Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, nei confronti
della  Regione  Marche,  in  persona del suo Presidente della Giunta,
avverso  la legge regionale 24 luglio 2002 n. 11, intitolata "Sistema
integrato  per  le  politiche  di  sicurezza  e  di  educazione  alla
legalita'", pubblicata nel Boll. uff. n. 87 del 1 agosto 2002.
    La  determinazione di proposizione del ricorso e' stata approvata
dal  Consiglio  dei ministri nella riunione del 27 settembre 2002 (si
depositera' estratto del relativo verbale).
    Con  la  legge  in  esame la regione in sostanza si autoraffigura
come  coattributaria con lo Stato di una materia - "ordine pubblico e
sicurezza"  - riservata alla legislazione esclusiva dello Stato; e, a
tal fine, istituisce un complesso apparato amministrativo "parallelo"
a  quello statale in esso coinvolgendo, come si dira', persino organi
della  giurisdizione. La legge (eccezione fatta per l'art. 6 di essa)
palesemente  contrasta  con  l'art. 117 comma secondo, lettera h), ed
anche  (per  qualche disposizione) lettere f), g) ed l) ("ordinamento
penale")  Cost.,  oltre  che  con  l'art. 160, comma 2, del d.lgs. 31
marzo 1998 n. 112.
    Non  si  esclude  a  priori  che  il  legislatore  statale  possa
riconoscere,  con  propria  legge,  alle  regioni  qualche  specifico
compito  anche  nella predetta materia; non puo' pero' ammettersi che
un  legislatore  regionale  produca disposizioni legislative invasive
della competenza esclusiva dello Stato.
    L'art. 1  della  legge  in  esame  proclama  che "le politiche di
contrasto  della  criminalita',  di  competenza degli organi statali"
dovrebbero  integrarsi  con  "le politiche sociali e territoriali, di
competenza  della  Regione  ...  e  degli  enti locali". Una siffatta
enunciazione  di principio - a prescindere dalla sua validita' o meno
"nel   merito"   -   non  puo'  essere  proclamata,  e  per  di  piu'
unilateralmente,  da  un legislatore regionale. Il successivo art. 2,
al  comma  1, attribuisce alla Giunta regionale una serie di compiti,
la piu' parte dei quali forse non meriterebbe una esplicita specifica
menzione,  se  non fosse per l'essere essi rivolti alle "finalita' di
cui  all'art. 1".  In  particolare,  alla  lettera  b)  si ipotizzano
"iniziative  di  rilievo  regionale  nei settori della sicurezza, ivi
comprese  la  sicurezza  sul  lavoro,  la  sicurezza  ambientale e la
sicurezza  alimentare";  peraltro  i  "settori  della  sicurezza" cui
l'art. 1  si  riferisce  sono quelli (per cosi' dire centrali) per il
"contrasto della criminalita'".
    Nella  successiva  lettera  g)  si  programma  "la  creazione  di
specifiche  professionalita'",  ossia,  se  ben  si  e'  compreso, la
formazione  di strutture regionali di pubblica sicurezza. E poi, alla
lettera  i),  il  comma  in  esame  addirittura impone alla Giunta di
assicurare la partecipazione della regione "ad organismi nazionali ed
internazionali operanti nel campo di attivita' della presente legge".
    Nel  complesso  il  comma  1  non  tiene distinti il piano di una
generica  analisi  politica  (per  quanto doveroso informata circa la
consistenza   dei   fenomeni)   dal  piano  della  concreta  gestione
amministrazione ed operativa delle attivita' di pubblica sicurezza.
    I commi 2 e 3 dell'art. 2 attribuiscono al Consiglio regionale il
compito di definire, sentita una conferenza regionale sulla sicurezza
(convocata  e  forse  anche  formata dal Presidente della Giunta), il
"piano  (annuale)  delle  priorita'"; non chiaro e' cosa possa essere
inserito  in  un siffatto piano, e come commi 2 e 3 si coordinino con
l'art. 5, comma 1, della legge.
    L'intero   art. 2,   per   come  e'  formulato,  puo'  ingenerare
conflittualita'  tra  organi  regionali ed organi statali, e comunque
invade in molti sue disposizioni l'ambito riservato alla legislazione
esclusiva  dello  Stato. La rilevata illegittimita' costituzionale si
estende    necessariamente   alle   disposizioni   organizzatorie   e
strumentali  contenute  negli  artt. 3  e  4 della legge in esame. In
particolare,  il  Comitato di indirizzo (art. 3 comma 3), incardinato
"presso la Presidenza della Giunta regionale", appare un duplicato di
organi di raccordo da tempo esistenti, collocati in ambito statale, e
che  possono  vantare  un  patrimonio  di  esperienze  e di capacita'
operative.
    L'art. 3  potrebbe  anche  essere  letto  come  un  tentativo  di
simbolica delocalizzazione di attivita' giustamente svolte in palazzo
statale e sotto coordinamento statale.
    Specifiche   ulteriori   censure   devono   essere   mosse   alla
composizione  del  Comitato  di indirizzo, come definita dall'art. 3,
comma 3:
        I) una disposizione legislativa regionale la quale preveda la
partecipazione  di  figure  istituzionali  statali  (a cominciare dai
prefetti)  e  persino  di  esponenti  di  organi  giurisdizionali (il
Procuratore   generale  della  Corte  di  appello  di  Ancona,  ed  i
Procuratori  della  Repubblica presso il Tribunale di Ancona e presso
il  Tribunale minorile, ad un organo collegiale della regione, per di
piu'  composto da 35 persone e presieduto dal Presidente della Giunta
"o   da  un  suo  delegato",  oltre  ad  essere  possibile  fonte  di
incomprensioni   anche  sul  piano  del  cerimoniale,  contrasta  con
l'art. 117, comma secondo, lettere f) g) ed l);
        II)   Il  legislatore  regionale  il  quale,  con  sue  molto
opinabili  scelte,  immette nel circuito delle informazioni riservate
rilevanti  per  la  pubblica  sicurezza  un elevato numero di persone
invade l'ambito della legislazione esclusiva dello Stato.
    L'art. 5, comma 2, della legge in esame contrasta con gli art. 81
e 119, comma quarto, Cost., laddove lascia a carico degli enti locali
spese "coordinate", anche quanto a priorita', dalla regione.