IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE

    Alla  udienza  del  23 ottobre 2000, ha pronunziato e pubblicato,
mediante lettura del dispositivo, la seguente ordinanza nei confronti
di  Palossi  Ruggero,  nato  il giorno 13 marzo 1936 a Castelraimondo
(Macerata),  ivi  residente  in  corso  Italia  n. 25,  libero  - non
comparso,  imputato  del  delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. C.P., e
216,  primo comma, n. 1, del r. d. 16 marzo 1942, n. 267, perche' con
piu'  azioni  esecutive  di  un  medesimo  disegno criminoso poste in
essere  anche  in  tempi diversi, in qualita' di socio amministratore
della Telelco s.n.c., dichiarata fallita dal Tribunale di Camerino il
3  aprile  1990,  agendo  in concorso morale e materiale con Eleuteri
Pierluigi,  gia'  giudicato  per  tali fatti separatamente, distraeva
dall'attivo  fallimentare e alla garanzia dei creditori L. 25.000.000
quale  prezzo  di  acquisto delle quote della societa' BA 15 S.r.l. e
quindi  L. 70.000.000 che consegnava al suddetto Eleuteri mediante la
dazione di numero sette assegni bancari.
    In Camerino fallimento del 3 aprile 1990.
    Con  l'intervento  del  p.m.  in  persona della dott.ssa Cristina
Polenzani, sostituto procuratore della Repubblica.
    Le parti concludevano nel modo che segue: Il p.m. ed il difensore
dell'imputato,  avv. Roberto  Della  Cerra,  del  Foro  di  Camerino,
concludevano  come da verbale dell'udienza del 23 ottobre 2000 (pagg.
2, 23), da intendersi qui pienamente richiamato e recepito.

                              F a t t o

   e   d i r i t t o      In  data  18  febbraio 1999 il Tribunale di
Camerino  pronunziava sentenza, iscritta al numero 7/1999 Reg. Sent.,
con  cui  riconosceva  la  penale responsabilita' di Palossi Ruggero,
D'Angelo  Elena ed Eleuteri Pierluigi in ordine a fatti di bancarotta
fraudolenta,  consumati  in relazione alla gestione della societa' in
nome  collettivo  "Telelco", dichiarata fallita in data 3 aprile 1990
dallo  stesso  tribunale.  Con  la  richiamata pronunzia, il collegio
camerale  disponeva  trasmettersi  gli atti alla locale Procura della
Repubblica,  ravvisando  elementi  di  sospetto  in  relazione  ad un
ipotizzato  concorso  in  una  delle fattispecie sopra richiamate (ab
origine  ascritta  al  solo  Eleuteri)  da  parte di Palossi Ruggero,
giudicato,  nella sede richiamata, per altri fatti storici. L'ufficio
del  pubblico  ministero  presso  il Tribunale di Camerino procedeva,
quindi,  ad  ulteriori indagini nei confronti del ridetto Palossi. In
esito  alle  indagini  preliminari, il pubblico ministero chiedeva il
rinvio  a  giudizio  del  Palossi  Ruggero.  Veniva,  quindi, fissata
udienza  dinanzi  a  questo  g.u.p., nel corso della quale il Palossi
domandava  di  essere ammesso al giudizio abbreviato; ammesso il rito
alternativo, le parti concludevano come da separato verbale.
    In  esito  all'odierna  udienza,  opina  questo giudicante che le
accuse  mosse  al  Palossi  Ruggero,  siccome  meglio  specificate in
rubrica, debbano ritenersi fondate e sorrette da adeguati elementi di
riscontro.
    Al  fine  di  vagliare  l'ipotesi di coinvolgimento dell'indagato
nella  consumazione  della  fattispecie  di  bancarotta  fraudolenta,
delineata  dall'ipotesi  accusatoria, occorre prender le mosse da una
ricostruzione,  sia  pure  sommaria,  delle  vicende  storiche  della
societa'  in nome collettivo "Telelco". A tal proposito, si trascrive
parte  della motivazione della sentenza n. 7/1999 Reg. Sent., resa in
data 18 febbraio 14 aprile 1999 dal Tribunale di Camerino, che appare
dettagliatamente  motivata:  "La storia della societa' fallita, cosi'
come  ricostruita  dal perito nelle prime pagine della sua relazione,
si puo' riassumere in brevi cenni:
        in  data  7 ottobre 1985 la TEL.EL.CO. nasceva sotto forma di
societa' in accomandita semplice, laddove il Palossi Ruggero figurava
come  socio  accomandatario  (con  una  quota pari al 5%) e la moglie
D'Angelo  Elena  come  socia  accomandante  (con  una  quota  pari al
restante  95%),  la societa' svolgeva, in Castelraimondo, via Potenza
n. 86,  l'attivita'  di  produzione,  commercio  ed  installazione di
telefoni  e  di  apparecchiature  elettroniche  in genere, nonche' di
recupero di materiali delle telecomunicazioni in demolizione;
        al   momento  della  costituzione  della  Telelco  S.a.s.  la
D'Angelo  Elena era anche titolare di una ditta individuale svolgente
l'attivita'  di commercio di mercerie in Castelraimondo, corso Italia
n. 27, attivita' ereditata dalla madre;
        il  27 settembre 1988 la Telelco S.a.s. veniva trasformata in
societa' in nome collettivo con capitale sociale pari a L. 5.000.000,
sottoscritta    dai   soci   Palossi   Ruggero   e   D'Angelo   Elena
rispettivamente   nella   misura   di   L. 250.000  e  L.  4.750.000,
l'amministrazione  ordinaria della societa' veniva svolta dal Palossi
in forma disgiunta mentre l'amministrazione straordinaria spettava ad
entrambi i soci in via congiunta;
        ai primi giorni dell'anno 1989 la Telelco s.n.c. cominciava a
versare  in  una  difficile  situazione  finanziaria  tanto  che,  su
indicazione  di  Mengoni Gabriele, il Palossi contattava il ragionier
Eleuteri Pierluigi cui, in data 4 giugno 1989, conferiva incarico per
cercare di risolvere i problemi della societa';
        nel  corso  dell'anno  1989 venivano compiuti i seguenti atti
dispositivi sul patrimonio dei soci e, piu' precisamente:
          il  23  settembre  1989 la D'Angelo Elena cedeva la propria
ditta  individuale  conferendola  nella societa' "Sanitarbaby S.a.s."
costituita con la figlia Palossi Fedenca e Giacomelli Paolo;
          il  28  giugno  1989  venivano  cedute  tutte le merci e le
attrezzature  della "Telelco s.n.c." alla societa' "BA 15 S.r.l." con
fattura  n. 45; il 20 luglio 1989 veniva ceduta la proprieta' del 50%
dell'immobile (capannone industriale sito in localita' Selvalagli nel
comune  di Gagliole) di proprieta' della "Telelco s.n.c." a Benedetti
Sandro;
          il  4  agosto  1989  la  D'Angelo  Elena cedeva alla figlia
Palossi Federica l'85% delle quote della "Sainitarbaby S.a.s.";
          l'8  settembre  1989  veniva  formalizzato l'acquisto delle
quote  della "BA 15 S.r.l." da parte di Palossi Federica e di Mengoni
Sandro;
          successivamente  a  tale  data  tutte  le  attivita'  della
"Telelco  s.n.c."  potevano  dirsi  liquidate, la societa' veniva poi
dichiarata fallita il 5 aprile 1990".
    Aggiunge,  ancora,  il  Tribunale di Camerino, con argomentazioni
che,  per  la puntualita' della ricostruzione storica e per l'arguzia
del  ragionare,  possono  essere pienamente condivise, in riferimento
all'operazione  di  cessione  delle  merci e delle attrezzature della
Tel.El.Co.  societa'  in  nome collettivo: "Risulta pacifico in causa
che  il  28 giugno  1989  la  Telelco  s.n.c.,  oramai  in  stato  di
decozione, vendeva alla "BA 15 S.r.l." con fattura n. 45 merci per L.
40.000.000   ed  attrezzature  per  L.  28.000.000,  per  un  importo
complessivo di L. 80.920.000 compresa I.V.A.
    Al riguardo occorre notare che:
        con la citata fattura n. 45 la Telelco s.n.c. si spogliava di
tutti   i   suoi   beni  (merci,  attrezzature,  macchine  d'ufficio,
arredamenti) in favore della "BA 15 S.r.l.";
        dalle  bolle  risultava  che  la  merce  non aveva viaggiato,
essendo il luogo di destinazione lo stesso della partenza;
        il  pagamento  della merce veniva indicato come avvenuto "per
contanti e con denaro proveniente dai soci;
        la  cessione  era avvenuta precedentemente all'acquisto della
"BA  15  S.r.l." da parte del Mengoni Sandro e della Palossi Federica
(quindi   al  momento  in  cui  la  societa'  era,  di  fatto,  nella
disponibilita' esclusiva dell'Eleuteri, visto che Loy Franco di Fermo
-  che avrebbe detenuto il 50% della societa' - ha negato di aver mai
avuto  una  tale  partecipazione  azionaria e, del resto, non risulta
aver mai apposto la sua firma sull'atto di cessione).
    Tali  emergenze inducono ad escludere che la Telelco s.n.c. abbia
mai  ricevuto alcun tipo di corrispettivo per quella che il perito ha
definito una "liquidazione di fatto" della societa'.
    Infatti  il  Mengoni  Sandro ha affermato di non aver mai "tirato
fuori  dei soldi di tasca propria", mentre la Palossi Federica - come
sopra  esposto  -  appariva all'oscuro di quelli che erano gli affari
dei  propri genitori e solo di volta in volta figurava come "testa di
paglia".  Del  resto  e'  anche  vero che non v'e' traccia alcuna del
corrispettivo  di  L.  80.920.000  che  avrebbe  dovuto  incassare la
Telelco  s.n.c., di talche' appare una conclusione necessitata quella
di  ritenere che con la vendita in oggetto la societa' fallita veniva
spogliata  definitivamente  di tutti i beni residui in pregiudizio ai
creditori.
    A  tale  proposito,  non  potendosi legittimamente dubitare della
responsabilita'  del  Palossi  Ruggero  e della moglie D'Angelo Elena
(per  la  quale  valgono  le considerazioni gia' esposte in ordine al
capo   n. 4)  dell'imputazione),  una  breve  replica  s'impone  alla
considerazione del C.T. dell' imputato Eleuteri secondo il quale, non
essendo   mai  nominato  in  rapporto  ai  fatti  in  esame  il  nome
dell'Eleuteri  nella  relazione  peritale,  si  confermerebbe  la sua
"totale estraneita'" riguardo ad essi.
    Tale tesi non sembra affatto condivisibile.
    Oltre  a  tutte  le  considerazioni  sopra  svolte in ordine alla
gestione  diretta  da  parte  dell'Eleuteri della crisi della Telelco
s.n.c.,  appare  appena  il  caso di sottolineare che, per ammissione
dello  stesso  imputato, l'Eleuteri aveva fatto acquistare al Palossi
la   "BA  15  S.r.l."  per  dargli  la  possibilita'  di  "continuare
un'attivita'  che  gli dava la possibilita' di poter mandare avanti i
bisogni della propria famiglia".
    Se  pure  ce ne fosse stato bisogno tale dichiarazione suona come
un'esplicita   conferma   del   ruolo   chiave   avuto  dall'Eleuteri
nell'acquisto  della  "BA 15 S.r.l." e nel successivo trasferimento a
quest'ultima societa' di quelle attrezzature della Telelco s.n.c. che
avrebbero   dovuto  nelle  intenzioni  dell'Eleuteri  e  del  Palossi
permettere  la  continuazione  dell'attivita'  imprenditoriale  della
Telelco s.n.c. ormai prossima al fallimento.
    In  buona  sostanza  l'Eleuteri  non  era  altri  che  l'artefice
primario del grossolano escamotage col quale la Telelco s.n.c. si era
spogliata  di  tutti  i  suoi  beni (rimanendo, di fatto, una scatola
vuota)  in  pregiudizio  ai  creditori ed a vantaggio di una societa'
priva di debiti ed intestata a terzi.
    Ne  deriva  che  anche  l'Eleuteri,  in concorso col Palossi e la
D'Angelo,  deve  ritenersi  penalmente responsabile della fattispecie
delittuosa di cui al capo n. 3 dell'imputazione.".
    Alla  stregua  delle  prefate considerazioni il tribunale camerte
esprimeva   dubbi  circa  un  coinvolgimento  dell' odierno  indagato
nell'operazione  di bancarotta sopra delineata e, pertanto, disponeva
la  trasmissione  degli  atti  alla Procura della Repubblica in sede,
che, peraltro, limitava le indagini alla mera acquisizione degli atti
relativi  al  procedimento,  conchiusosi  con la condanna del Palossi
Ruggero, dell'Eleuteri Pierluigi e della D'Angelo Elena.
    Orbene,  proprio  la  disamina dei prefati atti di investigazione
consente  di  apprezzare  una  situazione  in  cui  i presupposti del
concorso   del  Palossi  Ruggero  nella  consumazione  del  reato  di
bancarotta in disamina rimangono ben delineati e chiari.
    Il  perito  nominato dal Tribunale di Camerino, dott.ssa Cristina
Tacchi,  con  riguardo  all'operazione  in  disamina,  conclude: "Nel
verbale  di  udienza del 9 novembre 1995 il sig. Eleuteri afferma che
la somma di L. 25.000.000 corrisposta dal sig. Palossi sia servita:
        quanto a L. 20.000.000 per l'acquisto delle quote sociali,
        quanto a L. 5.000.000 per le spese inerenti all'operazione di
cui  sopra (trasferimenti di quote, dall'amministrazione, cambiamento
dell'oggetto sociale, libri sociali come riportato alle pagg. 44 e 53
del verbale di udienza del 9 novembre 1995).
    Non  risultano,  tra  i  documenti  contenuti  nel  fascicolo del
processo,  atti di cessione di quote. Si esclude che gli stessi siano
stati   redatti  sia  perche'  risulta,  dal  libro  soci,  che  tale
trasferimento e' avvenuto con semplice dichiarazione di vendita e non
mediante  esibizione  da  parte  dell'acquirente o dell'alienante dal
titolo da cui risulti il trasferimento, sia in quanto l'art. 2479 del
c.c.,  prima  delle  modifiche  apportate dalla legge l2 agosto 1993,
n. 310, non richiedeva l'obbligatorieta' di una forma scritta.
    Le spese inerenti al cambiamento dei libri sociali non sono state
sostenute  come  risulta dal giornale di contabilita' e dal libro dei
soci.  La "Telelco 19 S.r.l." ha continuato le proprie scritturazioni
sul giornale della "BA 15 S.r.l.".
    Per   quanto   riguarda   l'atto   notarile   di   trasformazione
dell'oggetto sociale e l'accettazione della carica di amministratore,
non  risulta  (alla data dell'ultima rilevazione sul libro giornale 6
settembre  1989)  la  registrazione  della  parcella  notarile da cui
desumere  la  spesa  sostenuta.  Si  rileva  comunque  che,  anche in
presenza  di  eventuali  atti  di  cessione di quote redatti in forma
scritta e registrati, la spesa necessaria per l'espletamento di tutte
le  operazioni  sopra  menzionate  sia  stata  notevolmente inferiore
all'importo  di  L.  5.000.000.  Dal  libro soci della "BA 15 S.r.l."
risulta  che  la societa' "Margherita S.p.a." (che ha sottoscritto il
capitale    sociale   della   "BA 15 S.r.l.")   cede   l'intera   sua
partecipazione  per  un  valore  nominale di L. 19.900.000 ai signori
Eleuteri  Pierluigi  e  Loy  Franco  e  precisamente n. 990 quote del
valore  unitario  di  L.  10.000 al sig. Eleuteri e n. 1000 quote del
valore unitario di L. 10.000 al sig. Loy.
    A  fianco  della dichiarazione di vendita non e' apposta la data,
ma  si  deve ritenere che sia avvenuta precedentemente all'11 gennaio
1989  data  della  vidimazione  annuale, che attribuisce data certa a
tutte le operazioni trascritte anteriormente.
    La  dichiarazione  di  vendita  e'  sottoscritta dal solo cedente
mentre  ne'  gli  acquirenti  ne'  l'amministratore  hanno apposto la
propria firma.
    Successivamente,  risulta  dal libro soci, una ulteriore cessione
di  n. 10  quote  del valore nominale di L. 10.000 dalla "Piceno soc.
coop.  a.r.l."  al  sig. Eleuteri.  A  fianco  della dichiarazione di
vendita,   in   questo   caso  sottoscritta  sia  dall'alienante  che
dall'acquirente, non e' stata indicata la data.
    In  data  7  agosto  1989  il sig. Eleuteri dichiarava di vendere
n. 1000  quote  del  valore nominale di L. 10.000 alla sig.ra Palossi
Federica.  La  dichiarazione  e'  sottoscritta sia dall'alienante che
dall'acquirente.
    In  pari  data con dichiarazione sottoscritta dai soli acquirenti
risultano  cedute  le  quote  del sig. Loy Franco alla sig.ra Palossi
Federica ed al sig. Mengoni Sandro.
    Pertanto,  precedentemente  alla  cessione  di  quote alla sig.ra
Palossi Federica, il sig. Eleuteri risulta proprietario del 50% della
"BA  l  5 S.r.l." in quanto con tale cessione viene sanata la mancata
sottoscrizione   dell'acquisto   di  n. 90  quote  dalla  "Margherita
S.p.a.". Il 50% della somma corrisposta risulta pertanto riscossa dal
sig. Eleuteri per la cessione delle proprie quote.
    Per la quota del 50% che risulta ceduta dalla "Margherita S.p.a."
al  sig. Loy Franco e successivamente acquistata dalla sig.ra Palossi
Federica  e  dal sig. Mengoni Sandro, la mancata sottoscrizione delle
stesse  da  parte  del  sig. Loy Franco unitamente alle dichiarazioni
dallo  stesso  rilasciate  nel verbale di udienza del 5 ottobre 1995,
accertano l'estraneita' dello stesso in tale operazione.
    La trascrizione nel libro dei soci della dichiarazione di vendita
di  quote  sottoscritta dall'amministratore della "Margherita S.p.a."
significa  comunque  che  tale  cessione  e' avvenuta e per la stessa
sara'   corrisposto  un  prezzo  anche  se  per  quanto  sopra  detto
l'acquirente  non  risulta essere il sig. Loy Franco. Tale operazione
risulta  avvenuta, per quanto precedentemente detto, prima del giorno
11  gennaio  1989  ma, dai documenti contabili, non si puo' accertare
chi  sia  l'effettivo  acquirente  (...)  In  data  4  giugno 1989 il
sig. Palossi  Ruggero  e  la  sig.ra  D'Angelo  Elena conferiscono al
sig. Eleuteri  l'incarico  professionale  di  esaminare la situazione
debitoria e creditoria della "Telelco s.n.c.". In tale incarico viene
stabilito   che,   oltre  ai  rimborsi  spesa  e  indennita',  verra'
corrisposto  al  sig.  Eleuteri un compenso pari al 5% del totale del
passivo ammontante presumibilmente in L. 800.000.000.
    In data 8 giugno 1989 il sig. Eleuteri rilascia una dichiarazione
dalla  quale  risulta  l'avvenuta consegna, da parte del sig. Palossi
della  somma di L. 80.000.000 in assegni bancari di cui L. 10.000.000
successivamente restituiti. In tale dichiarazione e' scritto che tale
importo  viene  acquisito  dal sig. Eleuteri per promuovere eventuali
transazioni   con  i  creditori  ed  in  parte  come  acconto  spese,
indennita' ed onorari.
    Dal  verbale di udienza del 9 novembre 1995 (pag. 42) risulta che
il  sig. Eleuteri  ha analizzato la situazione debitoria e creditoria
della  "Telelco  s.n.c."  come  da incarico conferitogli. Ha rilevato
l'entita'  dei  debiti  (un  miliardo  e  trecento milioni contro gli
ottocento  dichiarati) la natura degli stessi (450 milioni di crediti
privilegiati, 150 milioni garantiti da ipoteca, 700 milioni di debiti
chirografi).
    Mentre   per   quanto   riguarda   la  situazione  creditoria  il
sig. Eleuteri ha presentato, per conto del sig. Palossi, una denuncia
per truffa alla Procura della Repubblica di Camerino.
    Dopo  aver  espletato tali operazioni il sig. Eleuteri consiglio'
al sig. Palossi che era opportuno fallire.
    Gli  accadimenti  successivi  (la  vendita  di  tutte le merci ed
attrezzature  alla  "BA  15  S.r.l.",  il pagamento della somma di L.
25.000.000  per  l'acquisto  delle  quote  societarie)  e  quindi  il
predisporre  una  nuova  struttura  (la  "BA 15  S.r.l."  che  doveva
trasformarsi in "Telelco 19 S.r.l.") unitamente alla cessione del 50%
dell'immobile  di  proprieta'  della "Telelco s.n.c.", legittimano la
restituzione  delle  scritture  contabili,  scritture  che vengono il
giorno dopo rubate, in quanto la societa' non era piu' operativa.
    A questo punto si analizzano specificamente i singoli assegni:
        l'assegno  n. 283 di L. 10.000.000 e' stato dato in pagamento
dal  sig. Eleuteri  a  terze  persone. L'assegno e' stato debitamente
girato;
        l'assegno  n. 284  di  L.  10.000.000, non risulta girato dal
sig. Eleuteri, vi risultano apposte due girate non decifrabili;
        l'assegno  n. 285  di  L.  10.000.000, non risulta girato dal
sig. Eleuteri.  Lo stesso risulta incassato dal sig. Manciola Umberto
il  quale  ha  rilasciato una dichiarazione agli atti del processo in
cui afferma di non conoscere ne' il traente (Benedetti Sandro) ne' il
giratario (Palossi Ruggero).
    Poiche'  questi due ultimi assegni erano nella disponibilita' del
sig. Eleuteri  si  ritiene  che  lo stesso li abbia dati in pagamento
senza apporre la propria girata.
    I  restanti  tre  assegni  e  precisamente l'assegno n. 282 di L.
20.000.000,  l'assegno  n. 287 di L. 10.000.000 e l'assegno n. 286 di
L.  10.000.000 risultano negoziati al Banco di Sicilia sede di Ancona
tutti in data 31 luglio 1989 dal sig. Eleuteri Pierluigi.
    Alla  pag.  49,  del  verbale  di  udienza del 9 novembre 1995 il
sig. Eleuteri afferma di aver restituito la somma di L. 70.000.000 in
piu' riprese nei primi giorni dell'agosto 1989. Tali assegni venivano
cambiati   dal   sig. Eleuteri  per  la  difficolta'  incontrata  dal
sig. Palossi nel cambiarli personalmente e quindi restituiti mediante
assegni  circolari o in contanti. Alla luce dei dati sopra esposti si
conclude che:
        gli  assegni  dati  in  pagamento  a  terze persone pari a L.
30.000.000,  cosi'  come  i  restanti  assegni,  non sono serviti per
transazioni  con  i  creditori  della  "Telelco  s.n.c." in quanto il
sig. Eleuteri  dichiara  di  aver restituito al sig. Palossi l'intero
importo di L. 70.000.000;
        gli  assegni  dati  in  pagamento  non  sono stati ovviamente
restituiti,   perlomeno   non   con   le   modalita'  dichiarate  dal
sig. Eleuteri;
        per  i  restanti assegni negoziati dal sig. Eleuteri al Banco
di Sicilia non si ha alcuna documentazione nel fascicolo del processo
che  attesi  od  escluda  quanto  affermato." (v., in atti, elaborato
peritale,  redatto  dalla  dott.ssa Cristina Tacchi in data 23 giugno
1997, pagg. 776 - 784).
    Cio'  stante,  sembra  logico concludere che l'esito del giudizio
abbreviato  non  possa consistere che nella affermazione della penale
responsabilita'    del   prevenuto   in   relazione   all'imputazione
ascrittagli.
    Non  rimarrebbe,  a  tal  punto,  che passare alla determinazione
della pena infliggenda.
    A  tal  proposito,  peraltro,  si evidenzia quanto rilevato dalla
difesa  del  prevenuto:  il  Palossi,  come gia' detto in incipit del
presente  provvedimento,  e'  stato  sottoposto a procedimento penale
dinanzi  al Tribunale di Camerino, siccome imputato di aver distratto
merci  e attrezzature dalla fallita societa' Telelco. In quella sede,
il  Palossi  veniva  condannato,  con  sentenza n. 7/1999 Reg. Sent.,
pronunziata  in data 14 aprile 1999, alla pena di anni due e mesi due
di  reclusione.  Il  verdetto  e'  stato  gravato da appello, tuttora
all'esame della Corte di Appello di Ancona.
    Con  la  medesima pronunzia veniva condannato anche l'imputato di
reato connesso Eleuteri Pierluigi, il quale era chiamato a rispondere
della  medesima  violazione  di  legge,  cosi' come modificata, nella
qualificazione  giuridica,  dal Tribunale, in quanto accusato di aver
distratto dalla Telelco le somme di L. 25.000.000 e di L. 70.000.000.
Con  la  citata  sentenza  di  condanna,  il  Tribunale  di  Camerino
disponeva   la  restituzione  degli  atti  al  p.m.,  invitandolo  ad
esercitare  l'azione  penale  nei  confronti  del  Palossi, stante la
presunta  esistenza  di  ulteriori  ipotesi  di  reato a carico dello
stesso,  reati  che  altri  non  erano  se non quelli gia' contestati
all'Eleuteri.  Donde  l'imputazione  nei  confronti del Palossi ed il
presente procedimento.
    Orbene,   in   ipotesi  di  bancarotta,  ai  sensi  del  disposto
dell'art. 219  L. F., le pene stabilite dagli articoli 216, 217 e 213
L.  F.  sono  aumentate  se  il  colpevole ha commesso piu' fatti tra
quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati. Si tratta di una
disciplina  speciale,  che  costituisce  una  deroga  alle  norme sul
concorso   dei   reati  e  sul  reato  continuato.  Evidentemente  il
legislatore fallimentare, in considerazione delle pene previste per i
reati  fallimentari  principali  e  tenuto  conto  della  sostanziale
identita' dell'interesse leso, ha proceduto ad una unificazione della
molteplicita'  dei  fatti criminosi, determinando soltanto un aumento
di  pena.  Si tratta di una applicazione del principio di specialita'
di  cui  all'art. 15  c.p.,  con l'evidente finalita' di attenuare le
norme  sul  concorso  di  reato.  Sul  punto,  la  giurisprudenza  di
legittimita'  e  la dottrina non hanno mai mostrato tentennamenti, ad
eccezione  della  dibattuta  questione  se l'espressione normativa si
riferisca  soltanto  alla  commissione  di  piu'  azioni alternative,
previste  nell'ambito di uno solo degli articoli 216, 217 o 218 L. F.
ovvero  possa  riguardare  anche fatti contemplati in due o tre degli
articoli   indicati;  discussione,  peraltro,  estranea  al  presente
procedimento,  posto  che  al  Palossi  sono  sempre state contestate
imputazioni  riferite  al medesimo numero 1) del solo art. 216 L. F.,
l'art. 219,  secondo  comma  n. 1),  L.  F. "considerando circostanza
aggravante  la  reiterazione di piu' episodi di bancarotta, statuisce
la  unitarieta'  del  reato,  anche se commesso con una pluralita' di
condotte  fra  quelle  alternativamente previste dall'art. 216 L. F.,
sicche' alla bancarotta sono applicabili i principi di diritto comune
stabiliti  in  tema  di continuazione, e la circostanza aggravante e'
assoggettata all'ordinario giudizio di comparazione tra aggravanti ed
attenuanti  previsto  dall'art. 69  c.p." (v. Cass., sez. V penale, 4
marzo 1998, n. 4431, in Cass. pen., 1999, pag. 1957, m. 959).
    Nel  caso  in  cui  siano  commessi  piu' fatti di bancarotta tra
quelli   previsti  dall'art. 216  della  legge  fall.,  deve  trovare
applicazione  l'art. 219, secondo comma n. 1, della stessa legge che,
nell'ambito  di un medesimo fallimento, stabilisce il principio della
concezione   unitaria  del  reato  di  bancarotta.  In  base  a  tale
principio,    allo    scopo   di   mitigare   il   rigore   derivante
dall'applicazione delle norme sul concorso di reati, la pluralita' di
atti di bancarotta e' considerata una semplice circostanza aggravante
del  reato  anche  nelle  ipotesi  -  assai disomogenee tra loro - di
commissione   di   fatti  di  bancarotta  patrimoniale  e  bancarotta
documentale.   Ulteriori   pronunzie  della  Suprema  Corte  si  sono
pronunziate   nel   senso   di   ritenere  applicabile  il  principio
dell'unitarieta'  della  bancarotta  anche  a  fatti  posti in essere
attraverso una pluralita' di condotte alternativamente previste dagli
artt.  216, 217 e 218 L.F.
    Alla  stregua  di  quanto  premesso,  la  posizione  del  Palossi
risulterebbe,  secondo  la  difesa,  quanto  mai  chiara e facilmente
inquadrabile  nell'ambito  delle norme e della giurisprudenza citata,
essendo  lo  stesso accusato di diverse ipotesi di bancarotta che non
solo  rientrano  tutte  nel  disposto dell'art. 216, ma, addirittura,
all'interno  di  una  singola  ipotesi  in questo contenuta, ossia la
bancarotta per distrazione.
    Eccepisce  la  difesa  che, dovendo essere trattata la bancarotta
relativa  al medesimo fallimento come un'unica ipotesi delittuosa, ed
i  singoli  episodi  come  aggravanti  dell'unico  reato, il pubblico
ministero,  all'insorgere  delle  questioni  che  il tribunale ebbe a
rilevare in sentenza, ossia l'esistenza di possibili altri episodi di
bancarotta  per distrazione, concernenti il medesimo fallimento, bene
avrebbe   potuto   contestare   il  fatto  secondo  la  procedura  di
contestazione delle aggravanti, contemplata dall'art. 517 c.p.p.
    Cio'  non  e' stato fatto, e pertanto il p.m. si sarebbe precluso
la  possibilita' di contestare l'aggravante, ne' il tribunale avrebbe
potuto restituirgli gli atti, in quanto cio' sarebbe stato possibile,
ai  sensi  dell'art. 521  c.p.p.,  in  caso dell'emergere di un fatto
diverso,  o  per  una  contestazione  effettuata  fuori delle ipotesi
consentite,  mai  per  la mancata contestazione di una aggravante. Il
provvedimento  del tribunale assumerebbe, pertanto, i caratteri della
abnormita'.
    D'altra  parte,  iniziando  una  nuova azione penale, il pubblico
ministero avrebbe violato proprio il disposto dell'art. 219 L. F., il
quale,   come   si   e'   visto,   vuole   attenuare  le  conseguenze
dell'applicazione  delle  norme  sul  concorso  dei  reati, oltre che
l'art. 84 c.p., in tema di reato complesso.
    Tanto  cio'  sarebbe  vero,  che se il Palossi venisse piu' volte
condannato per la medesima bancarotta, in sede di esecuzione non solo
avrebbe  difficolta'  a giovarsi delle norme sulla continuazione, ma,
anche  cio'  facendo,  subirebbe un grave pregiudizio derivante dalle
conseguenze  di  dover operare necessariamente un aumento di pena per
la  continuazione,  senza  potersi  giovare  del possibile e ben piu'
favorevole ricorso alla comparazione delle circostanze: nell'un caso,
la  sua  pena  sarebbe  necessariamente  superiore  ai  due anni, nel
secondo   caso,  potrebbe  scendere  sino  ai  due  anni  e,  quindi,
consentirebbe    l'applicazione   dell'istituto   della   sospensione
condizionale.
    Per  quanto esposto, il provvedimento del tribunale di rimessione
degli  atti  al p.m. sarebbe abnorme e si collocherebbe completamente
al   di  fuori  del  vigente  sistema  processuale.  Tale  abnormita'
comporterebbe,     conseguenzialmente,     la     dichiarazione    di
improcedibilita'  dell'azione  penale,  poiche'  iniziata al di fuori
delle ipotesi previste dal codice di procedura penale.
    L'imputato    dovrebbe,   dunque,   essere   assolto   ai   sensi
dell'art. 129  c.p.p., dal momento che si procede per un reato che si
configura  quale aggravante di quello per il quale l'imputato e' gia'
stato  condannato e che, pertanto, da sola non puo' essere contestata
e  non puo' costituire autonoma figura delittuosa, stante il disposto
degli artt. 15 e 84 c.p.
    A  tal  proposito,  si  osserva  che l'art. 219, primo capoverso,
numero  1,  della  legge  fallimentare  prevede  l'unificazione quoad
poenam  di  una  pluralita'  di  fatti  di bancarotta, ma non elimina
l'autonomia   dei  singoli  episodi  delittuosi,  tant'e'  che,  come
riconosciuto  da  autorevole  dottrina,  ciascun  fatto  mantiene  la
propria  autonomia, pur rimanendo uniti, ai fini della pena, in forza
della  coesistenza  di  tutti  e  per  la sola configurabilita' della
circostanza   aggravante   normativamente  prevista.  D'altro  canto,
occorre  por  mente  alla considerazione che la disciplina richiamata
sfugge  alla  sussunzione  nell'ambito della norma di cui all'art. 84
c.p., in quanto, per configurare il reato complesso e' necessario che
una  norma di legge operi la fusione in un'unica figura criminosa dei
fatti   costituenti   reati  autonomi.  Non  basta,  quindi,  che  la
pluralita'  di  fatti, che, isolatamente considerati, costituirebbero
altrettanti   reati,  abbia  qualche  elemento  comune,  perche'  sia
ravvisabile  il  reato  complesso,  essendo  questo  costituito dalla
unificazione  a livello normativo di tutti gli elementi che integrano
ipotesi  tipiche  di  reati  tra  loro  differenti, cosi' come, per i
motivi  sopra esposti, non si verifica nella fattispecie in disamina.
L'unificazione  di piu' fatti di bancarotta sotto l'ipotesi aggravata
dell'art.  219,  capoverso, numero 1, della legge fallimentare opera,
infatti,  in  deroga  alle  norme sul concorso formale di reati e sul
reato   continuato   ed   e'   dettata  esclusivamente  ai  fini  del
temperamento  della  pena:  pertanto, non viene meno l'individualita'
ontologica  dei  singoli  fatti  di bancarotta, i quali mantengono la
propria  struttura  e  le  proprie caratteristiche, tant'e' che, come
riconosciuto  da giurisprudenza vuoi di merito, vuoi di legittimita',
e' consentita l'assoluzione ovvero il proscioglimento in relazione ad
una  o piu' delle situazioni penalmente rilevanti, senza che per cio'
stesso   venga  meno  l'ipotesi  concorrente,  ovvero  e'  consentita
l'emissione  "a  catena"  di provvedimenti restrittivi della liberta'
personale,  sottraendosi  la  fattispecie  in  disamina al divieto di
contestazione  "a  catena"  di  cui all'art. 297, terzo comma, c.p.p.
Cio'  stante,  in  ragione  di  quello  che,  a  ragione, puo' essere
definito   quale   "diritto  vivente",  l'operato  del  Tribunale  di
Camerino,  di  cui alla sentenza resa in data 18 febbraio - 14 aprile
1999, e della Procura della Repubblica in sede appare corretto.
    Nella fattispecie, quindi, non potrebbe che determinarsi una pena
in  maniera  tutt'affatto  autonoma rispetto a quella inflitta con la
prefata sentenza.
    Tale   disciplina,  siccome  confortata  dal  richiamato  diritto
vivente,  sembra, peraltro, configgere con il disposto degli articoli
3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
    E  valga  il vero: la irrogazione di una pena autonoma, contenuta
entro  i limiti edittali di cui agli artt. 216, 217 e 218 della legge
fallimentare, ovvero la comminazione di un mero aumento, ai sensi del
gia'  richiamato  art. 219  della  medesima  legge,  dipende, come la
fattispecie   in  disamina  si  incarica  di  dimostrare  in  maniera
lampante,  dalla contestazione delle differenti ipotesi di bancarotta
in  un  unico  procedimento  ovvero  in  differenti  procedimenti non
utilmente   riunibili.  Non  e',  dunque,  chi  non  veda  come  tale
disciplina  ponga  una  seria  discriminazione tra coloro che, avendo
commesso  differenti  fatti di bancarotta e trovandosi, quindi, nella
medesima situazione sostanziale, si trovino ad essere imputati di una
pluralita'  di  reati  in  un  medesimo  procedimento  (ovvero in una
pluralita' di procedimenti utilmente riunibili) e coloro che, come il
Palossi,  invece,  debbano  rispondere della richiamata pluralita' di
fatti  delittuosi  nell'ambito  di  differenti  procedimenti non piu'
utilmente  riunibili,  in ragione dell'evoluzione, non prevista e non
prevedibile   all'atto   della   primeva  contestazione,  di  vicende
processuali  autonome.  Di  palese  evidenza appare la violazione del
principio  di eguaglianza sostanziale di cui al capoverso dell'art. 3
della Costituzione.
    Ancor di piu': l'impossibilita' di applicare, in questa sede, per
quanto  sopra  esposto  ed in ottemperanza ai principi costituenti il
richiamato  diritto  vivente,  un mero aumento sulla pena inflitta al
Palossi con la sentenza resa in data 18 febbraio - 14 aprile 1999 dal
Tribunale di Camerino, vuoi in ragione dell'applicazione del disposto
dell'art. 219, capoverso, numero 1, della legge fallimentare, vuoi in
ossequio   al   disposto   dell'art. 81,   capoverso,   c.p.,  sembra
confliggere con il principio di cui al terzo comma dell'art. 27 della
Carta  fondamentale.  La "duplicazione" della pena, infatti, non pare
possa  considerarsi  pienamente  rispondente al finalismo rieducativo
della sanzione criminale, che non puo' che essere proprio non tanto e
soltanto  della  fase  "esecutiva",  bensi'  anche  di  quella  della
comminatoria  e  di  quella  della  concreta irrogazione. Si potrebbe
sostenere  che  la  disciplina  in  disamina,  applicata  in  maniera
rigorosa    ed    inderogabile    sino   alle   estreme   conseguenze
(impossibilita'  di  apportare  un aumento di pena, vuoi ex art. 219,
capoverso,   n. 1),   della  legge  fallimentare,  vuoi  ex  art. 81,
capoverso,  c.p.,  in  caso  di  contestazione  di  differenti  fatti
distrattivi,   ascrivibili   alla  condotta  del  medesimo  soggetto,
contestati   nell'ambito   di  procedimenti  penali  separati  e  non
riunibili),  risponde a quella concezione della pena che, all'interno
di   una   prospettiva   teorica,  pur  favorevole  al  principio  di
rieducazione,  ravvisa  il  fondamento  della  sanzione criminale nel
momento  retributivo,  considerato  quale  prius logico ineliminabile
della pena. Orbene, non e' chi non veda come, siffattamente opinando,
si  giunga  a  far  dipendere  l'efficacia retributiva della pena (di
maggiore  incidenza  nel  caso  in  cui  non si possa far ricorso, ad
esempio,  alla  disciplina  di  cui  al capoverso dell'art. 219 della
legge   fallimentare)   da  una  circostanza  meramente  casuale  (la
contestazione  di  diversi fatti distrattivi, asseritamente consumati
nell'ambito   di   un'unica   vicenda   fallimentare,  in  differenti
procedimenti penali non utilmente riunibili).
    Ma v'e' di piu': il concetto di "retribuzione", quanto meno nella
sua accezione liberal-garantista, evoca un rapporto di corrispondenza
tra   gravita'   del  male  commesso  ed  intensita'  della  risposta
sanzionatoria.  Peraltro,  tale  impostazione  si rivela frutto di un
approccio  "idealistico",  ignaro,  cioe',  della dimensione empirica
dello  stesso  fenomeno  "retributivo".  Considerata  non  come  idea
astratta,  ma  come idea che vive nella realta' ed acquista, percio',
uno  spessore  socio-psicologico,  la retribuzione esprime le istanze
emotive  di punizione emergenti nei contesti storico-sociali di volta
in  volta  considerati.  Onde,  col pretendere di rinvenire nell'idea
retributiva  una  garanzia  avverso  i  possibili  "eccessi"  di  una
illimitata  rieducazione,  si rischia di finire col fare assegnamento
su parametri irrazionali ed incontrollabili.
    Ancora, l'impostazione in parola sembra dare per scontato che tra
il  concetto di retribuzione, da un lato, ed il principio del diritto
penale  del  fatto,  dall'altro,  debba  sussistere  un  rapporto  di
necessaria  implicazione.  Cosi' non e', dato che l'idea retributiva,
astrattamente considerata, si presta anche ad esprimere l'esigenza di
compensare  una  colpevolezza legata piu' all'atteggiamento interiore
dell'agente, che non all'obiettiva gravita' del fatto commesso.
    In  realta',  l'inserimento  della rieducazione nella prospettiva
del  diritto  penale  del  fatto  e'  un dato desumibile dalla stessa
normativa  costituzionale.  Che  la  rieducazione  vada  concepita in
collegamento  col  disvalore espresso dal fatto di reato e', infatti,
conseguenza  di  un'interpretazione  dell'art. 27, comma terzo, della
Costituzione,  non  come  norma  isolata,  bensi' come norma posta in
relazione   all'art. 25,  comma  secondo,  della  Costituzione:  come
sappiamo,  tale  ultima norma, nel sancire il principio di legalita',
configura  inequivocabilmente  la  pena  come effetto giuridico di un
"fatto"  criminoso  -  e  non  gia',  dunque,  di  un  modo di essere
soggettivo  o  di  un  semplice  atteggiamento  interiore del reo. Ne
deriva,  allora,  che,  proprio  in  base al combinato disposto degli
artt. 25,  secondo  comma,  e 27, terzo comma, della Costituzione, il
presupposto  della  stessa  pretesa  rieducativa  non puo' che essere
costituito dalla commissione di un fatto socialmente dannoso da parte
del soggetto da rieducare.
    Beninteso,  cio'  non  equivale a sottovalutare l'esigenza di una
"proporzione"  tra  fatto  e sanzione. Solo che il soddisfacimento di
questa  esigenza,  certamente  fondamentale  ed  irrinunciabile,  non
necessita  del  recupero, sia pure parziale, della vecchia concezione
retribuzionistica.
    Il  principio  di  proporzione,  oltre  a  caratterizzare  l'idea
generale  di  giustizia,  costituisce, infatti, uno dei criteri-guida
che  presiedono  allo stesso funzionamento dello Stato di diritto: e'
per  questa  ragione  che  il  principio  in  parola  costituisce  un
parametro  essenziale  di  qualsiasi teoria razionale e moderna sulla
funzione della pena.
    Da  un  lato,  all'interno  di un'ottica di prevenzione generale,
oggi   si  concorda  nell'osservare  che  la  minaccia  di  una  pena
eccessivamente  severa  o, comunque, sproporzionata (cosi' come nella
fattispecie in disamina, laddove commisurata al trattamento riservato
alle   ipotesi,  tutt'affatto  simili,  della  contestazione  di  una
pluralita'  di fatti distrattivi nell'ambito di un unico procedimento
penale),  puo'  suscitare  sentimenti  di insofferenza nel potenziale
trasgressore  ed  alterare  nei  consociati  la  percezione di quella
corretta  scala di valori che dovrebbe riflettersi nel rapporto tra i
singoli reati e le sanzioni corrispondenti.
    Dall'ulteriore  (e complementare) lato della prevenzione speciale
ispirata al modello della rieducazione - che, peraltro, e' quello che
piu'   conta   -   e'  necessario  sottolineare  che  un  trattamento
rieducativo  correttamente  inteso  presuppone che il destinatario si
renda  consapevole  del  torto  commesso,  ed  avverta  come giusta e
proporzionata  la sanzione che gli viene inflitta. Da questo punto di
vista,  la  "proporzionatezza"  tra  fatto e sanzione, avvertita come
tale    dal    reo,    costituisce    una    premessa   ineliminabile
dell'accettazione  psicologica  di  un trattamento diretto a favorire
nel  condannato  il  recupero  della capacita' di apprezzare i valori
tutelati dall'ordinamento.
    Deliberata, quindi, la non manifesta infondatezza e la rilevanza,
nel processo in corso, della questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 216, primo comma, numero 1), e 219, secondo comma, numero
1.  del  regio  decreto  16  marzo  l 942, n. 267, nella parte in cui
escludono   che,   in  caso  di  contestazione  di  differenti  fatti
distrattivi,   ascrivibili   alla  condotta  del  medesimo  soggetto,
contestati   nell'ambito   di  procedimenti  penali  separati  e  non
riunibili,   possa   farsi   applicazione   della   disciplina  della
continuazione  di cui la capoverso dell'art. 81 c.p. ovvero di quella
del  giudizio di valenza tra l'aggravante di cui al ridetto art. 219,
comma  secondo,  numero  1, r.d. n. 267/1942 ed eventuali circostanze
aggravanti,  non puo' che disporsi la sospensione del processo stesso
e  la trasmissione degli atti alla Consulta perche' proceda al vaglio
della questione.
    Si  affida  mandato  alla  Cancelleria  anche  per  gli ulteriori
incombenti.