Ricorso  della  Regione  autonoma  della Sardegna, in persona del
presidente  della  giunta  regionale  pro  tempore  on.  Mauro  Pili,
rappresentata  e  difesa, in virtu' di procura a margine del presente
atto,  dal  prof.  avv.  Roberto  Nania,  presso  il  cui  studio  e'
elettivamente domiciliato in Roma, via Carlo Poma n. 2;
    Contro  il Presidente del Consiglio dei ministri, a seguito e per
l'effetto  della  sentenza  n. 165/2002 con cui la Corte d'appello di
Cagliari    ha    esercitato   la   giurisdizione   in   materia   di
incompatibilita'  e  decadenza  di  un membro del consiglio regionale
sardo.

                              F a t t o

    Con delibera in data 31 maggio 2001, il consiglio regionale della
Sardegna, su proposta della Giunta per le elezioni - in ragione della
sopravvenuta  incompatibilita'  di  un  proprio  componente risultato
eletto  alla  Camera  dei  deputati  e della partecipazione di questi
nella  detta  qualita'  alle  attivita'  deliberative della Camera di
appartenenza - ne stabiliva la decadenza da consigliere regionale.
    Tale  delibera  consiliare,  impugnata  dal consigliere decaduto,
veniva  annullata  dal  Tribunale  civile  di  Cagliari  che,  con la
sentenza  n. 2598/2001,  ripristinava  il  ricorrente nella carica di
consigliere.
    Avverso  la  decisione  del  Tribunale, la Regione autonoma della
Sardegna  sollevava  conflitto  innanzi  a codesta Corte deducendo la
illegittima    invasione,    interferenza   e/o   menomazione   delle
attribuzioni  costituzionalmente riservate al Consiglio regionale (il
relativo ricorso veniva iscritto nel registro conflitti con il numero
4/2002).
    Nelle  more,  interveniva  la  sentenza  n. 257/2002 con la quale
sempre  il  medesimo Tribunale di Cagliari - a seguito, questa volta,
di  azione popolare esercitata da un elettore del Consiglio regionale
-  affermando la propria giurisdizione, dichiarava decaduto lo stesso
Consigliere precedentemente reintegrato.
    Anche  tale ulteriore sentenza, assumendo portata lesiva rispetto
alle  attribuzioni  costituzionali del Consiglio regionale cosi' come
dedotto  nel precedente conflitto, veniva impugnata innanzi a codesta
Corte (il relativo ricorso veniva iscritto nel registro conflitti con
il numero 13/2002).
    Successivamente,  interveniva la sentenza n. 165/2002 della Corte
d'Appello  di  Cagliari,  impugnata  con  il presente ricorso, con la
quale l'anzidetta Corte d'Appello annullava la sentenza n. 2598/2001,
affermando implicitamente, ancora una volta, la propria giurisdizione
in  merito  alla  materia  delle  incompatibilita'  e  delle relative
decadenze  dei  consiglieri  regionali sardi; dichiarando peraltro la
carenza  di  legittimazione  del  Consiglio regionale, per difetto di
interesse,  a  partecipare  al  giudizio  e  ad impugnare le sentenze
pronunziate nell'ambito dello stesso.
    Anche  rispetto a tale sentenza di secondo grado - trattandosi di
decisione egualmente lesiva rispetto alle attribuzioni costituzionali
del  Consiglio  regionale  -  devono  essere  riproposte  le medesime
censure avanzate con i precedenti conflitti.

                            D i r i t t o

    1.  -  In  primo  luogo, si eccepisce la insussistenza del potere
giurisdizionale (quale che ne possa essere l'organo giudicante che se
ne  arroghi  l'esercizio)  di  conoscere ricorsi aventi ad oggetto la
materia   delle  incompatibilita'  e  delle  relative  decadenze  dei
consiglieri  regionali  sardi,  e segnatamente quelli che, come nella
specie,  si  attengano alla specifica fattispecie di incompatibilita'
concernente  la  contemporanea  posizione  di  parlamentare  ai sensi
dell'art. 17,  comma  2,  dello  Statuto  della  Regione  Sardegna  e
dell'art. 122, comma 2, della Costituzione.
    Che  si  tratti  di  materia sottratta alla cognizione del potere
giurisdizionale  dello  Stato, siccome attribuita in via esclusiva al
Consiglio  nel  quadro  dell'ordinamento costituzionale della Regione
Sardegna,   e'   comprovato  -  ad  avviso  della  ricorrente  -  sia
dall'assenza  in  tale  ordinamento  di una qualunque disposizione di
legge  che  riconosca,  appunto,  agli  organi della giurisdizione la
cognizione  di  gravami  in  tale materia, sia dalla pluralita' delle
disposizioni  regionali  che  al  riguardo  deferiscono  ogni  potere
cognitivo al Consiglio regionale sardo.
    Sotto  il  primo  profilo,  e'  da  rammentare  che codesta Corte
costituzionale,  con  la  sentenza  n. 85/1988, ha escluso in termini
univoci   che   la   normativa   in   tema   di   ineleggibilita'  ed
incompatibilita'   di  cui  alla  legge  n. 154/1981,  riguardante  i
consiglieri   delle   Regioni   ad  autonomia  ordinaria,  fosse  mai
applicabile  all'ordinamento  sardo (essendo all'uopo indispensabile,
in  forza  dello  Statuto, l'intervento di apposita legge statale, ed
oggi  regionale  a  seguito della legge costituzionale n. 2/2001). Ne
deriva  la  conferma  di  quanto  sopra dedotto, posto che egualmente
inapplicabile  all'ordinamento  sardo  deve ritenersi l'art. 7, della
menzionata  legge n. 154 (la' dove fosse ancora in vigore, nonostante
la intervenuta abrogazione di tale legge da parte dell'art. 274 della
legge  n. 267/2000),  con il quale e' disciplinato il procedimento in
sede  giurisdizionale  per  l'impugnativa  delle  deliberazioni degli
organi consiliari in punto di ineleggibilita' e di incompatibilita'.
    A  fronte  di  cio'  -  passando  ora  al  secondo degli elementi
probatori  preannunciati  - l'art. 82 della legge regionale n. 7/1979
statuisce  puntualmente  che  "al Consiglio regionale e' riservata la
convalida  della  elezione  dei  propri  componenti.  Esso  pronuncia
giudizio  definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale,
su  tutti  i  reclami";  per  di  piu', l'art. 17 del regolamento del
Consiglio  regionale  sardo  sancisce che "alla Giunta delle elezioni
competono  la  verifica  dei  titoli  di ammissione dei consiglieri e
l'esame   delle  cause  di  ineleggibilita'  e  di  incompatibilita',
comprese quelle sopraggiunte nel corso della legislatura".
    Attesa  la  stretta  correlazione sussistente tra le disposizioni
appena  menzionate  e  gli  articoli  116,  Cost., 17, comma 2, e 19,
Statuto,  nonche' attesa la prassi consuetudinaria del tutto uniforme
nel  senso  della intangibilita' delle decisioni consiliari in ordine
alla   incompatibilita'   tra  la  posizione  di  parlamentare  e  di
consigliere,  ne  viene  comprovato  che nell'ambito dell'ordinamento
sardo  si  e'  affermata,  ed  e'  operativa,  una  garanzia di grado
autenticamente costituzionale deducibile dalle citate disposizioni, a
mente  della  quale  garanzia il carattere definitivo delle decisioni
consiliari  preclude  ogni  ulteriore  intervento  giurisdizionale in
merito. Peraltro, gia' da tempo era stato messo efficacemente in luce
in  sede  dottrinale  tale dato di caratterizzazione dell'ordinamento
sardo, un dato che rimane tuttora salvo ed impregiudicato, almeno con
riferimento  alle  decisioni  assembleari in tema di incompatibilita'
tra  l'assolvimento  del  mandato parlamentare e di quello consiliare
(cfr.  T.  Martines, Il Consiglio regionale, Milano, 1981, pagg. 24 e
26-27).
    Ne' sarebbe opponibile a quanto svolto che nel caso della Regione
Sardegna (cosi' come delle Regioni nel loro insieme, sia ad autonomia
ordinaria che ad autonomia speciale) farebbe difetto una disposizione
costituzionale   altrettanto   esplicita   quanto   quella  contenuta
nell'art. 66,    Cost.,    il    cui   tenore   rende   pacifica   ed
incontrovertibile  la  regola  fondamentale della insindacabilita' in
sede  giudiziaria delle decisioni assunte dalle Camere del Parlamento
relativamente, oltre che ai titoli di ammissione dei suoi componenti,
alle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita'.
    Ed  invero,  occorre  considerare  che  comunque  cio'  non  puo'
impedire  il  riconoscimento  in  capo  al Consiglio regionale di una
siffatta  guarentigia costituzionale, quando essa scaturisca - com'e'
nella  specie  - in modo lineare ed automatico dal sistema, in virtu'
di  una  piena  convergenza  di  fattori  normativi  e  di tradizione
applicativa   che   ne  testimoniano,  appunto,  la  esistenza  e  la
operativita'.
    D'altro  canto,  ne  rappresenta riprova il fatto che non sarebbe
neppure  sufficiente, allo scopo di affermare una pretesa sussistenza
di  potere  giurisdizionale  in  materia,  richiamarsi  al  principio
generale  della  tutela  giurisdizionale  dei  diritti.  E' risaputo,
infatti, che quando si tratti di fondare il potere giurisdizionale di
emettere sentenze costitutive, ossia sentenze che abbiano la forza di
modificare  la  preesistente  situazione  giuridica  - come fa, nella
sostanza,  la  sentenza impugnata in violazione dell'art. 101, Cost.,
in  relazione  all'art. 2908,  c.c.,  che  ridonda  in  lesione delle
attribuzioni  statutariamente riservate al Consiglio - occorre che vi
sia  una  specifica  disposizione  di legge attributiva al giudice di
tale  potere  conformativo: ma di una simile attribuzione, come si e'
detto, non vi e' traccia nell'ordinamento sardo.
    Da  quanto  svolto,  deriva inoltre la lesione delle attribuzioni
regionali,  con riferimento all'autonomia regolamentare del Consiglio
regionale della Sardegna, quale risulta codificata dall'art. 19 dello
Statuto   (nonche'   dell'art. 17   del   regolamento   consiliare  e
dell'art. 15  del  regolamento  della  Giunta  delle  elezioni),  che
individua  l'unica  modalita' ammissibile ai fini della decadenza del
consigliere incompatibile.
    Per  di  piu',  la  Corte  d'Appello  ha  ritenuto  il  Consiglio
regionale  della  Sardegna  organo  non legittimato a contraddire nel
giudizio  sia  di  primo  che  di  secondo grado. Si tratta dunque di
un'ulteriore  violazione  delle  attribuzioni consiliari - che assume
naturalmente  carattere  del  tutto  subordinato nella prospettazione
della  Regione  ricorrente  -  atteso  che  la  negazione, in capo al
Consiglio   regionale,   del   diritto   di   azione  in  materia  di
incompatibilita'  e  decadenza  dei  propri consiglieri, non puo' che
tradursi   in  conseguente  menomazione  della  relativa  prerogativa
costituzionale.
    2. - A  questa  difesa  e'  noto,  secondo  quanto e' stato sopra
ricordato,  lo  schema,  che talvolta sembra adottato nelle pronunzie
della  Corte,  del  carattere  pretesamente  chiuso  ed enumerato che
avrebbero  le  garanzie  di  cui  dispongono in via costituzionale le
assemblee regionali.
    A  riguardo  -  ferme  restando le argomentazioni di cui al punto
precedente,  relative  alla  specifica ricostruzione dell'ordinamento
costituzionale  sardo  - occorre nondimeno avanzare un duplice ordine
di considerazioni.
    La  prima  considerazione  e'  che  non sembra che tale schema, a
parte  ogni  altra  notazione  critica,  possa  comunque escludere la
operativita'  in  favore delle assemblee regionali di una guarentigia
che  -  come  quella  di  cui  si parla, prescindendo dunque da altre
ipotesi  di  autodichia,  e  segnatamente  da  quella  concernente  i
rapporti  con  i  dipendenti  -  costituisce  un  requisito minimo ed
indispensabile  ai  fini della tutela degli organi rappresentativi da
interferenze  e  condizionamenti esterni: e' indubitabile difatti che
il  sindacato  giurisdizionale in materia di incompatibilita' sarebbe
suscettibile  di  incidere  in via diretta sulla composizione e sugli
stessi interna corporis dell'organo assembleare.
    Detto  in  altre parole, nella tradizione costituzionale italiana
quello  che  si  trae  dall'art. 66  Cost.  e' un principio di natura
istituzionale  che,  indipendentemente  da apposite codificazioni, e'
destinato  ad  assistere  gli  organi che, come i Consigli regionali,
siano  qualificati dalla loro natura politico rappresentativa e dalla
titolarita'  di  funzione legislativa e di indirizzo (dovendo restare
ovviamente  ininfluente,  da  questa  angolazione,  il dato puramente
quantitativo,   ma  non  qualitativo,  della  circoscritta  efficacia
territoriale dei relativi atti).
    D'altro canto, la Corte ha gia' mostrato di voler dare l'adeguato
risalto  al  valore della tutela della autonomia e della indipendenza
degli  organi  rappresentativi  regionali,  muovendo  proprio  da  un
criterio  di  parallelismo  con  la  posizione del Parlamento e con i
principi  costituzionali, scritti o non scritti, che sono preordinati
a presidiare detta posizione (cfr., tra le altre, sentenza n. 143 del
1968  in  tema di sottrazione a riscontri esterni delle spese operate
per  il  funzionamento  del  Consiglio regionale; sentenza n. 382 del
1998,  in tema di insindacabilita' dei consiglieri regionali anche al
di  la'  degli atti tipici posti in essere; sentenza n. 392 del 1999,
in   tema   di   autonomia  contabile  del  Consiglio  rispetto  alla
giurisdizione   della   Corte   dei   conti,   secondo  il  principio
consuetudinario operante in materia per le assemblee parlamentari).
    Per  di  piu',  e'  da  rimarcare  che  nel  caso specifico della
incompatibilita'  tra  la carica di consigliere e di parlamentare, si
tratta  di  ipotesi  che  investe  ad  un  tempo sia le Camere che le
Assemblee  regionali:  sicche'  -  sempre  per  quanto  riguarda tale
fattispecie - sembra plausibile postulare che la materia richieda dal
punto  di  vista  costituzionale  un  trattamento  giuridico omogeneo
(ossia   quello   della  insindacabilita'  delle  relative  decisioni
assembleari)  e che tale omogeneita' sia voluta dal sistema, anche in
considerazione   delle   possibili  interferenze  che  nell'autonomia
decisionale  delle  stesse  Camere  potrebbero derivare dal sindacato
giurisdizionale sulle determinazioni regionali.
    A cio' si aggiunge l'incidenza che non puo' non avere sul tema in
esame  la  riforma  del Titolo V della Costituzione di cui alla legge
cost.  n. 3  del 2001 (applicabile nei sensi di cui all'art. 10 della
legge  medesima  alle  Regioni a Statuto speciale), assunta sia nella
sua  ratio complessiva, officializzata mediante le nuove formulazioni
dell'art. 114 Cost., volta a rendere incontrovertibile la consistenza
autenticamente  politica  dell'autonomia  regionale  e della funzione
legislativa  in  cui  essa  si  esprime in via prioritaria, sia negli
specifici  aspetti  in  cui  la stessa si manifesta (l'inversione del
criterio del riparto delle materie tra Stato e Regioni, la caduta del
controllo  preventivo  sulle leggi regionali, nonche' l'esclusione di
una    potenzialita'   di   condizionamento   innominato   da   parte
dell'interesse nazionale, ecc.).
    Si  e'  dunque in presenza di uno scenario costituzionale davanti
al  quale  non  suonerebbero  piu'  persuasivi  i fattori a suo tempo
addotti  allo scopo di disconoscere talune prerogative a favore delle
Assemblee regionali (cfr., l'antica sentenza n. 66/1964): cio' almeno
con  riguardo  a  quella  fatta valere nel presente ricorso che - per
quanto spiaccia ripetersi - tocca proprio l'essenza del ruolo assolto
dagli organi rappresentativi regionali, naturalmente nella differenza
dei  compiti  rispettivamente  giocati  nel complessivo sistema delle
assemblee  elettive  in  cui  si  articola  il nostro attuale assetto
istituzionale.
    Ne discende, pertanto, anche sotto tale aspetto la conferma della
attribuzione  costituzionale  in  via  esclusiva  ai  Consigli  della
guarentigia  in  tema  di  incompatibilita'  racchiusa  nell'art. 122
Cost.,  secondo  l'interpretazione  che e' resa ineludibile alla luce
del nuovo assetto costituzionale.