IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Il  giudice,  esaminati  gli  atti  del procedimento a carico di:
Alessandrini   Piero,   Bellesini   Giancarlo,   Comparcola  Gaetano,
Governatori  Anna  Maria,  Andreozzi Sergio, Mastrangeli Ettore, Meda
Roberto,  Paparo Nunzio, Pellegrini Nunzio, Patracca Donato, Pogliani
Sergio,  Roberti  Guido,  Rocchetti  Umberto, Rosa Luciano, Spadafora
Giuseppe,  indagati  in ordine ai reati di cui agli 110, 81 cpv c.p.,
3,  legge  n. 1062/1971,  come  modificato  dall'art. 127,  d.lgs. 29
ottobre  1999,  n. 490,  416  c.p.,  648 c.p., nei quali sono persone
offese:  Fondazione  Mario  Schifano  -  nella persona del presidente
avv. Felicioni  -  Di Bello Simona, Sandano Maristella Pezzato Livio,
Butera  Filippo,  Defilippi  Gabriella,  Zaccaria  Franco,  Giugiario
Laura, Aimeri Francesco, Zaccaria Chiara, Carna' Antonio;

                           P r e m e s s o

    Che,  nell'ambito del procedimento in esame, gli addebiti elevati
a  carico  degli  indagati si sostanziano nei reati di associazione a
delinquere  finalizzata  alla  contraffazione, falsa autenticazione e
successiva  commercializzazione  di dipinti a falsa firma del pittore
Mario Schifano, deceduto nel 1998;
    Che,  in  ordine  a  tale reati, il pubblico ministero procedente
invoca:
        la   perizia   -  da  svolgersi  nelle  forme  dell'incidente
probatorio - sulla autenticita' di quadri sequestrati da ultimo e non
ancora  esaminati  nel  corso  della  perizia  gia'  espletata  nelle
medesime  forme  (all'esito  della  quale,  le  opere  di  pittura in
sequestro  sono  risultate  non  autentiche,  cfr.  relazione a firma
prof. Quintavalle);
        l'esame,  ai  sensi  dell'art. 392,  lett.  c), c.p.p., degli
indagati  Alessandrini  Piero, Bellesini Giancarlo, Andreozzi Sergio,
Meda  Roberto,  Pogliani  Sergio,  Roberti  Guido, Rocchetti Umberto,
Spadafora  Giuseppe,  in  ordine  alla responsabilita' e ai ruoli dei
coindagati;
    Che,  nelle  more  della  richiesta  sopra  indicata,  la  difesa
dell'indagato,   Alessandrini   Pietro,   ha  depositato,  presso  il
Tribunale  del  riesame, atto di appello avverso decreto del pubblico
ministero  di  reiezione  della  istanza  di restituzione dei dipinti
contraffatti,  a firma del pittore Mario Schifano, sequestrati il 9 e
il  12 maggio  2000;  che  il giudice di seconde cure - investito sia
dalla  difesa,  che  dal pubblico ministero - con ordinanza in data 8
aprile  2002,  ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 166 del decreto
legislativo  29  ottobre  1999  n. 490,  nella  parte  in cui dispone
l'abrogazione  degli  artt. 3,  4,  5,  6 e 7 della legge 20 novembre
1971,  n. 1062  anche per le opere d'arte moderna e contemporanea, in
relazione agli artt. 76 e 76, comma 1, della Costituzione;

                            O s s e r v a

    In  tale  sede,  si  impone la necessita' di devolvere alla Corte
costituzionale la medesima questione.
    Invero,  preso atto del provvedimento con cui il locale tribunale
del riesame denuncia, in via incidentale, l'incostituzionalita' delle
norme  sopra  indicate, si ritiene che la risoluzione della questione
demandata   alla   Corte  costituzionale  sia  pregiudiziale  ad  una
decisione  sulla  ammissibilita'  delle  prove richieste dal pubblico
ministero.
    1. - Esame della legislazione vigente.
    Come  rilevato  dal tribunale del riesame, appare imprescindibile
l'analisi  della  legislazione  "incriminata".  Pertanto, vengono qui
riportate integralmente le indicazioni normative sul punto (cfr. pag.
3 e ss. dell'ordinanza sopra citata), con cui si rileva che:
        "Con  legge 8 ottobre 1997, n. 352, il Parlamento ha delegato
il  Governo  "ad  emanare ... un decreto legislativo recante un testo
unico  nel  quale  siano  riunite  e coordinate tutte le disposizioni
legislative  vigenti  in  materia  di  beni culturali ed ambientali ,
fissando  il  criterio direttivo che "alle disposizioni devono essere
apportate  le  modificazioni  necessarie  per  il  loro coordinamento
formale  e  sostanziale,  nonche'  per  assicurare  il  riordino e la
semplificazione dei procedimenti (art. 1, commna 2, lett. b).
    Il  Governo,  nell'ambito  di  tale delega, ha emanato il decreto
legislativo  29  ottobre  1999, n. 490, intitolato "testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali .
    Il  testo  unico e' suddiviso in due titoli: il primo e' dedicato
ai "Beni culturali , il secondo ai "Beni paesaggistici e ambientali .
    Il  titolo  primo,  dopo  avere nell'art. 2 indicato quali sono i
"Beni  culturali  che  compongono  il  patrimonio storico e artistico
nazionale  (elencando  le  medesime  categorie  di beni gia' tutelate
dalle  precedenti  disposizioni legislative ed inserendo, nel comma 6
dell'art. 2,  la  medesima  disposizione  contenuta nell'ultimo comma
dell'art. 1,  legge  1  giugno 1939, n. 1089: "Non sono soggette alla
disciplina  di questo titolo ..., le opere di autori viventi o la cui
esecuzione  non  risalga  ad  oltre  cinquanta anni ), negli articoli
successivi  riproduce,  coordinandole  opportunamente  tra  loro,  le
disposizioni  contenute  nelle  varie  leggi di tutela del patrimonio
storico e artistico nazionale.
    Nell'art. 127,  intitolato  "Contraffazione  di opere d'arte (che
dispone  la  punizione  di  "chiunque,  al  fine  di trarne profitto,
contraffa',  altera  o  riproduce  un'opera  di  pittura,  scultura o
grafica,  ovvero  un'oggetto  di  antichita' o di interesse storico o
archeologico ovvero "pone in commercio, o detiene per farne commercio
...  come  autentici, esemplari contraffatti ... di opere di pittura,
scultura,  grafica  o  di  oggetti  di  antichita',  o  di oggetti di
interesse  storico  o  archeologico  )  riproduce,  con  la  medesima
formulazione  letterale,  gli  artt. 3,  4,  5,  6  e  7  della legge
20 novembre    1971   n. 1062,   intitolata   "Norme   penali   sulla
contraffazione od alterazione di opere d'arte .
    Per  ultimo nell'art. 166, nell'elenco delle "norme abrogate , in
quanto  inserite  nel  testo  unico, comprende anche la summenzionata
legge  n. 1062/1971, "ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e
9 ".
    2.  -  La  tesi  che riconduce nell'alveo dell'illecito penale le
condotte  di  contraffazione (e di detenzione per il commercio) delle
opere d'arte aventi meno di cinquanta anni.
    2.1.  - La difesa degli indagati sostiene che l'avvento del testo
unico  n. 490/1999 abbia provocato la depenalizzazione delle condotte
di  contraffazione  (e  di  detenzione  per il commercio) delle opere
d'arte  coeve;  e  cio', alla luce del dettato normativo dell'art. 2,
testo unico sopra cit., che al comma 6 recita "Non sono soggette alla
disciplina  di  questo titolo ... le opere di autori viventi o la cui
esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". Ritiene, quindi, che
la  richiesta  probatoria  formalizzata  dal  pubblico ministero vada
respinta  unitamente  ad  una  pronuncia  liberatoria  per  tutti gli
indagati  (cfr.  memoria  depositata dalla difesa di Governatori Anna
Maria,  avv. Roberto  Nordio  del foro di Venezia, memoria depositata
dalla   difesa   di   Alessandrini  Piero,  avv. Antonio  Forchino  e
avv. Oreste Verazzo, entrambi del foro di Torino).
    2.2.   -   Non   puo'  tacersi  che  sia  da  quest'ufficio,  con
provvedimento  de  libertate  del  28  marzo  2001,  sia  dal  locale
Tribunale  del  riesame,  con  ordinanza del 3 maggio 2001, era stata
esclusa   l'asserita   irrilevanza  penale  della  contraffazione  (e
detenzione per il commercio) di opere d'arte aventi meno di cinquanta
anni,  nonche' profili di incostituzionalita' del d.lgs. n. 490/1999,
per violazione della legge delega n. 532 del 1997.
    A  suffragio  di  tale  tesi, possono enuclearsi - in sintesi - i
seguenti argomenti.
    Si rileva che:
        a)  il  legislatore  delegato ha inteso - in modo eloquente -
far confluire l'intera disciplina della legge n. 1062/1971 (cd. legge
Pieraccini  che,  attraverso  gli  artt. 3,  4, 5, 6 e 7, mirava alla
repressione  del  cd.  falso  d'arte  a  tutela  dell'interesse  alla
regolarita' degli scambi commerciali e della fede pubblica) nel testo
unico del 1999 ed, in particolare, nell'art. 127; si tratta, infatti,
di  norma  che  richiama integralmente quanto era gia' previsto negli
artt. 3,  4,  5, 6 e 7 della legge n. 1062 del 20 novembre 1971 (come
evidenziato  nel testo del decreto legislativo n. 490/1999 pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale del 27 dicembre 1999) e che, sin dalla sua
rubrica,  contiene  un  riferimento  esplicito alla contraffazione di
opere d'arte e non gia' alla sola contraffazione di beni culturali;
        b)  il  legislatore  delegato  non si esime dallo specificare
l'oggetto  della  tutela  predisposta  -  nel  capo VII dedicato alle
sanzioni  (cfr.  dall'art. 118  all'art.  129  d.lgs.  n. 490/1999) -
adottando  il  termine  "bene  culturale" ogni qualvolta si tratti di
presidii  ben  piu'  rigorosi  a tutela del superiore interesse dello
Stato  rispetto  a  quello degli altri enti e dei privati proprietari
delle  "cose  d'interesse  storico  e artistico" che rappresentano il
patrimonio  nazionale  culturale;  allorquando - nell'art. 127 d.lgs.
sopra  citato - si discute, invece, di opere d'arte tout court, anche
quelle  d'arte  moderna  e  contemporanea,  per  le quali prevede una
tutela  volta  esclusivamente  a  contenere  - attraverso rimedi meno
pregnanti - l'esteso fenomeno del falso d'arte e il relativo mercato,
il  legislatore  adotta  il ben diverso termine di "opere di pittura,
scultura o grafica";
        c)  il  legislatore del 1999 ha inteso espressamente lasciare
inalterate  le  norme speciali che regolano i processi per i reati di
contraffazione  (e  detenzione  per  il  commercio)  di  opere d'arte
moderna  e  contemporanea:  non  e', infatti, suscettibile di diversa
interpretazione  l'art. 9  del  decreto  teste'  citato - ed escluso,
nell'art. 166,  dalla  intervenuta  abrogazione  -  che,  dopo  avere
disposto nel primo comma: "Nei procedimenti penali per i reati di cui
ai precedenti articoli ... il giudice deve (rectius: "puo'", v. Corte
cost.  24  marzo-14 aprile 1988, n. 440) avvalersi di periti indicati
dal  Ministro della pubblica istruzione", nel secondo comma aggiunge:
"Nei  casi  di  opere  d'arte  moderna  e contemporanea il giudice e'
tenuto  altresi'  ad  assumere  come testimone l'autore a cui l'opera
d'arte  sia  attribuita  o  di  cui l'opera stessa rechi la firma. Si
tratta   di   norma,   infatti,  che  -  imponendo  al  giudice,  nei
procedimenti  penali per i reati previsti dagli artt. 3, 4, 5, 6 e 7,
legge  n. 1062/1971  oggi  refluiti nell'art. 127 d.lgs. n. 490/1999,
l'audizione  quale  teste dell'autore delle opere in ipotesi d'accusa
contraffatte  - non e' compatibile con la depenalizzazione proprio di
quei  reati;  in  definitiva,  la  tecnica  di  redazione del decreto
legislativo  n. 490/99  -  che  ha previsto l'abrogazione della legge
n. 1062/1971,  la  sua  riproduzione  dell'identico  testo  letterale
nell'art. 127,  e  contestualmente  ha  fatto  salva  la norma di cui
all'art. 9  della  suddetta  legge  -  risponde ad un'unica ratio che
vuole  tuttora  in  vigore  il  regime  sanzionatorio previsto per le
condotte  di  contraffazione  (e  detenzione  per il commercio) delle
opere  d'arte  coeve.  In caso contrario, dovrebbe concludersi, ed in
modo  quantomeno  discutibile,  che  il  legislatore - pur non avendo
abrogato  espressamente  alcuna  disposizione  (ne'  quelle  refluite
integralmente  nell'art. 127, ne' quelle special-processuali previste
dall'art. 9)  e  pur  non avendo, in forza della delega conferitagli,
alcun  potere innovativo - e' pervenuto ad una modifica del contenuto
precettivo  della  legislazione  all'epoca vigente e alla conseguente
avulsione di figure criminose in esse previste;
        d)  nessuna  valenza  innovativa  e' consentito attribuire al
disposto del comma 6 dell'art. 2 del d.lgs., laddove recita "Non sono
soggette  alla  disciplina  di  questo titolo ..., le opere di autori
viventi  o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni": la
norma  richiamata,  infatti, si limita ad escludere - al pari del suo
antecedente  storico  contenuto  nell'ultimo  comma dell'art. 1 della
legge  1  giugno  1939,  n. 1089  - dalla tutela prevista per i "beni
culturali"  -  dettagliatamente  descritti nei primi cinque commi che
precedono  e  che  compongono  il  patrimonio nazionale - i manufatti
artistici  realizzati da autori viventi e, comunque, realizzati negli
ultimi cinquanta anni.
    Appare  opportuno,  per una piu' approfondita illustrazione delle
problematiche  in  esame,  richiamare integralmente le considerazioni
sviluppate  dal  tribunale  del  riesame,  nella sua ordinanza dell'8
aprile scorso.
    ".... il tribunale - sulla base di una molteplicita' di argomenti
non solo logici, ma anche letterali - aveva ritenuto: a) che in tanto
il  legislatore  delegato  del  1999 ha abrogato la legge n. 1062 del
1971,  in quanto ha trasfuso la relativa disciplina nell'art. 127; b)
che,  conseguenzialmente,  la  contraffazione  di  opere  di pittura,
scultura  e grafica contemporanee e la detenzione a fine di commercio
delle  opere  contraffatte  sono attualmente punite dall'art. 127 del
decreto legislativo n. 490/1999.
    6.1. - Del tutto pacifico in dottrina ed in giurisprudenza e' che
l'art. 3  della  legge n. 1962/1971 puniva la contraffazione di tutte
le  opere  d'arte,  sia  se  contemporanee, sia se antiche. La norma,
infatti,  parlando  di  "opera  di  pittura, scultura e grafica senza
alcuna  specificazione,  chiaramente  si riferiva a tutte le opere di
pittura, scultura e grafica, senza tenere conto della data della loro
esecuzione.
    Accanto  alle  opere  di  pittura,  scultura  e  grafica l'art. 3
menzionava  anche gli "oggetti di antichita' o di interesse storico e
archeologico  . Tenuto conto che questi ultimi oggetti - a differenza
delle  opere  d'arte contemporanee - fanno parte dei beni che gia' la
dottrina  e  le  convenzioni  internazionali dell'epoca qualificavano
"beni culturali , cio' che e' rilevante notare e' che l'art. 3 puniva
la  contraffazione  sia  di  cose  (gli  oggetti  di  antichita' o di
interesse  storico  o  archeologico)  appartenenti alla categoria dei
"beni  culturali  e  sia  di  cose  (le  opere di pittura, scultura e
grafica  contemporanee)  non  appartenenti  alla  categoria dei "beni
culturali .
    6.2.  -  Ricevuta  la  delega di riunire e coordinare in un testo
unico  tutte  (e solo) le disposizioni legislative vigenti in materia
di   beni   culturali   (ed   ambientali),  il  legislatore  delegato
nell'art. 127  ha riprodotto nell'art. 127 l'identico testo letterale
dell'art. 3  (ed  anche  quello  degli artt. 4, 5, 6 e 7) della legge
n. 1062/1971  e nell'art. 166 ha abrogato l'intera legge n. 1062/1971
(tranne gli artt. 8, secondo comma, e 9).
    Siccome,  come gia' detto, l'art. 3 aveva per oggetto non solo le
res  appartenenti  ai  beni  culturali,  ma  anche  tutte le opere di
pittura,  scultura  e  grafica  -  le  quali,  se  non  presentano un
particolare  interesse  artistico  o  storico,  certamente  non  sono
comprese  nella  categoria  dei  beni culturali - tenuto conto che la
delega,  invece,  aveva per oggetto solo i beni culturali, le ipotesi
interpretative sono due:
        1)  o si ritiene che il legislatore delegato, quando parla di
"opere  di pittura, scultura e grafica - anche se non aggiunge alcuna
specificazione - intendeva riferirsi solamente alle opere di pittura,
scultura e grafica che per il loro particolare "interesse artistico o
storico  fanno  parte  dei  beni culturali menzionati nell'art. 2 del
decreto legislativo;
        2)  o  si  ritiene  che  il legislatore delegato, in tanto ha
riprodotto   l'intero   art. 3   senza  mutare  la  sua  formulazione
letterale,  in quanto intendeva riferirsi - similmente all'art. 3 - a
tutte le opere di pittura, scultura e grafica.
    La  scelta  tra  le  due  diverse  interpretazioni  astrattamente
possibili   ha   rilievo   anche   sul   piano   della   legittimita'
costituzionale del decreto legislativo.
    Se  fosse  esatta  la  prima ipotesi, l'art. 166, che ha abrogato
l'intera   legge   del   1971,   sarebbe   di   dubbia   legittimita'
costituzionale per avere, eccedendo la delega (limitata al riordino e
coordinamento   soltanto   delle  disposizioni  in  materia  di  beni
culturali)  e,  quindi, in violazione dell'art. 76 Cost., abrogato le
disposizioni  penali  che  punivano  la contraffazione delle opere di
pittura, scultura e grafica contemporanee.
    Nel  secondo caso, invece, l'abrogazione della legge del 1971 non
sarebbe viziata da alcuna illegittimita' costituzionale, in quanto la
disciplina  penale  contenuta  nella  legge  del  1971, essendo stata
riprodotta interamente nell'art. 127, e' restata immutata.
    6.3.  -  Nell'analisi  diretta  ad  individuare  quale  delle due
opposte  interpretazioni  sia corretta, si puo' cominciare col notare
che dall'esame dei lavori preparatori non si evince alcun elemento da
cui  desumere  che  il legislatore delegato abbia avuto l'intenzione,
eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi fissati dalla legge delega,
di  abrogare  totalmente la tutela penale prevista dalla legislazione
previgente per le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee.
    La  legge  del  1971,  notasi,  era  l'unica legge che nel nostro
ordinamento  giuridico  proteggeva  in  maniera specifica le opere di
pittura,  scultura e grafica. Essa puniva non solo la contraffazione,
l'alterazione   e  la  riproduzione  di  dette  opere,  ma  anche  il
commercio,  la  detenzione  a  fine  di commercio, l'introduzione nel
territorio dello Stato, la circolazione e la falsa autenticazione ...
etc.,  delle  opere  contraffatte.  Prevedeva  anche particolare pene
accessorie:  l'interdizione  ex  art. 30 c.p.; la pubblicazione della
sentenza  di  condanna  su tre quotidiani a diffusione nazionale e la
confisca, anche in assenza di condanna, degli esemplari contraffatti.
    Non  puo',  dunque,  non destare perplessita' la tesi che ritiene
che  il legislatore delegato, pur senza manifestare espressamente una
tale  intenzione ed in violazione della legge delega, abbia soppresso
la  speciale  protezione  penale prevista dalla legge del 1971 per le
opere  di pittura, scultura e grafica, lasciandole prive di qualsiasi
tutela contro la loro contraffazione.
    6.4.  -  Vi  sono  molteplici argomenti non solo logici, ma anche
letterali  da  cui  si  deduce  che  il  legislatore  delegato, lungi
dall'avere l'intenzione di abrogare il complesso precettivo contenuto
nella  legge  del  1971,  aveva  l'intenzione di lasciare immutata la
protezione  penale  da  dette  disposizioni  prevista per le opere di
pittura, scultura e grafica contemporanee.
    Innazitutto  non e' senza significato che il legislatore delegato
nel  riprodurre nell'art. 127 del decreto legislativo gli artt. 3, 4,
5,  6  e 7 della legge del 1971, abbia lasciato del tutto immutata la
loro formulazione letterale.
    Se si tiene presente che al legislatore delegato era ben noto che
le  disposizioni della legge del 1971, data la formulazione letterale
del  loro  testo,  chiaramente  si  riferivano  a  tutte  le opere di
pittura, scultura e grafica e che in tale maniera erano pacificamente
interpretate  da  consolidata giurisprudenza e dalla dottrina, appare
privo  di  adeguata  logica ritenere che, se vi fosse stata veramente
l'intenzione  di limitare la loro applicazione ai beni culturali come
sostenuto  dalla  difesa - non sia stata apportata alcuna modifica al
loro  testo,  per  l'ovvia  ragione  che  il legislatore delegato non
poteva non comprendere che, riproducendo l'identico testo della legge
del  1971,  l'interpretazione  dell'art. 127  non  poteva  che essere
identica.
    6.5.   -   L'interpretazione   letterale  e,  ancor  piu'  quella
logico-sistematica,    dell'art. 127    confermano   che   a   questa
disposizione  non  puo'  essere  attribuito un significato diverso da
quello che la giurisprudenza e la dottrina pacificamente attribuivano
all'art. 3 della legge del 1971.
    Si  puo'  cominciare  col  notare  che  in  tutte  le fattispecie
incriminatrici  contenute nel capo VII, intitolato "Sanzioni penali ,
del  titolo primo del d.lgs. n. 490/1999 (da art. 118 ad art. 129) il
legislatore   delegato,  per  indicare  l'oggetto  tutelato,  usa  le
espressioni  "beni  culturali  indicati nell'art. 2 (artt. 118, 119 e
125) "beni culturali dichiarati a norma dell'art. 6 (art. 120), "beni
culturali   indicati  nell'art. 55  (art. 122),  "cose  di  interesse
artistico,     storico,     archeologico,     demo-etno-antropologico
bibliografico,  documentale  o  archivistico, nonche' quelle indicate
nell'art. 3 (art. 123).
    Solo   nell'art. 127   il   legislatore  delegato,  per  indicare
l'oggetto  tutelato, non solo non usa l'espressione "bene culturale ,
ne'  menziona  alcun  collegamento  tra  l'oggetto  tutelato e i beni
culturali  disciplinati  nei capi precedenti, ma si limita a parlare,
cosi'  come  l'art. 3  della  legge  del  1971, genericamente e senza
alcuna specificazione, di "opera di pittura, scultura o grafica .
    Applicando i tradizionali canoni ermeneutici (attribuendo, cioe',
alla  legge  - come prescrive l'art. 12 preleg. - il "senso ... fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse  ),  nessun  dubbio  puo'  esservi  che  l'espressione "opera di
pittura,  scultura  e grafica ; senza alcuna altra specificazione, si
riferisca  a  tutte le opere di pittura, scultura o grafica, anche se
contemporanee,   nella  stessa  maniera  che  tutte  dette  opere  si
riferiva,  secondo la pacifica interpretazione della dottrina e della
giurisprudenza,  l'identica  espressione  contenuta nell'art. 3 della
legge del 1971.
    L'essersi il legislatore delegato riferito all'ampio genus "opera
di  pittura,  scultura  o grafica , invece che alla species "opera di
pittura,  scultura  o  grafica indicate nell'art. 2 (ovvero "opera di
pittura,  scultura  o  grafica di interesse artistico o storico ) non
consente   di   ritenere   che  l'art. 127  si  riferisca  solo  alla
contraffazione  delle  opere  che  per il loro "interesse artistico o
storico sono da qualificarsi "beni culturali .
    Ne'  puo'  ritenersi  che  il  legislatore delegato nell'art. 127
abbia  usato  l'espressione  "opera di pittura, scultura o grafica in
maniera  impropria, in considerazione che lo stesso legislatore negli
articoli   immediatamente   precedenti   utilizza   correttamente  le
espressioni   "beni  culturali  indicati  nell'art. ...  e  le  altre
similari gia' esaminate. Il fatto che solo nell'art. 127, modificando
la  terminologia  adottata nelle precedenti disposizioni, ne utilizzi
una  che  in  nessun modo puo' essere ritenuta limitata soltanto alla
categoria  dei  "beni  culturali  (e  identica  -  notasi  - a quella
contenuta  nel  previgente art. 3), e' sicuro indice da cui si desume
che  non  intendeva riferirsi solo alla contraffazione delle opere di
pittura,  scultura  o  grafica  che per il loro particolare interesse
storico  o  artistico  sono  da  qualificarsi  "beni culturali , ma -
similmente  al  previgente  art. 3  -  alla  contraffazione di tutte,
nessuna esclusa, opere di pittura, scultura o grafica.
    6.6. - Ma v'e' di piu'.
    L'art. 166 del decreto legislativo abroga l'intera legge del 1971
"ad  eccezione degli artt. 8, secondo comma, e 9 L'art. 9 della legge
del  1971,  dopo  avere  disposto  nel primo comma: "Nei procedimenti
penali  per i reati di cui ai precedenti articoli ... il giudice deve
(rectius:  `puo'',  v.  Corte  cost. 24 marzo-14 aprile 1988, n. 440)
avvalersi di periti indicati dal Ministro della pubblica istruzione ,
nel  secondo  comma  aggiunge:  "Nei  casi  di opere d'arte moderna e
contemporanea   il  giudice  e'  tenuto  altresi'  ad  assumere  come
testimone  l'autore  a  cui  l'opera  d'arte  sia attribuita o di cui
l'opera stessa rechi la firma .
    L'avere  il  decreto  legislativo espressamente mantenuto in vita
l'art. 9 della legge del 1971 - che statuisce che, nei processi per i
reati  di  cui  agli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 che hanno ad oggetto "opere
d'arte  moderna  e  contemporanea  ,  il  giudice  deve assumere come
testimone l'autore cui l'opera e' attribuita - indica che, secondo il
legislatore  delegato, pure dopo l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6
e  7, i reati da essi previsti (vale a dire quelli di contraffazione,
alterazione  e  riproduzione  di  un'opera  di  pittura,  scultura  e
grafica,  sia  antica  e  sia  moderna,  nonche' quelli di commercio,
detenzione  per  farne  commercio,  introduzione nel territorio dello
Stato,  circolazione, falsa autenticazione ... etc. di siffatte opere
contraffatte)  ancora sussistono nel nostro ordinamento giuridico. Se
cosi'   non   fosse,   infatti,   inutile   sarebbe  stato  escludere
espressamente  l'art. 9 dalla disposta abrogazione dell'intera legge,
per  l'ovvia  ragione che - se i reati di contraffazione, e gli altri
reati  summenzionati,  di  opere  d'arte  moderna e contemporanea non
sussistessero  piu'  -  l'art. 9,  che si riferisce soltanto a questi
reati, non sarebbe applicabile in alcun caso.
    6.7.  - Contro le conclusioni cui si e' giunti dall'analisi sulla
omessa  abrogazione dell'art. 9, la sezione III penale della Corte di
cassazione  -  in  una  sentenza  in  cui  accoglie l'interpretazione
restrittiva  dell'art. 127  (quella  secondo  cui questa disposizione
punisce  esclusivamente  la contraffazione delle opere pittoriche che
siano anche beni culturali) - osserva che e' "inconferente ai fini di
una  diversa  interpretazione  dell'ambito di applicazione del citato
art. 127  la  rilevata  omessa  abrogazione  dell'art. 9  della legge
1062/1971,   stante   la   natura  esclusivamente  processuale  della
disposizione citata e stante l'applicabilita' dell'art. 9 nei giudizi
concernenti la contraffazione di opere moderne "per l'accertamento di
reati diversi da quelli previsti dal testo unico, quale ad esempio il
delitto di truffa (Cass. sez. pen. III, 18 settembre-20 ottobre 2001,
ric. Patara Augusto).
    Nonostante  l'autorevolezza  dell'organo  che  l'ha  espressa, la
suddetta tesi non appare condivisibile.
    Che l'art. 9 sia una norma processuale e che le norme processuali
-  almeno  di  regola  - siano ininfluenti sull'interpretazione delle
norme sostanziali e' indubbio.
    Ma la questione, nel caso che si esamina, e' diversa.
    Il  problema  da risolvere nell'attuale procedimento penale e' se
la  contraffazione  di  un'opera  d'arte  moderna e la detenzione per
farne  commercio  di  siffatte opere contraffatte, gia' previste come
reato  dall'art. 3  della  legge del 1971 (abrogato dall'art. 166 del
d.lgs. 490/1999), siano ancora oggi previste come reato dall'art. 127
del   decreto  legislativo  (che  riproduce  integralmente  il  testo
letterale dell'art. 3).
    Siccome  l'abrogazione  della  legge  del  1971,  la riproduzione
nell'art. 127  dell'identico  testo  letterale dell'art. 3 e l'omessa
abrogazione  dell'art. 9 della legge del 1971 sono state disposte con
un  unico atto normativo (il decreto legislativo n. 490/1999), appare
logico  ritenere  che  le  tre  suindicate  disposizioni  abbiano una
identica  ratio.  Ne  consegue  che,  dopo  avere esaminato quale sia
l'interpretazione  letterale  e  logico-sistematica dell'art. 127, al
limitato  fine  di accertare se l'intenzione del legislatore delegato
sia conforme a detta interpretazione, non puo' ritenersi inconferente
l'analisi  sulla  intenzione  del  legislatore  sottesa  alla  omessa
abrogazione dell'art. 9.
    In  questo  ambito,  dal  fatto che il legislatore delegato abbia
mantenuto  in  vita l'art. 9 (il quale - notasi - detta la disciplina
processuale  da applicare ai reati previsti dall'art. 127 nel caso in
cui  abbiano  ad oggetto la contraffazione di "opere d'arte moderna e
contemporanea  )  non  puo'  non  dedursi che, secondo il legislatore
delegato, l'art. 127 punisce anche la contraffazione di "opere d'arte
moderna  e  contemporanea  . Se cosi' non fosse, infatti, si dovrebbe
ritenere  che  l'art. 9  (che  si  riferisce  esclusivamente ai reati
previsti dall'art. 127) sia una norma inutile e pleonastica in quanto
non applicabile ad alcun caso.
    6.8.   -  La  sezione  terza  della  Corte  di  cassazione  nella
summenzionata   sentenza,  allo  scopo  di  giustificare  la  mancata
abrogazione  dell'art. 9  ed  individuare  i  casi  cui si riferisce,
assume che - relativamente alle opere d'arte contemporanea - l'art. 9
e'  applicabile  "per  l'accertamento  di  reati  diversi  da  quelli
previsti dal testo unico, quale ad esempio il delitto di truffa .
    L'assunto non appare condivisibile.
    L'art. 9   non   parla   genericamente  di  reati  relativi  alla
contraffazione  di  opere d'arte moderna, ma il suo incipit specifica
"Nei  procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli ,
e  continua  "nei  casi  di  opere  d'arte moderna e contemporanea il
giudice  e'  tenuto  .... , dal che si desume che la disposizione non
abrogata  si  riferisce  espressamente  ed  esclusivamente  ai  reati
previsti dai "precedenti articoli .
    Siccome i reati previsti nei precedenti articoli della legge 1971
sono:  la contraffazione, l'alterazione e la riproduzione di un'opera
di  pittura,  scultura e grafica, anche se moderna (art. 3, comma 1);
il  commercio,  la  detenzione  per  farne  commercio  e  la messa in
commercio  di siffatte opere contraffatte (art. 3, comma 2); la falsa
autenticazione   delle   opere   contraffatte   (art. 4   n. 1);   le
dichiarazioni,  le perizie, le pubblicazioni, l'apposizione di timbri
ed  etichette  e  l'uso  di  qualsiasi altro mezzo che accrediti come
autentiche  le  opere  contraffatte  (art. 4,  n. 2), significa che a
questi  specifici  reati (e non a quelli generali previsti dal codice
penale) che il legislatore delegato, nel momento in cui nell'art. 166
del   decreto  legislativo  ha  espressamente  escluso  l'abrogazione
dell'art. 9 della legge del 1971, intendeva riferirsi.
    Ora, tenuto conto che tutti questi delitti attualmente nel nostro
ordinamento  giuridico  sono  previsti  dall'art. 127 (notasi che non
esiste  nel  nostro ordinamento alcuna altra disposizione che punisca
tutte  le  suindicate figure criminose), appare logico dedurre che il
legislatore  delegato in tanto ha riprodotto nell'art. 127 l'identico
testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 ed ha
omesso  di  abrogare  l'art. 9 della medesima legge, in quanto voleva
lasciare  immutate  le  previdenti fattispecie incriminatici a tutela
delle opere d'arte moderna.
    Se  cosi'  non  fosse,  si  dovrebbe  ritenere che il legislatore
delegato,  pur  riproducendo nell'art. 127 l'identico testo letterale
degli  artt.  3,  4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 e pur omettendo di
abrogare  l'art. 9  della  medesima legge, abbia voluto modificare il
contenuto   precettivo  delle  disposizioni  che  riproduceva  e  non
abrogava, escludendo dalle figure criminose da esse previste le opere
d'arte  moderna.  Il  che - data la singolare tecnica legislativa con
cui  sarebbe  stata  attuata siffatta rilevante modifica (dalla quale
consegue  la depenalizzazione di parte delle attivita' finalizzate al
fraudolento  commercio  di opere d'arte moderna contraffatte) - rende
questa tesi scarsamente sostenibile.
    7. - Il comma 6 dell'art. 2, del decreto legislativo n. 490/1999.
    A  sostegno della tesi che esclude l'applicabilita' dell'art. 127
alle  opere  d'arte  moderna  e  contemporanea la sezione terza della
Corte   di   cassazione  e  la  difesa  -  pur  non  contestando  che
l'interpretazione  letterale  appare  favorevole all'opposta tesi che
ritiene  che questa disposizione si riferisca anche alle opere d'arte
moderna  e  contemporanea - adducono, in realta', un unico argomento:
la  presenza  nel  decreto  legislativo  del  comma 6 dell'art. 2 che
dispone  "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo, a norma
del  comma  1,  lettera  a),  le  opere  di  autori  viventi o la cui
esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni .
    Si  assume  che  siccome l'art. 127 e' contenuto nel capo VII del
titolo primo, la sanzione penale da esso prevista, per precisa scelta
del  legislatore  delegato,  non  puo'  essere  applicata  alle opere
pittoriche di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre
cinquanta anni.
    7.1.  -  Per  valutare  la  suddetta  tesi si puo' cominciare col
notare   che   in  essa  sono  individuabili  due  diversi  indirizzi
interpretativi  che  giungono  a  sostenere  due  diversi  ambiti  di
applicazione del comma 6 dell'art. 2.
    Il  primo  indirizzo,  dando  rilievo  al  solo  dato  letterale,
sostiene  che  dal  comma  6  consegue  che l'art. 127 e' applicabile
soltanto  alle  opere  d'arte  la  cui  esecuzione  risalga  ad oltre
cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi.
    Il  secondo  indirizzo (sostenuto anche dalla sezione terza della
Corte  di  cassazione nella sentenza gia' citata) - dal rilievo che i
precedenti  cinque commi dell'art. 2 hanno la funzione di individuare
le  cose  cui  per  l'interesse  artistico,  storico,  archeologico o
demo-etno-antropologico  che  presentano  deve  essere  attribuita la
qualifica  di  "beni  culturali  e sono assoggettate alla particolare
disciplina  vincolistica prevista dal titolo primo - deduce che anche
il  sesto  comma  si  riferisce  ai  beni  culturali.  Il  comma 6 ha
unicamente  la  funzione  di  limitare l'ambito di operativita' della
classificazione contenuta nei commi precedenti, statuendo che le cose
immobili  e  mobili elencate nei primi cinque commi non sono soggette
alla  disciplina del titolo primo se i loro autori siano viventi o la
loro esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
    Da  questo  secondo  indirizzo  consegue  che  l'art. 127  non e'
applicabile  a  tutte  le  opere  d'arte la cui esecuzione risalga ad
oltre  cinquanta  anni  e  i  cui autori non siano piu' viventi (come
sostiene   l'indirizzo  precedentemente  esaminato),  ma  solo  -  ed
esclusivamente  -  alle  opere  d'arte  cui  il  comma  1 dell'art. 2
attribuisce  la  qualifica  di  bene  culturale ( e la cui esecuzione
risalga  ad  oltre  cinquanta  anni  e  i  cui  autori non siano piu'
viventi).
    7.2.  -  Osserva  il  collegio  che la tesi sostenuta dal secondo
indirizzo  interpretativo esaminato, nella parte in cui assume che il
sesto   comma  dell'art. 2  si  riferisce  alle  res  menzionate  nei
precedenti cinque commi, e' condivisibile.
    E'  indubbio  che  l'intero  art. 2 ha la funzione di individuare
quali   sono   le  cose  che  per  l'"interesse  artistico,  storico,
archeologico    e   demo-etno-antropologico   che   presentano   sono
qualificati  "beni  culturali  che compongono il patrimonio storico e
artistico  nazionale  (e)  sono  tutelati  secondo le disposizioni di
questo titolo, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione .
    L'art. 2,     intitolato    "Patrimonio    storico,    artistico,
demo-etno-antropologico  archeologico,  archivistico, librario , dopo
avere  nel  primo  comma disposto "Sono beni culturali disciplinati a
norma  di  questo  titolo:  e  (dopo i due punti), elencato nei commi
successivi  le  varie  categorie  di  beni  culturali,  nel sesto (ed
ultimo)  comma  aggiunge "Non sono soggette alla disciplina di questo
titolo...le  opere  di autori viventi o la cui esecuzione non risalga
ad oltre cinquanta anni .
    Chiaro  e',  dunque, che il comma 6, come i cinque precedenti, si
riferisce  ai  beni culturali. Esso si limita a statuire che alle res
menzionate  nei  commi  precedenti  la disciplina prevista nel titolo
primo per tutti i beni culturali non e' applicabile nel caso in cui i
loro  autori siano ancora viventi o la loro esecuzione non risalga ad
oltre cinquanta anni.
    Che  il comma sesto si riferisca solo ed esclusivamente alle cose
menzionate  nei  precedenti  cinque  commi  (vale  a dire: alle "cose
immobili  e  mobili  che  per  l'interesse  storico  e  artistico che
presentano  ...  sono  beni culturali ) deriva oltre che dal locus in
cui  la  disposizione  e' inserita (nell'art. 2 che ha la funzione di
individuare  le res che, presentando detto interesse, sono sottoposte
alla   disciplina   prevista  dal  titolo  primo)  e  dai  precedenti
legislativi  (nel  comma 6 il legislatore delegato riproduce l'ultimo
comma  dell'art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, che ugualmente
si  riferiva solo alle "cose d'interesse artistico o storico elencate
nei commi precedenti), anche da argomenti logici.
    Ad  accogliere  l'opposta  tesi,  che  assume  che  il comma 6 si
riferisce a tutte le cose immobili e mobili la cui esecuzione risalga
ad  oltre  cinquanta anni, si giungerebbe all'assurda conseguenza che
qualsiasi  cosa,  dopo la morte dell'autore, trascorsi cinquanta anni
dalla  sua  esecuzione,  sarebbe  sottoposta  alla  rigida disciplina
vincolistica  prevista dal titolo primo del decreto legislativo. Ora,
se  si  tiene presente che detta disciplina fortemente limitativa del
diritto  di  proprieta'  sul  piano  costituzionale  e'  giustificata
dall'essere   i  beni  culturali  considerati  parte  integrante  del
"patrimonio  storico  e  artistico  della  Nazione  (art. 9 Cost. e 1
d.lgs.  490/1999),  ben  si comprende che non tutte le cose mobili ed
immobili,  ne'  tutte  le  opere di pittura, scultura o grafica, dopo
cinquanta  anni  dalla  loro  esecuzione  possono  essere considerate
appartenere  al  "patrimonio  storico  e artistico della Nazione - e,
quindi,  essere sottoposte alla disciplina prevista per le cose che a
tale  patrimonio  appartengono  - ma solo quelle cose e quelle opere,
elencate  nei  primi cinque commi dell'art. 2, che per il particolare
"interesse  storico e artistico che presentano sono qualificate "beni
culturali .
    7.3. - Stabilito che il sesto comma dell'art. 2 si riferisce solo
alle cose cui i precedenti cinque commi attribuiscono la qualifica di
"bene culturale , consegue che esso sul problema oggetto dell'attuale
procedimento  (vale  a  dire:  se  la  contraffazione  di un'opera di
pittura  moderna  -  non  qualificabile,  ai  sensi dell'art. 2, bene
culturale  -  sia  o  no  assoggettata  alle sanzioni penali previste
dall'art. 127) e' del tutto ininfluente.
    Gia'  si  e'  detto  che  due  sono  i  possibili  significati da
attribuire  alla  espressione  "opere  di pittura, scultura o grafica
contenuta  nell'art. 127:  o  si  ritiene,  secondo l'interpretazione
accolta  dalla  sezione  terza della Corte di cassazione, che essa si
riferisca  esclusivamente  alle  opere di pittura, scultura o grafica
qualificabili,  ai  sensi dell'art. 2, "beni culturali , o si ritiene
che  essa, non contenendo alcuna specificazione, si riferisca a tutte
le  opere  di  pittura,  scultura  o  grafica, comprese quelle d'arte
moderna e contemporanea.
    Ebbene,  nel primo caso, l'art. 127 non e' applicabile alle opere
di  pittura moderna, non per la presenza del comma 6, ma in quanto le
opere di pittura moderna e contemporanea non sono beni culturali; nel
secondo   caso,   il   comma  6  e'  irrilevante  sull'applicabilita'
dell'art. 127  alle  opere  di  pittura  moderna  e  contemporanea in
considerazione   che  esso  si  riferisce  solo  alle  opere  cui  e'
attribuita dall'art. 2 la qualifica di bene culturale.
    Nell'uno  e  nell'altro  caso  la  soluzione  del  problema se la
contraffazione  di  un'opera d'arte moderna o contemporanea sia o non
sia  punibile,  ai  sensi dell'art. 127, non dipende, come ritiene la
sezione terza della Corte di cassazione, dal sesto comma dell'art. 2,
ma - esclusivamente - dall'interpretazione del medesimo art. 127.
    Nessun   dubbio,   infatti,   puo'   esservi   che,   accogliendo
l'interpretazione   secondo  cui  l'espressione  "opera  di  pittura,
scultura  o  grafica  si riferisca alle opere d'arte qualificate beni
culturali,    la   contraffazione   di   un'opera   d'arte   moderna,
indipendentemente   dal  comma  6,  non  sarebbe  punibile  ai  sensi
dell'art. 127;  se - invece - si accogliesse l'altra interpretazione,
secondo  cui  la  suddetta espressione si riferisce alle opere d'arte
moderna, la contraffazione di un'opera d'arte moderna o contemporanea
sarebbe  certamente  punibile, nonostante la presenza del comma 6, ai
sensi  dell'art. 127. Su detta punibilita', notasi, nessuna influenza
puo'  essere attribuita al sesto comma dell'art. 2, in considerazione
che  esso  si  riferisce  ai  beni  culturali e non alle opere d'arte
moderna e contemporanea che non sono beni culturali.
    Siccome   gia'   si   e'   detto  nei  paragrafi  precedenti  che
dall'interpretazione  letterale, logico-sistematica e dall'intenzione
del  legislatore  delegato  si  evince  che  l'espressione  contenuta
nell'art. 127  "opera  di  pittura, scultura o grafica , senza alcuna
aggettivazione, si riferisce a tutte le opere d'arte, comprese quelle
d'arte   moderna   o  contemporanea,  il  tribunale  ritiene  che  la
contraffazione   di   un'opera   di   pittura   moderna,   che  prima
dell'emanazione  del  d.lgs. n. 490/1999 era punita dall'art. 3 della
legge  1062/71,  attualmente  sia  punita  dall'art. 127 del suddetto
decreto  che  riproduce  integralmente l'identico testo letterale del
previdente art. 3".
    3.   -   La   tesi   sulla   attuale   irrilevanza  penale  della
contraffazione (e detenzione per il commercio) di opere d'arte aventi
meno di cinquanta anni.
    Come   gia'   anticipato,   secondo   la  difesa  degli  indagati
(Governatori Anna Maria e Alessandrini Pietro):
        l'art. 3  della legge 1062/1971, che puniva la contraffazione
delle  opere  contemporanee  di pittura, scultura o grafica e la loro
detenzione  a  fine  di  commercio,  e'  stato espressamente abrogato
dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999;
        l'art. 127   di   detto   decreto,  pur  avendo  la  medesima
formulazione  letterale dell'abrogato art. 3, non e' applicabile alle
opere  d'arte  contemporanee  in  quanto l'art. 2 comma 6 del decreto
legislativo  limita  la  disciplina  del  titolo primo alle opere che
hanno oltre cinquanta anni;
        di  conseguenza nel nostro ordinamento giuridico non esistono
piu' i reati di contraffazione di opere artistiche contemporanee, ne'
quelli  di  commercio e di detenzione a fine di commercio di siffatte
opere.
    Va  evidenziato che sia nella giurisprudenza di merito, che nella
giurisprudenza    di    legittimita'    si    registra    un'uniforme
interpretazione che vuole non piu' previste dalla legge come reato le
condotte di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea
ed il commercio degli esemplari contraffatti.
    In  tal  senso  la  sezione terza della Corte di cassazione (gia'
citata)   che   ha   escluso  l'applicabilita'  dell'art. 127  d.lgs.
n. 490/1999  alle  opere  d'arte moderna e contemporanea; si conclude
nel senso di una depenalizzazione delle condotte di contraffazioni di
tali   opere   richiamando   il  testo  dell'art. 2  comma  6  d.lgs.
n. 490/1999,  che  detta "Non sono soggette alla disciplina di questo
titolo,  a norma del comma 1, lettera A, le opere di autori viventi o
la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni".
    Si  sostiene, in particolare, che siccome l'art. 127 e' contenuto
nel cap VII del titolo primo, la sanzione penale da esso prevista non
puo'  essere  applicata  alle opere pittoriche di autori viventi o la
cui  esecuzione  non risalga ad oltre cinquanta anni (cfr. Cass. III,
18  settembre - 20 ottobre 2001, ric. Patara Augusto; ricorso avverso
un'ordinanza  con cui il Tribunale del riesame di Roma aveva respinto
l'istanza  di  restituzione  di quadri contraffatti del pittore Mario
Schifano).
    Vanno  ricordate,  inoltre,  le  seguenti  pronunce di giudici di
merito conformi al suddetto indirizzo:
        Ordinanza  del  Tribunale del riesame di Roma n. 625/2001 del
13  dicembre  2001, che ha annullato il decreto di sequestro di opere
di pittura a falsa firma Mario Schifano disposto dalla procura presso
il suddetto Tribunale;
        Sentenza  del  Tribunale  di Milano, sezione 6 penale, del 18
gennaio  2002,  relativa  alla  contraffazione  di opere dell'artista
Michele  Cascella, deceduto nel 1989, di assoluzione perche' il fatto
non e' previsto dalla legge come reato;
        Sentenza   del   Tribunale  di  Ferrara  n. 550/2001  dell'11
dicembre  2001, pur sempre in ordine alla contraffazione e detenzione
a fini di commercio di c.d. falsi Schifano, di assoluzione perche' il
fatto non e' previsto dalla legge come reato.
(cfr.  provvedimenti  allegati  alla  memonia depositata dalla difesa
Governatori, avv. Nordio)
    L'argomento  e'  unico: l'art. 2, comma 6 del d.lgs. n. 490/1999,
in  relazione all'art. 127 dello stesso provvedimento legislativo, ha
ristretto  rispetto alla pregressa disciplina - ex artt. 3, 4, 5, 6 e
7  della  legge 1062 del 1971 - l'oggetto materiale dei delitti presi
in  considerazione,  escludendo  dal  loro ambito di applicazione "le
opere  di  autori  viventi  o  la cui esecuzione non risalga ad oltre
cinquanta anni".
    4.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
p.m.
    Il  pubblico  ministero,  sin  dalla  sua  richiesta di incidente
probatorio,  paventava  profili  di  illegittimita' costituzionale in
ordine   alla   interpretazione   dell'art. 127   d.lgs.  n. 490/1999
sostenuta  dalla  difesa  e condivisa dall'attuale orientamento della
sezione   terza   della   Corte   di  cassazione  e  da  parte  della
giurisprudenza  di  merito.  Formalizzava,  poi,  in  sede di appello
innanzi   al   locale   tribunale   del   riesame   la  questione  di
incostituzionalita'.
    A tal proposito, rileva il tribunale del riesame:
        "Secondo  il  p.m.,  siccome  la  legge  delega attribuiva al
Governo  esclusivamente il potere di riunire e coordinare in un testo
unico   le  disposizioni  legislative  vigenti  in  materia  di  beni
culturali, il decreto legislativo emanato in attuazione della delega,
nella  parte  in  cui  ha  abrogato le fattispecie criminose previste
dagli  artt. 3, 4, 5, 6, e 7 della legge 1062/71, relative anche alla
contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, e' viziato
- in relazione agli artt. 76 e 77, comma 1, Cost. - da illegittimita'
costituzionale per un duplice ordine di ragioni:
          a)  in  quanto  la  delega  aveva  ad  oggetto  solo i beni
culturali  e  non  le  opere d'arte moderna e contemporanea, le quali
certamente non possono essere qualificate "beni culturali ;
          b)  in  quanto  la  delega  autorizzava  il  Governo solo a
riunire  e coordinare le disposizioni legislative vigenti, e non gia'
ad  abrogare interamente la protezione penale da esse prevista per le
opere d'arte moderna e contemporanea.
    La  questione  sollevata  dal  p.m.,  a  parere del Tribunale, e'
fondata.
    La  locuzione  "beni culturali , adoperata dalla legge delega, ha
nel nostro ordinamento giuridico un preciso, pacifico, consolidato ed
univoco significato.
    Gia'   la   "Commissione   di   indagine   per  la  tutela  e  la
valorizzazione   delle   cose   d'interesse   storico,  archeologico,
artistico  e  del  paesaggio  istituita  con  la legge 26 aprile 1964
n. 310   (nota,  dal  nome  del  suo  presidente,  come  "Commissione
Franceschini  )  da'  una  definizione  giuridica  unitaria  dei beni
culturali,  cosi'  articolata  "Appartengono  al patrimonio culturale
della  Nazione  tutti  i  beni  aventi  riferimento alla storia della
civilta'.   Sono   assoggettati   alla  legge  i  beni  di  interesse
archeologico,    storico,   artistico,   ambientale   e   paesistico,
archivistico   e   librario,  ed  ogni  altro  bene  che  costituisca
testimonianza  materiale  avente valore di civilta' . La legislazione
successiva  recepisce  i  capisaldi  di  questa definizione ed usa la
locuzione "beni culturali sempre in relazione ai beni che per il loro
particolare  interesse  storico,  artistico,  etc.  costituiscono una
testimonianza  della  storia  della  civilta'  e,  proprio per questa
ragione,  si ritengono appartenere al patrimonio della Nazione (v. ad
es.,  il d.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805 "Organizzazione del Ministero
per  i  beni  culturali e ambientali e l'art. 48 del d.P.R. 24 luglio
1977, n. 616).
    Sono  certamente  questi  i  beni  cui  la  legge 8 ottobre 1997,
n. 352, si riferisce quando, nell'individuare - ai sensi dell'art. 76
Cost. - l'oggetto della delega, autorizza il Governo "ad emanare ....
un  decreto  legislativo  ....  nel  quale siano riunite e coordinate
tutte  le  disposizioni  legislative in materia di beni culturali . E
che  il  legislatore  delegato abbia inteso bene l'oggetto e i limiti
della   delega   e'  provato  dalla  considerazione  che  il  decreto
legislativo,  dopo avere nell'art. 1 indicato l'oggetto della materia
disciplinata  ("I beni culturali che compongono il patrimonio storico
e artistico nazionale sono tutelati secondo le disposizioni di questo
titolo,  in attuazione dell'art. 9 della Costituzione ) e nell'art. 2
(intitolato: "Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico,
archeologico,   archivistico,  librario  ),  che  elencato  le  varie
categorie  di  beni  culturali  che,  per  essere testimonianza della
storia  della civilta', "sono disciplinati a norma di questo titolo ,
in   tutti   i   successivi   articoli  del  titolo  primo  riproduce
esclusivamente    le    disposizioni   contenute   nella   previgente
legislazione  in  tema  di  cose  di  interesse  storico,  artistico,
archeologico, etc.
    Stabilito che:
        a) la legge delega aveva per oggetto solo i beni culturali;
        b)  gli  artt. 3,  4,  5, 6 e 7 della legge del 1971 punivano
(anche) la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea;
ad accogliere l'interpretazione sostenuta dalla difesa, seguita anche
dalla   sezione  terza  della  Corte  di  cassazione  -  secondo  cui
l'art. 127 del decreto legislativo, pur riproducendo l'identico testo
letterale  degli  art. 3,  4,  5,  6  e  7  della  legge del 1971, si
riferisce  esclusivamente alle opere d'arte che l'art. 2 del medesimo
decreto  qualifica  beni  culturali  -  ne consegue che l'art. 166 di
detto  decreto,  nella parte in cui abroga totalmente gli artt. 3, 4,
5,  6  e  7  della  citata  legge del 1971, e' di dubbia legittimita'
costituzionale  per avere - eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi
fissati nella delega - abrogato le fattispecie incriminatici previste
in tema di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea,
materia per la quale il Governo non aveva ricevuto alcuna delega".
    Sulla  scorta delle considerazioni sopra riportate, si ritiene di
poter  condividere e, quindi, di far propria la questione in tal modo
proposta.  Non  e',  infatti,  revocabile  in  dubbio che la ritenuta
abrogazione  della  disciplina  dettata dalla legge n. 1062/71 per le
opere  d'arte moderna e contemporanea, si sostanzia in un eccesso dei
poteri  fissati  per  il  legislatore  del  1999  con la legge delega
n. 352/1997   -   sia  nell'oggetto,  che  nelle  finalita'  di  mero
coordinamento   -  e,  nel  contempo,  in  una  lesione  del  dettato
costituzionale compendiato negli artt. 76 e 77 comma 1 Cost.
    L'esito positivo del giudizio di semplice "delibazione" richiesto
al  giudice a quo ai sensi dell'art. 53 comma secondo legge n. 87/53,
induce a disporre il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
    5.  - La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
nell'ambito del presente procedimento.
    Puo'  definirsi  di palmare evidenza la rilevanza della questione
di costituzionalita' in trattazione ai fini della decisione di cui e'
investito quest'ufficio.
    Se  e' vero, infatti, che a fronte di una richiesta di assunzione
di prove - da assumersi, in via anticipata in previsione di un futuro
dibattimento,    nelle   forme   dell'incidente   probatorio   -   e'
indispensabile  una  verifica  circa  la  ipotizzabilita'  dei  reati
dedotti  in contestazione dal pubblico ministero, e' altrettanto vero
che  pregiudiziale a tale pronuncia appare la verifica di conformita'
a  costituzione  delle  norme  che,  nel caso di specie, si ritengono
applicabili.
    6.  -  L'ammissibilita' della questione di legittimita' in ambito
penale.
    Ne'  puo'  dirsi ostativa alla questione sottoposta al vaglio del
giudice  costituzionale,  la  riserva  di legge prevista dall'art. 25
comma 2 Cost., laddove enuncia il principio secondo cui "nessuno puo'
essere  punito  se  non in forza di una legge entrata in vigore prima
del fatto commesso".
    Non  si  invoca, infatti, una pronuncia additiva di nuove ipotesi
di  reato,  bensi' una declaratoria di incostituzionalita' di un atto
normativo  del  Governo  (il decreto legislativo n. 490/1999) che, in
assenza  di  uno  specifico  mandato del Parlamento ed, in violazione
degli artt. 76 e 77 comma 1 Cost., ha abrogato una legge.
    Si richiama a tal proposito l'ordinanza del tribunale del riesame
e l'efficace l'esempio ivi descritto:
        "Innanzitutto  si  deve  rilevare  che il caso che si esamina
riguarda  un  decreto  legislativo che, disponendo in una materia del
tutto  estranea a quella indicata dalla legge delega, ha abrogato una
legge.
    In  questa  ipotesi, il tribunale ritiene che nessuna preclusione
derivi dal comma 2 dell'art. 25 Cost. alla eventuale dichiarazione di
incostituzionalita'  del decreto legislativo, per l'ovvia ragione che
anche  dopo  l'intervento della Corte costituzionale si continuerebbe
ad  essere  puniti  "in  forza  di  una  legge  (in forza della legge
illegittimamente abrogata).
    Il  comma 2 dell'art. 25, nel momento in cui costituzionalizza il
principio  che  "nessuno  puo'  essere  punito se non in forza di una
legge  ,  attribuisce al Parlamento in maniera esclusiva il potere di
emanare  norme  in  materia  penale,  escludendo  che si possa essere
puniti  in forza di un atto normativo non riconducibile alla volonta'
del Parlamento.
    Mentre,   dunque  nel  caso  in  cui  una  norma  sia  introdotta
nell'ordinamento  penale  dalla Corte costituzionale, ricavandola dai
principi  generali fissati dalla Costituzione (p.es. dall'art. 3), vi
e' una lesione dell'art. 25, comma 2, in quanto la suddetta norma non
e'  riconducibile  alla  volonta'  del Parlamento, nel caso in cui la
Corte  costituzionale si limiti a dichiarare l'incostituzionalita' di
un atto del Governo (il decreto legislativo) che, senza alcuna delega
del  Parlamento,  in  violazione degli artt. 76 e 77, comma 1, Cost.,
abbia abrogato una legge, non v'e' alcuna lesione dell'art. 25, comma
2,   perche'   la   norma   che   per   effetto  della  dichiarazione
d'incostituzionalita'   rivive   e'   proprio  la  norma  voluta  dal
Parlamento, illegittimamente abrogata dal Governo..
    Per  comprendere  la  rilevanza  di quanto sostenuto, facciamo un
esempio.   Ammettiamo   che  il  Governo,  senza  aver  ricevuto  dal
Parlamento  alcuna  delega,  con  un  decreto  legislativo abroghi un
intero  libro  o  un  intero titolo del codice penale. In questo caso
nessun dubbio puo' sussistere che l'art. 25, comma 2, non costituisce
un  ostacolo  a che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
della  suddetta  abrogazione, compiuta in violazione degli artt. 76 e
77,  comma 1. Se cosi' non si ritenesse, gli artt. 76 e 77 in materia
penale sarebbero pressocche' svuotati di contenuto perche' il Governo
potrebbe,  in  violazione dei principi cardini del nostro ordinamento
costituzionale,  abrogare  -  senza  avere ricevuto alcuna delega del
Parlamento - qualsiasi figura criminosa".
    In  buona  sostanza,  i  profili di dubbio che emergono in ordine
alla  tecnica adottata per disciplinare la materia che qui interessa,
concernono  il  ricorso  all'Esecutivo,  attraverso  lo strumento del
decreto  legislativo - tra l'altro, non inusuale -, per interventi di
riforma  in  ambito  penale,  con conseguente rischio di inosservanza
delle direttive e dei criteri impartiti dal Parlamento.
    Cosicche',  in  caso  di una pronuncia di incostituzionalita', ne
conseguirebbe una lacuna dell'ordinamento colmabile per effetto della
reviviscenza  della norma preesistente, illegittimamente abrogata dal
Governo; reviviscenza che si ritiene attuabile, posto che si tratta -
in  tal caso - di una normativa riconducibile alla effettiva volonta'
del Parlamento.
    D'altro  canto, si e' ben consapevoli che le doglianze sottoposte
alla  Corte  costituzionale  attingono  profili  di costituzionalita'
relativi  ad  una  normativa  ritenuta  favorevole  al reo. Si e' ben
consapevoli che una eventuale sentenza di accoglimento non renderebbe
operativa    nell'ambito   del   presente   giudizio   la   normativa
illegittimamente  abrogata;  e  cio',  perche', in caso contrario, si
sarebbe puniti da una norma entrata in vigore dopo la commissione del
fatto  in violazione del dettato costituzionale dell'art. 25 comma 2,
che  dispone  che  si  puo' essere puniti solo in forza di una "legge
entrata in vigore prima del fatto commesso".
    Ciononostante,  si  ritiene  dirimente  per il compimento di atti
istruttori di natura tecnica e di non poca rilevanza processuale (e -
comunque  -  per  la definizione del presente procedimento) un vaglio
costituzionale  sulla legislazione speciale in esame e sul suo ambito
di openativita', alla luce dell'attuale stato della giurisprudenza.