IL GIUDICE DI PACE

    Nel  procedimento  penale  n. 6/2002  G.i.p.  nei  confronti  di:
Silvano  Gabriele,  nato  a  Reggio  Calabria  il  16  gennaio 1987 e
residente  in  Locri,  contrada  Cancello,  Lucano  Felicia,  nata  a
Placanica  il  3  ottobre  1938  e  residente in Roccella Jonica, via
Fumata  117 avente ad oggetto: lesioni colpose ex art. 590 cod. pen.,
ha emesso la seguente ordinanza.

                       Premesso e ritenuto che

    Dagli  atti  del  procedimento  penale  n. 06/2002,  del Registro
G.i.p.  del  giudice  di  Pace  di  Locri, e n. 32/2002 del Reg. mod.
21-bis  delle notizie di reato, iscritto il 21 gennaio 2002, discende
che  il  Procuratore  della  Repubblica presso il Tribunale di Locri,
dott.ssa  Anna  Rita Coltellacci, ha disposto, ai sensi dell'art. 355
cod.  proc. pen., l'iscrizione nel Registro mod. 21-bis della notizia
di  reato  pervenutagli con la comunicazione di cui all'art. 347 cod.
proc. pen. dal distaccamento della Polstrada di Brancaleone.
    Dalla  comunicazione  di cui sopra si evinceva che il 21 novembre
2001,  alle  ore  13,15,  in  sito di Locri, localita' via Garibaldi,
sulla strada urbana denominata via Cusmano, era avvenuto un incidente
stradale che vedeva coinvolti due veicoli.
    II  primo  di  detti  veicoli,  che era una Fiat Uno con targa RC
412197, era condotto da Lucano Felicia, nata a Placanica il 3 ottobre
1938 e residente in Roccella Jonica, per come suddetto.
    Il  secondo  veicolo  coinvolto,  che  era il ciclomotore Aprilia
Scarabeo,  con targa 5SRWZ, era condotto da Silvano Gabriele, ferito,
nato  a  Reggio  Calabria il 16 gennaio 1987 e residente in Locri per
come suddetto.
    A  bordo  del  ciclomotore era trasportato, sul sedile posteriore
dello  stesso,  Pascale Ferdinando, ferito, nato a Villa San Giovanni
il 26 ottobre 1986, e residente in Bovalino via Fratelli Bandiera.
    La dinamica descritta nella comunicazione, inviata al Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Locri, ai sensi dell'art. 347
cod.  proc.  pen.,  il  comandante  del  distaccamento  della Polizia
Stradale  di  Brancaleone, riferiva che, alle ore 13,15 del giorno 21
novembre  2001,  Lucano Felicia, alla guida dell'autovettura Fiat Uno
con  targa  RC  412197,  percorreva la via Garibaldi con direzione di
marcia  monte-mare. Giunta all'incrocio con via Cusmano impattava col
ciclomotore Aprilia Scarabeo condotto da Silvano Gabriele con a tergo
Pascale Ferdinando.
    Silvano  Gabriele  non  ottemperava  al  segnale  di  stop  cola'
esistente  ed  anzi  si  immetteva  nella circolazione dell'altra via
senza  concreta  prudenza  e dovuta cautela onde evitare incidenti di
sorta.
    L'urto  interessava  la parte laterale destra della Fiat Uno e la
parte  laterale  anteriore  sinistra  del  ciclomotore.  Sul posto si
riscontravano  due traccie di frenata, l'una per metri 1,70 e l'altro
per metri 2,05.
    A carico di Silvano Gabriele i carabinieri della locale stazione,
intervenuti  sul  posto,  elevavano verbale ai sensi degli artt. 145,
comma 1 e 10 del Codice della Strada.
    Veniva  sentito,  a sommarie informazioni, ai sensi dell'art. 351
cod.  proc.  civ.,  Silvano  Gabriele  il quale riferiva che alle ore
13,20  del  giorno  21  novembre  2001  percorreva la via Cusmano nel
centro  abitato  di Locri, unitamente a Pascale Ferdinando ed a bordo
del motociclo Aprilia Scarabeo.
    Giunto  all'intersezione  con  la  via  Garibaldi  rallentava  la
marcia.  A  questo  punto  una Fiat Uno proveniente dalla sinistra li
investiva facendo cadere a terra sia il Silvano che il Pascale.
    Aggiungeva  che il conducente della Fiat Uno al momento dell'urto
percorreva la strada a forte velocita'.
    Parimenti  veniva  verbalizzata  la  dichiarazione  spontanea  di
Lucano  Felicia la quale affermava che l'incidente avveniva in quanto
due  giovani  pervenivano improvvisamente dalla sua destra alla guida
del  motociclo  in questione e le tagliavano la strada impedendole di
proseguire la marcia.
    A seguito dell'urto i due giovani che viaggiavano sul ciclomotore
andavano a sbattere sul parabrezza della vettura investitrice.
    Sulla vettura della indagata viaggiava il marito di costei Gerace
Raffaele.
    Nessuno  dei due coniugi riportava lesioni. In atti del fascicolo
n. 6/1992 vi sono allegati:
        1)  Referto  dell'ospedale  di  Locri  riferentesi  a Pascale
Ferdinando  nella  cui  diagnosi  si  contempla  frattura  al  femore
sinistro,  contrattura  gomito  sinistro,  gomito  sinistro e regione
frontale con la prognosi di giorni venticinque salvo complicazioni;
        2)  Referto  dell'ospedale  di  Locri  riferentesi  a Silvano
Gabriele  nella  cui diagnosi si contempla la contusione alla regione
frontale  con  numerose  ferite  da taglio e contusione regione gamba
sinistra,  ginocchio  e  quarto  e  quinto  dito mano sinistra con la
prognosi di giorni dieci salvo complicazioni.
    Il  Pubblico  Ministero,  in  persona  della  dott.ssa  Anna Rita
Coltellacci,  con  nota  n. 32/2002  di prot. in data 19 aprile 2002,
proponeva  a  questo  giudice  di  pace  circondariale,  motivando la
richiesta  ai  sensi  dell'art. 408  e segg. cod. proc. civ., nonche'
dell'art. 17  del  decreto  legislativo  n. 274  del  28 agosto 2000,
richiesta di archiviazione.

                       Rilevato, inoltre, che

    L'art. 590  cod.  pen. contempla  il  reato  di lesioni personali
colpose  e rileva il caso di chi cagiona conseguenze dannose ad altri
per colpa, derivante da negligenza, imprudenza ed imperizia.
    Tale   articolo   e'   stato   cosi'  sostituito,  rispetto  alla
formulazione  originaria,  dall'art. 2  della  legge  11  maggio 1966
n. 296.
    Il  testo  precedente  contemplava  il  medesimo reato con questa
stesura: "Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale
e'  punito  con  la  reclusione sino a tre mesi e con la multa fino a
lire duecentomila".
    E'  costante  l'intento  del legislatore, per l'una e per l'altra
stesura   dell'articolo   sotto   osservazione,   di   riflettere  il
comportamento  colposo  in senso stretto sul parametro del buon padre
di famiglia.
    Pertanto  le regole di condotta, che determinano il comportamento
colposo, vanno considerate avuto riguardo al modello di comportamento
cui   appartiene  l'agente  medesimo  e  che  e'  inteso  secondo  il
comportamento  del  cittadino  medio  o,  meglio,  del  buon padre di
famiglia.
    E  cioe'  nell'analisi  di  un  fatto  lesivo  la  condotta di un
automobilista e' intesa nel senso di esaminare la condotta di un buon
automobilista,  cosi'  come  la  condotta  di un pedone e' intesa nel
senso di porre a confronto di essa la condotta di un pedone diligente
e prudente.
    Quali  sono  le comminatorie avuto riguardo alle lesioni gravi e'
presto  detto: se la lesione e' grave la pena delle reclusione da uno
a  sei  mesi  o  della  multa  da  lire  duecentoquarantamila  a lire
unmilioneduecentomila, - secondo vigenti conversioni in euro -, se le
lesioni sono gravissime esse verranno punite con la reclusione da sei
mesi  a  due anni o con la multa da lire unmilioneduecentomila a lire
duemilioniquattrocentomila.
    Sara'  compito del giudice accertare la sussistenza e la qualita'
della  colpa  dell'indagato,  della  vittima  e  del terzo al fine di
calibrare  la  penale  entita'  del  risarcimento dei danni, se vi e'
stata costituzione di parte civile nel processo penale.
    Aggiungasi  che l'elemento soggettivo che caratterizza il delitto
di  colpa non e' dato dall'opinione soggettiva dell'individuo, bensi'
dalla   condotta   dell'agente   medesimo,   a   nulla  rilevando  la
prevedibilita'  dell'evento  tanto  che  la previsione ne costituisce
l'aggravante.
    Si  innesta qui, a tal proposito, il concetto clinico di malattia
conseguente   al   fatto   delittuoso,   che   richiede   una  giusta
focalizzazione   onde   determinare,   fondatamente,   la   riduzione
apprezzabile  di  funzionalita'  di una parte del corpo umano ed alla
quale  non fa, sempre, eco, una lesione anatomica, e l'evoluzione del
fatto  morboso  che  potra'  avere  breve  o  lunga scadenza ed a cui
seguira',  a  sua volta, la guarigione, l'adattamento a condizioni di
vita molto ristrette, o, addirittura, la morte.
    Il  rapporto  tra  fatto  colposo  e  conseguenza  di esso sara',
infine,  valutato  ai sensi di norme giuridiche che, essendo operanti
al  momento del fatto penale, si poteva oggettivamente ritenere quale
conseguenza  probabile  e  necessaria  alla  mancata osservanza della
disciplina,   della   legge   o  del  regolamento  che  sono  rimasti
inapplicati.
    E  quindi  se  una  determinata  condotta,  prescritta  da  norma
vigente, che invece il reo ha omesso, se applicata avrebbe evitato le
conseguenze del fatto che ne e' derivato; fatto che, proprio per come
suddetto, non va ascritto a caso fortuito.
    Per   quel   che  attiene  agli  infortuni  sul  lavoro,  il  cui
trattamento  processuale  e'  questione che questo giudice di pace di
tal    guisa    sottopone    al    giudizio    di   costituzionalita'
dell'eccellentissima   Corte   costituzionale,  e'  dato  al  giudice
competente  il  compito  di  dimostrare  che  il nesso eziologico tra
l'ambiente di lavoro insicuro e la malattia temporale, o mortale, che
ne  e'  derivata,  e'  frutto  di  fondata  certezza  che  ne  deriva
dall'esame  di  tutti  quegli elementi circoscritti nell'ambito della
conseguenza diretta del reato.
    Verune  pronunce  depositate,  in tema di norme sulla prevenzione
degli   infortuni,  lasciano  intravedere  come  la  certezza  ed  il
convincimento  del  giudice sulla conseguenzialita' tra l'omissione e
l'evento  dannoso sia stata raggiunta con la semplice analisi causale
tra la violazione e l'evento dannoso.
    E  cio'  senza  approfondimento veruno sulle concause che abbiano
generato,  o  meno,  l'evento  e  sulla  stabilita'  del  rapporto in
concomitanza  all'insorgere della malattia, al periodo di incubazione
di  essa,  e,  non  per  ultima  all'essere la parte lesa estranea al
rapporto di lavoro.
    E  cio'  nel  caso  in  cui la mancanza di continuita' o il tempo
determinato  del  rapporto  di  lavoro non diano sufficiente certezza
sulla  scaturigine degli infortuni sull'integrita' fisica, che qui ne
sono e' il bene protetto.
    Il  complesso  delle cautele imposte in tema di prevenzione degli
infortuni  concorre  a  formare  la sicurezza sul posto di lavoro per
tutti  coloro che vi partecipano all'ambiente relativo e per ciascuno
che vi si trovi all'interno anche in caso occasionale e temporaneo.
    E'  avvenuto,  per  numerose  fiate,  che il datore di lavoro, in
specie  colui  che opera nell'Italia meridionale, abbia consegnato ai
propri  dipendenti  utensili  sprovvisti,  in tutto o in parte, di un
efficace  dispositivo  antinfortunistico e che cio' sia stato dettato
da  una  esigenza  di  risparmiare  sulle spese di impianto e, per la
scarsa  qualita'  dei  macchinari  medesimi  e  nella speranza, - poi
vanificata  dalla  conseguenza  di  tale  improvvida  condotta  -, di
mancati controlli da parte degli uffici all'uopo preposti.
    Tutto cio' non disgiunto, - senza che assurga quanto si va a dire
a  giustificazione  di  siffatta  illecita  condotta -, dallo sparuto
margine  di  utile  che  al  datore  medesimo  deriva  da  condizioni
ambientali  di  scarsa  liquidita', ovvero da una concorrenza in loco
spesso sleale.
    Solo  dopo  il  verificarsi  dell'evento  il  datore di lavoro ha
apportato quelle aggiunte e modifiche, sia ai macchinari che al posto
di  lavoro,  che  hanno reso il funzionamento dei macchinari sicuro e
l'ambiente  piu' idoneo allo svolgimento dell'attivita' connessa alle
esigenze del lavoro medesimo.
    In tali evenienze si assiste all'allertamento del medesimo datore
di  lavoro  che  avviene dopo che la leggerezza del suo comportamento
abbia  comportato  conseguenze,  piu' volte letali, per il lavoratore
medesimo.
    Ed anche la sporadicita' dei controlli viene utilizzata in questi
casi: e' avvenuto, cioe', che la difesa dello indagato ha chiesto che
assurgesse  a  discolpa  del proprio cliente la precedente ispezione,
degli  uffici  di  controllo,  che  aveva  concluso  per  la mancanza
assoluta di qualsiasi irregolarita'.
                        Nel parallelismo tra
    Il  disposto  di  cui  all'art. 582 cod. pen., in tema di lesioni
personali,  e  dell'art. 590  cod.  pen. in tema di lesioni personali
colpose,  ha  dato  adito  in passato, in specie nello svolgimento di
alcune  discipline  agonistiche,  a controverse interpretazioni della
condotta illecita presa in esame.
    Tant'e'  che  il  passaggio dalla piu' lieve rubrica a quella ben
piu'  rilevante  delle  lesioni volontarie ha impregnato le pagine di
molte decisioni recenti.
    Particolare  rilevanza  ha avuto, nella ricorrenza della condotta
lesiva,  l'avere,  il  calciatore  della squadra avversaria, posto in
essere   un  particolare  antagonismo  tale  da  porre  in  non  cale
l'integrita' fisica dell'antagonista tanto da averne in disprezzo.
    Vero  e'  che  il  soggetto  passivo,  nel  corso  dell'attivita'
sportiva,  dovra'  attendersi  un  certo  comportamento  rude  di chi
intende  impossessarsi  della  palla  che  esso  sta  giocando, ma e'
ragionevole  che  non possa attendersi di essere travolto dalla furia
dell'avversario.
    Il  giudice  chiamato  a  comminare la pena dovra' raggiungere il
proprio  convincimento esaminando caso per caso il problema giuridico
che  gli  si  pone  partendo  necessariamente dall'esame delle regole
dell'agonismo  sportivo  per  poi  giungere  alla conclusione se tali
regole siano state travalicate o meno.
    Su    dette    premesse   il   dualismo   delle   interpretazioni
giurisprudenziali  del  caso  processuale  e'  stato risolto mediante
l'esame delle singole condotte sportive.
                  In esito alla gravita' del fatto
    La  gravita'  del fatto commesso, dato che i feriti a seguito del
sinistro sono stati due e che per uno di essi e' stata ipotizzata una
grave affezione al femore, e' di tutta evidenza.
    La  gravita'  e'  elemento  discriminante sia delle condizioni di
procedibilita'  del reato e sia dell'entita' della pena da comminare,
ed  esso  e'  preso  in  esame  dal  giudice  di pace circondariale a
corollario  della questione di legittimita' costituzionale proprio in
relazione  alla  discriminante  formulazione  del  reato  di  lesioni
colpose  derivante  da  incidente  stradale  e  del  reato di lesioni
colpose derivanti da infortuni sul lavoro.
    La  Suprema  Corte, a tal proposito, con sentenza n. 10374 del 24
ottobre  1988  ha  ritenuto  che  il  giudice debba sempre contestare
all'imputato  le  aggravanti  di  cui  all'art. 589  cod.  pen. comma
secondo,  e  quelle  di  cui  all'art. 590  cod.  pen.,  terzo comma,
restando  esclusa  l'ipotesi  in  cui  il fatto si sia verificato per
evento del tutto estraneo alla circolazione stradale.
    In   detto   ultimo   dettato  interpretativo  rientra,  persino,
l'arrampicarsi del veicolo con una ruota sul marciapiede per la sosta
e, l' utilizzo di piste abitualmente destinate a corse e competizioni
sportive e, come tali, aventi vocazione velocistica.
    Parimenti   la   Corte   Suprema,  siccome  il  giudice  di  pace
circondariale   ha   argomentato  nei  paragrafi  che  precedono,  ha
interpretato  la  norma  di  cui  al citato art. 590 cod. pen., terzo
comma,   per   quanto  attiene  alla  violazione  delle  norme  sulla
disciplina  del  rapporto  di  lavoro  disponendo  che  le aggravanti
debbano   medesimamente  essere  contestate,  anche  quando  la  fase
lavorativa sia conclusa o sia temporaneamente sospesa.
    Cio'  in  quanto  dovra' essere garantita la completa liberazione
dalla  situazione  di  pericolo  dal  posto  di  lavoro anche perche'
"sottoposti  allo  stato  di  pericolo dallo stato di fatto residuato
dalla fase pregressa", (sentenza n. 1738 del 25 febbraio 1997).
    L'aggravante  vi  e',  ancora,  per  il datore di lavoro che, nel
processo   di  lavorazione,  lascia  la  direzione  del  cantiere  al
direttore   dei   lavori  pur  cosciente  che  quest'ultimo  operi  e
rappresenti,  in sua vece, ogni esigenza organizzativa del lavoro che
fa capo al datore di lavoro medesimo. (sentenza n. 191 del 15 gennaio
1997).
    Ed  in  ultimo:  neppure  il  principio dell'affidamento esime il
datore di lavoro dalla contestazione, a suo carico, della circostanza
aggravante.
    Il   Supremo   Consesso  ha,  a  tal  uopo,  argomentato  che  il
comportamento  del  datore  di  lavoro,  nel  caso  in  cui accada un
infortunio sul lavoro, e' doppiamente fallace non essendo sufficiente
presumere  l'imprevedibilita' del comportamento del lavoratore su cui
sempre il primo deve vigilare.
    Sussiste,  parimenti,  circostanza  aggravante  a  carico di chi,
avendo  dato  incarico ad altri a compiere, a mezzo di corrispettivo,
un  lavoro  prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione
nei  confronti  del committente, siccome previsto dall'art. 2222 cod.
civ.,  abbia  cosi' inteso traslare ad altri il rischio connesso alla
esecuzione dei lavori anzidetti.
    Cosi' sentenza n. 11813 del 15 ottobre 1999.
    Tale  tesi,  estrema,  non  prevede  la  ratio della norma civile
appena  citata  spingendosi  ben oltre la medesima ed ipotizzando una
colpa  a  carico  del  committente  che, in tal caso e' perfettamente
estraneo  al  processo  produttivo  dell'esecuzione dell'opera, ed al
quale  si attribuisce una posizione di garanzia ritenendolo datore di
lavoro  di chi ha assunto gli obblighi e le conseguenze del contratto
d'opera.
    Si  delinea,  cosi' a chiare note, come una sostanziale identita'
del  disegno  criminoso,  sia esso derivante dalla inosservanza della
norme   del   codice  della  strada,  e,  sia  esso  derivante  dalla
inosservanza  delle  norme  sugli  infortuni  sul  lavoro  si pone in
insanabile contrasto con l'operativita' della norma medesima.
    Cio'  in quanto sia per l'uno che per l'altro caso l'elemento che
contraddistingue  il fatto penale preso in esame presenta, in ambedue
le ipotesi di incidente stradale e di incidente sul lavoro, e' che il
delitto  e'  compiuto  contro  l'intenzione e, come tale, esso non e'
voluto.
    Ne  e'  prova  il  principio  di  inapplicabilita',  tali  reati,
dell'ipotesi della continuazione.
                      In esito al bene protetto
    Ritiene  questo  giudice  di pace che sia per il reato di lesioni
colpose derivanti da incidente stradale e sia per il reato di lesioni
colpose  derivanti  da  inosservanza  delle norme sugli infortuni sul
lavoro,  il  bene  protetto sia la vita e l'incolumita' della persona
umana.
    Cio'  considerato  l'oggettivita'  giuridica  che  ne  deriva  e'
costituita  dalla  salvaguardia della incolumita' personale e la vita
in tutti i reati che attentano a questi beni.
    Osserva  inoltre  il  giudice  di pace che nello ambito dei reati
contro  l'incolumita'  personale  rientrano sia la lesione volontaria
che la lesione colposa con pari rilevanza sia per l'inosservanza alle
norme  viarie  e  sia per l'inosservanza alle norme sulla prevenzione
degli  infortuni;  dal compimento di tutti questi reati vi si cagiona
un danno al corpo o alla mente.
    Affinche'  cio'  derivi  appare  necessario  che si consegua quel
fattore  patologico che va sotto il nome comune di malattia con tutto
quel  complesso  di  fenomeni  che,  nel  breve  o nel lungo periodo,
comporti una alterazione.
    Detta  alterazione  portera', nella sua evoluzione, alla completa
guarigione o ad una condizione di menomazione rilevante o ridotta che
ha caratteristiche di non emendabilita'.
    Sia  nell'uno  e nell'altro caso e' necessario che le conseguenze
del  reato  incidano  apprezzabilmente  in  tutti gli atti della vita
vegetativa  in  relazione  alla  menomazione  che  ne e' derivata, in
relazione  alla gravita' di dette conseguenze siccome argomentato dal
giudice in epigrafe.
    Ritiene,  dunque,  il  giudice  di  pace che la struttura dei due
delitti colposi equivale alla struttura dei due delitti dolosi e che,
per dirla col gergo aritmetico, l'art. 590 cod. pen. sta all'art. 582
cod.  pen. ed  all'art.  583,  cosi'  come  l'art.  589 cod. pen. sta
all'art. 575 cod. pen.
    Se in questa equazione il giudice sostituisse l'elemento psichico
colpa  con  l'elemento determinato dolo, il risultato strutturale non
subirebbe nessun cambiamento.
    Ogni  altra  considerazione e' ritenuta dal giudicante ultronea e
superflua.
    Il  giudice  di  pace  considera  come  il  cagionare una lesione
personale significhi cagionare un danno al corpo ed alla mente che si
sostanzia,  comunque,  in  una  malattia  o  in  una conseguenza gia'
enunciata,  cosi' come era per il cessato codice Zanardelli nella sua
stesura  definitiva  che aveva escluso qualsiasi differenziazione tra
lesioni  volontarie o lesioni colpose e si era limitato a focalizzare
un danno alla salute del corpo o della mente in qualsiasi maniera.
    Calibrando l'entita' della pena e parificandola all'entita' delle
conseguenze del reato che era stato compiuto.
    Senza  dubbio  la  differenziazione  delle modalita' delle azioni
criminose  ha  giovato al titolo del reato ed alla comminatoria della
pena,   pur   creando  nel  novero  delle  varie  classificazioni  lo
sfilamento di qualche maglia dell'ordinamento che consente, talvolta,
situazioni di privilegio per l'uno o per l'altro caso processualmente
rilevante.
                 L'esercizio del diritto di querela
    Il  giudice  di  pace ha osservato come il differente trattamento
procedurale   che  sconta  il  medesimo  reato  di  lesioni  colpose,
ancorche'   risultanti  da  un  differente  comportamento  attivo  od
omissivo  dell'agente,  incida, in modo negativo, sul mantenimento di
quel  bene  giuridico  tutelato  che  e'  l'integrita'  della persona
fisica.
    Ed  e'  giunto a tale convincimento non solo sulla base ai canoni
generali  di  diritto, ma anche esaminando le norme di procedura che,
siano  esse  viste  nel  loro  insieme  per  quel  che riguarda reati
similari,  siano esse viste in particolare esaminando l'una e l'altra
fattispecie  giuridica, hanno condotto, tout court, al solo risultato
da conseguire che e' quello del bene protetto teste' enunciato.
    Sicche',  a  questo  punto,  non  resta  al  giudice  di  pace da
esaminare  se  l'esercizio,  o  meno,  del  diritto di querela sia da
qualificarsi,  come  il  maestro  della scuola universitaria Giovanni
Leone  soleva  affermare  nelle  sue  colorite  lezioni  di diritto e
procedura  penale:  "Per  i  reati  perseguibili  a  querela di parte
l'ordinamento  ha  conferito  alla  vittima  il potere di determinare
l'illecita'  del fatto. E non solo questo, ma anche quello di mettere
in moto, a suo discernimento, la macchina giudiziaria".
    Questa  affermazione,  udita  dal  giudice  di pace illo tempore,
dalla  viva voce del docente, ha fatto si' che veruni classificassero
il  vecchio  insegnante  di diritto, quale sostenitore della dottrina
processualistica.
    A  ben  individuare i margini del problema il giudice di pace non
direbbe che il Leone avesse torto.
    O  non  del  tutto.  E'  proprio  nella  classe  dei  delitti che
offendono   direttamente   la   persona   che  trova  la  piu'  ampia
applicazione l'esercizio del diritto di querela.
    Osserva il giudice di pace come tutto cio' sia in netto contrasto
con quanto disposto dall'art. 112 della Carta costituzionale, laddove
prescrive  a  carico  del  Pubblico Ministero l'obbligo di esercitare
l'azione penale.
    Come   si   possa   affermare,   categoricamente,   tale  obbligo
allorquando  la  mancata  presentazione  della querela, per dirla con
Francesco  Carnelutti,  nelle  sue  lezioni  sul  processo penale, si
risolve nel diritto della persona offesa di perdonare chi ha commesso
il reato a suo danno?
    Cio'  e'  motivo di fondato dubbio in specie nel caso in cui tale
diritto  di perdonare, conferito alla persona offesa, tale non e' nel
caso  previsto  e  regolato  dall'ultimo capoverso dell'art. 590 cod.
pen. qui in esame?
    Ritiene  il  giudice  di  pace  come sia latente la disparita' di
trattamento  per  il  cittadino  parte  offesa  nel  reato di lesioni
colpose  da  incidente  stradale  ed  il  reato di lesioni colpose da
violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
    Parimenti   nei   confronti   del   responsabile   il  quale  pur
scientemente  reo  di  un  reato  di  evidente  gravita'  sa di poter
sfuggire   alle   maglie   della   Giustizia   mediante  una  accorta
manipolazione  della  libera  determinazione  della  parte  offesa  a
presentare o a non presentare la querela.
    Oppure  ad  esercitare  pressioni, di ogni genere, come in questo
estremo  lembo  di  terra  della  nostra  penisola, piu' volte accade
acciocche'  la  querela  venga  "ritirata",  e cosi' rimessa a chi il
reato lo ha certamente compiuto.
    E'  proprio  qui,  osserva  il giudice di pace, che l'ordinamento
fallisce  nella  sua  precipua  funzione di impartire al colpevole la
giusta  punizione,  ed  e'  proprio  qui  la  posizione di privilegio
dell'agente  che  in  questo  caso  ha  compiuto  un reato di ridotta
importanza.
    Ne'  puo'  dirsi,  in questo caso, che il diritto di querela, pur
essendo  di  natura processuale, sia diverso da quello dell'azione in
quanto  l'esercizio  della  querela  non  e'  idonea  ad investire il
giudice  perche'  quest'ultimo  e' investito dell'azione dal pubblico
ministero.
    Osserva,  anzi, il giudice di pace come il diritto di querela sia
un  diritto soggettivo processuale essendo attinente al processo e di
esso e' indispensabile premessa.
    Cio'  deriva, anche, dal fatto che il cittadino offeso non avendo
esercitato tale diritto non e' parte nel processo medesimo.
                     La remissione della querela
    La  remissione  della querela, nel processo relativo alla lesioni
colpose  patite  in  un  incidente stradale, realizza, ancor di piu',
quel  latente  divario  che  si  e' creato a svantaggio del cittadino
parte  offesa  in tal processo rispetto al cittadino parte offesa nel
processo  relativo  alla  violazione  delle  norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro.
    Anche qui, per come argomentato dal giudice di pace nel paragrafo
che  precede,  tale divario favorisce, il responsabile del delitto di
natura viaria.
    Il diritto di querela, esercitato dalla parte offesa, si realizza
mediante  la  stesura di un atto nel quale, riassunte, o esplicitate,
le  varie  fasi  del  delitto,  si  chiede la punizione del colpevole
facendo,  piu'  delle  volte,  capo  a principi di carattere morale e
sociale,  che  appaiono  tra le righe invalicabili, e con riferimento
alle vigenti disposizioni di legge in materia.
    Considera  il  giudice  di  pace  come  tutti  i  buoni propositi
comminatori  della  pena,  quale  unica  alternativa  e  risposta  al
delitto,  e  i  buoni  principi di carattere sociale e morale vengano
meno,  nel  caso di reato derivante da incidente automobilistico, con
la remissione dopo appena qualche giorno, della querela medesima.
    E  non e' raro il caso che la remissione della querela avvenga ad
horas.
    Ha  esposto  il  giudice di pace quali sia, piu' e piu' volte, il
rapporto  sottostante  che  ha  generato  tale  remissione  e come in
concorso   con   certa  coartazione  fisica  e  psicologica,  rimasta
nell'ombra,  il  cittadino  sia  costretto  a disdire cio' che prima,
coralmente con la norma, aveva detto.
    Tutto  cio'  non  si  verifica nell'altro caso in esame in cui le
lesioni colpose, sol perche' derivanti dalla inosservanza delle norme
che  riguardano  infortuni  sul  lavoro,  sono  perseguibili  a norma
dell'art. 112 della Costituzione della Repubblica italiana.
    Ancor  piu'  rilevante  appare  al giudice di pace, l'impedimento
derivante  dalla  remissione  della  querela,  alla  prosecuzione del
processo.
    Laddove  la  remissione,  facendo venir meno il presupposto della
proseguibilita'  dell'azione,  impedisce  che  l'azione  penale possa
essere portata avanti sino alle estreme conseguenze.
    Anche  qui  il  cittadino,  offeso dal delitto di lesioni colpose
compiute dal reo ai suoi danni, argomenta il giudice di pace, diviene
portatore  di  un  potere  dispositivo del processo stesso che si sta
celebrando a tutela del bene protetto dall'ordinamento.
    Parimenti    il   cittadino,   offeso   dal   delitto   derivante
dall'illecito  viario,  pone  in  essere  ad  libitum, una condizione
risolutiva del processo penale.
    Tutto  cio'  non  avviene nel processo relativo ai fatti commessi
con  violazione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro:
cola'   il  cittadino  non  e'  per  nulla  portatore  di  un  potere
dispositivo  dell'abbrivio  del processo; cola' il cittadino non puo'
porre in essere una condizione risolutiva del processo penale.
    Che  la  remissione  divenga,  o non divenga, perfetta solo se il
colpevole  vi abbia aderito, poca rilevanza ha ai fini della presente
questione  di  leggittimita'  costituzionale,  rivestendo, per contro
rilievo, l'avvio e la improcedibilita', ambedue derivanti da querela,
del processo di lesioni colpose.
    Il  medesimo principio contrasta col disposto di cui all'art. 112
della  Costituzione  della Repubblica italiana, nella parte in cui fa
obbligo  al pubblico ministero di esercitare l'azione penale, essendo
stato  posto  tale  obbligo  a  tutela  dell'interesse punitivo dello
Stato,  come  tale nascente dalla sua pretesa di comminare una pena a
chiunque ha commesso un reato.
    Il  richiamato  principio  contrasta,  in  ultimo,  con  tutto lo
spirito  etico  e  morale  della Carta costituzionale riportato dall'
art. 3, secondo il quale ogni cittadino ha pari eguaglianza di fronte
alla legge senza distinzione di condizioni personali.
    Non   ultima   e'  la  riflessione  di  questo  giudice  di  pace
sull'entita'  della pena irrogata, in genere, che in tema di sinistro
automobilistico  non  e' pari a quella irrogata in tema di violazione
alle norme di prevenzione sugli infortuni sul lavoro.