebbene  il
controllo  sugli  impianti  e  sulle industrie a rischio di incidenti
rilevanti riguardi sia la materia "sicurezza", sia la materia "tutela
dell'ambiente",  gli  artt. 72  del  d.lgs.  n. 112 del 1998 e 18 del
d.lgs.   n. 334   del   1999  dimostrerebbero  che  questo  controllo
interferisce  con  le materie "governo del territorio", "tutela della
salute" e "protezione civile", attribuite alla competenza legislativa
di  tipo  concorrente  della Regione. Inoltre, il d.m. 9 maggio 2001,
disponendo che "le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in
materia  di  pianificazione  urbanistica,  territoriale  e  di tutela
ambientale  con  quelle  derivanti  dal decreto legislativo 17 agosto
1999, n. 334 e dal presente decreto", nonche' "il coordinamento tra i
criteri  e le modalita' stabiliti per l'acquisizione e la valutazione
delle  informazioni  di  cui  agli  articoli  6,  7  e  8 del decreto
legislativo   17 agosto   1999,   n. 334   e   quelli  relativi  alla
pianificazione  territoriale  e  urbanistica"  (art. 2, commi 1 e 3),
conforterebbero  che  la  prevenzione  ed  il controllo sui rischi di
incidenti  rilevanti e' riconducibile anche a materie attribuite alla
competenza legislativa regionale di tipo concorrente.
    Dunque,  secondo  la  resistente,  nell'esercizio  della  propria
competenza  in  materia  di  governo del territorio e di tutela della
salute  dei cittadini, nel rispetto dei principi fondamentali fissati
dalla  legge  statale,  essa  legittimamente  avrebbe  stabilito  una
disciplina   piu'  rigorosa,  estendendo  l'obbligo  di  redigere  il
rapporto  di sicurezza e la scheda di valutazione dei rischi (artt. 3
e 5 della legge regionale n. 19 del 2001). Inoltre, a suo avviso, per
numerose  materie  elencate  nell'art. 117 della Costituzione sarebbe
difficile  stabilire  i confini tra competenza statale e regionale e,
proprio per questo, occorrerebbe applicare il criterio teleologico e,
comunque, riconoscere, come nel caso della protezione ambientale, che
la  Regione  e'  titolare di competenza legislativa in riferimento ai
profili  che  interessano anche materie di sua competenza, potendo in
ogni  caso  emanare quelle norme che garantiscono una maggiore tutela
del bene della salute.
    Infine,  conclude la resistente, le norme, sotto il profilo della
concorrenza, non pregiudicano le imprese che svolgono attivita' nella
Regione  Lombardia  e,  ragionevolmente,  allo  scopo di garantire la
tutela  del  territorio  e della salute umana, pongono rimedio ad una
"disciplina statale palesemente lacunosa".
    4. - Le   parti,   all'udienza   pubblica,  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto


    1. - Il  giudizio  in  via principale promosso dal Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  con  il ricorso in epigrafe, nei confronti
della  Regione Lombardia ha ad oggetto gli artt. 3, comma 1, 4, comma
2,  5,  commi  1  e  2, della legge regionale 23 novembre 2001, n. 19
(Norme  in materia di attivita' a rischio di incidenti rilevanti), in
riferimento  all'art. 117,  secondo  comma,  lettere  h)  ed s) della
Costituzione,  nonche'  agli  artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto
legislativo  n. 334  del  1999 ed all'art. 72 del decreto legislativo
n. 112 del 1998.
    Premesso che la disciplina delle attivita' a rischio di incidente
rilevante  e'  riservata  alla  potesta'  legislativa esclusiva dello
Stato,  a norma dell'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della
Costituzione,  il  ricorrente  sottolinea che questo tipo di riserva,
innanzi  tutto,  esclude, per definizione, che i livelli di sicurezza
per attivita' egualmente pericolose possano essere diversi da regione
a  regione  ed  in secondo luogo esclude conseguentemente che possano
essere  previsti  adempimenti diversificati per le varie imprese, con
possibile  alterazione  anche  delle  regole  della  concorrenza.  Le
disposizioni  regionali  impugnate  sarebbero pertanto, ad avviso del
ricorrente,  costituzionalmente  illegittime,  in  quanto invadono la
competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  "sicurezza"  ed
"ambiente",  avendo altresi' un contenuto che, sotto vari profili, e'
difforme e contrastante rispetto ad una serie di norme "fondamentali"
della disciplina statale.

    2. - In    linea   preliminare   va   respinta   l'eccezione   di
inammissibilita'  del  ricorso  per  carenza  di interesse, sollevata
dalla  difesa  della  Regione  Lombardia,  in  base all'argomento che
l'art. 10  della  legge  impugnata  subordina l'efficacia della legge
stessa  alla  "stipulazione  dell'accordo  di  programma  tra Stato e
regione,  di  cui  all'art. 72  del  d.lgs.  n. 112/1998". Va infatti
osservato   che  l'impugnativa  da  parte  dello  Stato  delle  leggi
regionali  e'  sottoposta, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione,
ad  un  termine  tassativo  riferito  alla  pubblicazione e non anche
all'efficacia  della  legge stessa e, d'altra parte, la pubblicazione
di   una   legge   regionale,  in  asserita  violazione  del  riparto
costituzionale  di  competenze,  e'  di  per  se' stessa lesiva della
competenza  statale, indipendentemente dalla produzione degli effetti
concreti  e  dalla  realizzazione  delle  conseguenze  pratiche (cfr.
sentenza n. 332 del 1998).

    3. - Nel merito, il ricorso e' infondato.
    La  disciplina  specifica  delle attivita' a rischio di incidenti
rilevanti  si  e'  sviluppata  soprattutto  in  ambito comunitario, a
decorrere  dalla  direttiva  82/501  CEE  del  24 giugno  1982 - c.d.
"direttiva  Seveso  -  la  quale introdusse prescrizioni dirette alla
prevenzione  dei  rischi  industriali,  coinvolgendo  specialmente il
responsabile  dell'attivita'  a  rischio.  Il decreto di attuazione -
d.P.R.  17 maggio  1988,  n. 175  -  stabili'  infatti  una  serie di
obblighi  a  carico dei fabbricanti, prevedendo altresi' un complesso
procedimento  di  controllo,  con  l'intervento  di una pluralita' di
soggetti  pubblici, nel cui ambito le regioni, in particolare, furono
chiamate  a  svolgere  compiti  di  vigilanza sugli impianti a minore
pericolosita',   soggetti  alla  c.d.  "dichiarazione",  nonche'  sul
rispetto delle misure di sicurezza.
    Il  predetto atto comunitario e' stato modificato dalla direttiva
96/1982  CE  del  9 dicembre  1996,  che ha accentuato il profilo del
controllo tecnico-ispettivo, anche prevedendo forme di pianificazione
urbanistica  ed  ambientale del territorio esterno agli stabilimenti.
In  attesa  dell'attuazione di questa direttiva, l'art. 72 del d.lgs.
31 marzo   1998,   n. 112,   ha   innovato  il  quadro  organizzativo
precedente,  conferendo alle regioni, sia pure previa adozione di una
specifica  normativa,  anche le competenze amministrative concernenti
gli impianti a maggiore pericolosita', soggetti alla c.d. "notifica",
e  mantenendo  allo  Stato  essenzialmente  compiti  di  indirizzo  e
coordinamento.
    Successivamente  il  decreto  di  recepimento  - d.lgs. 17 agosto
1999,  n. 334  -  ha  ulteriormente ampliato le precedenti competenze
delle  regioni attribuendo ad esse anche la disciplina dell'attivita'
procedimentale     connessa    all'istruttoria    tecnica,    nonche'
l'individuazione  delle  procedure  piu'  idonee per l'adozione degli
interventi   di   salvaguardia  dell'ambiente  e  del  territorio  di
insediamento degli stabilimenti.
    3.1. - Lo   scrutinio  di  costituzionalita'  delle  disposizioni
regionali  censurate  va  pertanto  condotto sulla base del quadro di
riparto delle competenze tra Stato e regioni, sul quale ora incide la
legge  costituzionale  18 ottobre  2001, n. 3, che reca "Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione".
    A  questo  scopo,  il  primo problema da risolvere, ai fini della
determinazione   della   competenza   ai  sensi  dell'art. 117  della
Costituzione,  riguarda  l'individuazione  della "materia" alla quale
ricondurre  la  legge  regionale  in  esame;  materia che, secondo il
ricorrente,  e'  da  identificare  nei disposti delle lettere h) e s)
dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione.
    In  proposito,  appare  improprio, nella fattispecie in esame, il
riferimento  alla  materia  "sicurezza",  di  cui alla lettera h) del
citato  art. 117.  Non  sembra  infatti  necessario  a  questo  scopo
accertare, in una prospettiva generale, se nella legislazione e nella
giurisprudenza  costituzionale  la  nozione  di  "sicurezza pubblica"
assuma  un  significato  restrittivo,  in quanto usata in endiadi con
quella  di  "ordine pubblico", o invece assuma una portata estensiva,
in  quanto  distinta  dall'ordine pubblico, o collegata con la tutela
della  salute,  dell'ambiente, del lavoro e cosi' via. E' sufficiente
infatti  constatare  che  il  contesto specifico della lettera h) del
secondo  comma dell'art. 117 - che riproduce pressoche' integralmente
l'art. 1,  comma 3 lettera l) della legge n. 59 del 1997 - induce, in
ragione   della   connessione   testuale   con  "ordine  pubblico"  e
dell'esclusione  esplicita  della  "polizia  amministrativa  locale",
nonche'   in   base  ai  lavori  preparatori,  ad  un'interpretazione
restrittiva  della  nozione  di "sicurezza pubblica". Questa infatti,
secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e' da configurare,
in  contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e
locale,  come  settore  riservato  allo  Stato  relativo  alle misure
inerenti  alla  prevenzione  dei  reati o al mantenimento dell'ordine
pubblico (sentenza n. 290 del 2001).
    Alla  luce  di queste considerazioni, le disposizioni legislative
in  questione  non  possono rientrare nell'ambito materiale riservato
alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera h) dell'art. 117,
secondo comma, della Costituzione.
    33.2. - La   disciplina  in  esame  e'  invece  riconducibile  al
disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione,
relativo alla tutela dell'ambiente.
    A  questo  riguardo  va  pero' precisato che non tutti gli ambiti
materiali  specificati  nel  secondo  comma dell'art. 117 possono, in
quanto  tali,  configurarsi come "materie" in senso stretto, poiche',
in  alcuni  casi,  si  tratta  piu'  esattamente  di  competenze  del
legislatore  statale  idonee  ad  investire una pluralita' di materie
(cfr.  sentenza  n. 282  del  2002).  In  questo  senso  l'evoluzione
legislativa  e  la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere
che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile
come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile
come   sfera  di  competenza  statale  rigorosamente  circoscritta  e
delimitata,  giacche',  al  contrario,  essa  investe  e si intreccia
inestricabilmente  con  altri interessi e competenze. In particolare,
dalla  giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione
del   Titolo   V   della   Costituzione   e'   agevole  ricavare  una
configurazione   dell'ambiente   come   "valore"   costituzionalmente
protetto,   che,  in  quanto  tale,  delinea  una  sorta  di  materia
"trasversale",   in  ordine  alla  quale  si  manifestano  competenze
diverse,  che  ben  possono essere regionali, spettando allo Stato le
determinazioni  che  rispondono  ad esigenze meritevoli di disciplina
uniforme  sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze
n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).
    I  lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117
della   Costituzione  inducono,  d'altra  parte,  a  considerare  che
l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo
Stato  il  potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero
territorio  nazionale,  senza peraltro escludere in questo settore la
competenza  regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati
con  quelli  propriamente  ambientali.  In definitiva, si puo' quindi
ritenere  che  riguardo  alla  protezione  dell'ambiente  non  si sia
sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralita' di titoli
di  legittimazione  per  interventi  regionali  diretti  a soddisfare
contestualmente,  nell'ambito  delle  proprie  competenze,  ulteriori
esigenze  rispetto  a  quelle  di  carattere  unitario definite dallo
Stato.
    Anche  nella  fattispecie in esame, del resto, emerge dalle norme
comunitarie e statali, che disciplinano il settore, una pluralita' di
interessi costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con
quelli  inerenti  in via primaria alla tutela dell'ambiente. A questo
proposito  occorre,  innanzi  tutto, ricordare che nei "considerando"
della  citata  direttiva  96/1982/CE  si afferma, tra l'altro, che la
prevenzione di incidenti rilevanti e' necessaria per limitare le loro
"conseguenze  per  l'uomo  e per l'ambiente", al fine di "tutelare la
salute  umana",  anche attraverso l'adozione di particolari politiche
in   tema   di   destinazione   e   utilizzazione   dei  suoli.  Piu'
specificamente,  il  citato decreto legislativo di recepimento n. 334
del  1999,  dopo  avere,  all'art. 1,  premesso che il decreto stesso
contiene  disposizioni  finalizzate  a  prevenire incidenti rilevanti
connessi   a  determinate  sostanze  pericolose  e  a  "limitarne  le
conseguenze  per  l'uomo  e  per  l'ambiente",  all'art. 3,  comma 1,
lettera f) definisce "incidente rilevante" l'evento che "dia luogo ad
un  pericolo  grave, immediato o differito, per la salute umana o per
l'ambiente".  E  gli stessi concetti vengono sostanzialmente ribaditi
anche  negli  artt. 7,  comma 1, e 8, commi 2 e 10, cosicche' si puo'
fondatamente  ritenere,  in  riferimento  alle  norme  citate, che il
decreto  in esame attenga, oltre che all'ambiente, anche alla materia
"tutela  della  salute",  la  quale,  ai  sensi  dell'art. 117  della
Costituzione, rientra nella competenza concorrente delle regioni.
    Cosi' pure rientra nella competenza concorrente regionale la cura
degli  interessi  relativi alla materia "governo del territorio", cui
fanno riferimento, in particolare, gli artt. 6, commi 1 e 2, 8, comma
3,  12  e  14  dello  stesso  decreto,  i  quali  prescrivono  i vari
adempimenti  connessi  all'edificazione  e  alla localizzazione degli
stabilimenti,     nonche'     diverse     forme     di     "controllo
sull'urbanizzazione". Anche le competenze relative alla materia della
"protezione  civile"  possono  essere individuate in alcune norme del
citato  decreto,  come,  ad esempio, l'art. 11, l'art. 12, l'art. 13,
comma 1 lettera c), comma 2 lettere c) e d) l'art. 20 e l'art. 24, le
quali  prevedono  essenzialmente  la  disciplina  dei  vari  piani di
emergenza  nei  casi  di  pericolo  "all'interno  o all'esterno dello
stabilimento".  Infine,  alcune norme, come, in particolare, i citati
artt. 5,  commi 1 e 2, ed 11 dello stesso decreto, sono riconducibili
anche  alla  materia  "tutela  e  sicurezza  del  lavoro", egualmente
compresa nella legislazione concorrente.
    In   definitiva  quindi  il  predetto  decreto  n. 334  del  1999
riconosce che le regioni sono titolari, in questo campo disciplinare,
di  una  serie  di  competenze  concorrenti,  che  riguardano profili
indissolubilmente    connessi    ed   intrecciati   con   la   tutela
dell'ambiente.

    4. - Cosi'  definito  il  quadro degli interessi sottostanti alla
vigente disciplina sulle attivita' a rischio rilevante, ne deriva che
essa  ha un'incidenza su una pluralita' di interessi e di oggetti, in
parte  di  competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche - come
si  e'  visto  -  di  competenza  concorrente  delle regioni, i quali
appunto  legittimano  una  serie di interventi regionali nell'ambito,
ovviamente,  dei  principi fondamentali della legislazione statale in
materia, la cui violazione peraltro prospetta il ricorrente, anche se
in via subordinata.
    Alla  luce  di  queste  considerazioni e' da respingere il motivo
principale di ricorso, secondo cui, nel caso di specie, la materia de
qua  dovrebbe  ritenersi di competenza legislativa statale esclusiva,
afferendo  essa  sia  alla  tutela  dell'ambiente  che alla sicurezza
pubblica.  Ma  e'  altrettanto da respingere il motivo prospettato in
via  subordinata,  secondo  cui  "ove volesse considerarsi tale legge
regionale   alla   stregua   di   atto  regolamentare  di  competenza
regionale",  alcune  norme  di  essa  sarebbero  illegittime sotto il
profilo  del  mancato  rispetto dei limiti fissati dal citato decreto
legislativo n. 334 del 1999.
    In   proposito   e'   da   osservare,   indipendentemente   dalla
inammissibile  "degradazione"  della  legge  regionale  a regolamento
regionale,  che  i ricordati artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18
del  d.lgs.  n. 334 del 1999 stabiliscono che le regioni provvedono a
disciplinare   la  materia  con  specifiche  normative  ai  fini,  in
particolare,  di  "garantire  la  sicurezza  del  territorio  e della
popolazione".  In questa ottica vanno appunto respinte le prospettate
censure  incentrate sull'asserito superamento dei limiti prestabiliti
dal  citato  decreto  legislativo n. 334 del 1999, dal momento che la
Regione  Lombardia  puo'  ragionevolmente adottare, nell'ambito delle
proprie  competenze  concorrenti, una disciplina che sia maggiormente
rigorosa,  per  le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto
ai  limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta
ad  assicurare un piu' elevato livello di garanzie per la popolazione
ed il territorio interessati.
    In  questo  senso,  d'altronde, si e' gia' espressa questa Corte,
quando  in  una  vicenda  analoga,  a proposito dei limiti massimi di
esposizione   ai   campi  elettrico  e  magnetico,  ha  ritenuto  non
incostituzionale  una  disciplina regionale "specie a considerare che
essa  se,  da  un canto, implica limiti piu' severi di quelli fissati
dallo Stato, non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di
protezione  della salute da quest'ultimo perseguiti" (sentenza n. 382
del 1999).