IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale  n. 847/2001 Rg Trib.
(n. 6122/99  RGNR)  nei confronti di Zampella Carmine in relazione ai
reati di cui agli artt. 337, 635 comma 2, n. 3 e 651 c.p.

                           P r e m e s s o

    Che  all'udienza  del  5  dicembre  2001  la difesa dell'imputato
poneva  una  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 459
c.p.p.  in  relazione  agli  artt. 3  comma 1, 24 comma 2 e 111 della
Carta costituzionale;
    Che,   in   particolare,  a  tenore  della  memoria  illustrativa
depositata   dalla  difesa,  la  norma  de  qua,  nella  sua  attuale
formulazione,  violerebbe  le norme costituzionali sopra nominate la'
dove  non  prevede,  quale  adempimento "pregiudiziale" all'esercizio
dell'azione  penale  sotto  forma  di  richiesta di decreto penale di
condanna,  l'invio dell'avviso di conclusione delle indagini previsto
dall'art. 415-bis c.p.p.;
    Che  l'attuale  assetto  normativo  del procedimento per decreto,
nella  misura  in  cui  si  connota  per  essere  l'unico  modello di
esercizio  dell'azione  che  non prevede "comunicazioni obbligatorie"
all'indagato  quale  presupposto  di validita' dell'azione stessa, si
pone,  ad  opinione  della  difesa dell'imputato, in contrasto con le
garanzie  costituzionali in tema di uguaglianza, di diritto di difesa
e di "giusto processo";
    Cio' premesso, il tribunale

                        Osserva quanto segue

    Il  dubbio  di  legittimita' costituzionale espresso dalla difesa
dell'imputato appare non manifestamente infondato.
    Occorre   peraltro   premettere   che   la  prospettazione  delle
argomentazioni  relative alla legittimita' costituzionale della norma
sotto  il  profilo della violazione degli artt. 3 comma 1, e 24 comma
2,    Cost.   e'   stata   ripetutamente   affrontata   dalla   Corte
costituzionale,  che  ha respinto le questioni proposte su un duplice
rilievo:
        a)  nel  procedimento  per  decreto  le garanzie difensive si
esplicano   pienamente  nella  fase  dibattimentale,  atteso  che  il
giudizio   monitorio   si   connota   quale   giudizio   speciale   a
contraddittorio eventuale e differito;
        b)  il  sistema  processuale penale italiano non contempla un
modello  processuale  "ideale"  al  quale  gli  altri modelli debbano
riferirsi,  sicche'  non  hanno alcuna rilevanza questioni imperniate
sul  raffronto  tra  il  procedimento  monitorio ed altri modelli che
attuano in via anticipata il contraddittorio.
    Di qui una prima conclusione di carattere preliminare, secondo la
quale  le  uniche  questioni  legittimamente  prospettabili risultano
essere  quelle  che possano fondarsi su aspetti non ancora affrontati
dalla  Consulta.  In  tale  ottica,  il  parametro  costituzionale di
riferimento appare quello dell'art. 111, comma 3, prima parte, Cost.,
relativo al diritto alla conoscenza dell'accusa.
    Occorre  in  primo  luogo  precisare come dal tenore del disposto
costituzionale, che prevede un'informazione "riservata" e "rapida" in
ordine alla natura ed ai motivi dell'accusa e conferisce tale diritto
all'informazione  alla "persona accusata di un reato" utilizzando una
formulazione  atecnica  in  luogo  della  locuzione "imputato", possa
desumersi  agevolmente  che  la  sfera di operativita' della garanzia
costituzionale    debba    essere    commisurata   sull'intero   arco
procedimentale.    Inoltre,   la   tempestivita'   della   conoscenza
dell'accusa  deve  essere tale da consentire alla persona accusata di
disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua
difesa.
    A tale proposito puo' inoltre essere richiamata la giurisprudenza
della  Corte  europea  dei  diritti dell'uomo in tema di applicazione
dell'art. 6,  par  3, lett. a), della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo,  che  costituisce,  come  e' noto, l'antecedente normativo
dell'attuale  art. 111,  comma  3,  Cost.  La  Corte di Strasburgo ha
infatti  da  tempo chiarito che il proces equitable e' tale quando la
garanzia  della  conoscenza  tempestiva  e corretta dell'accusa opera
anche nella fase preparatoria del giudizio.
    Se  dunque il diritto alla conoscenza tempestiva ed effettiva dei
termini   dell'accusa   rappresenta  un  valore  costituzionalizzato,
occorre verificare quali istituti dell'ordinamento processuale penale
siano   idonei   ad   integrare  le  garanzie  previste  dalla  Carta
costituzionale.   Al   riguardo,  si  puo'  ritenere,  in  linea  con
l'orientamento   assolutamente   prevalente   della   dottrina,   che
l'istituto  dell'informazione  di  garanzia  non  attua  il  disposto
costituzionale  per  una  serie  di  ragioni  attinenti alla funzione
"fisiologica"   che   gli   e'   propria.  In  primo  luogo,  l'invio
dell'informazione  di  garanzia  costituisce  una  mera  eventualita'
processuale,   essendo   legato  alla  necessita'  di  compiere  atti
garantiti, necessita' che nei casi statisticamente prevalenti neppure
si profila.
    In   secondo   luogo,   la   struttura   dell'atto   disciplinato
dall'art. 369 c.p.p. e' quella di un'informazione sull'atto garantito
da  compiere  e  non  sulle  indagini  in  corso,  ne'  tantomeno sul
contenuto  dell'accusa,  sia  pure nello "stato" embrionale in cui la
stessa  si trova durante le indagini preliminari. Infine, proprio per
la sua funzione di informazione connessa e condizionata al compimento
di  un  atto  garantito,  l'istituto  de  quo  non  risponde  neppure
all'esigenza  di rendere edotto tempestivamente l'indagato. Di qui la
conclusione,  cui e' pervenuta da tempo parte della dottrina, secondo
la  quale  l'informazione  di  garanzia e' assolutamente inadeguata a
dare attuazione al disposto di cui all'art. 111, comma 3, Cost.
    Per  contro, e' opinione comune che l'avviso di conclusione delle
indagini  previsto  dall'art. 415 bis c.p.p. possa essere considerato
l'unico strumento attuativo della garanzia costituzionale, sebbene si
possa  nutrire  piu'  di  un  dubbio  in ordine all'idoneita' di tale
istituto  ad  integrare  il  principio  della  sollecita informazione
sull'accusa,   dal   momento   che   tale  "adempimento"  rappresenta
potenzialmente l'ultimo atto delle indagini preliminari ed interviene
quando  il  pubblico  ministero ha gia' sciolto positivamente il nodo
problematico  relativo alla sostenibilita' dell'accusa in giudizio ai
sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.p.
    Puo'  dunque ritenersi che, pur con le suddette riserve sul piano
della  tempestivita' dell'informazione, l'avviso di conclusione delle
indagini, la' dove consente all'indagato di confrontarsi con l'accusa
nella  fase investigativa, rappresenta un "passaggio" imprescindibile
sul  piano  dell'attuazione del diritto dell'indagato di interloquire
sull'esercizio   dell'azione   penale   attraverso   il  suo  apporto
investigativo.   Posta   tale   premessa   inerente   alle   garanzie
costituzionali in tema di diritto alla dialettica investigativa quale
caratteristica  connaturale  del "giusto processo", si deve convenire
che  l'argomento imperniato sull'attuazione successiva del diritto di
difesa  attraverso  l'opposizione a decreto penale non puo' ritenersi
sufficiente a superare le censure mosse all'attuale assetto normativo
del procedimento per decreto.
    Ed  infatti, di fronte al disposto costituzionale che postula una
dialettica  investigativa  propedeutica  all'esercizio del diritto al
contraddittorio   in   dibattimento   ed,  al  contempo,  un  diritto
dell'indagato  di interloquire sulla decisione relativa all'esercizio
dell'azione, evitando di essere sottoposto a procedimento penale, non
sembra   rivestire   alcuna   utilita'   la   considerazione  fondata
sull'attuazione differita del contraddittorio in sede dibattimentale.
E'  certamente vero che l'opposizione a decreto penale, avendo natura
di  gravame,  e'  idonea a porre nel nulla la condanna monitoria e ad
instaurare  il giudizio, si' da consentire l'esercizio del diritto al
contraddittorio  nella sede "naturale", vale a dire nel dibattimento.
Ma  e'  altrettanto indubitabile che l'operativita' "differita" delle
garanzie  del  contraddittorio  nel  procedimento  per decreto impone
all'imputato  un  duplice  sacrificio:  quello  di  dover "subire" il
dibattimento  sul  piano  dei  costi  e,  soprattutto, dei "tempi" di
attuazione   delle   proprie  pretese  difensive,  con  ripercussioni
negative  in  ambiti  non  strettamente  processuali  (si  pensi alle
sospensioni   cautelari   disciplinari,   il   cui   presupposto   e'
rappresentato  dal  mero  rinvio a giudizio e la cui revocabilita' e'
condizionata  all'esito  della  decisione  di primo grado); quello di
giungere al dibattimento senza aver potuto avviare tempestivamente le
proprie investigazioni difensive.
    Senza  contare  che  in  alcuni casi le investigazioni potrebbero
essere  irrimediabilmente compromesse proprio a causa della ritardata
informazione  relativa  all'esistenza  di  un  procedimento  penale a
carico dell'indagato. Orbene, tale secondo aspetto negativo evidenzia
la  lacuna normativa che connota l'attuale struttura del procedimento
per  decreto,  nel quale alla privazione del diritto dell'indagato di
interloquire  sulla  necessita'  del  processo si somma la perdita di
chances  investigative  necessarie  alla piena attuazione del diritto
alla prova in sede dibattimentale.
    Se le considerazioni che precedono sono esatte, si deve convenire
che   il  confronto  dialettico  fra  accusa  e  difesa  in  funzione
propedeutica  all'esercizio  dell'azione penale rappresenta un valore
protetto  dall'art. 111,  comma 3,  Cost.  e deve essere garantito in
ogni  ambito  processuale  che  succeda all'esercizio dell'azione. In
tale  ottica, l'estensione dell'applicabilita' dell'istituto previsto
dall'art. 415-bis    c.p.p.    funge   da   condizione   minima   per
l'operativita' della garanzia costituzionale.
    La  violazione  del parametro costituzionale di cui all'art. 111,
comma  3,  Cost.  involge,  in  guisa  di veri e propri corollari del
principio di tempestiva informazione, anche i principi di difesa e di
uguaglianza-ragionevolezza.  Sotto il primo profilo, infatti, si deve
ritenere  che  la  mancanza  di una tempestiva informazione in ordine
all'accusa si riverbera negativamente sull'effettiva esplicazione del
diritto  di  difesa  in  una  duplice  prospettiva.  In  primo luogo,
impedisce  alla  difesa dell'indagato di interloquire sulla decisione
relativa  all'esercizio  dell'azione  mediante un confronto meramente
argomentativo    ovvero    attraverso   l'allegazione   di   elementi
investigativi  raccolti dal difensore. In secondo luogo, sottopone la
difesa  al  rischio,  derivante dal ritardo "informativo" connaturale
all'adozione  di  un modello processuale imperniato sull'esplicazione
"ritardata"  delle  garanzie  difensive,  di  vedere  pregiudicata la
ricerca  di fonti di prova da utilizzare in dibattimento per la piena
attuazione del diritto alla formazione della prova.
    Quanto  al  rispetto del principio di uguaglianza-ragionevolezza,
la  previsione di un modello costituzionale di processo fondato sulla
tempestivita'  della  conoscenza  dell'accusa, in funzione prodromica
all'esercizio dell'azione penale, appare inconciliabile con una forma
di  procedimento  fondata  sull'attuazione  differita  delle garanzie
difensive.  Una  forma  di  procedimento che non si connota come mera
differenziazione strutturale "interna" ad un sistema che salvaguardia
le  peculiarita'  processuali  essenziali  (si  richiama in tal senso
l'ordinanza  n. 326/1999  della  Corte costituzionale), atteso che si
pone  in  antitesi  con  il  modello  processuale  "minimo" delineato
dall'art. 111  Cost.  Posta  tale  premessa,  si  deve concludere che
nell'attuale  assetto  normativo, l'esercizio dell'azione in forma di
procedimento  per  decreto  sfocia  in  un'inevitabile  disparita' di
trattamento  tra  soggetti  imputati  ai sensi dell'art. 459 c.p.p. e
soggetti  che  beneficiano  del  diritto all'informazione sull'accusa
previsto dall'art. 415-bis c.p.p.
    Mette  conto  sottolineare,  con riguardo al tema della rilevanza
della  questione  costituzionale  proposta, che l'attuale assetto del
procedimento  per  decreto  ha  pregiudicato  il diritto dell'odierno
imputato   Zampella   Carmine   di   interloquire   sulla  fondatezza
dell'esercizio  dell'azione e di evitare l'odierno dibattimento, che,
per   le  ragioni  sopra  evidenziate,  rappresenta  un  "costo"  non
necessario a carico dell'imputato.