ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 2,
3,  lettera  c)  [recte:  3, comma 1, lettera c)], 8 e 16 del decreto
legislativo   15 dicembre   1997,  n. 446  (Istituzione  dell'imposta
regionale  sulle  attivita'  produttive,  revisione  degli scaglioni,
delle  aliquote  e  delle  detrazioni dell'Irpef e istituzione di una
addizionale   regionale   a  tale  imposta,  nonche'  riordino  della
disciplina  dei  tributi  locali),  promosso  con ordinanza emessa il
26 ottobre  2000  dalla  Commissione tributaria provinciale di Torino
sul  ricorso  proposto da Comba Franco contro l'Ufficio delle entrate
di  Torino  2,  iscritta  al  n. 927  del  registro  ordinanze 2001 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Torino, con
ordinanza emessa il 26 ottobre 2000 e depositata il 30 novembre 2000,
ha   sollevato,   in   riferimento   agli  artt. 3,  53  e  76  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1,
comma  2,  3,  lettera c) [recte: 3, comma 1, lettera c)], 8 e 16 del
decreto    legislativo    15 dicembre   1997,   n. 446   (Istituzione
dell'imposta  regionale  sulle  attivita' produttive, revisione degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione
di  una  addizionale regionale a tale imposta, nonche' riordino della
disciplina dei tributi locali);
        che   il   rimettente   -  muovendo  dalla  premessa  che  il
presupposto    giuridico    dell'IRAP   e'   rappresentato   (art. 2)
dall'esercizio  abituale  di  un'attivita'  autonomamente organizzata
diretta   alla  produzione  ed  allo  scambio  di  beni  ovvero  alla
prestazione  di  servizi  - assume che l'art. 3, comma 1, lettera c),
del  decreto  legislativo n. 446 del 1997, assoggettando all'imposta,
cosi'  come  gli  imprenditori, anche i liberi professionisti, la cui
attivita' e' normalmente priva di autonoma organizzazione, violerebbe
i principi di capacita' contributiva e di eguaglianza;
        che  parimenti  lesivi del principio di eguaglianza sarebbero
inoltre  l'art. 1  del  decreto  legislativo,  nella parte in cui non
consente  la  deduzione  dell'IRAP dalla base imponibile dell'imposta
sui  redditi,  e l'art. 16, laddove determina l'aliquota nella misura
invariabile   del   4,25%,   sia  per  gli  imprenditori  che  per  i
professionisti;
        che le norme denunciate violerebbero tutte, infine, l'art. 76
della  Costituzione,  ponendosi  in  contrasto  tanto con il criterio
direttivo  rappresentato dalla riduzione del prelievo complessivo sui
redditi  di lavoro autonomo e d'impresa quanto con quello secondo cui
il  legislatore delegato avrebbe dovuto disciplinare la nuova imposta
applicandola solo all'esercizio di attivita' organizzate;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  la  declaratoria  di manifesta infondatezza
delle  questioni,  in  quanto  identiche ad altre gia' dichiarate non
fondate con sentenza n. 156 del 2001.
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,  comma  2,  del  decreto  legislativo  15 dicembre 1997,
n. 446    (Istituzione   dell'imposta   regionale   sulle   attivita'
produttive,   revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e  delle
detrazioni  dell'Irpef  e  istituzione di una addizionale regionale a
tale  imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi locali),
nella  parte  in  cui  prevede l'indeducibilita' dell'IRAP dalla base
imponibile    delle    imposte   sui   redditi,   e'   manifestamente
inammissibile, trattandosi di questione attinente al regime giuridico
ed  alla  fase  applicativa  delle  imposte  sui  redditi  e  percio'
irrilevante nel giudizio a quo, avente ad oggetto una controversia in
tema  di  rimborso  dell'acconto  IRAP  (sentenza  n. 156  del  2001,
ordinanze n. 103 del 2002 e n. 286 del 2001);
        che   le   questioni  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 3,  comma  1, lettera c), e 8 del medesimo decreto legislativo,
sollevate  in  riferimento  agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione,
sono  in  tutto  identiche  a  quelle gia' dichiarate non fondate con
sentenza  n. 156  del  2001  e manifestamente infondate con ordinanze
n. 103 del 2002 e n. 286 del 2001;
        che  in  tali  pronunce  si  osserva che le norme denunciate,
nell'individuare,  non  irragionevolmente,  quale indice di capacita'
contributiva    il   valore   aggiunto   prodotto   dalle   attivita'
autonomamente  organizzate, non si pongono in contrasto con l'art. 53
della Costituzione, alla luce della costante giurisprudenza di questa
Corte   "secondo   la   quale   rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore,   con   il  solo  limite  della  non  arbitrarieta',  la
determinazione   dei   singoli   fatti   espressivi  della  capacita'
contributiva  che,  quale  idoneita' del soggetto all'obbligazione di
imposta,  puo'  essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore
di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111
del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985)";
        che   e'   altresi'   "pienamente  conforme  ai  principi  di
eguaglianza    e   di   capacita'   contributiva"   l'assoggettamento
all'imposta  in  esame  del  valore aggiunto prodotto da ogni tipo di
attivita'   autonomamente   organizzata,   sia   essa   di  carattere
imprenditoriale  o  professionale,  "identica  essendo, in entrambi i
casi,   l'idoneita'   alla  contribuzione  ricollegabile  alla  nuova
ricchezza prodotta";
        che  l'assunto  secondo  cui l'onere derivante dall'IRAP sia,
per   i   lavoratori   autonomi, maggiore  di  quello  da  cui  erano
precedentemente   gravati   per  effetto  dei  tributi  e  contributi
soppressi   dall'art. 36   del   decreto  legislativo  e'  del  tutto
indimostrato  e  lo  stesso  rimettente  lo  formula del resto in via
dubitativa;
        che  le  questioni  vanno  percio'  dichiarate manifestamente
infondate;
        che  sulla  base delle medesime considerazioni sin qui svolte
risulta  altresi'  manifesta  l'infondatezza anche della questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 16  del  decreto  legislativo
n. 446 del 1997, nella parte in cui fissa in via generale l'aliquota,
per tutti i soggetti passivi, nella misura del 4,25%;
        che, infatti, se l'idoneita' alla contribuzione ricollegabile
alla  nuova  ricchezza  prodotta  e'  identica  per tutte le forme di
attivita'    autonomamente    organizzata,   siano   esse   di   tipo
imprenditoriale o professionale, ne discende che la sottoposizione di
tutti i soggetti passivi alla medesima aliquota non contrasta ne' con
il principio di eguaglianza ne' con quello di capacita' contributiva;
        che  -  per  quanto  riguarda  infine  il  parametro  di  cui
all'art. 76  della  Costituzione - l'affermazione secondo la quale la
misura  dell'aliquota  sarebbe  tale da violare il criterio direttivo
rappresentato dalla riduzione del prelievo complessivo sui redditi di
lavoro   autonomo  e  d'impresa  e',  ancora  una  volta,  del  tutto
apodittica ed indimostrata e non tiene conto, in ogni caso, del fatto
che   la  stessa  legge  di  delega  prevedeva  che  l'aliquota  base
dell'imposta  fosse  inizialmente fissata "in una misura compresa fra
il  3,5  ed  il  4,5 per cento" (art. 3, comma 144, lettera e), della
legge 23 dicembre 1996, n. 662).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.