IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE Alla udienza del 23 ottobre 2000, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente ordinanza nei confronti di Palossi Ruggero, nato il giorno 13 marzo 1936 a Castelraimondo (Macerata), ivi residente in corso Italia n. 25, libero - non comparso, imputato del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. C.P., e 216, primo comma, n. 1, del r. d. 16 marzo 1942, n. 267, perche' con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso poste in essere anche in tempi diversi, in qualita' di socio amministratore della Telelco s.n.c., dichiarata fallita dal Tribunale di Camerino il 3 aprile 1990, agendo in concorso morale e materiale con Eleuteri Pierluigi, gia' giudicato per tali fatti separatamente, distraeva dall'attivo fallimentare e alla garanzia dei creditori L. 25.000.000 quale prezzo di acquisto delle quote della societa' BA 15 S.r.l. e quindi L. 70.000.000 che consegnava al suddetto Eleuteri mediante la dazione di numero sette assegni bancari. In Camerino fallimento del 3 aprile 1990. Con l'intervento del p.m. in persona della dott.ssa Cristina Polenzani, sostituto procuratore della Repubblica. Le parti concludevano nel modo che segue: Il p.m. ed il difensore dell'imputato, avv. Roberto Della Cerra, del Foro di Camerino, concludevano come da verbale dell'udienza del 23 ottobre 2000 (pagg. 2, 23), da intendersi qui pienamente richiamato e recepito. F a t t o e d i r i t t o In data 18 febbraio 1999 il Tribunale di Camerino pronunziava sentenza, iscritta al numero 7/1999 Reg. Sent., con cui riconosceva la penale responsabilita' di Palossi Ruggero, D'Angelo Elena ed Eleuteri Pierluigi in ordine a fatti di bancarotta fraudolenta, consumati in relazione alla gestione della societa' in nome collettivo "Telelco", dichiarata fallita in data 3 aprile 1990 dallo stesso tribunale. Con la richiamata pronunzia, il collegio camerale disponeva trasmettersi gli atti alla locale Procura della Repubblica, ravvisando elementi di sospetto in relazione ad un ipotizzato concorso in una delle fattispecie sopra richiamate (ab origine ascritta al solo Eleuteri) da parte di Palossi Ruggero, giudicato, nella sede richiamata, per altri fatti storici. L'ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale di Camerino procedeva, quindi, ad ulteriori indagini nei confronti del ridetto Palossi. In esito alle indagini preliminari, il pubblico ministero chiedeva il rinvio a giudizio del Palossi Ruggero. Veniva, quindi, fissata udienza dinanzi a questo g.u.p., nel corso della quale il Palossi domandava di essere ammesso al giudizio abbreviato; ammesso il rito alternativo, le parti concludevano come da separato verbale. In esito all'odierna udienza, opina questo giudicante che le accuse mosse al Palossi Ruggero, siccome meglio specificate in rubrica, debbano ritenersi fondate e sorrette da adeguati elementi di riscontro. Al fine di vagliare l'ipotesi di coinvolgimento dell'indagato nella consumazione della fattispecie di bancarotta fraudolenta, delineata dall'ipotesi accusatoria, occorre prender le mosse da una ricostruzione, sia pure sommaria, delle vicende storiche della societa' in nome collettivo "Telelco". A tal proposito, si trascrive parte della motivazione della sentenza n. 7/1999 Reg. Sent., resa in data 18 febbraio 14 aprile 1999 dal Tribunale di Camerino, che appare dettagliatamente motivata: "La storia della societa' fallita, cosi' come ricostruita dal perito nelle prime pagine della sua relazione, si puo' riassumere in brevi cenni: in data 7 ottobre 1985 la TEL.EL.CO. nasceva sotto forma di societa' in accomandita semplice, laddove il Palossi Ruggero figurava come socio accomandatario (con una quota pari al 5%) e la moglie D'Angelo Elena come socia accomandante (con una quota pari al restante 95%), la societa' svolgeva, in Castelraimondo, via Potenza n. 86, l'attivita' di produzione, commercio ed installazione di telefoni e di apparecchiature elettroniche in genere, nonche' di recupero di materiali delle telecomunicazioni in demolizione; al momento della costituzione della Telelco S.a.s. la D'Angelo Elena era anche titolare di una ditta individuale svolgente l'attivita' di commercio di mercerie in Castelraimondo, corso Italia n. 27, attivita' ereditata dalla madre; il 27 settembre 1988 la Telelco S.a.s. veniva trasformata in societa' in nome collettivo con capitale sociale pari a L. 5.000.000, sottoscritta dai soci Palossi Ruggero e D'Angelo Elena rispettivamente nella misura di L. 250.000 e L. 4.750.000, l'amministrazione ordinaria della societa' veniva svolta dal Palossi in forma disgiunta mentre l'amministrazione straordinaria spettava ad entrambi i soci in via congiunta; ai primi giorni dell'anno 1989 la Telelco s.n.c. cominciava a versare in una difficile situazione finanziaria tanto che, su indicazione di Mengoni Gabriele, il Palossi contattava il ragionier Eleuteri Pierluigi cui, in data 4 giugno 1989, conferiva incarico per cercare di risolvere i problemi della societa'; nel corso dell'anno 1989 venivano compiuti i seguenti atti dispositivi sul patrimonio dei soci e, piu' precisamente: il 23 settembre 1989 la D'Angelo Elena cedeva la propria ditta individuale conferendola nella societa' "Sanitarbaby S.a.s." costituita con la figlia Palossi Fedenca e Giacomelli Paolo; il 28 giugno 1989 venivano cedute tutte le merci e le attrezzature della "Telelco s.n.c." alla societa' "BA 15 S.r.l." con fattura n. 45; il 20 luglio 1989 veniva ceduta la proprieta' del 50% dell'immobile (capannone industriale sito in localita' Selvalagli nel comune di Gagliole) di proprieta' della "Telelco s.n.c." a Benedetti Sandro; il 4 agosto 1989 la D'Angelo Elena cedeva alla figlia Palossi Federica l'85% delle quote della "Sainitarbaby S.a.s."; l'8 settembre 1989 veniva formalizzato l'acquisto delle quote della "BA 15 S.r.l." da parte di Palossi Federica e di Mengoni Sandro; successivamente a tale data tutte le attivita' della "Telelco s.n.c." potevano dirsi liquidate, la societa' veniva poi dichiarata fallita il 5 aprile 1990". Aggiunge, ancora, il Tribunale di Camerino, con argomentazioni che, per la puntualita' della ricostruzione storica e per l'arguzia del ragionare, possono essere pienamente condivise, in riferimento all'operazione di cessione delle merci e delle attrezzature della Tel.El.Co. societa' in nome collettivo: "Risulta pacifico in causa che il 28 giugno 1989 la Telelco s.n.c., oramai in stato di decozione, vendeva alla "BA 15 S.r.l." con fattura n. 45 merci per L. 40.000.000 ed attrezzature per L. 28.000.000, per un importo complessivo di L. 80.920.000 compresa I.V.A. Al riguardo occorre notare che: con la citata fattura n. 45 la Telelco s.n.c. si spogliava di tutti i suoi beni (merci, attrezzature, macchine d'ufficio, arredamenti) in favore della "BA 15 S.r.l."; dalle bolle risultava che la merce non aveva viaggiato, essendo il luogo di destinazione lo stesso della partenza; il pagamento della merce veniva indicato come avvenuto "per contanti e con denaro proveniente dai soci; la cessione era avvenuta precedentemente all'acquisto della "BA 15 S.r.l." da parte del Mengoni Sandro e della Palossi Federica (quindi al momento in cui la societa' era, di fatto, nella disponibilita' esclusiva dell'Eleuteri, visto che Loy Franco di Fermo - che avrebbe detenuto il 50% della societa' - ha negato di aver mai avuto una tale partecipazione azionaria e, del resto, non risulta aver mai apposto la sua firma sull'atto di cessione). Tali emergenze inducono ad escludere che la Telelco s.n.c. abbia mai ricevuto alcun tipo di corrispettivo per quella che il perito ha definito una "liquidazione di fatto" della societa'. Infatti il Mengoni Sandro ha affermato di non aver mai "tirato fuori dei soldi di tasca propria", mentre la Palossi Federica - come sopra esposto - appariva all'oscuro di quelli che erano gli affari dei propri genitori e solo di volta in volta figurava come "testa di paglia". Del resto e' anche vero che non v'e' traccia alcuna del corrispettivo di L. 80.920.000 che avrebbe dovuto incassare la Telelco s.n.c., di talche' appare una conclusione necessitata quella di ritenere che con la vendita in oggetto la societa' fallita veniva spogliata definitivamente di tutti i beni residui in pregiudizio ai creditori. A tale proposito, non potendosi legittimamente dubitare della responsabilita' del Palossi Ruggero e della moglie D'Angelo Elena (per la quale valgono le considerazioni gia' esposte in ordine al capo n. 4) dell'imputazione), una breve replica s'impone alla considerazione del C.T. dell' imputato Eleuteri secondo il quale, non essendo mai nominato in rapporto ai fatti in esame il nome dell'Eleuteri nella relazione peritale, si confermerebbe la sua "totale estraneita'" riguardo ad essi. Tale tesi non sembra affatto condivisibile. Oltre a tutte le considerazioni sopra svolte in ordine alla gestione diretta da parte dell'Eleuteri della crisi della Telelco s.n.c., appare appena il caso di sottolineare che, per ammissione dello stesso imputato, l'Eleuteri aveva fatto acquistare al Palossi la "BA 15 S.r.l." per dargli la possibilita' di "continuare un'attivita' che gli dava la possibilita' di poter mandare avanti i bisogni della propria famiglia". Se pure ce ne fosse stato bisogno tale dichiarazione suona come un'esplicita conferma del ruolo chiave avuto dall'Eleuteri nell'acquisto della "BA 15 S.r.l." e nel successivo trasferimento a quest'ultima societa' di quelle attrezzature della Telelco s.n.c. che avrebbero dovuto nelle intenzioni dell'Eleuteri e del Palossi permettere la continuazione dell'attivita' imprenditoriale della Telelco s.n.c. ormai prossima al fallimento. In buona sostanza l'Eleuteri non era altri che l'artefice primario del grossolano escamotage col quale la Telelco s.n.c. si era spogliata di tutti i suoi beni (rimanendo, di fatto, una scatola vuota) in pregiudizio ai creditori ed a vantaggio di una societa' priva di debiti ed intestata a terzi. Ne deriva che anche l'Eleuteri, in concorso col Palossi e la D'Angelo, deve ritenersi penalmente responsabile della fattispecie delittuosa di cui al capo n. 3 dell'imputazione.". Alla stregua delle prefate considerazioni il tribunale camerte esprimeva dubbi circa un coinvolgimento dell' odierno indagato nell'operazione di bancarotta sopra delineata e, pertanto, disponeva la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica in sede, che, peraltro, limitava le indagini alla mera acquisizione degli atti relativi al procedimento, conchiusosi con la condanna del Palossi Ruggero, dell'Eleuteri Pierluigi e della D'Angelo Elena. Orbene, proprio la disamina dei prefati atti di investigazione consente di apprezzare una situazione in cui i presupposti del concorso del Palossi Ruggero nella consumazione del reato di bancarotta in disamina rimangono ben delineati e chiari. Il perito nominato dal Tribunale di Camerino, dott.ssa Cristina Tacchi, con riguardo all'operazione in disamina, conclude: "Nel verbale di udienza del 9 novembre 1995 il sig. Eleuteri afferma che la somma di L. 25.000.000 corrisposta dal sig. Palossi sia servita: quanto a L. 20.000.000 per l'acquisto delle quote sociali, quanto a L. 5.000.000 per le spese inerenti all'operazione di cui sopra (trasferimenti di quote, dall'amministrazione, cambiamento dell'oggetto sociale, libri sociali come riportato alle pagg. 44 e 53 del verbale di udienza del 9 novembre 1995). Non risultano, tra i documenti contenuti nel fascicolo del processo, atti di cessione di quote. Si esclude che gli stessi siano stati redatti sia perche' risulta, dal libro soci, che tale trasferimento e' avvenuto con semplice dichiarazione di vendita e non mediante esibizione da parte dell'acquirente o dell'alienante dal titolo da cui risulti il trasferimento, sia in quanto l'art. 2479 del c.c., prima delle modifiche apportate dalla legge l2 agosto 1993, n. 310, non richiedeva l'obbligatorieta' di una forma scritta. Le spese inerenti al cambiamento dei libri sociali non sono state sostenute come risulta dal giornale di contabilita' e dal libro dei soci. La "Telelco 19 S.r.l." ha continuato le proprie scritturazioni sul giornale della "BA 15 S.r.l.". Per quanto riguarda l'atto notarile di trasformazione dell'oggetto sociale e l'accettazione della carica di amministratore, non risulta (alla data dell'ultima rilevazione sul libro giornale 6 settembre 1989) la registrazione della parcella notarile da cui desumere la spesa sostenuta. Si rileva comunque che, anche in presenza di eventuali atti di cessione di quote redatti in forma scritta e registrati, la spesa necessaria per l'espletamento di tutte le operazioni sopra menzionate sia stata notevolmente inferiore all'importo di L. 5.000.000. Dal libro soci della "BA 15 S.r.l." risulta che la societa' "Margherita S.p.a." (che ha sottoscritto il capitale sociale della "BA 15 S.r.l.") cede l'intera sua partecipazione per un valore nominale di L. 19.900.000 ai signori Eleuteri Pierluigi e Loy Franco e precisamente n. 990 quote del valore unitario di L. 10.000 al sig. Eleuteri e n. 1000 quote del valore unitario di L. 10.000 al sig. Loy. A fianco della dichiarazione di vendita non e' apposta la data, ma si deve ritenere che sia avvenuta precedentemente all'11 gennaio 1989 data della vidimazione annuale, che attribuisce data certa a tutte le operazioni trascritte anteriormente. La dichiarazione di vendita e' sottoscritta dal solo cedente mentre ne' gli acquirenti ne' l'amministratore hanno apposto la propria firma. Successivamente, risulta dal libro soci, una ulteriore cessione di n. 10 quote del valore nominale di L. 10.000 dalla "Piceno soc. coop. a.r.l." al sig. Eleuteri. A fianco della dichiarazione di vendita, in questo caso sottoscritta sia dall'alienante che dall'acquirente, non e' stata indicata la data. In data 7 agosto 1989 il sig. Eleuteri dichiarava di vendere n. 1000 quote del valore nominale di L. 10.000 alla sig.ra Palossi Federica. La dichiarazione e' sottoscritta sia dall'alienante che dall'acquirente. In pari data con dichiarazione sottoscritta dai soli acquirenti risultano cedute le quote del sig. Loy Franco alla sig.ra Palossi Federica ed al sig. Mengoni Sandro. Pertanto, precedentemente alla cessione di quote alla sig.ra Palossi Federica, il sig. Eleuteri risulta proprietario del 50% della "BA l 5 S.r.l." in quanto con tale cessione viene sanata la mancata sottoscrizione dell'acquisto di n. 90 quote dalla "Margherita S.p.a.". Il 50% della somma corrisposta risulta pertanto riscossa dal sig. Eleuteri per la cessione delle proprie quote. Per la quota del 50% che risulta ceduta dalla "Margherita S.p.a." al sig. Loy Franco e successivamente acquistata dalla sig.ra Palossi Federica e dal sig. Mengoni Sandro, la mancata sottoscrizione delle stesse da parte del sig. Loy Franco unitamente alle dichiarazioni dallo stesso rilasciate nel verbale di udienza del 5 ottobre 1995, accertano l'estraneita' dello stesso in tale operazione. La trascrizione nel libro dei soci della dichiarazione di vendita di quote sottoscritta dall'amministratore della "Margherita S.p.a." significa comunque che tale cessione e' avvenuta e per la stessa sara' corrisposto un prezzo anche se per quanto sopra detto l'acquirente non risulta essere il sig. Loy Franco. Tale operazione risulta avvenuta, per quanto precedentemente detto, prima del giorno 11 gennaio 1989 ma, dai documenti contabili, non si puo' accertare chi sia l'effettivo acquirente (...) In data 4 giugno 1989 il sig. Palossi Ruggero e la sig.ra D'Angelo Elena conferiscono al sig. Eleuteri l'incarico professionale di esaminare la situazione debitoria e creditoria della "Telelco s.n.c.". In tale incarico viene stabilito che, oltre ai rimborsi spesa e indennita', verra' corrisposto al sig. Eleuteri un compenso pari al 5% del totale del passivo ammontante presumibilmente in L. 800.000.000. In data 8 giugno 1989 il sig. Eleuteri rilascia una dichiarazione dalla quale risulta l'avvenuta consegna, da parte del sig. Palossi della somma di L. 80.000.000 in assegni bancari di cui L. 10.000.000 successivamente restituiti. In tale dichiarazione e' scritto che tale importo viene acquisito dal sig. Eleuteri per promuovere eventuali transazioni con i creditori ed in parte come acconto spese, indennita' ed onorari. Dal verbale di udienza del 9 novembre 1995 (pag. 42) risulta che il sig. Eleuteri ha analizzato la situazione debitoria e creditoria della "Telelco s.n.c." come da incarico conferitogli. Ha rilevato l'entita' dei debiti (un miliardo e trecento milioni contro gli ottocento dichiarati) la natura degli stessi (450 milioni di crediti privilegiati, 150 milioni garantiti da ipoteca, 700 milioni di debiti chirografi). Mentre per quanto riguarda la situazione creditoria il sig. Eleuteri ha presentato, per conto del sig. Palossi, una denuncia per truffa alla Procura della Repubblica di Camerino. Dopo aver espletato tali operazioni il sig. Eleuteri consiglio' al sig. Palossi che era opportuno fallire. Gli accadimenti successivi (la vendita di tutte le merci ed attrezzature alla "BA 15 S.r.l.", il pagamento della somma di L. 25.000.000 per l'acquisto delle quote societarie) e quindi il predisporre una nuova struttura (la "BA 15 S.r.l." che doveva trasformarsi in "Telelco 19 S.r.l.") unitamente alla cessione del 50% dell'immobile di proprieta' della "Telelco s.n.c.", legittimano la restituzione delle scritture contabili, scritture che vengono il giorno dopo rubate, in quanto la societa' non era piu' operativa. A questo punto si analizzano specificamente i singoli assegni: l'assegno n. 283 di L. 10.000.000 e' stato dato in pagamento dal sig. Eleuteri a terze persone. L'assegno e' stato debitamente girato; l'assegno n. 284 di L. 10.000.000, non risulta girato dal sig. Eleuteri, vi risultano apposte due girate non decifrabili; l'assegno n. 285 di L. 10.000.000, non risulta girato dal sig. Eleuteri. Lo stesso risulta incassato dal sig. Manciola Umberto il quale ha rilasciato una dichiarazione agli atti del processo in cui afferma di non conoscere ne' il traente (Benedetti Sandro) ne' il giratario (Palossi Ruggero). Poiche' questi due ultimi assegni erano nella disponibilita' del sig. Eleuteri si ritiene che lo stesso li abbia dati in pagamento senza apporre la propria girata. I restanti tre assegni e precisamente l'assegno n. 282 di L. 20.000.000, l'assegno n. 287 di L. 10.000.000 e l'assegno n. 286 di L. 10.000.000 risultano negoziati al Banco di Sicilia sede di Ancona tutti in data 31 luglio 1989 dal sig. Eleuteri Pierluigi. Alla pag. 49, del verbale di udienza del 9 novembre 1995 il sig. Eleuteri afferma di aver restituito la somma di L. 70.000.000 in piu' riprese nei primi giorni dell'agosto 1989. Tali assegni venivano cambiati dal sig. Eleuteri per la difficolta' incontrata dal sig. Palossi nel cambiarli personalmente e quindi restituiti mediante assegni circolari o in contanti. Alla luce dei dati sopra esposti si conclude che: gli assegni dati in pagamento a terze persone pari a L. 30.000.000, cosi' come i restanti assegni, non sono serviti per transazioni con i creditori della "Telelco s.n.c." in quanto il sig. Eleuteri dichiara di aver restituito al sig. Palossi l'intero importo di L. 70.000.000; gli assegni dati in pagamento non sono stati ovviamente restituiti, perlomeno non con le modalita' dichiarate dal sig. Eleuteri; per i restanti assegni negoziati dal sig. Eleuteri al Banco di Sicilia non si ha alcuna documentazione nel fascicolo del processo che attesi od escluda quanto affermato." (v., in atti, elaborato peritale, redatto dalla dott.ssa Cristina Tacchi in data 23 giugno 1997, pagg. 776 - 784). Cio' stante, sembra logico concludere che l'esito del giudizio abbreviato non possa consistere che nella affermazione della penale responsabilita' del prevenuto in relazione all'imputazione ascrittagli. Non rimarrebbe, a tal punto, che passare alla determinazione della pena infliggenda. A tal proposito, peraltro, si evidenzia quanto rilevato dalla difesa del prevenuto: il Palossi, come gia' detto in incipit del presente provvedimento, e' stato sottoposto a procedimento penale dinanzi al Tribunale di Camerino, siccome imputato di aver distratto merci e attrezzature dalla fallita societa' Telelco. In quella sede, il Palossi veniva condannato, con sentenza n. 7/1999 Reg. Sent., pronunziata in data 14 aprile 1999, alla pena di anni due e mesi due di reclusione. Il verdetto e' stato gravato da appello, tuttora all'esame della Corte di Appello di Ancona. Con la medesima pronunzia veniva condannato anche l'imputato di reato connesso Eleuteri Pierluigi, il quale era chiamato a rispondere della medesima violazione di legge, cosi' come modificata, nella qualificazione giuridica, dal Tribunale, in quanto accusato di aver distratto dalla Telelco le somme di L. 25.000.000 e di L. 70.000.000. Con la citata sentenza di condanna, il Tribunale di Camerino disponeva la restituzione degli atti al p.m., invitandolo ad esercitare l'azione penale nei confronti del Palossi, stante la presunta esistenza di ulteriori ipotesi di reato a carico dello stesso, reati che altri non erano se non quelli gia' contestati all'Eleuteri. Donde l'imputazione nei confronti del Palossi ed il presente procedimento. Orbene, in ipotesi di bancarotta, ai sensi del disposto dell'art. 219 L. F., le pene stabilite dagli articoli 216, 217 e 213 L. F. sono aumentate se il colpevole ha commesso piu' fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati. Si tratta di una disciplina speciale, che costituisce una deroga alle norme sul concorso dei reati e sul reato continuato. Evidentemente il legislatore fallimentare, in considerazione delle pene previste per i reati fallimentari principali e tenuto conto della sostanziale identita' dell'interesse leso, ha proceduto ad una unificazione della molteplicita' dei fatti criminosi, determinando soltanto un aumento di pena. Si tratta di una applicazione del principio di specialita' di cui all'art. 15 c.p., con l'evidente finalita' di attenuare le norme sul concorso di reato. Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' e la dottrina non hanno mai mostrato tentennamenti, ad eccezione della dibattuta questione se l'espressione normativa si riferisca soltanto alla commissione di piu' azioni alternative, previste nell'ambito di uno solo degli articoli 216, 217 o 218 L. F. ovvero possa riguardare anche fatti contemplati in due o tre degli articoli indicati; discussione, peraltro, estranea al presente procedimento, posto che al Palossi sono sempre state contestate imputazioni riferite al medesimo numero 1) del solo art. 216 L. F., l'art. 219, secondo comma n. 1), L. F. "considerando circostanza aggravante la reiterazione di piu' episodi di bancarotta, statuisce la unitarieta' del reato, anche se commesso con una pluralita' di condotte fra quelle alternativamente previste dall'art. 216 L. F., sicche' alla bancarotta sono applicabili i principi di diritto comune stabiliti in tema di continuazione, e la circostanza aggravante e' assoggettata all'ordinario giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti previsto dall'art. 69 c.p." (v. Cass., sez. V penale, 4 marzo 1998, n. 4431, in Cass. pen., 1999, pag. 1957, m. 959). Nel caso in cui siano commessi piu' fatti di bancarotta tra quelli previsti dall'art. 216 della legge fall., deve trovare applicazione l'art. 219, secondo comma n. 1, della stessa legge che, nell'ambito di un medesimo fallimento, stabilisce il principio della concezione unitaria del reato di bancarotta. In base a tale principio, allo scopo di mitigare il rigore derivante dall'applicazione delle norme sul concorso di reati, la pluralita' di atti di bancarotta e' considerata una semplice circostanza aggravante del reato anche nelle ipotesi - assai disomogenee tra loro - di commissione di fatti di bancarotta patrimoniale e bancarotta documentale. Ulteriori pronunzie della Suprema Corte si sono pronunziate nel senso di ritenere applicabile il principio dell'unitarieta' della bancarotta anche a fatti posti in essere attraverso una pluralita' di condotte alternativamente previste dagli artt. 216, 217 e 218 L.F. Alla stregua di quanto premesso, la posizione del Palossi risulterebbe, secondo la difesa, quanto mai chiara e facilmente inquadrabile nell'ambito delle norme e della giurisprudenza citata, essendo lo stesso accusato di diverse ipotesi di bancarotta che non solo rientrano tutte nel disposto dell'art. 216, ma, addirittura, all'interno di una singola ipotesi in questo contenuta, ossia la bancarotta per distrazione. Eccepisce la difesa che, dovendo essere trattata la bancarotta relativa al medesimo fallimento come un'unica ipotesi delittuosa, ed i singoli episodi come aggravanti dell'unico reato, il pubblico ministero, all'insorgere delle questioni che il tribunale ebbe a rilevare in sentenza, ossia l'esistenza di possibili altri episodi di bancarotta per distrazione, concernenti il medesimo fallimento, bene avrebbe potuto contestare il fatto secondo la procedura di contestazione delle aggravanti, contemplata dall'art. 517 c.p.p. Cio' non e' stato fatto, e pertanto il p.m. si sarebbe precluso la possibilita' di contestare l'aggravante, ne' il tribunale avrebbe potuto restituirgli gli atti, in quanto cio' sarebbe stato possibile, ai sensi dell'art. 521 c.p.p., in caso dell'emergere di un fatto diverso, o per una contestazione effettuata fuori delle ipotesi consentite, mai per la mancata contestazione di una aggravante. Il provvedimento del tribunale assumerebbe, pertanto, i caratteri della abnormita'. D'altra parte, iniziando una nuova azione penale, il pubblico ministero avrebbe violato proprio il disposto dell'art. 219 L. F., il quale, come si e' visto, vuole attenuare le conseguenze dell'applicazione delle norme sul concorso dei reati, oltre che l'art. 84 c.p., in tema di reato complesso. Tanto cio' sarebbe vero, che se il Palossi venisse piu' volte condannato per la medesima bancarotta, in sede di esecuzione non solo avrebbe difficolta' a giovarsi delle norme sulla continuazione, ma, anche cio' facendo, subirebbe un grave pregiudizio derivante dalle conseguenze di dover operare necessariamente un aumento di pena per la continuazione, senza potersi giovare del possibile e ben piu' favorevole ricorso alla comparazione delle circostanze: nell'un caso, la sua pena sarebbe necessariamente superiore ai due anni, nel secondo caso, potrebbe scendere sino ai due anni e, quindi, consentirebbe l'applicazione dell'istituto della sospensione condizionale. Per quanto esposto, il provvedimento del tribunale di rimessione degli atti al p.m. sarebbe abnorme e si collocherebbe completamente al di fuori del vigente sistema processuale. Tale abnormita' comporterebbe, conseguenzialmente, la dichiarazione di improcedibilita' dell'azione penale, poiche' iniziata al di fuori delle ipotesi previste dal codice di procedura penale. L'imputato dovrebbe, dunque, essere assolto ai sensi dell'art. 129 c.p.p., dal momento che si procede per un reato che si configura quale aggravante di quello per il quale l'imputato e' gia' stato condannato e che, pertanto, da sola non puo' essere contestata e non puo' costituire autonoma figura delittuosa, stante il disposto degli artt. 15 e 84 c.p. A tal proposito, si osserva che l'art. 219, primo capoverso, numero 1, della legge fallimentare prevede l'unificazione quoad poenam di una pluralita' di fatti di bancarotta, ma non elimina l'autonomia dei singoli episodi delittuosi, tant'e' che, come riconosciuto da autorevole dottrina, ciascun fatto mantiene la propria autonomia, pur rimanendo uniti, ai fini della pena, in forza della coesistenza di tutti e per la sola configurabilita' della circostanza aggravante normativamente prevista. D'altro canto, occorre por mente alla considerazione che la disciplina richiamata sfugge alla sussunzione nell'ambito della norma di cui all'art. 84 c.p., in quanto, per configurare il reato complesso e' necessario che una norma di legge operi la fusione in un'unica figura criminosa dei fatti costituenti reati autonomi. Non basta, quindi, che la pluralita' di fatti, che, isolatamente considerati, costituirebbero altrettanti reati, abbia qualche elemento comune, perche' sia ravvisabile il reato complesso, essendo questo costituito dalla unificazione a livello normativo di tutti gli elementi che integrano ipotesi tipiche di reati tra loro differenti, cosi' come, per i motivi sopra esposti, non si verifica nella fattispecie in disamina. L'unificazione di piu' fatti di bancarotta sotto l'ipotesi aggravata dell'art. 219, capoverso, numero 1, della legge fallimentare opera, infatti, in deroga alle norme sul concorso formale di reati e sul reato continuato ed e' dettata esclusivamente ai fini del temperamento della pena: pertanto, non viene meno l'individualita' ontologica dei singoli fatti di bancarotta, i quali mantengono la propria struttura e le proprie caratteristiche, tant'e' che, come riconosciuto da giurisprudenza vuoi di merito, vuoi di legittimita', e' consentita l'assoluzione ovvero il proscioglimento in relazione ad una o piu' delle situazioni penalmente rilevanti, senza che per cio' stesso venga meno l'ipotesi concorrente, ovvero e' consentita l'emissione "a catena" di provvedimenti restrittivi della liberta' personale, sottraendosi la fattispecie in disamina al divieto di contestazione "a catena" di cui all'art. 297, terzo comma, c.p.p. Cio' stante, in ragione di quello che, a ragione, puo' essere definito quale "diritto vivente", l'operato del Tribunale di Camerino, di cui alla sentenza resa in data 18 febbraio - 14 aprile 1999, e della Procura della Repubblica in sede appare corretto. Nella fattispecie, quindi, non potrebbe che determinarsi una pena in maniera tutt'affatto autonoma rispetto a quella inflitta con la prefata sentenza. Tale disciplina, siccome confortata dal richiamato diritto vivente, sembra, peraltro, configgere con il disposto degli articoli 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione. E valga il vero: la irrogazione di una pena autonoma, contenuta entro i limiti edittali di cui agli artt. 216, 217 e 218 della legge fallimentare, ovvero la comminazione di un mero aumento, ai sensi del gia' richiamato art. 219 della medesima legge, dipende, come la fattispecie in disamina si incarica di dimostrare in maniera lampante, dalla contestazione delle differenti ipotesi di bancarotta in un unico procedimento ovvero in differenti procedimenti non utilmente riunibili. Non e', dunque, chi non veda come tale disciplina ponga una seria discriminazione tra coloro che, avendo commesso differenti fatti di bancarotta e trovandosi, quindi, nella medesima situazione sostanziale, si trovino ad essere imputati di una pluralita' di reati in un medesimo procedimento (ovvero in una pluralita' di procedimenti utilmente riunibili) e coloro che, come il Palossi, invece, debbano rispondere della richiamata pluralita' di fatti delittuosi nell'ambito di differenti procedimenti non piu' utilmente riunibili, in ragione dell'evoluzione, non prevista e non prevedibile all'atto della primeva contestazione, di vicende processuali autonome. Di palese evidenza appare la violazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui al capoverso dell'art. 3 della Costituzione. Ancor di piu': l'impossibilita' di applicare, in questa sede, per quanto sopra esposto ed in ottemperanza ai principi costituenti il richiamato diritto vivente, un mero aumento sulla pena inflitta al Palossi con la sentenza resa in data 18 febbraio - 14 aprile 1999 dal Tribunale di Camerino, vuoi in ragione dell'applicazione del disposto dell'art. 219, capoverso, numero 1, della legge fallimentare, vuoi in ossequio al disposto dell'art. 81, capoverso, c.p., sembra confliggere con il principio di cui al terzo comma dell'art. 27 della Carta fondamentale. La "duplicazione" della pena, infatti, non pare possa considerarsi pienamente rispondente al finalismo rieducativo della sanzione criminale, che non puo' che essere proprio non tanto e soltanto della fase "esecutiva", bensi' anche di quella della comminatoria e di quella della concreta irrogazione. Si potrebbe sostenere che la disciplina in disamina, applicata in maniera rigorosa ed inderogabile sino alle estreme conseguenze (impossibilita' di apportare un aumento di pena, vuoi ex art. 219, capoverso, n. 1), della legge fallimentare, vuoi ex art. 81, capoverso, c.p., in caso di contestazione di differenti fatti distrattivi, ascrivibili alla condotta del medesimo soggetto, contestati nell'ambito di procedimenti penali separati e non riunibili), risponde a quella concezione della pena che, all'interno di una prospettiva teorica, pur favorevole al principio di rieducazione, ravvisa il fondamento della sanzione criminale nel momento retributivo, considerato quale prius logico ineliminabile della pena. Orbene, non e' chi non veda come, siffattamente opinando, si giunga a far dipendere l'efficacia retributiva della pena (di maggiore incidenza nel caso in cui non si possa far ricorso, ad esempio, alla disciplina di cui al capoverso dell'art. 219 della legge fallimentare) da una circostanza meramente casuale (la contestazione di diversi fatti distrattivi, asseritamente consumati nell'ambito di un'unica vicenda fallimentare, in differenti procedimenti penali non utilmente riunibili). Ma v'e' di piu': il concetto di "retribuzione", quanto meno nella sua accezione liberal-garantista, evoca un rapporto di corrispondenza tra gravita' del male commesso ed intensita' della risposta sanzionatoria. Peraltro, tale impostazione si rivela frutto di un approccio "idealistico", ignaro, cioe', della dimensione empirica dello stesso fenomeno "retributivo". Considerata non come idea astratta, ma come idea che vive nella realta' ed acquista, percio', uno spessore socio-psicologico, la retribuzione esprime le istanze emotive di punizione emergenti nei contesti storico-sociali di volta in volta considerati. Onde, col pretendere di rinvenire nell'idea retributiva una garanzia avverso i possibili "eccessi" di una illimitata rieducazione, si rischia di finire col fare assegnamento su parametri irrazionali ed incontrollabili. Ancora, l'impostazione in parola sembra dare per scontato che tra il concetto di retribuzione, da un lato, ed il principio del diritto penale del fatto, dall'altro, debba sussistere un rapporto di necessaria implicazione. Cosi' non e', dato che l'idea retributiva, astrattamente considerata, si presta anche ad esprimere l'esigenza di compensare una colpevolezza legata piu' all'atteggiamento interiore dell'agente, che non all'obiettiva gravita' del fatto commesso. In realta', l'inserimento della rieducazione nella prospettiva del diritto penale del fatto e' un dato desumibile dalla stessa normativa costituzionale. Che la rieducazione vada concepita in collegamento col disvalore espresso dal fatto di reato e', infatti, conseguenza di un'interpretazione dell'art. 27, comma terzo, della Costituzione, non come norma isolata, bensi' come norma posta in relazione all'art. 25, comma secondo, della Costituzione: come sappiamo, tale ultima norma, nel sancire il principio di legalita', configura inequivocabilmente la pena come effetto giuridico di un "fatto" criminoso - e non gia', dunque, di un modo di essere soggettivo o di un semplice atteggiamento interiore del reo. Ne deriva, allora, che, proprio in base al combinato disposto degli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, il presupposto della stessa pretesa rieducativa non puo' che essere costituito dalla commissione di un fatto socialmente dannoso da parte del soggetto da rieducare. Beninteso, cio' non equivale a sottovalutare l'esigenza di una "proporzione" tra fatto e sanzione. Solo che il soddisfacimento di questa esigenza, certamente fondamentale ed irrinunciabile, non necessita del recupero, sia pure parziale, della vecchia concezione retribuzionistica. Il principio di proporzione, oltre a caratterizzare l'idea generale di giustizia, costituisce, infatti, uno dei criteri-guida che presiedono allo stesso funzionamento dello Stato di diritto: e' per questa ragione che il principio in parola costituisce un parametro essenziale di qualsiasi teoria razionale e moderna sulla funzione della pena. Da un lato, all'interno di un'ottica di prevenzione generale, oggi si concorda nell'osservare che la minaccia di una pena eccessivamente severa o, comunque, sproporzionata (cosi' come nella fattispecie in disamina, laddove commisurata al trattamento riservato alle ipotesi, tutt'affatto simili, della contestazione di una pluralita' di fatti distrattivi nell'ambito di un unico procedimento penale), puo' suscitare sentimenti di insofferenza nel potenziale trasgressore ed alterare nei consociati la percezione di quella corretta scala di valori che dovrebbe riflettersi nel rapporto tra i singoli reati e le sanzioni corrispondenti. Dall'ulteriore (e complementare) lato della prevenzione speciale ispirata al modello della rieducazione - che, peraltro, e' quello che piu' conta - e' necessario sottolineare che un trattamento rieducativo correttamente inteso presuppone che il destinatario si renda consapevole del torto commesso, ed avverta come giusta e proporzionata la sanzione che gli viene inflitta. Da questo punto di vista, la "proporzionatezza" tra fatto e sanzione, avvertita come tale dal reo, costituisce una premessa ineliminabile dell'accettazione psicologica di un trattamento diretto a favorire nel condannato il recupero della capacita' di apprezzare i valori tutelati dall'ordinamento. Deliberata, quindi, la non manifesta infondatezza e la rilevanza, nel processo in corso, della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 216, primo comma, numero 1), e 219, secondo comma, numero 1. del regio decreto 16 marzo l 942, n. 267, nella parte in cui escludono che, in caso di contestazione di differenti fatti distrattivi, ascrivibili alla condotta del medesimo soggetto, contestati nell'ambito di procedimenti penali separati e non riunibili, possa farsi applicazione della disciplina della continuazione di cui la capoverso dell'art. 81 c.p. ovvero di quella del giudizio di valenza tra l'aggravante di cui al ridetto art. 219, comma secondo, numero 1, r.d. n. 267/1942 ed eventuali circostanze aggravanti, non puo' che disporsi la sospensione del processo stesso e la trasmissione degli atti alla Consulta perche' proceda al vaglio della questione. Si affida mandato alla Cancelleria anche per gli ulteriori incombenti.