IL TRIBUNALE MILITARE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Severini
Luca,  nato il 25 febbraio 1976 a Roma, ivi residente in via Piccagli
n. 26,  soldato  in  congedo,  imputato  di:  reato pluriaggravato di
percosse  (artt.  61  n. l  cp.;  47  n. 2 - 3, 222 c.p.m.p.) perche'
caporale  E.I. gia' in servizio presso il 183o rgt. Par. ""Nembo"" in
Pistoia,  la  sera  del  20  marzo 1998, al rientro in caserma da una
libera uscita, dopo essere venuto a diverbio per futili motivi con il
caporale   Spena   Vincenzo,   gli  si  avventava  contro  colpendolo
ripeturamente  con dei pugni e degli schiaffi al volto, senza che dal
fatto sia derivata una lesione nel corpo o nella mente.
    Con  le  aggravanti  del  grado  rivestito, dell'aver commesso il
fatto  alla  presenza  di  almeno  tre  militari  e dei futili motivi
all'origine del diverbio.
    Premesso  che  questo  collegio, in sede di giudizio a seguito di
richiesta di patteggiamento proposta dall'imputato Spena Vincenzo, ha
avuto  modo  di  leggere  gli  atti del fascicolo del p.m. propri del
procedimento   originariamente   instaurato   a  carico  dell'attuale
prevenuto  Severini  e  dello  Spena, ai quali erano contestati fatti
commessi l'uno a danno dell'altro;
        che  con  apposita  sentenza  il  tribunale ha poi accolto la
richiesta   dello  Spena,  cui  ha  prestato  il  consenso  il  p.m.,
disponendo,  quindi,  la  separazione delle posizioni processuali dei
due imputati;
        che  il  difensore  dell'imputato  Severini  ha,  di seguito,
eccepito  l'incompatibilita'  dei  componenti del collegio per essere
essi gia' venuti a conoscenza del fatto attribuito all'imputato;
    Sentito  il  p.m.  che  ha  contestato  l'assunto  della  difesa,
sostenendo   che  non  vi  sono  motivi  d'incompatibilita',  essendo
distinti  le  posizioni  dei  due  imputati  ed  i  fatti  a ciascuno
attribuiti;
    Considerato  che l'art. 34 c.p.p. non prevede ipotesi come quella
rappresentata  per  cui,  in  astratto,  non  sussisterebbero  motivi
d'incompatibilita' o di astensione;
        che,   tuttavia,   sulla   base   delle  indicazioni  fornite
all'ordinamento  giuridico  dalla  legge  16  dicembre  1999 n. 479 e
dall'art. 111  della  Costituzione,  in  concreto  possono ravvisarsi
elementi  di  contrasto con la disciplina costituzionale in merito al
canone  di  parita'  sostanziale delle parti processuali di fronte al
giudice imparziale;

                            O s s e r v a

    Secondo  la  giurisprudenza  della  Suprema  Corte  di Cassazione
(C.Cass.,    Sez.   IV,   2   dicembre   1994,   De   Masi,   200561)
l'incompatibilita'  derivante  da atti compiuti nel procedimento deve
essere  circoscritta  ai  casi  di  duplicita' del giudizio di merito
sullo  stesso oggetto, da intendersi non secondo un criterio formale;
bensi'  come una valutazione concreta della medesima regiudicanda. In
adesione   a   tale  principio,  non  determina  incompatibilita'  la
pronuncia  nei  confronti dei concorrenti nel medesimo reato ascritto
al  giudicabile;  cio'  in  quanto,  pur  in  presenza  di una comune
imputazione,   sono   ravvisabili   una   pluralita'   di   condotte,
distintamente imputabili a ciascun concorrente nel reato e oggetto di
autonome  valutazioni sia sotto il profilo materiale che psicologico,
(  cosi'  anche  C. Cass. Sez. III 26 settembre 1997, Taddei, 208865;
Sez. VI, 14 maggio 1998, Cerciello).
    La Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 186 del 22 aprile 1992
e  n. 439  del  16  dicembre  1993,  ha  a  sua  volta  affermato che
l'accoglimento  o il rigetto di un patteggiamento nei confronti di un
imputato   non  impedisce,  per  incompatibilita',  il  giudizio  nei
confronti  di  eventuali  coimputati;  la comunanza dell'imputazione,
infatti,  non  si  risolve  in  un  identico oggetto del giudizio, in
quanto  ad  essa  fa  necessariamente  riscontro  una  pluralita'  di
condotte,  distintamente  ascrivibili  a  ciascuno dei concorrenti ed
implicanti autonome valutazioni del giudice.
    Nella  sentenza della Corte Costituzionale n. 455 del 30 dicembre
1994  e'  stato  ribadito  il principio secondo cui ""deve affermarsi
l'incompatibilita'  del giudice che abbia, in uno stato anteriore del
procedimento,  espresso  una  valutazione  nel  merito  della  stessa
materia  processuale, riguardante il medesimo incolpato"; allo stesso
tempo, la Corte ha ribadito che non puo' avere rilievo la circostanza
che   il   giudice   abbia  gia'  preso  cognizione  degli  atti  del
procedimento in quanto (come gia' affermato nelle sentenze n. 502 del
1991,  n. 124  del  1992,  n. 186  del  1992, n. 439 del 1993) questa
conoscenza,  se  non accompagnata da una valutazione in concreto, non
implica  il  sostanziale pregiudizio su cui si fonda l'istituto della
incompatibilita'.
    In  primo  luogo  si osserva che la sentenza di "patteggiamento",
emessa  dal  tribunale  militare  nei  confronti dell'altro imputato,
implica  pur  sempre  un  giudizio  di tipo ""contenutistico"" che e'
idoneo,   almeno   in   astratto,   a   costituire   un   presupposto
d'incompatibilita' per un futuro giudizio.
    Nel  caso  in  esame, la valutazione della posizione di uno degli
imputati,  pur  contraddistinta  dalle sommarie valutazioni richieste
dall'art. 444 c.p.p., non puo' prescindere dall'esame e dal confronto
con  il  fatto,  diverso ma speculare, attribuito all'altro imputato;
come  implica,  del  resto,  il  motivo  legale  per  la riunione dei
procedimenti fissato nell'art. l 7, lettera c), c.p.p..
    Il  tribunale, peraltro, non ritiene che il problema in argomento
possa  essere  affrontato e risolto secondo le indicazioni desumibili
dalla  sentenza  Costituzionale  n. 371  del 17 ottobre 1996. In tale
pronuncia,   infatti,   pur  confermando  l'indirizzo  della  propria
giurisprudenza   in   tema   d'incompatibilita',   codesta  Corte  ha
dichiarato  ""l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 34, secondo
comma,  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa
partecipare  al  giudizio nei confronti di un imputato il giudice che
abbia  pronunciato  o  concorso a pronunciare una precedente sentenza
nei  confronti  di altri soggetti, nella quale la posizione di quello
stesso  imputato  in  ordine alla sua responsabilita' penale sia gia'
stata comunque valutata"".
    Il  criterio  di  ""previa  valutazione"",  pur lasciando margini
all'interpretazione, non sembra attagliarsi al caso in esame, proprio
in  considerazione  dei  principi  piu'  volte affermati dalla stessa
Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione.
    La situazione concreta su cui si e' incentrata la sentenza n. 371
del  1996,  infatti,  consisteva nel concorso necessario nel medesimo
reato,  dove  la  posizione  di  uno  dei  concorrenti  costituiva un
presupposto essenziale per la configurabilita' del reato; nel caso di
specie,  invece,  dove  gli  imputati risultano tratti a giudizio per
reati  commessi  in danno reciproco l'uno dell'altro, ogni fatto, pur
se  influenzato  dall'altro  e da valutare anche rispetto ad esso, si
presenta  del  tutto  distinto  tanto che, in ipotesi, l'applicazione
della pena ad uno degli imputati non esclude che l'altro possa essere
prosciolto per qualsiasi motivo, difesa legittima compresa.
    Questo tribunale militare, tuttavia, ritiene che il mutato quadro
processuale,  derivante dall'entrata in vigore della legge n. 479 del
l6  dicembre  1999,  e  l'avvenuta  integrazione  dell'art. 111 della
Costituzione,  ad  opera  della legge costituzionale 23 novembre 1999
n. 2, richiedano ulteriori riflessioni sul punto in esame.
    Sul  piano  processuale si osserva, in primo luogo, che l'art. 40
della  legge  n. 479/1999  ha  riformulato,  a partire dalla rubrica,
l'art. 496   c.p.p.,   elidendo  ogni  riferimento  alla  esposizione
introduttiva  del  pubblico ministero. Una parte della dottrina aveva
ravvisato  uno  squilibrio  in danno della difesa nell'affidamento al
solo  p.m.  di  tale esposizione che, secondo la giurisprudenza della
Corte  di Cassazione (Cass. Sez. IV, 26 gennaio 1996), non precludeva
la  possibilita'  di  dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo
del  p.m.  o  di riferire il contenuto di dichiarazioni acquisite; la
difesa,  invece,  doveva  limitarsi  a indicare i fatti che intendeva
provare e a chiedere l'ammissione delle prove.
    Il nuovo testo dell'art. 496 c.p.p., dunque, ha posto le parti su
un  piano  di  parita', prevedendo che esse indichino semplicemente i
fatti che intendono provare e chiedano l'ammissione delle prove.
    A  salvaguardia  del  nuovo  criterio,  l'art. 496, comma quarto,
c.p.p.  affida  al  presidente  il  compito  d'impedire  anche ""ogni
lettura  o  esposizione  del contenuto degli atti compiuti durante le
indagini  preliminari"".  Tale  disposizione  non  appare  dettata  a
salvaguardia  del  principio  di oralita', cui le parti possono anche
rinunciare,  concordando  tra loro l'acquisizione al fascicolo per il
dibattimento  di  atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero
(art. 496,  comma  terzo,  c.p.p.); bensi' a tutela della terzieta' e
imparzialita'  del  giudice,  che  deve essere salvaguardata anche da
possibili suggestioni e che non deve essere in alcun modo offuscata.
    Il  nuovo assetto processuale, d'altronde, limita la possibilita'
di  chiedere al giudice per il dibattimento l'applicazione della pena
su  richiesta  ai  soli  casi  di  giudizio direttissimo, di giudizio
immediato  e  di  semplice  rinnovazione  della  richiesta, quando la
medesima  non  abbia  ottenuto  il  consenso  ovvero  l'accoglimento;
cosicche'  risultano  piu'  circoscritti i casi in cui il giudice del
dibattimento possa avere diretta cognizione del fascicolo del p.m.
    Appare  sintomatico  che,  secondo  il  testo dell'art. 135 delle
norme  di  attuazione  del c.p.p., come modificato dall'art. 52 della
legge  n. 479/1999,  l'esibizione  degli atti contenuti nel fascicolo
del   pubblico   ministero  sia  divenuta  obbligatoria  (il  giudice
""ordina"",   in   luogo  del  precedente  ""puo'  ordinare"");  tale
previsione   sottolinea   come   l'accoglimento  della  richiesta  di
applicazione  della  pena  non  possa  prescindere dalla conoscenza e
dalla valutazione degli atti contenuti nel fascicolo del p.m.
    Nel  giudizio a quo, quindi, l'esigenza di osservare il ricordato
art. 135  per il procedimento definito mediante ""patteggiamento"" e,
al  tempo  stesso,  di  consentire  al  rappresentante dell'accusa di
disporre  degli  atti  raccolti nelle precedenti fasi processuali per
affrontare   il   dibattimento  nei  confronti  dell'altro  imputato,
richiede la duplicazione degli atti medesimi.
    Quest'ultimo  adempimento  mostra, nella sua concretezza, come le
posizioni  dei due imputati siano valutabili mediante gli stessi atti
processuali e come una di esse sia gia' stata esaminata dal giudice.
    A questo punto, giova richiamare quanto espresso da codesta Corte
con  sentenza  n. 496/1990,  secondo cui la previa conoscenza di atti
relativi  a precedenti fasi del procedimento appare un fattore idoneo
a  condizionare  (o  a  far  ritenere condizionata) la valutazione di
merito    del   giudice   e,   quindi,   riconducibile   al   rimedio
dell'incompatibilita'.   Tale   aspetto,   definito  come  "pregnante
garanzia",  sarebbe  sottolineato,  appunto,  dalla previsione che il
giudice  del dibattimento non debba conoscere gli atti compiuti nelle
indagini preliminari.
    Si  e' gia' detto che la successiva giurisprudenza costituzionale
(sentenze  n. 502  del  1991,  n. 124/1992, n. 186/1992, n. 455/1994,
n. 131/1996) ha delimitato e puntualizzato tali assunti, evidenziando
come  la semplice conoscenza degli atti non implichi, di per se', una
valutazione  sostanziale  del  loro  contenuto,  idonea a determinare
l'incompatibilita' del giudice.
    Non   sembra  di  dover  trascurare,  tuttavia,  che  la  recente
normativa  ha  ulteriormente ampliato le cause d'incompatibilita' del
giudice, introducendo i commi 2-bis e 2-ter dell'art. 34 c.p.p., fino
a comprendervi casi in cui il giudice per le indagini preliminari non
esprime una vera e propria valutazione di merito.
    Questo   Tribunale  militare,  sulla  base  delle  considerazioni
esposte,   ritiene   che   la   mancata  previsione  di  una  ipotesi
d'incompatibilita'  in  situazioni  come quella in esame sia idonea a
ledere  il  principio  costituzionale  dettato  dall'art.  111 Cost.,
secondo  cui  ""ogni  processo  si  svolge  nel contraddittorio delle
parti,   in   condizioni  di  parita',  davanti  a  giudice  terzo  e
imparziale"".
    La    questione    appare    rilevante   in   quanto   le   cause
d'incompatibilita'  non  possono  che  essere  quelle  tassativamente
stabilite  dalla  legge,  con  inevitabile  inapplicabilita'  di ogni
possibile  interpretazione  estensiva  o  analogica; tantomeno questo
giudice  reputa  che  possa  applicarsi la disposizione dell'art. 36,
lettera  h),.  c.p.p.,  perche'  " "le gravi ragioni di convenienza""
costituiscono  una  causa  di  astensione di carattere esclusivamente
personale,  evidentemente  non  riferibile  a situazioni processuali.
Inoltre,  la  difesa ha posto la questione. dell'incompatibilita' del
collegio  che  il  Tribunale militare non reputa di disattendere ne',
come  anzidetto,  di  poter risolvere secondo le indicazioni espresse
con la sentenza costituzionale n. 371/1996.