IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Il giudice, esaminati gli atti del procedimento a carico di: Alessandrini Piero, Bellesini Giancarlo, Comparcola Gaetano, Governatori Anna Maria, Andreozzi Sergio, Mastrangeli Ettore, Meda Roberto, Paparo Nunzio, Pellegrini Nunzio, Patracca Donato, Pogliani Sergio, Roberti Guido, Rocchetti Umberto, Rosa Luciano, Spadafora Giuseppe, indagati in ordine ai reati di cui agli 110, 81 cpv c.p., 3, legge n. 1062/1971, come modificato dall'art. 127, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, 416 c.p., 648 c.p., nei quali sono persone offese: Fondazione Mario Schifano - nella persona del presidente avv. Felicioni - Di Bello Simona, Sandano Maristella Pezzato Livio, Butera Filippo, Defilippi Gabriella, Zaccaria Franco, Giugiario Laura, Aimeri Francesco, Zaccaria Chiara, Carna' Antonio; P r e m e s s o Che, nell'ambito del procedimento in esame, gli addebiti elevati a carico degli indagati si sostanziano nei reati di associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione, falsa autenticazione e successiva commercializzazione di dipinti a falsa firma del pittore Mario Schifano, deceduto nel 1998; Che, in ordine a tale reati, il pubblico ministero procedente invoca: la perizia - da svolgersi nelle forme dell'incidente probatorio - sulla autenticita' di quadri sequestrati da ultimo e non ancora esaminati nel corso della perizia gia' espletata nelle medesime forme (all'esito della quale, le opere di pittura in sequestro sono risultate non autentiche, cfr. relazione a firma prof. Quintavalle); l'esame, ai sensi dell'art. 392, lett. c), c.p.p., degli indagati Alessandrini Piero, Bellesini Giancarlo, Andreozzi Sergio, Meda Roberto, Pogliani Sergio, Roberti Guido, Rocchetti Umberto, Spadafora Giuseppe, in ordine alla responsabilita' e ai ruoli dei coindagati; Che, nelle more della richiesta sopra indicata, la difesa dell'indagato, Alessandrini Pietro, ha depositato, presso il Tribunale del riesame, atto di appello avverso decreto del pubblico ministero di reiezione della istanza di restituzione dei dipinti contraffatti, a firma del pittore Mario Schifano, sequestrati il 9 e il 12 maggio 2000; che il giudice di seconde cure - investito sia dalla difesa, che dal pubblico ministero - con ordinanza in data 8 aprile 2002, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 166 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, nella parte in cui dispone l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062 anche per le opere d'arte moderna e contemporanea, in relazione agli artt. 76 e 76, comma 1, della Costituzione; O s s e r v a In tale sede, si impone la necessita' di devolvere alla Corte costituzionale la medesima questione. Invero, preso atto del provvedimento con cui il locale tribunale del riesame denuncia, in via incidentale, l'incostituzionalita' delle norme sopra indicate, si ritiene che la risoluzione della questione demandata alla Corte costituzionale sia pregiudiziale ad una decisione sulla ammissibilita' delle prove richieste dal pubblico ministero. 1. - Esame della legislazione vigente. Come rilevato dal tribunale del riesame, appare imprescindibile l'analisi della legislazione "incriminata". Pertanto, vengono qui riportate integralmente le indicazioni normative sul punto (cfr. pag. 3 e ss. dell'ordinanza sopra citata), con cui si rileva che: "Con legge 8 ottobre 1997, n. 352, il Parlamento ha delegato il Governo "ad emanare ... un decreto legislativo recante un testo unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali ed ambientali , fissando il criterio direttivo che "alle disposizioni devono essere apportate le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonche' per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti (art. 1, commna 2, lett. b). Il Governo, nell'ambito di tale delega, ha emanato il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, intitolato "testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali . Il testo unico e' suddiviso in due titoli: il primo e' dedicato ai "Beni culturali , il secondo ai "Beni paesaggistici e ambientali . Il titolo primo, dopo avere nell'art. 2 indicato quali sono i "Beni culturali che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale (elencando le medesime categorie di beni gia' tutelate dalle precedenti disposizioni legislative ed inserendo, nel comma 6 dell'art. 2, la medesima disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 1, legge 1 giugno 1939, n. 1089: "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo ..., le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni ), negli articoli successivi riproduce, coordinandole opportunamente tra loro, le disposizioni contenute nelle varie leggi di tutela del patrimonio storico e artistico nazionale. Nell'art. 127, intitolato "Contraffazione di opere d'arte (che dispone la punizione di "chiunque, al fine di trarne profitto, contraffa', altera o riproduce un'opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un'oggetto di antichita' o di interesse storico o archeologico ovvero "pone in commercio, o detiene per farne commercio ... come autentici, esemplari contraffatti ... di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichita', o di oggetti di interesse storico o archeologico ) riproduce, con la medesima formulazione letterale, gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971 n. 1062, intitolata "Norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte . Per ultimo nell'art. 166, nell'elenco delle "norme abrogate , in quanto inserite nel testo unico, comprende anche la summenzionata legge n. 1062/1971, "ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e 9 ". 2. - La tesi che riconduce nell'alveo dell'illecito penale le condotte di contraffazione (e di detenzione per il commercio) delle opere d'arte aventi meno di cinquanta anni. 2.1. - La difesa degli indagati sostiene che l'avvento del testo unico n. 490/1999 abbia provocato la depenalizzazione delle condotte di contraffazione (e di detenzione per il commercio) delle opere d'arte coeve; e cio', alla luce del dettato normativo dell'art. 2, testo unico sopra cit., che al comma 6 recita "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo ... le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". Ritiene, quindi, che la richiesta probatoria formalizzata dal pubblico ministero vada respinta unitamente ad una pronuncia liberatoria per tutti gli indagati (cfr. memoria depositata dalla difesa di Governatori Anna Maria, avv. Roberto Nordio del foro di Venezia, memoria depositata dalla difesa di Alessandrini Piero, avv. Antonio Forchino e avv. Oreste Verazzo, entrambi del foro di Torino). 2.2. - Non puo' tacersi che sia da quest'ufficio, con provvedimento de libertate del 28 marzo 2001, sia dal locale Tribunale del riesame, con ordinanza del 3 maggio 2001, era stata esclusa l'asserita irrilevanza penale della contraffazione (e detenzione per il commercio) di opere d'arte aventi meno di cinquanta anni, nonche' profili di incostituzionalita' del d.lgs. n. 490/1999, per violazione della legge delega n. 532 del 1997. A suffragio di tale tesi, possono enuclearsi - in sintesi - i seguenti argomenti. Si rileva che: a) il legislatore delegato ha inteso - in modo eloquente - far confluire l'intera disciplina della legge n. 1062/1971 (cd. legge Pieraccini che, attraverso gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7, mirava alla repressione del cd. falso d'arte a tutela dell'interesse alla regolarita' degli scambi commerciali e della fede pubblica) nel testo unico del 1999 ed, in particolare, nell'art. 127; si tratta, infatti, di norma che richiama integralmente quanto era gia' previsto negli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge n. 1062 del 20 novembre 1971 (come evidenziato nel testo del decreto legislativo n. 490/1999 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1999) e che, sin dalla sua rubrica, contiene un riferimento esplicito alla contraffazione di opere d'arte e non gia' alla sola contraffazione di beni culturali; b) il legislatore delegato non si esime dallo specificare l'oggetto della tutela predisposta - nel capo VII dedicato alle sanzioni (cfr. dall'art. 118 all'art. 129 d.lgs. n. 490/1999) - adottando il termine "bene culturale" ogni qualvolta si tratti di presidii ben piu' rigorosi a tutela del superiore interesse dello Stato rispetto a quello degli altri enti e dei privati proprietari delle "cose d'interesse storico e artistico" che rappresentano il patrimonio nazionale culturale; allorquando - nell'art. 127 d.lgs. sopra citato - si discute, invece, di opere d'arte tout court, anche quelle d'arte moderna e contemporanea, per le quali prevede una tutela volta esclusivamente a contenere - attraverso rimedi meno pregnanti - l'esteso fenomeno del falso d'arte e il relativo mercato, il legislatore adotta il ben diverso termine di "opere di pittura, scultura o grafica"; c) il legislatore del 1999 ha inteso espressamente lasciare inalterate le norme speciali che regolano i processi per i reati di contraffazione (e detenzione per il commercio) di opere d'arte moderna e contemporanea: non e', infatti, suscettibile di diversa interpretazione l'art. 9 del decreto teste' citato - ed escluso, nell'art. 166, dalla intervenuta abrogazione - che, dopo avere disposto nel primo comma: "Nei procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli ... il giudice deve (rectius: "puo'", v. Corte cost. 24 marzo-14 aprile 1988, n. 440) avvalersi di periti indicati dal Ministro della pubblica istruzione", nel secondo comma aggiunge: "Nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea il giudice e' tenuto altresi' ad assumere come testimone l'autore a cui l'opera d'arte sia attribuita o di cui l'opera stessa rechi la firma. Si tratta di norma, infatti, che - imponendo al giudice, nei procedimenti penali per i reati previsti dagli artt. 3, 4, 5, 6 e 7, legge n. 1062/1971 oggi refluiti nell'art. 127 d.lgs. n. 490/1999, l'audizione quale teste dell'autore delle opere in ipotesi d'accusa contraffatte - non e' compatibile con la depenalizzazione proprio di quei reati; in definitiva, la tecnica di redazione del decreto legislativo n. 490/99 - che ha previsto l'abrogazione della legge n. 1062/1971, la sua riproduzione dell'identico testo letterale nell'art. 127, e contestualmente ha fatto salva la norma di cui all'art. 9 della suddetta legge - risponde ad un'unica ratio che vuole tuttora in vigore il regime sanzionatorio previsto per le condotte di contraffazione (e detenzione per il commercio) delle opere d'arte coeve. In caso contrario, dovrebbe concludersi, ed in modo quantomeno discutibile, che il legislatore - pur non avendo abrogato espressamente alcuna disposizione (ne' quelle refluite integralmente nell'art. 127, ne' quelle special-processuali previste dall'art. 9) e pur non avendo, in forza della delega conferitagli, alcun potere innovativo - e' pervenuto ad una modifica del contenuto precettivo della legislazione all'epoca vigente e alla conseguente avulsione di figure criminose in esse previste; d) nessuna valenza innovativa e' consentito attribuire al disposto del comma 6 dell'art. 2 del d.lgs., laddove recita "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo ..., le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni": la norma richiamata, infatti, si limita ad escludere - al pari del suo antecedente storico contenuto nell'ultimo comma dell'art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 - dalla tutela prevista per i "beni culturali" - dettagliatamente descritti nei primi cinque commi che precedono e che compongono il patrimonio nazionale - i manufatti artistici realizzati da autori viventi e, comunque, realizzati negli ultimi cinquanta anni. Appare opportuno, per una piu' approfondita illustrazione delle problematiche in esame, richiamare integralmente le considerazioni sviluppate dal tribunale del riesame, nella sua ordinanza dell'8 aprile scorso. ".... il tribunale - sulla base di una molteplicita' di argomenti non solo logici, ma anche letterali - aveva ritenuto: a) che in tanto il legislatore delegato del 1999 ha abrogato la legge n. 1062 del 1971, in quanto ha trasfuso la relativa disciplina nell'art. 127; b) che, conseguenzialmente, la contraffazione di opere di pittura, scultura e grafica contemporanee e la detenzione a fine di commercio delle opere contraffatte sono attualmente punite dall'art. 127 del decreto legislativo n. 490/1999. 6.1. - Del tutto pacifico in dottrina ed in giurisprudenza e' che l'art. 3 della legge n. 1962/1971 puniva la contraffazione di tutte le opere d'arte, sia se contemporanee, sia se antiche. La norma, infatti, parlando di "opera di pittura, scultura e grafica senza alcuna specificazione, chiaramente si riferiva a tutte le opere di pittura, scultura e grafica, senza tenere conto della data della loro esecuzione. Accanto alle opere di pittura, scultura e grafica l'art. 3 menzionava anche gli "oggetti di antichita' o di interesse storico e archeologico . Tenuto conto che questi ultimi oggetti - a differenza delle opere d'arte contemporanee - fanno parte dei beni che gia' la dottrina e le convenzioni internazionali dell'epoca qualificavano "beni culturali , cio' che e' rilevante notare e' che l'art. 3 puniva la contraffazione sia di cose (gli oggetti di antichita' o di interesse storico o archeologico) appartenenti alla categoria dei "beni culturali e sia di cose (le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee) non appartenenti alla categoria dei "beni culturali . 6.2. - Ricevuta la delega di riunire e coordinare in un testo unico tutte (e solo) le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali (ed ambientali), il legislatore delegato nell'art. 127 ha riprodotto nell'art. 127 l'identico testo letterale dell'art. 3 (ed anche quello degli artt. 4, 5, 6 e 7) della legge n. 1062/1971 e nell'art. 166 ha abrogato l'intera legge n. 1062/1971 (tranne gli artt. 8, secondo comma, e 9). Siccome, come gia' detto, l'art. 3 aveva per oggetto non solo le res appartenenti ai beni culturali, ma anche tutte le opere di pittura, scultura e grafica - le quali, se non presentano un particolare interesse artistico o storico, certamente non sono comprese nella categoria dei beni culturali - tenuto conto che la delega, invece, aveva per oggetto solo i beni culturali, le ipotesi interpretative sono due: 1) o si ritiene che il legislatore delegato, quando parla di "opere di pittura, scultura e grafica - anche se non aggiunge alcuna specificazione - intendeva riferirsi solamente alle opere di pittura, scultura e grafica che per il loro particolare "interesse artistico o storico fanno parte dei beni culturali menzionati nell'art. 2 del decreto legislativo; 2) o si ritiene che il legislatore delegato, in tanto ha riprodotto l'intero art. 3 senza mutare la sua formulazione letterale, in quanto intendeva riferirsi - similmente all'art. 3 - a tutte le opere di pittura, scultura e grafica. La scelta tra le due diverse interpretazioni astrattamente possibili ha rilievo anche sul piano della legittimita' costituzionale del decreto legislativo. Se fosse esatta la prima ipotesi, l'art. 166, che ha abrogato l'intera legge del 1971, sarebbe di dubbia legittimita' costituzionale per avere, eccedendo la delega (limitata al riordino e coordinamento soltanto delle disposizioni in materia di beni culturali) e, quindi, in violazione dell'art. 76 Cost., abrogato le disposizioni penali che punivano la contraffazione delle opere di pittura, scultura e grafica contemporanee. Nel secondo caso, invece, l'abrogazione della legge del 1971 non sarebbe viziata da alcuna illegittimita' costituzionale, in quanto la disciplina penale contenuta nella legge del 1971, essendo stata riprodotta interamente nell'art. 127, e' restata immutata. 6.3. - Nell'analisi diretta ad individuare quale delle due opposte interpretazioni sia corretta, si puo' cominciare col notare che dall'esame dei lavori preparatori non si evince alcun elemento da cui desumere che il legislatore delegato abbia avuto l'intenzione, eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi fissati dalla legge delega, di abrogare totalmente la tutela penale prevista dalla legislazione previgente per le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee. La legge del 1971, notasi, era l'unica legge che nel nostro ordinamento giuridico proteggeva in maniera specifica le opere di pittura, scultura e grafica. Essa puniva non solo la contraffazione, l'alterazione e la riproduzione di dette opere, ma anche il commercio, la detenzione a fine di commercio, l'introduzione nel territorio dello Stato, la circolazione e la falsa autenticazione ... etc., delle opere contraffatte. Prevedeva anche particolare pene accessorie: l'interdizione ex art. 30 c.p.; la pubblicazione della sentenza di condanna su tre quotidiani a diffusione nazionale e la confisca, anche in assenza di condanna, degli esemplari contraffatti. Non puo', dunque, non destare perplessita' la tesi che ritiene che il legislatore delegato, pur senza manifestare espressamente una tale intenzione ed in violazione della legge delega, abbia soppresso la speciale protezione penale prevista dalla legge del 1971 per le opere di pittura, scultura e grafica, lasciandole prive di qualsiasi tutela contro la loro contraffazione. 6.4. - Vi sono molteplici argomenti non solo logici, ma anche letterali da cui si deduce che il legislatore delegato, lungi dall'avere l'intenzione di abrogare il complesso precettivo contenuto nella legge del 1971, aveva l'intenzione di lasciare immutata la protezione penale da dette disposizioni prevista per le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee. Innazitutto non e' senza significato che il legislatore delegato nel riprodurre nell'art. 127 del decreto legislativo gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971, abbia lasciato del tutto immutata la loro formulazione letterale. Se si tiene presente che al legislatore delegato era ben noto che le disposizioni della legge del 1971, data la formulazione letterale del loro testo, chiaramente si riferivano a tutte le opere di pittura, scultura e grafica e che in tale maniera erano pacificamente interpretate da consolidata giurisprudenza e dalla dottrina, appare privo di adeguata logica ritenere che, se vi fosse stata veramente l'intenzione di limitare la loro applicazione ai beni culturali come sostenuto dalla difesa - non sia stata apportata alcuna modifica al loro testo, per l'ovvia ragione che il legislatore delegato non poteva non comprendere che, riproducendo l'identico testo della legge del 1971, l'interpretazione dell'art. 127 non poteva che essere identica. 6.5. - L'interpretazione letterale e, ancor piu' quella logico-sistematica, dell'art. 127 confermano che a questa disposizione non puo' essere attribuito un significato diverso da quello che la giurisprudenza e la dottrina pacificamente attribuivano all'art. 3 della legge del 1971. Si puo' cominciare col notare che in tutte le fattispecie incriminatrici contenute nel capo VII, intitolato "Sanzioni penali , del titolo primo del d.lgs. n. 490/1999 (da art. 118 ad art. 129) il legislatore delegato, per indicare l'oggetto tutelato, usa le espressioni "beni culturali indicati nell'art. 2 (artt. 118, 119 e 125) "beni culturali dichiarati a norma dell'art. 6 (art. 120), "beni culturali indicati nell'art. 55 (art. 122), "cose di interesse artistico, storico, archeologico, demo-etno-antropologico bibliografico, documentale o archivistico, nonche' quelle indicate nell'art. 3 (art. 123). Solo nell'art. 127 il legislatore delegato, per indicare l'oggetto tutelato, non solo non usa l'espressione "bene culturale , ne' menziona alcun collegamento tra l'oggetto tutelato e i beni culturali disciplinati nei capi precedenti, ma si limita a parlare, cosi' come l'art. 3 della legge del 1971, genericamente e senza alcuna specificazione, di "opera di pittura, scultura o grafica . Applicando i tradizionali canoni ermeneutici (attribuendo, cioe', alla legge - come prescrive l'art. 12 preleg. - il "senso ... fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ), nessun dubbio puo' esservi che l'espressione "opera di pittura, scultura e grafica ; senza alcuna altra specificazione, si riferisca a tutte le opere di pittura, scultura o grafica, anche se contemporanee, nella stessa maniera che tutte dette opere si riferiva, secondo la pacifica interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, l'identica espressione contenuta nell'art. 3 della legge del 1971. L'essersi il legislatore delegato riferito all'ampio genus "opera di pittura, scultura o grafica , invece che alla species "opera di pittura, scultura o grafica indicate nell'art. 2 (ovvero "opera di pittura, scultura o grafica di interesse artistico o storico ) non consente di ritenere che l'art. 127 si riferisca solo alla contraffazione delle opere che per il loro "interesse artistico o storico sono da qualificarsi "beni culturali . Ne' puo' ritenersi che il legislatore delegato nell'art. 127 abbia usato l'espressione "opera di pittura, scultura o grafica in maniera impropria, in considerazione che lo stesso legislatore negli articoli immediatamente precedenti utilizza correttamente le espressioni "beni culturali indicati nell'art. ... e le altre similari gia' esaminate. Il fatto che solo nell'art. 127, modificando la terminologia adottata nelle precedenti disposizioni, ne utilizzi una che in nessun modo puo' essere ritenuta limitata soltanto alla categoria dei "beni culturali (e identica - notasi - a quella contenuta nel previgente art. 3), e' sicuro indice da cui si desume che non intendeva riferirsi solo alla contraffazione delle opere di pittura, scultura o grafica che per il loro particolare interesse storico o artistico sono da qualificarsi "beni culturali , ma - similmente al previgente art. 3 - alla contraffazione di tutte, nessuna esclusa, opere di pittura, scultura o grafica. 6.6. - Ma v'e' di piu'. L'art. 166 del decreto legislativo abroga l'intera legge del 1971 "ad eccezione degli artt. 8, secondo comma, e 9 L'art. 9 della legge del 1971, dopo avere disposto nel primo comma: "Nei procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli ... il giudice deve (rectius: `puo'', v. Corte cost. 24 marzo-14 aprile 1988, n. 440) avvalersi di periti indicati dal Ministro della pubblica istruzione , nel secondo comma aggiunge: "Nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea il giudice e' tenuto altresi' ad assumere come testimone l'autore a cui l'opera d'arte sia attribuita o di cui l'opera stessa rechi la firma . L'avere il decreto legislativo espressamente mantenuto in vita l'art. 9 della legge del 1971 - che statuisce che, nei processi per i reati di cui agli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 che hanno ad oggetto "opere d'arte moderna e contemporanea , il giudice deve assumere come testimone l'autore cui l'opera e' attribuita - indica che, secondo il legislatore delegato, pure dopo l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7, i reati da essi previsti (vale a dire quelli di contraffazione, alterazione e riproduzione di un'opera di pittura, scultura e grafica, sia antica e sia moderna, nonche' quelli di commercio, detenzione per farne commercio, introduzione nel territorio dello Stato, circolazione, falsa autenticazione ... etc. di siffatte opere contraffatte) ancora sussistono nel nostro ordinamento giuridico. Se cosi' non fosse, infatti, inutile sarebbe stato escludere espressamente l'art. 9 dalla disposta abrogazione dell'intera legge, per l'ovvia ragione che - se i reati di contraffazione, e gli altri reati summenzionati, di opere d'arte moderna e contemporanea non sussistessero piu' - l'art. 9, che si riferisce soltanto a questi reati, non sarebbe applicabile in alcun caso. 6.7. - Contro le conclusioni cui si e' giunti dall'analisi sulla omessa abrogazione dell'art. 9, la sezione III penale della Corte di cassazione - in una sentenza in cui accoglie l'interpretazione restrittiva dell'art. 127 (quella secondo cui questa disposizione punisce esclusivamente la contraffazione delle opere pittoriche che siano anche beni culturali) - osserva che e' "inconferente ai fini di una diversa interpretazione dell'ambito di applicazione del citato art. 127 la rilevata omessa abrogazione dell'art. 9 della legge 1062/1971, stante la natura esclusivamente processuale della disposizione citata e stante l'applicabilita' dell'art. 9 nei giudizi concernenti la contraffazione di opere moderne "per l'accertamento di reati diversi da quelli previsti dal testo unico, quale ad esempio il delitto di truffa (Cass. sez. pen. III, 18 settembre-20 ottobre 2001, ric. Patara Augusto). Nonostante l'autorevolezza dell'organo che l'ha espressa, la suddetta tesi non appare condivisibile. Che l'art. 9 sia una norma processuale e che le norme processuali - almeno di regola - siano ininfluenti sull'interpretazione delle norme sostanziali e' indubbio. Ma la questione, nel caso che si esamina, e' diversa. Il problema da risolvere nell'attuale procedimento penale e' se la contraffazione di un'opera d'arte moderna e la detenzione per farne commercio di siffatte opere contraffatte, gia' previste come reato dall'art. 3 della legge del 1971 (abrogato dall'art. 166 del d.lgs. 490/1999), siano ancora oggi previste come reato dall'art. 127 del decreto legislativo (che riproduce integralmente il testo letterale dell'art. 3). Siccome l'abrogazione della legge del 1971, la riproduzione nell'art. 127 dell'identico testo letterale dell'art. 3 e l'omessa abrogazione dell'art. 9 della legge del 1971 sono state disposte con un unico atto normativo (il decreto legislativo n. 490/1999), appare logico ritenere che le tre suindicate disposizioni abbiano una identica ratio. Ne consegue che, dopo avere esaminato quale sia l'interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 127, al limitato fine di accertare se l'intenzione del legislatore delegato sia conforme a detta interpretazione, non puo' ritenersi inconferente l'analisi sulla intenzione del legislatore sottesa alla omessa abrogazione dell'art. 9. In questo ambito, dal fatto che il legislatore delegato abbia mantenuto in vita l'art. 9 (il quale - notasi - detta la disciplina processuale da applicare ai reati previsti dall'art. 127 nel caso in cui abbiano ad oggetto la contraffazione di "opere d'arte moderna e contemporanea ) non puo' non dedursi che, secondo il legislatore delegato, l'art. 127 punisce anche la contraffazione di "opere d'arte moderna e contemporanea . Se cosi' non fosse, infatti, si dovrebbe ritenere che l'art. 9 (che si riferisce esclusivamente ai reati previsti dall'art. 127) sia una norma inutile e pleonastica in quanto non applicabile ad alcun caso. 6.8. - La sezione terza della Corte di cassazione nella summenzionata sentenza, allo scopo di giustificare la mancata abrogazione dell'art. 9 ed individuare i casi cui si riferisce, assume che - relativamente alle opere d'arte contemporanea - l'art. 9 e' applicabile "per l'accertamento di reati diversi da quelli previsti dal testo unico, quale ad esempio il delitto di truffa . L'assunto non appare condivisibile. L'art. 9 non parla genericamente di reati relativi alla contraffazione di opere d'arte moderna, ma il suo incipit specifica "Nei procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli , e continua "nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea il giudice e' tenuto .... , dal che si desume che la disposizione non abrogata si riferisce espressamente ed esclusivamente ai reati previsti dai "precedenti articoli . Siccome i reati previsti nei precedenti articoli della legge 1971 sono: la contraffazione, l'alterazione e la riproduzione di un'opera di pittura, scultura e grafica, anche se moderna (art. 3, comma 1); il commercio, la detenzione per farne commercio e la messa in commercio di siffatte opere contraffatte (art. 3, comma 2); la falsa autenticazione delle opere contraffatte (art. 4 n. 1); le dichiarazioni, le perizie, le pubblicazioni, l'apposizione di timbri ed etichette e l'uso di qualsiasi altro mezzo che accrediti come autentiche le opere contraffatte (art. 4, n. 2), significa che a questi specifici reati (e non a quelli generali previsti dal codice penale) che il legislatore delegato, nel momento in cui nell'art. 166 del decreto legislativo ha espressamente escluso l'abrogazione dell'art. 9 della legge del 1971, intendeva riferirsi. Ora, tenuto conto che tutti questi delitti attualmente nel nostro ordinamento giuridico sono previsti dall'art. 127 (notasi che non esiste nel nostro ordinamento alcuna altra disposizione che punisca tutte le suindicate figure criminose), appare logico dedurre che il legislatore delegato in tanto ha riprodotto nell'art. 127 l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 ed ha omesso di abrogare l'art. 9 della medesima legge, in quanto voleva lasciare immutate le previdenti fattispecie incriminatici a tutela delle opere d'arte moderna. Se cosi' non fosse, si dovrebbe ritenere che il legislatore delegato, pur riproducendo nell'art. 127 l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 e pur omettendo di abrogare l'art. 9 della medesima legge, abbia voluto modificare il contenuto precettivo delle disposizioni che riproduceva e non abrogava, escludendo dalle figure criminose da esse previste le opere d'arte moderna. Il che - data la singolare tecnica legislativa con cui sarebbe stata attuata siffatta rilevante modifica (dalla quale consegue la depenalizzazione di parte delle attivita' finalizzate al fraudolento commercio di opere d'arte moderna contraffatte) - rende questa tesi scarsamente sostenibile. 7. - Il comma 6 dell'art. 2, del decreto legislativo n. 490/1999. A sostegno della tesi che esclude l'applicabilita' dell'art. 127 alle opere d'arte moderna e contemporanea la sezione terza della Corte di cassazione e la difesa - pur non contestando che l'interpretazione letterale appare favorevole all'opposta tesi che ritiene che questa disposizione si riferisca anche alle opere d'arte moderna e contemporanea - adducono, in realta', un unico argomento: la presenza nel decreto legislativo del comma 6 dell'art. 2 che dispone "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo, a norma del comma 1, lettera a), le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni . Si assume che siccome l'art. 127 e' contenuto nel capo VII del titolo primo, la sanzione penale da esso prevista, per precisa scelta del legislatore delegato, non puo' essere applicata alle opere pittoriche di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. 7.1. - Per valutare la suddetta tesi si puo' cominciare col notare che in essa sono individuabili due diversi indirizzi interpretativi che giungono a sostenere due diversi ambiti di applicazione del comma 6 dell'art. 2. Il primo indirizzo, dando rilievo al solo dato letterale, sostiene che dal comma 6 consegue che l'art. 127 e' applicabile soltanto alle opere d'arte la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi. Il secondo indirizzo (sostenuto anche dalla sezione terza della Corte di cassazione nella sentenza gia' citata) - dal rilievo che i precedenti cinque commi dell'art. 2 hanno la funzione di individuare le cose cui per l'interesse artistico, storico, archeologico o demo-etno-antropologico che presentano deve essere attribuita la qualifica di "beni culturali e sono assoggettate alla particolare disciplina vincolistica prevista dal titolo primo - deduce che anche il sesto comma si riferisce ai beni culturali. Il comma 6 ha unicamente la funzione di limitare l'ambito di operativita' della classificazione contenuta nei commi precedenti, statuendo che le cose immobili e mobili elencate nei primi cinque commi non sono soggette alla disciplina del titolo primo se i loro autori siano viventi o la loro esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Da questo secondo indirizzo consegue che l'art. 127 non e' applicabile a tutte le opere d'arte la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi (come sostiene l'indirizzo precedentemente esaminato), ma solo - ed esclusivamente - alle opere d'arte cui il comma 1 dell'art. 2 attribuisce la qualifica di bene culturale ( e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi). 7.2. - Osserva il collegio che la tesi sostenuta dal secondo indirizzo interpretativo esaminato, nella parte in cui assume che il sesto comma dell'art. 2 si riferisce alle res menzionate nei precedenti cinque commi, e' condivisibile. E' indubbio che l'intero art. 2 ha la funzione di individuare quali sono le cose che per l'"interesse artistico, storico, archeologico e demo-etno-antropologico che presentano sono qualificati "beni culturali che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale (e) sono tutelati secondo le disposizioni di questo titolo, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione . L'art. 2, intitolato "Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico archeologico, archivistico, librario , dopo avere nel primo comma disposto "Sono beni culturali disciplinati a norma di questo titolo: e (dopo i due punti), elencato nei commi successivi le varie categorie di beni culturali, nel sesto (ed ultimo) comma aggiunge "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo...le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni . Chiaro e', dunque, che il comma 6, come i cinque precedenti, si riferisce ai beni culturali. Esso si limita a statuire che alle res menzionate nei commi precedenti la disciplina prevista nel titolo primo per tutti i beni culturali non e' applicabile nel caso in cui i loro autori siano ancora viventi o la loro esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Che il comma sesto si riferisca solo ed esclusivamente alle cose menzionate nei precedenti cinque commi (vale a dire: alle "cose immobili e mobili che per l'interesse storico e artistico che presentano ... sono beni culturali ) deriva oltre che dal locus in cui la disposizione e' inserita (nell'art. 2 che ha la funzione di individuare le res che, presentando detto interesse, sono sottoposte alla disciplina prevista dal titolo primo) e dai precedenti legislativi (nel comma 6 il legislatore delegato riproduce l'ultimo comma dell'art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, che ugualmente si riferiva solo alle "cose d'interesse artistico o storico elencate nei commi precedenti), anche da argomenti logici. Ad accogliere l'opposta tesi, che assume che il comma 6 si riferisce a tutte le cose immobili e mobili la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, si giungerebbe all'assurda conseguenza che qualsiasi cosa, dopo la morte dell'autore, trascorsi cinquanta anni dalla sua esecuzione, sarebbe sottoposta alla rigida disciplina vincolistica prevista dal titolo primo del decreto legislativo. Ora, se si tiene presente che detta disciplina fortemente limitativa del diritto di proprieta' sul piano costituzionale e' giustificata dall'essere i beni culturali considerati parte integrante del "patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9 Cost. e 1 d.lgs. 490/1999), ben si comprende che non tutte le cose mobili ed immobili, ne' tutte le opere di pittura, scultura o grafica, dopo cinquanta anni dalla loro esecuzione possono essere considerate appartenere al "patrimonio storico e artistico della Nazione - e, quindi, essere sottoposte alla disciplina prevista per le cose che a tale patrimonio appartengono - ma solo quelle cose e quelle opere, elencate nei primi cinque commi dell'art. 2, che per il particolare "interesse storico e artistico che presentano sono qualificate "beni culturali . 7.3. - Stabilito che il sesto comma dell'art. 2 si riferisce solo alle cose cui i precedenti cinque commi attribuiscono la qualifica di "bene culturale , consegue che esso sul problema oggetto dell'attuale procedimento (vale a dire: se la contraffazione di un'opera di pittura moderna - non qualificabile, ai sensi dell'art. 2, bene culturale - sia o no assoggettata alle sanzioni penali previste dall'art. 127) e' del tutto ininfluente. Gia' si e' detto che due sono i possibili significati da attribuire alla espressione "opere di pittura, scultura o grafica contenuta nell'art. 127: o si ritiene, secondo l'interpretazione accolta dalla sezione terza della Corte di cassazione, che essa si riferisca esclusivamente alle opere di pittura, scultura o grafica qualificabili, ai sensi dell'art. 2, "beni culturali , o si ritiene che essa, non contenendo alcuna specificazione, si riferisca a tutte le opere di pittura, scultura o grafica, comprese quelle d'arte moderna e contemporanea. Ebbene, nel primo caso, l'art. 127 non e' applicabile alle opere di pittura moderna, non per la presenza del comma 6, ma in quanto le opere di pittura moderna e contemporanea non sono beni culturali; nel secondo caso, il comma 6 e' irrilevante sull'applicabilita' dell'art. 127 alle opere di pittura moderna e contemporanea in considerazione che esso si riferisce solo alle opere cui e' attribuita dall'art. 2 la qualifica di bene culturale. Nell'uno e nell'altro caso la soluzione del problema se la contraffazione di un'opera d'arte moderna o contemporanea sia o non sia punibile, ai sensi dell'art. 127, non dipende, come ritiene la sezione terza della Corte di cassazione, dal sesto comma dell'art. 2, ma - esclusivamente - dall'interpretazione del medesimo art. 127. Nessun dubbio, infatti, puo' esservi che, accogliendo l'interpretazione secondo cui l'espressione "opera di pittura, scultura o grafica si riferisca alle opere d'arte qualificate beni culturali, la contraffazione di un'opera d'arte moderna, indipendentemente dal comma 6, non sarebbe punibile ai sensi dell'art. 127; se - invece - si accogliesse l'altra interpretazione, secondo cui la suddetta espressione si riferisce alle opere d'arte moderna, la contraffazione di un'opera d'arte moderna o contemporanea sarebbe certamente punibile, nonostante la presenza del comma 6, ai sensi dell'art. 127. Su detta punibilita', notasi, nessuna influenza puo' essere attribuita al sesto comma dell'art. 2, in considerazione che esso si riferisce ai beni culturali e non alle opere d'arte moderna e contemporanea che non sono beni culturali. Siccome gia' si e' detto nei paragrafi precedenti che dall'interpretazione letterale, logico-sistematica e dall'intenzione del legislatore delegato si evince che l'espressione contenuta nell'art. 127 "opera di pittura, scultura o grafica , senza alcuna aggettivazione, si riferisce a tutte le opere d'arte, comprese quelle d'arte moderna o contemporanea, il tribunale ritiene che la contraffazione di un'opera di pittura moderna, che prima dell'emanazione del d.lgs. n. 490/1999 era punita dall'art. 3 della legge 1062/71, attualmente sia punita dall'art. 127 del suddetto decreto che riproduce integralmente l'identico testo letterale del previdente art. 3". 3. - La tesi sulla attuale irrilevanza penale della contraffazione (e detenzione per il commercio) di opere d'arte aventi meno di cinquanta anni. Come gia' anticipato, secondo la difesa degli indagati (Governatori Anna Maria e Alessandrini Pietro): l'art. 3 della legge 1062/1971, che puniva la contraffazione delle opere contemporanee di pittura, scultura o grafica e la loro detenzione a fine di commercio, e' stato espressamente abrogato dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999; l'art. 127 di detto decreto, pur avendo la medesima formulazione letterale dell'abrogato art. 3, non e' applicabile alle opere d'arte contemporanee in quanto l'art. 2 comma 6 del decreto legislativo limita la disciplina del titolo primo alle opere che hanno oltre cinquanta anni; di conseguenza nel nostro ordinamento giuridico non esistono piu' i reati di contraffazione di opere artistiche contemporanee, ne' quelli di commercio e di detenzione a fine di commercio di siffatte opere. Va evidenziato che sia nella giurisprudenza di merito, che nella giurisprudenza di legittimita' si registra un'uniforme interpretazione che vuole non piu' previste dalla legge come reato le condotte di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea ed il commercio degli esemplari contraffatti. In tal senso la sezione terza della Corte di cassazione (gia' citata) che ha escluso l'applicabilita' dell'art. 127 d.lgs. n. 490/1999 alle opere d'arte moderna e contemporanea; si conclude nel senso di una depenalizzazione delle condotte di contraffazioni di tali opere richiamando il testo dell'art. 2 comma 6 d.lgs. n. 490/1999, che detta "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo, a norma del comma 1, lettera A, le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". Si sostiene, in particolare, che siccome l'art. 127 e' contenuto nel cap VII del titolo primo, la sanzione penale da esso prevista non puo' essere applicata alle opere pittoriche di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni (cfr. Cass. III, 18 settembre - 20 ottobre 2001, ric. Patara Augusto; ricorso avverso un'ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Roma aveva respinto l'istanza di restituzione di quadri contraffatti del pittore Mario Schifano). Vanno ricordate, inoltre, le seguenti pronunce di giudici di merito conformi al suddetto indirizzo: Ordinanza del Tribunale del riesame di Roma n. 625/2001 del 13 dicembre 2001, che ha annullato il decreto di sequestro di opere di pittura a falsa firma Mario Schifano disposto dalla procura presso il suddetto Tribunale; Sentenza del Tribunale di Milano, sezione 6 penale, del 18 gennaio 2002, relativa alla contraffazione di opere dell'artista Michele Cascella, deceduto nel 1989, di assoluzione perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato; Sentenza del Tribunale di Ferrara n. 550/2001 dell'11 dicembre 2001, pur sempre in ordine alla contraffazione e detenzione a fini di commercio di c.d. falsi Schifano, di assoluzione perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. (cfr. provvedimenti allegati alla memonia depositata dalla difesa Governatori, avv. Nordio) L'argomento e' unico: l'art. 2, comma 6 del d.lgs. n. 490/1999, in relazione all'art. 127 dello stesso provvedimento legislativo, ha ristretto rispetto alla pregressa disciplina - ex artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 1062 del 1971 - l'oggetto materiale dei delitti presi in considerazione, escludendo dal loro ambito di applicazione "le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". 4. - La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. Il pubblico ministero, sin dalla sua richiesta di incidente probatorio, paventava profili di illegittimita' costituzionale in ordine alla interpretazione dell'art. 127 d.lgs. n. 490/1999 sostenuta dalla difesa e condivisa dall'attuale orientamento della sezione terza della Corte di cassazione e da parte della giurisprudenza di merito. Formalizzava, poi, in sede di appello innanzi al locale tribunale del riesame la questione di incostituzionalita'. A tal proposito, rileva il tribunale del riesame: "Secondo il p.m., siccome la legge delega attribuiva al Governo esclusivamente il potere di riunire e coordinare in un testo unico le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali, il decreto legislativo emanato in attuazione della delega, nella parte in cui ha abrogato le fattispecie criminose previste dagli artt. 3, 4, 5, 6, e 7 della legge 1062/71, relative anche alla contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, e' viziato - in relazione agli artt. 76 e 77, comma 1, Cost. - da illegittimita' costituzionale per un duplice ordine di ragioni: a) in quanto la delega aveva ad oggetto solo i beni culturali e non le opere d'arte moderna e contemporanea, le quali certamente non possono essere qualificate "beni culturali ; b) in quanto la delega autorizzava il Governo solo a riunire e coordinare le disposizioni legislative vigenti, e non gia' ad abrogare interamente la protezione penale da esse prevista per le opere d'arte moderna e contemporanea. La questione sollevata dal p.m., a parere del Tribunale, e' fondata. La locuzione "beni culturali , adoperata dalla legge delega, ha nel nostro ordinamento giuridico un preciso, pacifico, consolidato ed univoco significato. Gia' la "Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose d'interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio istituita con la legge 26 aprile 1964 n. 310 (nota, dal nome del suo presidente, come "Commissione Franceschini ) da' una definizione giuridica unitaria dei beni culturali, cosi' articolata "Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civilta'. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civilta' . La legislazione successiva recepisce i capisaldi di questa definizione ed usa la locuzione "beni culturali sempre in relazione ai beni che per il loro particolare interesse storico, artistico, etc. costituiscono una testimonianza della storia della civilta' e, proprio per questa ragione, si ritengono appartenere al patrimonio della Nazione (v. ad es., il d.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805 "Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali e l'art. 48 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Sono certamente questi i beni cui la legge 8 ottobre 1997, n. 352, si riferisce quando, nell'individuare - ai sensi dell'art. 76 Cost. - l'oggetto della delega, autorizza il Governo "ad emanare .... un decreto legislativo .... nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative in materia di beni culturali . E che il legislatore delegato abbia inteso bene l'oggetto e i limiti della delega e' provato dalla considerazione che il decreto legislativo, dopo avere nell'art. 1 indicato l'oggetto della materia disciplinata ("I beni culturali che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale sono tutelati secondo le disposizioni di questo titolo, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione ) e nell'art. 2 (intitolato: "Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico, librario ), che elencato le varie categorie di beni culturali che, per essere testimonianza della storia della civilta', "sono disciplinati a norma di questo titolo , in tutti i successivi articoli del titolo primo riproduce esclusivamente le disposizioni contenute nella previgente legislazione in tema di cose di interesse storico, artistico, archeologico, etc. Stabilito che: a) la legge delega aveva per oggetto solo i beni culturali; b) gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 punivano (anche) la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea; ad accogliere l'interpretazione sostenuta dalla difesa, seguita anche dalla sezione terza della Corte di cassazione - secondo cui l'art. 127 del decreto legislativo, pur riproducendo l'identico testo letterale degli art. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971, si riferisce esclusivamente alle opere d'arte che l'art. 2 del medesimo decreto qualifica beni culturali - ne consegue che l'art. 166 di detto decreto, nella parte in cui abroga totalmente gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della citata legge del 1971, e' di dubbia legittimita' costituzionale per avere - eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi fissati nella delega - abrogato le fattispecie incriminatici previste in tema di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, materia per la quale il Governo non aveva ricevuto alcuna delega". Sulla scorta delle considerazioni sopra riportate, si ritiene di poter condividere e, quindi, di far propria la questione in tal modo proposta. Non e', infatti, revocabile in dubbio che la ritenuta abrogazione della disciplina dettata dalla legge n. 1062/71 per le opere d'arte moderna e contemporanea, si sostanzia in un eccesso dei poteri fissati per il legislatore del 1999 con la legge delega n. 352/1997 - sia nell'oggetto, che nelle finalita' di mero coordinamento - e, nel contempo, in una lesione del dettato costituzionale compendiato negli artt. 76 e 77 comma 1 Cost. L'esito positivo del giudizio di semplice "delibazione" richiesto al giudice a quo ai sensi dell'art. 53 comma secondo legge n. 87/53, induce a disporre il rinvio degli atti alla Corte costituzionale. 5. - La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nell'ambito del presente procedimento. Puo' definirsi di palmare evidenza la rilevanza della questione di costituzionalita' in trattazione ai fini della decisione di cui e' investito quest'ufficio. Se e' vero, infatti, che a fronte di una richiesta di assunzione di prove - da assumersi, in via anticipata in previsione di un futuro dibattimento, nelle forme dell'incidente probatorio - e' indispensabile una verifica circa la ipotizzabilita' dei reati dedotti in contestazione dal pubblico ministero, e' altrettanto vero che pregiudiziale a tale pronuncia appare la verifica di conformita' a costituzione delle norme che, nel caso di specie, si ritengono applicabili. 6. - L'ammissibilita' della questione di legittimita' in ambito penale. Ne' puo' dirsi ostativa alla questione sottoposta al vaglio del giudice costituzionale, la riserva di legge prevista dall'art. 25 comma 2 Cost., laddove enuncia il principio secondo cui "nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso". Non si invoca, infatti, una pronuncia additiva di nuove ipotesi di reato, bensi' una declaratoria di incostituzionalita' di un atto normativo del Governo (il decreto legislativo n. 490/1999) che, in assenza di uno specifico mandato del Parlamento ed, in violazione degli artt. 76 e 77 comma 1 Cost., ha abrogato una legge. Si richiama a tal proposito l'ordinanza del tribunale del riesame e l'efficace l'esempio ivi descritto: "Innanzitutto si deve rilevare che il caso che si esamina riguarda un decreto legislativo che, disponendo in una materia del tutto estranea a quella indicata dalla legge delega, ha abrogato una legge. In questa ipotesi, il tribunale ritiene che nessuna preclusione derivi dal comma 2 dell'art. 25 Cost. alla eventuale dichiarazione di incostituzionalita' del decreto legislativo, per l'ovvia ragione che anche dopo l'intervento della Corte costituzionale si continuerebbe ad essere puniti "in forza di una legge (in forza della legge illegittimamente abrogata). Il comma 2 dell'art. 25, nel momento in cui costituzionalizza il principio che "nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge , attribuisce al Parlamento in maniera esclusiva il potere di emanare norme in materia penale, escludendo che si possa essere puniti in forza di un atto normativo non riconducibile alla volonta' del Parlamento. Mentre, dunque nel caso in cui una norma sia introdotta nell'ordinamento penale dalla Corte costituzionale, ricavandola dai principi generali fissati dalla Costituzione (p.es. dall'art. 3), vi e' una lesione dell'art. 25, comma 2, in quanto la suddetta norma non e' riconducibile alla volonta' del Parlamento, nel caso in cui la Corte costituzionale si limiti a dichiarare l'incostituzionalita' di un atto del Governo (il decreto legislativo) che, senza alcuna delega del Parlamento, in violazione degli artt. 76 e 77, comma 1, Cost., abbia abrogato una legge, non v'e' alcuna lesione dell'art. 25, comma 2, perche' la norma che per effetto della dichiarazione d'incostituzionalita' rivive e' proprio la norma voluta dal Parlamento, illegittimamente abrogata dal Governo.. Per comprendere la rilevanza di quanto sostenuto, facciamo un esempio. Ammettiamo che il Governo, senza aver ricevuto dal Parlamento alcuna delega, con un decreto legislativo abroghi un intero libro o un intero titolo del codice penale. In questo caso nessun dubbio puo' sussistere che l'art. 25, comma 2, non costituisce un ostacolo a che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' della suddetta abrogazione, compiuta in violazione degli artt. 76 e 77, comma 1. Se cosi' non si ritenesse, gli artt. 76 e 77 in materia penale sarebbero pressocche' svuotati di contenuto perche' il Governo potrebbe, in violazione dei principi cardini del nostro ordinamento costituzionale, abrogare - senza avere ricevuto alcuna delega del Parlamento - qualsiasi figura criminosa". In buona sostanza, i profili di dubbio che emergono in ordine alla tecnica adottata per disciplinare la materia che qui interessa, concernono il ricorso all'Esecutivo, attraverso lo strumento del decreto legislativo - tra l'altro, non inusuale -, per interventi di riforma in ambito penale, con conseguente rischio di inosservanza delle direttive e dei criteri impartiti dal Parlamento. Cosicche', in caso di una pronuncia di incostituzionalita', ne conseguirebbe una lacuna dell'ordinamento colmabile per effetto della reviviscenza della norma preesistente, illegittimamente abrogata dal Governo; reviviscenza che si ritiene attuabile, posto che si tratta - in tal caso - di una normativa riconducibile alla effettiva volonta' del Parlamento. D'altro canto, si e' ben consapevoli che le doglianze sottoposte alla Corte costituzionale attingono profili di costituzionalita' relativi ad una normativa ritenuta favorevole al reo. Si e' ben consapevoli che una eventuale sentenza di accoglimento non renderebbe operativa nell'ambito del presente giudizio la normativa illegittimamente abrogata; e cio', perche', in caso contrario, si sarebbe puniti da una norma entrata in vigore dopo la commissione del fatto in violazione del dettato costituzionale dell'art. 25 comma 2, che dispone che si puo' essere puniti solo in forza di una "legge entrata in vigore prima del fatto commesso". Ciononostante, si ritiene dirimente per il compimento di atti istruttori di natura tecnica e di non poca rilevanza processuale (e - comunque - per la definizione del presente procedimento) un vaglio costituzionale sulla legislazione speciale in esame e sul suo ambito di openativita', alla luce dell'attuale stato della giurisprudenza.