IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado
iscritta  al  n. 55349  del  ruolo  generale degli affari contenziosi
civili  dell'anno  2000,  promossa  da  Casa  di cura Villa Maria Pia
S.r.l.,    attrice,   in   persona   dell'amministratore   e   legale
rappresentante,  Eleonora  Bonanni,  con  sede in Roma, via del Forte
Trionfale  n. 36,  rappresentata  e  difesa  dagli  avv. Giandomenico
Barcellona  e  Rocco  Cincoli, presso il cui studio e' domiciliato in
Roma,  via  Mercadante  n. 6,  contro Azienda Usl Rm/E, convenuta, in
persona  del  legale  rappresentante  p.t.,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Luca Capilupi, presso il cui studio e' domiciliato in Roma,
Borgo S. Spirito n. 3,
    Oggetto: contratti della p.a.

                            Premesso che

    1.  -  Con atto di citazione notificato il 10 agosto 2000 la Casa
di cura Villa Maria Pia S.r.l. ha convenuto in giudizio l'Azienda Usl
Rm/E  e  ne ha chiesto la condanna a pagare lire 2.082.363.000, oltre
rivalutazione  monetaria  ed  interessi,  deducendo  di aver reso, in
regime  di  accreditamento  e dietro autorizzazione della stessa Asl,
prestazioni  di  ricovero  di  infermi  nel periodo da gennaio 1995 a
giugno  2000  e  di  avere  maturato  il  credito,  come da prospetto
analitico delle fatture prodotto in giudizio.
    2.  -  L'Azienda Usl convenuta si e' costituita eccependo, in via
pregiudiziale,  la  carenza  di  giurisdizione  del  g.o.  essendo la
controversia  in  esame  attribuita, a suo avviso, alla giurisdizione
esclusiva   del  g.a.  in  quanto  concernente  "le  attivita'  e  le
prestazioni  di  ogni  genere,  anche  di  natura  patrimoniale, rese
nell'espletamento  di  pubblici  servizi,  ivi  comprese  quelle rese
nell'ambito  del  Servizio sanitario nazionale", ai sensi dell'art. 7
della  legge  n. 205/2000, che aveva sostituito l'art. 33 del decreto
legislativo  n. 80/1998;  ha  dedotto,  nel  merito,  l'infondatezza,
almeno  parziale, della domanda, atteso l'avvenuto pagamento di parte
delle fatture.
    3. - Nel corso del giudizio (v. verb. ud. 5 luglio 2001) la parte
attrice   ha   chiesto  al  giudice  di  sollevare  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della suddetta normativa nella parte in
cui, devolvendo al giudice amministrativo la giurisdizione su diritti
soggettivi nella materia dei servizi pubblici, si poneva in contrasto
con  gli  artt. 3,  24,  25,  100,  102,  103,  111  e  113  Cost. e,
all'udienza del 27 giugno 2002, il giudice ha riservato la decisione.

                           Considerato che

    4.  -  Come  fondatamente eccepito dall'Azienda Usl convenuta, la
controversia rientra tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva
del  g.a.,  ai  sensi  dell'art. 33, comma 1 e 2, lett. b) ed e), del
decreto  legislativo  n. 80/1998,  come  sostituito dall'art. 7 della
legge n. 205/2000.
    Il  genere  di  rapporti,  qual e' quello di cui trattasi, tra le
case  di  cura  o  le minori strutture private (ambulatori, centri di
diagnostica  strumentale  ecc.)  e  le  Usl, nell'ambito del Servizio
sanitario  nazionale,  per  pacifica  giurisprudenza  della  Corte di
cassazione, e' qualificato di concessione di pubblico servizio, tanto
per quel che concerne il pregresso regime delle convenzioni (ai sensi
dell'art. 44  della  legge  n. 833/1978)  quanto  per i nuovi modelli
fondati   sull'accreditamento   (ai  sensi  del  decreto  legislativo
n. 502/1992  e  delle  leggi  successive;  v., tra le tante, Cass. SU
9284/2002, 12940/2001, 163/1999, 88/1999).
    Secondo il precedente criterio di riparto, era pacifico (tanto da
assurgere  a  diritto  vivente)  che la giurisdizione era devoluta al
g.a. quando la controversia verteva sull'accertamento del contenuto e
della  validita'  del  rapporto (ai sensi dell'art. 5, comma 1, della
legge  n. 1034/1971,  fatto  comunque  salvo  il disposto dell'art. 7
della  stessa  legge  che riservava al g.o. le questioni attinenti ai
diritti   patrimoniali  conseguenziali)  ed  al  g.o.  quando,  senza
implicare  indagini  dirette  sull'esistenza  del potere o sugli atti
dell'amministrazione conformativi del rapporto, verteva sul pagamento
di indennita', canoni ed altri corrispettivi (v., tra le tante, Cass.
SU n. 11356/1998, 11090/1998, 3053/1993, 2808/1993).
    Non  v'e'  dubbio  (come e' stato riconosciuto anche dalla difesa
dell'Azienda  Usl  convenuta)  che  la  controversia in esame sarebbe
stata  devoluta  al  g.o. (ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge
n. 1034/1971),  vertendo  essa  esclusivamente  sull'accertamento del
diritto  di credito pecuniario vantato dalla Casa di cura Villa Maria
Pia  nei  confronti della Azienda Usl Rm/E, la quale non ha sollevato
alcuna  contestazione  in  ordine all'esistenza, alla validita' ed al
contenuto  del rapporto concessorio e neppure in ordine ai criteri di
determinazione del corrispettivo.
    Ne'  sarebbe  pertinente,  al  fine  di  fondare  diversamente la
giurisdizione  del  g.a.  nella  presente  controversia,  il richiamo
all'art. 11  della  legge  n. 241/1990,  che prevede la giurisdizione
esclusiva  dello  stesso  g.a.  nelle  cause concernenti l'esecuzione
degli  accordi  (quali sarebbero le convenzioni stipulate tra la casa
di  cura  e  la Usl) sostitutivi dei provvedimenti amministrativi (di
concessione  del  pubblico  servizio),  non  avendo la suddetta norma
affatto abrogato il citato art. 5, comma 2, della legge n. 1034/1971,
il   quale,   quindi,   sarebbe   stato  qui  certamente  applicabile
trattandosi   di   "controversia   [riguardante]   esclusivamente  il
pagamento  (...)  di  canoni,  indennita'  ed  altri corrispettivi in
relazione  a  convenzioni  della  cui  esistenza  e  validita' non si
discute" (v., in tal senso, Cass. SU. n. 9747/1994).
    L'art. 33   del   d.lgs.   n. 80/1998,   sostituito  dalla  legge
n. 205/2000,  invece,  ha  devoluto  alla giurisdizione esclusiva del
g.a.  le  controversie  in materia di pubblici servizi (comma 1) e, a
titolo   esemplificativo,  elencato  alcune  di  esse,  tra  cui,  in
particolare,  quelle  "tra  le  amministrazioni pubbliche e i gestori
comunque  denominati di pubblici servizi" (indipendentemente, quindi,
dalla   natura   giuridica,  concessoria,  autorizzatoria  ecc.,  del
rapporto  tra  gestore del servizio pubblico e p.a) (v. comma 2, lett
b)  e  quelle  "riguardanti  le  attivita'  e  le prestazioni di ogni
genere,  anche  di  natura  patrimoniale,  rese  nell'espletamento di
pubblici  servizi,  ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio
sanitario nazionale". (lett. e).
    Con   riguardo   ad  entrambi  i  suddetti  profili  la  presente
controversia e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a..
    Il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice adito nella presente
controversia   rende   rilevante  la  questione,  non  manifestamente
infondata  e  che  si solleva su istanza di parte, della legittimita'
costituzionale  del  citato art. 33, comma 1 e 2, lett. b) ed e), con
riferimento  agli  artt. 3,  24,  25,  102,  103,  111  e  113  della
Costituzione.
    5.  -  Premessa.  Come  e'  stato  unanimemente  osservato  dalla
dottrina  e  dalla  giurisprudenza  (v.  Cons.  di  Stato,  ad.  pl.,
n. 1/2000,  punto  4.1),  la riforma introdotta dal d.lgs. n. 80/1998
(modificato dalla legge n. 205/2000) ha realizzato "un cambiamento di
rilievo  storico  nell'ordinamento"  che "incide in via immediata sul
riparto  della  giurisdizione  tra  giudice  amministrativo e giudice
ordinario" (sono parole del Cons. di Stato, ad. gen., parere 12 marzo
1998,  n. 30):  il  criterio  tradizionale,  ritenuto  superato  e di
difficile   applicazione,   fondato  sulla  distinzione  tra  diritti
soggettivi  e  interessi  legittimi,  e'  stato  sostituito da quello
caratterizzato   dalla   individuazione   legislativa  delle  materie
attribuite  al  g.a., presso il quale, in considerazione dell'estrema
vastita'  e  rilevanza  delle  stesse, si e' inteso concentrare quasi
l'intera  gamma delle piu' rilevanti controversie nei confronti della
pubblica  amministrazione,  lasciando  al  g.o.  la  giurisdizione in
quelle  sostanzialmente residuali e di minore importanza dal punto di
vista sociale e degli interessi economici coinvolti.
    Questo   disegno   di  politica  legislativa,  che  e'  giunto  a
compimento   con   le   innovazioni  legislative  di  cui  si  parla,
rappresenta   il   punto  di  massima  realizzazione  della  tendenza
espansiva  della  giurisdizione  esclusiva  realizzatasi negli ultimi
anni, segnando una vera e propria trasfigurazione del g.a. in giudice
(quasi  naturale) delle controversie in cui sia parte una P.A., tanto
che  alcuni  autori  hanno affermato che ormai il criterio di riparto
della  giurisdizione  riposa  sull'oggettiva rilevanza pubblica degli
interessi coinvolti nella controversia.
    L'ampliamento  delle  attribuzioni  del  g.a. e' stato realizzato
facendo  ricorso  a  quella  giurisdizione  esclusiva,  residualmente
disciplinata  nel  r.d.  n. 1054/1924 e nella legge n. 1034/1971, che
consentiva l'accesso alla cognizione dei diritti soggettivi.
    E'   della   legittimita'   costituzionale  di  questo  smisurato
ampliamento che si dubita.
    6. - Conferimento agli artt. 3 e 103, comma 1, Cost.
    Si  sostiene,  in  particolare,  che il nuovo criterio di riparto
delle  giurisdizioni  "per  blocchi  di materie" sarebbe giustificato
dall'art. 103,  comma  1,  Cost.  che consente l'attribuzione al g.a.
della  cognizione  dei  diritti  soggettivi  nell'ambito  della  c.d.
giurisdizione  esclusiva. Un primo clamoroso profilo che evidenzia lo
strappo   costituzionale   che   si   e'  verificato.  Le  precedenti
disposizioni  sulla  giurisdizione  esclusiva  facevano  generalmente
riferimento ai ricorsi proposti nei confronti o contro gli atti della
pubblica amministrazione (v. artt. 29 t.u. n. 1054/1924 e 5, comma 1,
della  legge  n. 1034/1971)  e  cio'  era  perfettamente coerente con
l'art. 103,  comma  1,  Cost.,  che  consente al g.a. "in particolari
materie"  di conoscere dei diritti fatti valere dal privato contro la
p.a.  Oggi,  la  formulazione  dell'art. 33  d.lgs.  n. 80/1998 (come
sostituito  dalla legge n. 205/2000) crea una giurisdizione esclusiva
del  g.a.  in mancanza di qualsiasi copertura costituzionale, poiche'
ne'  l'art. 103,  comma  1,  Cost.  ne'  l'art. 113,  comma  1, Cost.
(entrambe  le  suddette  norme  configurano la giurisdizione del g.a.
esclusivamente  per  la  tutela di posizioni soggettive nei confronti
della  p.a.)  ne'  altre  disposizioni  costituzionali autorizzano il
legislatore  ad  attribuire  al g.a. la cognizione di controversie in
materia  di  diritti  soggettivi  quando  questi siano azionati dalla
stessa  p.a.  contro  privati  ovvero contro altre p.a., cosa che ben
puo'  accadere  ed accade frequentemente nella tipologia dei rapporti
di cui trattasi (si veda l'art. 33 cit., comma 2, lett. b), e).
    La  residualita'  delle  controversie devolute alla giurisdizione
esclusiva   (come   da   elenco  contenuto  negli  art. 29  del  r.d.
n. 1054/1924   e   7   della   legge   n. 1034/1971),  caratterizzata
tradizionalmente dalla sicura e necessaria compresenza o coabitazione
nella   stessa   controversia   dedotta   in  giudizio  (e  non  gia'
genericamente   nella  stessa  materia)  di  posizioni  di  interesse
legittimo  e  di  diritto  soggettivo legate da un inestricabile noto
gordiano,   e'   ben   presente   nella   Carta  costituzionale  che,
nell'art. 103  comma  1,  consente  al  giudice  degli  interessi  la
cognizione  "in  particolari  materie indicate dalla legge, anche dei
diritti  soggettivi";  e  si  deduce, inoltre, dal divieto (stabilito
dagli  artt. 30,  comma  2,  r.d.  n. 1054/1924  e  7, comma 3, legge
n. 1034/1971)  per  il  g.a.  di  conoscere nelle stesse controversie
devolute  alla  sua  giurisdizione esclusiva dei diritti patrimoniali
conseguenziali  (significativa  nel  senso  della rilevanza di questa
limitazione e' la sent. n. 292/2000 della Corte costituzionale).
    Sostanzialmente   coerente   con  il  disegno  costituzionale  di
concentrare  nel  g.o.  la cognizione dei diritti anche nei confronti
della  p.a.  e'  stata  l'evoluzione  della  giurisdizione esclusiva,
caratterizzata  dall'attribuzione  al g.a. (non di blocchi di materie
ma) di specifiche controversie caratterizzate dalla compresenza delle
due  posizioni  soggettive  tradizionali  (si  pensi  al  criterio di
riparto  in  materia  concessoria, ai sensi dell'art. 3, comma 1 e 2,
della legge n. 1034/1971).
    Il  legislatore  del  2000,  invece,  ha  segnato  in modo deciso
l'abbandono   della   tradizionale   concezione  della  giurisdizione
esclusiva  e  l'approdo ad un nuovo tipo di giurisdizione nella quale
la  cognizione dei diritti soggettivi da parte del g.a. prescinde del
tutto  dalla  coesistenza (e, quindi, dalla cognizione da parte dello
stesso giudice nella medesima controversia) di posizioni di interesse
legittimo.
    E'   evidente   che   se   e'   assente  un  interesse  legittimo
(configurabile quando la p.a. rivesta una "posizione di preminenza in
base alla Costituzione, non in quanto soggetto, ma in quanto esercita
potesta'  specificamente  ed  esclusivamente attribuitele nelle forme
tipiche  loro proprie": v. Corte cost. n. 138/1981) e se la posizione
soggettiva  del  privato  e' di esclusivo diritto soggettivo (perche'
concerne,  com'e' appunto nella controversia in esame, l'accertamento
di  un ordinario credito pecuniario secondo il diritto civile), cioe'
in  altri  termini  se  e'  assente quell'inestricabile nodo gordiano
delle  posizioni  soggettive  azionate  in  giudizio  che consente al
giudice  degli interessi di conoscere anche dei diritti, consistente,
io  si  deve riconoscere, e' il dubbio di legittimita' costituzionale
qui   sollevato   (e'   significativo   che,  negli  anni  successivi
all'entrata   in   vigore   dell'art. 5   della  legge  n. 1034/1971,
autorevole  dottrina  ritenne  che il pericolo di sconfinamento delle
attribuzioni    costituzionali   del   g.a.,   insito   nella   nuova
giurisdizione esclusiva sui beni e servizi pubblici, poteva ritenersi
scongiurato  poiche'  si trattava di materia in cui effettivamente la
p.a.  agisce  esercitando poteri autoritativi, con la conseguenza che
era ravvisabile quella compresenza di posizioni soggettive di diritto
e di interesse che rendeva il sistema conforme all'art. 103, comma 1,
Cost.  per  effetto  della  riserva al g.o. della giurisdizione sulle
posizioni di puro diritto soggettivo, quali sono quelle in materia di
canoni, indennita' ed altri corrispettivi).
    Il  medesimo  dubbio non e' fugato accogliendo l'opinione secondo
cui la giurisdizione esclusiva consiste in "qualcosa di diverso di un
puro  e semplice trasferimento di controversie su diritti soggettivi;
e'  stato  il  conferimento,  a  quel giudice [il g.a.], di un intero
territorio  popolato  sia  da  diritti  soggettivi  che  da interessi
legittimi,  ma  soprattutto  da  figure in cui le dette situazioni si
presentavano  e  si  presentano  cosi'  connesse  e  di tanto incerta
qualificazione  da suggerire la soluzione dell'attribuzione in blocco
ad un giudice unico delle controversie che le riguardano".
    Il legislatore del 2000, tuttavia, ha attribuito la cognizione di
intere materie al g.a. a prescindere da (ed in mancanza di) qualsiasi
incertezza   nella  qualificazione  delle  posizioni  soggettive  (di
diritto  soggettivo)  fatte  valere:  nella controversia in esame non
esiste  alcuna  connessione  tra  il  diritto soggettivo al pagamento
azionato dalla Casa di cura (cui corrisponde l'obbligo di adempimento
da  parte  dell'Azienda  Usl)  e  situazioni  di  interesse legittimo
connesse  all'esercizio  da  parte  della p.a. di poteri pubblici ne'
momenti di valutazione o ponderazione degli interessi collettivi (sul
punto si tornera' piu' avanti).
    Dei  seri dubbi di costituzionalita' di questa scelta legislativa
e'   consapevole   anche   la  Cassazione  "atteso  che  detta  norma
[l'art. 103  Cost.] nel costituzionalizzare la giurisdizione speciale
del  giudice amministrativo, ne ha contestualmente anche circoscritto
l'ambito a controversie comunque correlate all'interesse generale, in
quanto  volte  alla  tutela  di  (collegate)  posizioni  di interesse
legittimo  o  "in casi particolari anche di diritti soggettivi, senza
possibilita'  di  indiscriminata estensione a tipologie di liti, come
quella in esame, coinvolgenti unicamente diritti patrimoniali" (sent.
n. 72/2000).
    Del  resto,  pur  accedendo  alla tesi secondo cui il costituente
(nell'art. 103,  comma 1, Cost.) avrebbe dato facolta' al legislatore
di  attribuire  al  g.a.  la  cognizione  di  posizioni qualificabili
immediatamente  come  diritti  soggettivi,  a prescindere cioe' dalla
coesistenza  con  interessi  legittimi  ovvero  dall'incertezza nella
qualificazione   della   situazione   sostanziale,   il   dubbio   di
legittimita'   costituzionale  persiste:  questa  facolta',  infatti,
com'e'  dimostrato  dalla  storia  della  giustizia  amministrativa e
dall'assetto  costituzionale delle giurisdizioni, non puo' che essere
un'eccezione ("in particolari materie indicate dalla legge, anche dei
diritti  soggettivi") e sempre giustificata da un significativo grado
(sul   quale   si   tornera'   piu'  avanti)  di  peculiarita'  della
controversia  in  cui  sia  parte una p.a. (alla "peculiarita'" della
controversia   ha   fatto   riferimento,  ad  es.,  la  Corte  cost.,
n. 185/1981   e   100/1984,  per  giustificare  la  costituzionalita'
dell'attribuzione  al  g.a.  delle  controversie  sull'indennita'  di
buonuscita dei dipendenti dello Stato e delle aziende autonome).
    E'  evidente  che  la  recente  attribuzione  al  g.a.  di intere
rilevantissime  materie  (qual  e' quella di cui trattasi dei servizi
pubblici),  per  giunta  di  generica  e  incerta identificazione, ha
oggettivamente  determinato  un inversione nel rapporto tra la regola
(che  vede  nel g.o. il giudice dei diritti anche nei confronti della
p.a.:  "la  funzione  giurisdizionale dev'essere esercitata, salve le
eccezioni   introdotte  nella  stessa  Costituzione,  dai  magistrati
ordinari":  v.,  in tal senso, Corte cost. n. 41/1957) e l'eccezione,
facendo  cosi'  di quest'ultima la regola e configurando il g.a. come
nuovo giudice ordinario nelle controversie in cui sia parte una p.a.,
in    violazione    anche   dell'art. 100,   comma   1,   Cost.   che
significativamente lo considera come giudice "nell'amministrazione" e
non "dell'amministrazione".
    Parte  della  dottrina  ha obiettato che il concetto di "materia"
deve  essere considerato in astratto e non in concreto, nel senso che
la  commistione di diritti soggettivi e di interessi legittimi non si
debba  ricercare  nelle varie tipologie delle singole controversie ma
nell'atteggiarsi dell'azione della p.a. in settori determinati, anche
se  molto  estesi,  qual e' quello dei servizi pubblici, connotati da
una significativa presenza dell'interesse pubblico. Questa teoria non
sembra  condivisibile  perche'  conduce  inevitabilmente  al completo
svuotamento  della residualita' della giurisdizione esclusiva del g.a
(com'e'  espressa  nell'art. 103 Cost.): basti pensare che non esiste
materia   o  settore,  riguardati  in  astratto,  ove  non  si  possa
dispiegare  l'azione  della  p.a. mediante atti e provvedimenti volti
alla  cura dell'interesse pubblico, cosi' da giustificare l'esistenza
di  normative  caratterizzate  da una qualche specialita' rispetto al
diritto comune.
    Inoltre, e' lo stesso art. 103, comma 1, Cost. nel riferirsi alle
posizioni  soggettive  dei singoli in termini di diritti soggettivi e
di  interessi  legittimi,  a richiedere che le "materie" attribuibili
dal  legislatore  al  g.a.  siano  individuate  solo in quelle in cui
effettivamente  sussista,  in concreto, un'esigenza di concentrazione
presso  un  unico giudice che valuti al contempo l'operato della p.a.
sia  nelle modalita' di esercizio del potere che come debitore tenuto
ad adempiere alle proprie obbligazioni.
    La tendenza che, in altri termini, sembra affascinare parte della
dottrina   e'   di   giustificare  l'esplosione  della  giurisdizione
esclusiva  del  g.a.,  per  un  verso,  obliando  l'attuale  criterio
costituzionale del riparto, considerato troppo rigidamente incentrato
sulla  distinzione  diritto  soggettivo/interesse  legittimo,  e, per
altro  verso,  richiamando  la presunta specialita' della materia (in
questo  caso  dei  servizi  pubblici)  connotata,  si  assume, da una
incisiva compresenza dell'interesse pubblico.
    Sul  primo aspetto, e' sufficiente rileggere quanto un autorevole
studioso scrisse nel 1981:
    "Se  l'aver  cristallizzato  tale criterio in Costituzione sia un
bene  od  un  male,  e  se  il  criterio adottato dal costituente sia
obiettivamente  preferibile  ad altri e' ovviamente questione diversa
ed  opinabile: ma qui si cerca di vedere quali siano le scelte che il
costituente  ha  fatto  e  come  queste contribuiscano a delineare il
nostro sistema di giustizia amministrativa".
    Coloro che si sforzano di osservare che la costituzione materiale
sarebbe  oggi  diversa  da  quella  formale dovrebbero, invero, prima
dimostrare  questo  assunto, cosa che non e' affatto agevole, se solo
si  considera  che  ci  si trova di fronte ad una riforma "di rilievo
storico"  introdotta  da  una  specifica legge che mai aveva innovato
cosi'  tanto (del resto, anche nella legislazione degli anni '90, che
pure  ha  segnato  l'inizio  della  metamorfosi  della  giurisdizione
esclusiva,  vi era la tendenza a conservare al g.o. la cognizione dei
diritti: si vedano gli artt. 33 legge n. 287/1990, che attribuisce al
g.a.   la   giurisdizione   sui   ricorsi   avverso  i  provvedimenti
dell'autorita'  garante  della concorrenza e del mercato e al g.o. la
giurisdizione  sulle  azioni  di nullita' e di risarcimento del danno
derivanti  dalle  violazioni  delle norme di settore, e 7, comma 11 e
13,  legge  n. 74/1992,  che  attribuisce al g.a. in via esclusiva di
decidere  sui  ricorsi  avverso  le decisioni adottate dall'autorita'
garante  ma  fa  salva  la  giurisdizione  ordinaria  in  materia  di
concorrenza  sleale;  si  veda,  poi,  la  legge  n. 675/1996  che ha
riservato al g.o. la giurisdizione in materia di trattamento dei dati
personali;  e' significativo, poi, in senso contrario, che l'art. 119
del  noto progetto di riforma costituzionale elaborato in commissione
bicamerale  prevedeva  si'  che  il  g.a.  giudicasse  nelle "materie
omogenee indicate dalla legge" ma pur sempre "riguardanti l'esercizio
di   pubblici   poteri").  Del  resto,  coloro  che  giustificano  la
conformita'   alla  cosiddetta  costituzione  materiale  delle  nuove
disposizioni  di  cui  al  d.lgs. n. 80/1998, richiamando l'esistenza
nell'ordinamento di altre norme che andrebbero nella stessa direzione
innovativa,  dovrebbero  prima  farsi  carico  di fugare gli analoghi
sospetti di incostituzionalita' che pesano su queste disposizioni.
    Quanto  alla  presunta  specialita'  della  materia  dei  servizi
pubblici,  e'  bene  chiarire che, nel nostro ordinamento, non esiste
alcuna  possibilita' di configurare il g.a. come giudice addetto alla
cura  dell'"interesse  pubblico"  ipoteticamente  ravvisabile in ogni
controversia  in  cui  sia parte una p.a. e cioe' a prescindere dalla
necessita' di valutare la legittimita' del suo operato in rapporto ad
una  posizione  soggettiva  qualificabile  in  termini  di  interesse
legittimo.
    Ma,   pur  ammettendo  l'esistenza  di  settori  dell'ordinamento
particolarmente   connotati   in   senso   pubblicistico,   si   deve
riconoscere,  per  trame  le  conseguenze  volute in punto di riparto
delle giurisdizioni con ampliamento di quella esclusiva del g.a., che
e'  necessario  che  quel  settore sia conformato, quanto meno, da un
regime  giuridico  derogatorio  dal diritto comune (per spunti in tal
senso v. Cass. n. 14032/2001).
    Cosi' non e' nel caso dei pubblici servizi, materia che abbraccia
ambiti potenzialmente sconfinati, profondamente diversi ed eterogenei
e  priva  di  una  normativa  di settore unitaria (e, secondo alcuni,
sarebbe addirittura utopistico immaginarla).
    Si  obietta  da alcuni sostenitori della riforma che l'interprete
(in  considerazione  della  genericita'  del  concetto  di  "servizio
pubblico")  dovrebbe  ravvisarne l'esistenza in concreto, e trarne le
conseguenze  in  punto di giurisdizione, sulla base delle indicazioni
normative  offerte  dal  legislatore  nella disciplina di determinati
settori.
    In  sostanza,  cosi'  opinando, mentre l'art. 103, comma 1, Cost.
vuole  che  sia  il  legislatore  a indicare direttamente e volta per
volta  le  singole  materie  attribuite al g.a., l'art. 33 del d.lgs.
n. 80/1998   (sostituito   nel  2000)  avrebbe  conferito  al  futuro
legislatore  ordinario  una  delega  in bianco, potendo esso incidere
direttamente   sul   riparto  delle  giurisdizioni  identificando  in
concreto  i settori in cui, a suo giudizio, siano ravvisabili servizi
pubblici  e  cio' senza piu' il vincolo dell'art. 103, comma 1, Cost.
(che ne limitava il potere alle "particolari materie").
    E  poi,  soprattutto,  non  si  vede  davvero  quale contenuto di
specialita'  rivestano le controversie, qual e' quella tra la Casa di
cura Villa Maria Pia e l'Azienda Usl Rm/E, vertenti sull'accertamento
(condotto  secondo  il  diritto  civile) dell'obbligo dell'Azienda di
pagare  il  corrispettivo convenuto per le prestazioni eseguite e del
diritto della casa di cura di riceverlo.
    La  valutazione  dell'interesse  pubblico  e  delle  modalita' di
esercizio  del potere della p.a. rimane (e deve rimanere) estranea e,
per  cosi  dire,  "a monte" rispetto alla fase esecutiva del rapporto
pur originariamente conformato dalla stessa amministrazione.
    Anche  il  Cons.  di Stato (V sez., n. 2440/1999) ha rilevato che
"un'indiscriminata  estensione della giurisdizione per materia, anche
a  controversie  in  cui non emerge in modo signcativo la connessione
con  interessi di rilevanza pubblicistica, potrebbe generare dubbi di
legittimita'  costituzionale"; e', inoltre, lo stesso legislatore del
2000  (cosi' confermando un'interpretazione che era tanto consolidata
da  assurgere a diritto vivente) a riconoscere nella costituzione del
vincolo  obbligatorio  lo spartiacque tra la giurisdizione del g.a. e
quella del g.o., come e' dimostrato dalla confermata giurisdizione di
quest'ultimo nelle controversie riguardanti l'esecuzione dei rapporti
obbligatori  sorti  in  seguito a procedure di affidamento di appalti
pubblici  di  lavori,  servizi e forniture, nelle quali pure e' stata
introdotta  la  giurisdizione  esclusiva  del g.a. (v., in tal senso,
Cass. n. 5640/2002).
    Cio'  proprio  sul  presupposto  della  sostanziale e tendenziale
uguaglianza  delle  parti nella fase successiva alla costituzione del
vincolo,  qual  e'  dimostrata  dall'applicazione  delle  regole  del
diritto   civile  (le  quali,  del  resto,  nell'ambito  dei  servizi
pubblici,  soffrono  di  deroghe  di  certo  ben inferiori rispetto a
quelle  applicabili nell'ambito degli appalti pubblici). Il principio
di uguaglianza, insomma, non tollera che una vertenza sia devoluta ad
un  giudice  speciale  solo  in funzione della natura pubblica di una
parte (sul punto si tornera' piu' avanti).
    Ed  allora, posto che l'assegnazione di una vertenza su diritti a
un  giudice  speciale  determina inevitabilmente nel tempo il rischio
dell'affermazione di regole sostanziali diverse, occorre riconoscere,
se  si vuole dare un significato razionale (prima che giuridico) alla
riforma,  il  pericolo  che cio' determini la creazione di un diritto
civile   speciale   della   p.a.   conformato   secondo   valutazioni
dell'interesse  pubblico  operate  dal  g.a.  ma incompatibili con la
natura  civilistica  del rapporto obbligatorio (anche su questo punto
si tornera).
    E'  lo stesso Consiglio di Stato a non fugare queste perplessita'
quando   osserva  che  le  nuove  regole  "consentiranno  al  giudice
amministrativo  di verificare di volta in volta la compatibilita' dei
principi   del   diritto   civile   con   le   esigenze  del  diritto
amministrativo"   e   poi,   ancora,   che   spettera'   al  "giudice
amministrativo  consapevole  delle esigenze di giustizia, esperte del
controllo  sull'esercizio  del potere pubblico, attenta all'emergenza
economica, che e' elemento che permea l'ordinamento, la messa a punto
della materia" (v. parere n. 30/1998 citato).
    Ed  e'  significativo che, a dispetto dell'esistenza di un corpus
normativo dotato di specialita' pubblicistica (delineato dal Cons. di
Stato,  n. 1/2000  cit.)  che  regolerebbe  i  rapporti obbligatori a
contenuto   pecuniario   tra   cittadini   o   imprese   e   p.a.  (e
giustificherebbe  la  giurisdizione esclusiva del g.a.), con le gravi
conseguenze che si possono intuire (un autore ha lucidamente rilevato
che  se  il  soggetto  pubblico  mantiene una posizione di privilegio
diventa  difficile  sostenere  la titolarita' in capo al cittadini di
diritti  primari),  la  direttiva  2000/35/CE  del  29  giugno  2000,
relativa  alla lotta contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni
commerciali  e  per esplicita previsione applicabile anche ai crediti
verso   le   pubbliche   amministrazioni,  ha  previsto  l'automatica
decorrenza  degli interessi in caso di ritardo nell'adempimento delle
obbligazioni  pecuniarie  della  p.a.,  segnando cosi' un passo forse
decisivo  verso  il  superamento di alcune forme di privilegio finora
riservatele  (come  rilevato da Corte cost. n. 138/1981, "al di fuori
dell'esercizio delle predette funzioni [in cui essa esercita potesta'
pubbliche],  l'azione della p.a. rientra nella disciplina del diritto
comune  e, ove venga a ledere un diritto soggettivo, la potenzialita'
di  tutela  di  questo  affidata  al  giudice  ordinario e' completa,
incontrando   il   solo  limite  del  non  poter  costui  sostituirsi
all'amministrazione   nell'emanare   un   atto   ne'  condannarla  ad
emanarlo").
    Se,   invece,   queste  preoccupazioni  fossero  infondate  e  si
ritenesse  che  l'esperienza  e  la  professionalita'  del g.a. siano
elementi  sufficienti  a  evitare  rischi  di  questo  genere, allora
dovrebbe  riconoscersi  il  dubbio  di costituzionalita' per assoluta
irragionevolezza  della legge (art. 3 Cost.), in quanto attribuirebbe
al g.a. le stesse materie e gli stessi strumenti processuali del g.o.
facendone  un  inutile  doppione,  con  l'ulteriore grave conseguenza
della  dispersione  di  quel patrimonio di esperienze e di attitudini
accumulato dal g.o. nella risoluzione di siffatte controversie.
    Ma i profili di irragionevolezza della legge non finiscono qui.
    La  circostanza che l'art. 103 Cost. abbia ammesso l'interpositio
legislatoris  nell'individuazione delle materie da attribuire al g.a.
(v.  Cons.  di  Stato n. 1/2000 cit.), tuttavia, non significa che si
tratti  di  discrezionalita' assoluta e incondizionata, anzi il fatto
stesso  che il riparto delle giurisdizioni e' gia' soggetto a riserva
di  legge  e  che  il  comma  1  del  predetto  art. 103 Cost. faccia
riferimento  alle  "particolari  materie",  dimostra  che l'esercizio
della  suddetta  discrezionalita'  dev'essere  attentamente  vagliato
dalla  Corte  costituzionale  anche  nella sua ragionevolezza (art. 3
Cost.).
    E  non  v'e'  dubbio  che  ben difficilmente potrebbe superare il
vaglio  della  Consulta una legge che volesse disfare trama per trama
la  tela  tessuta  dal  costituente,  quale (a sommesso avviso di chi
scrive  e' quella di cui trattasi ovvero) sarebbe, ad esempio, quella
che  ipoteticamente volesse invece cancellare il patrimonio culturale
del g.a. sottraendogli le naturali funzioni di controllo di legalita'
sull'esercizio del potere pubblico.
    La   legge,  inoltre,  presenta  ulteriori  evidenti  profili  di
irragionevolezza    in   quanto   contraddittoriamente   estende   la
giurisdizione  del g.a. (che tradizionalmente e' giudice dei rapporti
tra  soggetti  non  paritari)  in  un momento storico che, invece, e'
caratterizzato  (anche per gli impulsi del diritto comunitario che e'
attento  ai  profili  concorrenziali  i quali affondano le radici nel
diritto comune) dall'emersione del ben conosciuto fenomeno (sul quale
non  e'  possibile  qui  soffermarsi)  della  regressione del momento
autoritativo  nel  rapporto  tra  l'apparato "pubblico" e la societa'
civile   e,   di   conseguenza,   dell'interesse  legittimo  (che  e'
espressione  della  dialettica  liberta'  - autorita) in favore della
categoria  relazionale  diritto (dei cittadini) - obbligo (della p.a.
di provvedere e di comportarsi secondo buona fede, anche come effetto
dell'affermarsi del modello negoziale).
    7.  -  Con  riferimento  agli artt. 102, comma 1, e 113, comma 1,
cost.
    A  corollario  dell'interpretazione  che riconosce al legislatore
mano  libera  nella  disciplina  del  riparto delle giurisdizioni, ai
sensi dell'art. 103, comma 1, Cost., e' l'implicita opinione che nega
al  g.o.  nel  nostro  ordinamento costituzionale il ruolo di giudice
naturale dei diritti soggettivi tra privati e p.a.
    La   centralita'  del  g.o.,  tuttavia,  risulta  dall'evoluzione
storica  del  nostro  ordinamento  che  fonda le proprie radici nella
legge  n. 2248,  all. E,  del 1865: "Sono devolute alla giurisdizione
ordinaria  (...)  tutte le materie nelle quali si faccia questione di
un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la
pubblica amministrazione, e ancorche' siano emanati provvedimenti del
potere esecutivo o dell'autorita' amministrativa" (art. 2) e nel r.d.
n. 1054  del  1924  che  attribuisce invece "al Consiglio di Stato in
sede  giurisdizionale  di  decidere  sui  ricorsi (...) contro atti e
provvedimenti   di   una  autorita'  amministrativa  o  di  un  corpo
amministrativo  deliberante,  che abbiano per oggetto un interesse di
individui o di enti morali giuridici" (art. 26).
    Secondo  autorevoli  e  condivisibili  opinioni, la Costituzione,
confermando  il  sistema in precedenza vigente, ha elevato i suddetti
principi   contenuti   nella   legge  del  1865  a  norme  di  ordine
costituzionale,  non modificabili, quindi, se non con il procedimento
di revisione costituzionale.
    La  Carta  costituzionale, inoltre, pur non innovando rispetto al
criterio  di riparto fondato sulle posizioni soggettive fatte valere,
ha  segnato  un  deciso  passo  avanti verso le istanze di tutela dei
privati  nei  confronti della P.A. (come e' dimostrato dall'art. 113,
comma 2 e 3, cost.).
    Il g.o., nel nostro ordinamento costituzionale, e' il giudice dei
diritti  con  tendenziale  generalita'  ed  illimitatezza  delle  sue
attribuzioni  (v.,  in  tal  senso,  Corte  cost.  n. 641/1987), come
risulta in modo del tutto evidente dagli articoli 102, comma 1, cost.
("La  funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari")
e  113,  comma  1 ("Contro gli atti della pubblica amministrazione e'
sempre   ammessa  la  tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli
interessi    legittimi   dinanzi   agli   organi   di   giurisdizione
[rispettivamente]  ordinaria  o  amministrativa");  dal  complesso di
norme   poste  a  tutela  dell'autonomia  e  dell'indipendenza  della
magistratura   ordinaria  (v.  gli  artt. 104  e  105  cost.);  dalla
residualita'  dell'attribuzione  al g.a. della cognizione dei diritti
soggettivi  (v.  art. 103,  comma  1,  cost.)  e, per converso, dalla
possibilita' riconosciuta al legislatore ordinario (v., in tal senso,
Corte  cost.  n. 32/1970) di attribuire al g.o. i poteri (di cui puo'
costituire presupposto la valutazione anche dell'interesse legittimo)
di  annullamento  dell'atto  amministrativo  (art. 113,  comma 2 e 3:
"Tale  tutela  giurisdizionale  non  puo' essere esclusa o limitata a
particolari  mezzi  di  impugnazione  o  per determinate categorie di
atti.  La  legge  determina  quali  organi  di  giurisdizione possono
annullare  gli  atti  della  pubblica  amministrazione  ...");  dalla
completezza  della tutela offerta dal g.o. nell'ambito dell'attivita'
di  diritto  privato  della  p.a  ovvero  rispetto  agli  atti  e  ai
comportamenti  illeciti  e  dalla  pienezza  di cui e' dotato il g.o.
nella  conoscenza  dei vizi di legittimita' dell'atto, seppur ai soli
fini   della   disapplicazione   (v.,   tra   le  altre,  Cass.  S.U.
n. 4670/1997); dal diritto vivente (v. Cass. S.U. n. 500/1999, le cui
affermazioni  rimangono  valide,  al  di  fuori  della  giurisdizione
esclusiva,  anche  dopo  la  legge  n. 205/2000) che, riconoscendo il
diritto  al risarcimento del danno (la cui prospettazione in giudizio
e'  idonea da sola a radicare la giurisdizione ordinaria) nei casi di
lesione di posizioni soggettive qualificabili non solo come interessi
oppositivi  (i  c.d.  diritti  affievoliti)  ma  anche come interessi
pretensivi   ad  opera  dell'attivita'  illegittima  della  p.a.,  ha
contribuito  a  rafforzare l'equazione costituzionale "g.o. = giudice
dei diritti".
    Proprio  dalla  tendenziale  generalita'  ed  illimitatezza delle
attribuzioni  del  g.o.  si  desume,  in  conclusione,  che  se  v'e'
incertezza  nell'identificazione della posizione soggettiva coinvolta
nell'azione della p.a., ai fini del riparto delle giurisdizione, deve
valere,   perche'   piu'   conforme   a   criteri  di  ragionevolezza
costituzionale,   la   naturale   presunzione  di  devoluzione  della
controversia al g.o.
    8.  -  Con  riferimento  agli  artt. 25, comma 1, e 102, comma 2,
Cost.
    La  scelta del legislatore di attribuire al g.a. gran parte delle
controversie  in  cui sia parte una p.a. e, per quanto qui interessa,
quella  dei  sevizi  pubblici,  dev'essere  esaminata  anche sotto il
profilo della sua conformita' al principio costituzionale del giudice
naturale.
    La   diffusa   tendenza  a  identificare  il  principio  espresso
dall'art. 25,  comma  1,  cost.  ("Nessuno  puo'  essere distolto dal
giudice  naturale  precostituito  per  legge")  in  quello di giudice
precostituito   per   legge,   cosi'   risolvendolo  nel  divieto  di
costituzione   del  giudice  post  factum,  farebbe  ritenere  questo
principio  non utilizzabile al fine di sindacare la costituzionalita'
delle  leggi  che  incidono sulla materia giurisdizionale. come se la
costituzione  avesse riconosciuto al legislatore una discrezionalita'
piena   ed   insindacabile   in   fatto   di   organizzazione   delle
giurisdizioni.
    Questa  affermazione,  anche alla luce di influssi provenienti da
ordinamenti stranieri vicini alla nostra esperienza, merita di essere
rivista almeno con riguardo a leggi (come quella di cui trattasi) che
incidono  su  profili  non  secondari  o semplicemente procedimentali
della  giurisdizione  (ad  esempio in materia di regolamentazione del
processo  o  della  competenza  del  singolo  giudice) ma, in maniera
rilevantissima,   sull'ordine   costituzionale  delle  giurisdizioni.
Questa  espressione - che ha radice nella costituzione rivoluzionaria
francese  del  16-24 agosto 1790 (il cui art. 17 disponeva: "l'ordine
costituzionale delle giurisdizioni non potra' essere alterato, ne' le
parti  sottratte ai loro giudici naturali") ed alla quale molti paesi
hanno  fatto  riferimento come modello per l'edificazione dei moderni
Stati  di  diritto  -  e' significativa nel senso che nel concetto di
giudice   naturale   (e  di  giudice  in  senso  lato  in  uno  Stato
democratico)  confluiscono tutti i valori e i caratteri fissati nella
costituzione.
    In  questo  senso  il  principio  del  giudice  naturale  si puo'
interpretare  come vincolante per lo stesso legislatore ordinario che
non  potrebbe  alterare l'ordine costituzionale, cioe' quel nucleo di
principi che giustificano l"'essere giudice" in uno Stato di diritto.
E'  significativa, ad es., una decisione del Consiglio cost. francese
che  dichiaro'  incostituzionale  una legge che attribuiva al g.o. il
potere  esclusivo  di decidere sulla legittimita' di determinati atti
amministrativi,   affermando   che   "va  inserito  tra  i  "principi
fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica quello secondo
cui,  ad  eccezione  delle materie riservate per natura all'autorita'
giudiziaria,  appartiene  in  ultima  istanza  alla  competenza della
giurisdizione amministrativa il contenzioso relativo all'annullamento
e   alla   riforma   degli   atti  amministrativi  che  costituiscono
l'espressione dei pubblici poteri" (CC. n. 86-224, 23 gennaio 1987).
    In  Italia  l'"essere  giudice"  riceve  sostanza dai caratteri e
dalle attribuzioni stabilite dalla Costituzione che riservano al g.o.
la  cognizione  dei diritti e, nelle controversie aventi come oggetto
principale   (e  forse  esclusivo)  la  valutazione  di  legittimita'
dell'azione  della  p.a.  in  veste  di  potere  pubblico, al g.a. la
cognizione  degli  interessi  legittimi:  questa  regola  puo' subire
eccezioni ma non stravolgimenti.
    Anche la Corte costituzionale, del resto, affermando, ad esempio,
"la  maggiore  idoneita' del giudice ordinario alla cura di interessi
concernenti  rapporti  di  natura  paritaria"  (v. sent. n. 641/1987)
ovvero  che  "la Corte dei conti e' il giudice naturale in materia di
pensioni  a  totale  carico  dello  Stato"  (v. ord. n. 388/1990), ha
accolto  del  principio  del  giudice naturale un'interpretazione non
tradizionale   ma   attenta  ai  valori  su  cui  si  fonda  l'ordine
costituzionale  delle  giurisdizioni,  la cui violazione da parte del
legislatore diviene suscettibile di controllo dal giudice delle leggi
sotto il profilo della violazione anche dell'art. 102, comma 2, Cost.
("Non   possono  essere  istituiti  giudici  straordinari  o  giudici
speciali"):  la  sottrazione  al  g.o. della controversie sui diritti
nell'intera  materia dei servizi pubblici (per quanto qui interessa),
infatti,  finisce  per  connotare  il  g.a.  come  giudice speciale o
straordinario vietato dalla Costituzione.
    La legittimita' della scelta operata dal legislatore e' sostenuta
da  parte  della  dottrina  che  ha invocato l'inesistenza nel nostro
ordinamento  di un principio di unita' della giurisdizione, avendo la
costituzione  optato  per il diverso principio della pluralita' delle
giurisdizioni,  cosa  che  giustificherebbe  l'esistenza  di  giudici
diversi specializzati in settori diversi dell'ordinamento.
    Pur  ammettendo  questa  premessa  (ma la Corte costituzionale ha
piu'  di  una  volta  affermato  esistente  nel nostro ordinamento il
principio  generale,  pur tendenziale, di unita' della giurisdizione:
v. sentt. n. 41/1957 cit.; 48/1959), questi autori pero' non arrivano
al  punto  di  intendere  quella  pluralita'  nel  senso di ammettere
l'esistenza  di  piu'  giudici  che  decidano  controversie identiche
ovvero  non caratterizzate da una sostanziale ed intrinseca reciproca
diversita' con riguardo all'oggetto e alle posizioni soggettive delle
pani.   Infatti,  essi  leggono  il  principio  di  pluralita'  delle
giurisdizioni  in funzione di una asserita specificita' delle materie
devolute  al  g.a.,  in  considerazione della peculiarita' della p.a.
come  parte  pubblica  ovvero  della  rilevanza pubblica dell'oggetto
della controversia.
    Tuttavia,  si  ripete,  le circostanze che nella controversia sia
parte  una  p.a.  ovvero, ancor meno, che il suo oggetto presenti una
generica  rilevanza  pubblica,  sono del tutto irrilevanti perche' e'
alla   consistenza   delle  posizioni  soggettive  fatte  valere,  in
connessione  al  bene  della  vita chiesto in giudizio (petitum), che
occorre  aver  riguardo ai fini del riparto delle giurisdizioni. Come
un  autorevole studioso scrisse nel 1964: "e' importante affermare la
vigenza   del  principio  della  giurisdizione  unica,  poiche'  esso
presuppone  che  i diritti soggettivi del privato siano tali non solo
nei   confronti   degli   altri   privati,  ma  anche  nei  confronti
dell'autorita'  amministrativa;  da  questo  presupposto consegue che
giudice  delle controversie con la pubblica amministrazione in ordine
ai  diritti  soggettivi  deve essere lo stesso giudice delle analoghe
controversie tra privati".
    Se  la situazione soggettiva vantata e' di diritto soggettivo, e'
perche'  la  p.a.  si  e' posta sullo stesso piano del privato agendo
iure  privatorum  (come  nel caso della controversia in esame) ovvero
compiendo  un'attivita'  illecita,  sicche' ogni assenta specificita'
viene meno e non puo' rilevare nella sede giurisdizionale.
    9. - Con riferimento agli artt. 3, comma 1, 24 e 111, comma 7 e 8
(nella nuova numerazione ex legge costituzionale n. 2/1999), Cost.
    9.a)  -  Ancor  piu'  grave e' il dubbio di costituzionalita' con
riguardo  al  principio di uguaglianza ("Tutti i cittadini [...] sono
eguali davanti alla legge": art. 3 Cost.), di cui costituisce aspetto
fondamentale    l'uguaglianza   davanti   alla   giustizia   e   alla
giurisdizione  (art. 24  Cost.): da qui la regola che le controversie
aventi  una  natura  giuridica  uguale o affine siano giudicate dalla
medesima  giurisdizione  o  da  giurisdizioni  strettamente identiche
anche  nelle  regole  di  composizione (cfr., ad es., Consiglio Cost.
francese, n. 86-213, 3 ottobre 1986).
    Il  disegno  legislativo  di  unificare  dinanzi al g.a. - che e'
giudice  diverso  nella  composizione  rispetto  al  g.o.  - tutte le
controversie   (e,   anzi,   il   che   fa   ulteriormente   dubitare
dell'intrinseca  ragionevolezza  della legge, solo quelle ritenute di
maggiore  importanza)  in cui sia parte una p.a. alimenta, come si e'
gia'  detto,  il  dubbio  di  costituzionalita'  per la dispanita' di
trattamento  tra  i  cittadini  dinanzi  alla  giurisdizione, essendo
l'individuazione   del   giudice   fatta   dipendere  dalla  qualita'
soggettiva di una parte (la p.a.), alla quale la costituzione, specie
quando  essa non esercita un "potere" riconosciutole dalla legge o si
rapporta  ai  privati  su  un  piano  di parita', non riconosce alcun
privilegio o statuto particolare.
    Il  dubbio  di  costituzionalita'  e' aggravato dalla mancanza di
elementi normativi utili ad identificare nell'attuale momento storico
sia  il  soggetto  "p.a."  (stante la tendenza a valorizzare a questo
fine  parametri  incerti  ed  evanescenti  come quelli dell'interesse
pubblico dell'attivita' svolta e a svalutarne altri, quali la forma e
la struttura giuridica del soggetto) sia la materia stessa, del tutto
vaga ed incerta, dei servizi pubblici.
    9.   b)   -   Un   ulteriore   e   ancor  piu'  grave  dubbio  di
costituzionalita' e' stato prospettato con riguardo all'art. 111, ora
comma  7  e  3,  Cost.  ("Contro le sentenze e contro i provvedimenti
sulla  liberta'  personale,  pronunciati dagli organi giurisdizionali
ordinari  o  speciali,  e'  sempre  ammesso ricorso in Cassazione per
violazione  di legge ... contro le decisioni del Consiglio di Stato e
della  Corte dei conti il ricorso in Cassazione e' ammesso per i soli
motivi inerenti alla giurisdizione").
    Come  rilevato  dalla Cassazione (v. sent. S.U. n. 72/2000 cit.):
"Anche  l'art  3  Cost.  potrebbe  risultare  vulnerato, sia sotto il
profilo  della (dubbia) ragionevolezza di una scelta distributiva tra
due  diversi  plessi  giurisdizionali  di  controversie identicamente
attinenti  a  vicende  di  inadempimento  di  obbligazioni di diritto
comune;  sia  sotto  il  profilo  dell'eguaglianza,  cui si riconduce
l'esigenza  della un forme interpretazione della legge che (stante la
non  ricorribilita'  delle  sentenze  dei  giudici amministrativi per
violazione  di  legge  ex  art. 360,  n. 3,  c.p.  c.)  non  avrebbe,
viceversa,  strumento  alcuno  per  attuarsi  a  fronte di differenti
orientamenti  (e di un diverso "diritto vivente ; quindi) che dovesse
(e   lo   potrebbe)   formarsi  in  ordine  a  medesime  disposizioni
codicistiche   nelle   non  comunicanti  giurisprudenze  dei  giudici
ordinari e amministrativi".
    La  previsione  costituzionale dell'impugnabilita' delle sentenze
del  g.a,  per i soli motivi inerenti alla giurisdizione alle sezioni
unite    della   Cassazione   aveva   nel   sistema   una   razionale
giustificazione  nella  sufficiente eterogeneita' ed incomparabilita'
dei  territori  occupati  dai diversi plessi giurisdizionali, sicche'
ridotto   era   il   pericolo   di   orientamenti   giurisprudenziali
contrastanti  e l'uniforme interpretazione della legge era assicurata
dalla Corte di Cassazione nell'ambito della giurisdizione ordinaria e
dal  Consiglio  di  Stato (e dalla Corte dei Conti) nell'ambito della
giurisdizione    amministrativa    (sebbene    dottrina   autorevole,
soprattutto  in  passato,  abbia dubitato che l'istituto dell'appello
sia   congeniale   all'esercizio  della  nomofilachia  da  parte  del
Consiglio  di  Stato,  in  considerazione  di  una certa incongruenza
determinata    dall'ingresso   del   fatto   nella   valutazione   di
legittimita).
    La  situazione  oggi  e' del tutto mutata: l'attribuzione al g.a.
della giurisdizione esclusiva su interi settori dell'ordinamento e la
pienezza  dei  poteri  decisori  riconosciutigli  (si veda il comma 4
dell'art. 35 d. lgs. n. 80/1998, sostituito dalla l. n. 205/2000, che
ha  conferito  al g.a. il potere risarcitorio anche al di fuori della
giurisdizione   esclusiva   e  nell'ambito  della  sua  giurisdizione
generale  di  legittimita)  rendono  concreto  e  forte il rischio di
contrasti giurisprudenziali tra le decisioni dei due giudici, essendo
il  g.a.  ormai  proiettato  in  una dimensione civilistica (si pensi
all'interpretazione  delle norme del codice civile sulle obbligazione
e  i  contratti,  la responsabilita' ecc.) che fino a ieri costituiva
territorio esclusivo del g.o.
    La  non  impugnabilita' in Cassazione delle sentenze del g.a. per
violazione  di legge (a differenza di quanto avviene per le decisioni
delle  commissioni  tributarie  e  di  quanto, ad esempio, avviene in
Germania)  confligge  con il principio di uguaglianza non solo per la
irragionevole  disparita'  dei gradi di giudizio cui sono soggette le
decisioni  dei  due plessi giurisdizionali (e la Corte costituzionale
non  ha mancato di sottolineare la garanzia insita nella "sussistenza
di  tre  gradi  di  giurisdizione":  v.  sent.  n. 641/1987 cit.) ma,
soprattutto,  per  la  grave ed ingiustificata deroga al principio di
nomofilachia  esercitato  dalla  Cassazione (cui spetta di assicurare
"l'esatta   osservanza  e  l'uniforme  interpretazione  della  legge,
l'unita'  del  diritto  oggettivo  nazionale"), ai sensi dell'art. 65
dell'ordinamento  giudiziario.  Questo  principio,  avente  copertura
costituzionale  nell'art. 111  Cost.  (e  in relazione al quale vanno
letti  anche gli artt. 363, 374, comma 2, 376, comma 3, 384, comma 2,
c.p.c.),  svolge  la  funzione (assicurata anche dalla prevedibilita'
delle decisioni giurisdizionali) di realizzare l'unita' e la certezza
del  diritto  e,  soprattutto,  l'uguaglianza di tutti i cittadini di
fronte  alla legge e cioe' alla sua interpretazione, la quale postula
la  necessita'  di sottoporre fattispecie identiche o simili (profilo
questo  sul  quale  non  puo'  incidere  la qualita' soggettiva delle
parti)   a   identica   disciplina.   Si   tratta  di  un  dubbio  di
costituzionalita'  reso  ancor piu' grave dall'essere il principio di
uguaglianza   annoverato  tra  i  principi  supremi  dell'ordinamento
costituzionale, non derogabile nemmeno dal legislatore costituente in
sede di revisione costituzionale.
    Ma  il  problema  della  nomofilachia  riguarda  anche un profilo
diverso   e   nuovo,   cioe'   quello   dell'idoneita'  istituzionale
all'esercizio  di  questa  funzione  da  parte  di un organo (di alta
consulenza  amministrativa),  quale  e' il Consiglio di Stato, che ha
si'  svolto  questo  ruolo  ma  nel  proprio  tradizionale  ordine di
giurisdizione,    nell'ambito    del   quale   l'interesse   pubblico
costituisce,  si potrebbe dire, parametro di riferimento naturale per
la  valutazione  dell'interesse  legittimo.  Cosi' non e' nell'ambito
privatistico  dei  rapporti  paritetici  ove  la  comparazione  degli
interessi  in  conflitto  e'  mal tollerata nella coscienza giuridica
collettiva  che.  infatti,  considera  negativamente i casi in cui la
Cassazione si lasci condizionare da considerazioni, in senso lato, di
"interesse   pubblico"   e  si  vuole,  invece,  che  decida  facendo
applicazione solo dello stretto diritto.
    Non  si  vedono  ne'  si conoscono le ragioni per le quali organi
istituzionali  debbano riconvertirsi in funzioni diverse da quelle ad
essi.  riconosciute  dall'ordinamento, con l'effetto di avere giudici
diversi che giudicano pero' in materie identiche e con ormai analoghi
strumenti processuali.
    La  prevedibile  obiezione  secondo  cui  il  Consiglio  di Stato
assolvera'  ai  nuovi  compiti  con  prontezza  e  competenza si puo'
condividere ma non e' pertinente.
    Qui  il  problema  non e' di fatto ma giuridico e costituzionale,
cioe'  riguarda la ragionevolezza di una riforma che, senza apportare
(come  sta gia' emergendo) alcun beneficio in termini di agevolazione
del riparto delle giurisdizioni (come ha riconosciuto il Consiglio di
Stato  "un  criterio  di  ripartizione della giurisdizione fondato su
materie pone problemi non sicuramente piu' semplici rispetto a quelli
posti  dal  criterio fondato sulle situazioni giuridiche soggettive",
v.  parere n. 30/1998), ha inciso su delicati equilibri istituzionali
senza  che  il  legislatore  abbia  tenuto conto, in conclusione, del
monito  rivoltogli  piu'  volte dalla Corte costituzionale di operare
per  il  cambiamento in modo prudente e "conforme a Costituzione" (v.
sentt. n. 292/2000 e n. 35/1980).
    Espressione  di  questo  equilibrio  era la sostanziale e formale
pariordinazione   dei  due  plessi  giurisdizionali  (con  l'armonica
previsione,  ad esempio, della possibilita' di riconoscere al g.o. il
potere  di  annullare  l'atto amministrativo e al g.a. di coscere dei
diritti  soggettivi  in  particolari  materie),  che  oggi  e'  stata
vulnerata,   con   l'effetto   innegabile  e  riconosciuto  da  molti
osservatori  di  far  confluire  presso  il  g.a. la cognizione delle
controversie  di  maggiore  importanza  sotto  il profilo quanto meno
degli interessi economici coinvolti e di devolvere al g.o. quelle (in
cui e' parte una p.a.) oggettivamente "minori".
    La  ragionevolezza  della  legge  dev'essere  valutata  anche per
questo effetto.
    Non  si vede poi quale utilita' abbia per i cittadini, in termini
di   celerita'  dei  giudizi,  la  previsione  di  una  giurisdizione
esclusiva  del  g.a.  in  controversie,  quali  sono  quelle  di  cui
trattasi, riguardanti comuni obbligazioni pecuniarie, ove non si pone
nemmeno  un  problema di deprecato doppio binario di tutela dinanzi a
giudici diversi.
    Un'ultima   considerazione   che   sa   di  riconoscimento  della
illegittimita'  del  d.lgs.  n. 80/1998 (modificato dall'art. 7 della
legge  n. 205/2000) ovvero come si enuncia anche pubblicamente, della
necessita'  di  dare  "copertura  costituzionale"  alla  riforma,  e'
offerta  dalla  proposta di legge costituzionale C.7645 presentata in
data  28  novembre 2000, che e' rivolta a far scomparire dall'attuale
primo   comma   dell'art. 103   Cost.   il  riferimento  ai  "diritti
soggettivi"  e  a  trasformare  le  "particolari materie" in "materie
omogenee".