Il  Tribunale  di  Lanciano, in persona del giudice istruttore in
funzione  di  giudice  unico,  a scioglimento della riserva formulata
all'udienza  del  23 febbraio 2001, letti gli atti di causa e le note
scritte  autorizzate  depositate  dalla  difesa  di parte attrice nel
procedimento  civile  di  primo  grado vertente tra Fosco Nicola e Di
Fonzo Giovanni;

                          Rilevato in fatto

    Con atto di citazione notificato in data 28 settembre 2000 Nicola
Fosco  -  sindaco  del  comune  di Lanciano, componente del Consiglio
provinciale  di Chieti e gia' presidente dell'assemblea del Consorzio
acquedottistico   del  Chietino  -  ha  convenuto  davanti  a  questo
tribunale  l'on. Giovanni  Di Fonzo, membro della Camera dei deputati
del  Parlamento  italiano,  per ottenerne la condanna al risarcimento
dei    danni    patrimoniali   e   non   patrimoniali   (quantificati
indicativamente  nella somma di L. 200.000.000) derivatigli da alcune
frasi  ed espressioni utilizzate dall'on. Di Fonzo in interviste rese
ad  organi di stampa e nel corso di trasmissioni televisive, ritenute
dall'attore lesive del proprio onore e della propria reputazione.
    In  particolare l'atto di citazione - dopo avere evidenziato come
fosse  stato  proprio l'attore, in veste di presidente dell'assemblea
del  Consorzio  acquedottistico  del Chietino e di sindaco del comune
capofila  del  Consorzio medesimo, a denunciare mediante esposta alla
Procura  della  Corte dei conti ed altri atti politico-amministrativi
alcune  deficienze  gestionali  del  Consorzio  ed in particolare una
specifica  operazione  finanziario-speculativa oggetto di indagini da
parte  della  "Magistratura  penale  frentana"  - fa riferimento alle
seguenti condotte del convenuto assertivamente diffamatorie:
        affermazioni contenute nell'articolo pubblicato nell'edizione
del  1  settembre  2000 del quotidiano Il Centro - pagina di Chieti e
provincia  - con il titolo "I DS all'attacco anche del Sindaco", dove
si  legge  testualmente:  "non  mancano riferimenti al Sindaco Fosco.
"Forse  dimentica  precisa  il  deputato  Giovanni  Di  Fonzo "che il
consiglio  e' composto da suoi amici di merende che hanno trovato nel
centrodestra  la  protezione  per  continuare  a gestire il Consorzio
...";
        intervista  rilasciata  in  data 31 agosto 2000 all'emittente
televisiva  regionale Rete 8, nel corso della quale l'on. Di Fonzo ha
testualmente  affermato: "quello che mi stupisce, a leggere la stampa
di oggi, e' questo trionfalismo del Sindaco Fosco, come se Febbo e il
Consiglio di amministrazione non fossero suoi amici di merende";
        frasi  pronunciate  all'indirizzo dell'attore nel corso della
trasmissione   "Angeli   e   ...   angeli"  trasmessa  dall'emittente
televisiva  locale  Telemax  in diretta in data 1 settembre 2000 alle
ore  22,30  ed  in  replica  la domenica successiva alle ore 13, alla
quale parteciparono sia il sindaco Fosco che l'on. Di Fonzo, il quale
ultimo  - oltre a non ridimensionare, nonostante esplicito invito, le
affermazioni rese in precedenza e sopra riportate - si rivolse al suo
contraddittore,  dopo  avere ricordato che costui era stato eletto in
Consiglio  provinciale nel territorio di Castel Frentano, accusandolo
di  avere  preso parte "agli sperperi ed alle assunzioni clientelari"
in  quel  comune,  "di  aver  strumentalizzato  le finanze di un ente
strumentale  a  fini  elettoralistici"  e  di  avere  "partecipato  a
speculazioni".
    L'on. Giovanni  Di  Fonzo,  nel  costituirsi  in  giudizio  e nel
chiedere  il  rigetto  della  domanda,  eccepiva  preliminarmente "la
insindacabilita'  ex art. 68 Cost. delle sue dichiarazioni, in quanto
rese  nell'esercizio della funzione parlamentare", poiche' i fatti si
sarebbero  svolti  "in  un contesto di natura squisitamente politica"
concernente l'intero territorio del comprensorio lancianese e vastese
ricompreso   nell'ambito  del  Consorzio  e  "le  dichiarazioni  rese
dall'on. Di   Fonzo   -   parlamentare  eletto  nel  medesimo  ambito
territoriale  -  si  configur[erebbero]  come  strettamente  connesse
all'espletamento delle funzioni tipiche e delle finalita' proprie del
mandato  parlamentare,  costituendo esse espressione di una legittima
ed insindacabile critica politica su una vicenda che, per il notevole
rilievo  pubblico  che  aveva  assunto,  giustificava  ed addirittura
esigeva  il  suo  intervento";  negava,  in  secondo  luogo,  che  le
espressioni   utilizzate   fossero   lesive   della   onorabilita'  e
reputazione personali del Fosco, in quanto tutte riferite al ruolo ed
al  comportamento  politico  da  costui assunti nella vicenda oggetto
delle  espressioni  medesime  e  quindi "giustificate dal contesto di
accesa  polemica  politica  nel  quale sono state rese"; assumeva, in
subordine,  che,  avendo  l'attore  per  primo utilizzato espressioni
offensive   nel   corso   del  dibattito  trasmesso  da  Telemax,  la
reciprocita'   delle   offese   e/o  la  reazione  all'altrui  offesa
eliderebbero, in uno con la rilevanza penale del fatto, la fondatezza
della  pretesa  risarcitoria;  contestava, infine, la quantificazione
dei danni proposta dall'attore.
    In  data  19 gennaio 2001 perveniva dalla Presidenza della Camera
dei deputati comunicazione della deliberazione assunta dall'Assemblea
nella  seduta  del 16 gennaio 2001 "nel senso che i fatti per i quali
e' in corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro
del  Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art.
68,  primo  comma,  della  Costituzione",  con  allegate  copie della
relazione   della   Giunta   delle  autorizzazioni  e  del  resoconto
stenografico della citata seduta assembleare.
    All'udienza  del  23 febbraio  2001  la  difesa  del convenuto ha
chiesto  che  il  tribunale dichiari la improcedibilita' del presente
giudizio  civile in conseguenza della insindacabilita' dichiarata dal
ramo  del  Parlamento  di  appartenenza  dell'on. Giovanni  Di Fonzo,
mentre la difesa dell'attore ha chiesto che venga sollevato conflitto
di  attribuzione  davanti  alla  Corte  costituzionale per carenza di
connessione   tra   i  fatti  oggetto  di  giudizio  e  la  attivita'
parlamentare   del  convenuto.  Nel  termine  all'uopo  concesso  dal
tribunale,  la  sola  difesa  del  convenuto  ha  illustrato con note
scritte la propria richiesta.

                       Considerato in diritto

    Come  risulta  dalla  richiamata  comunicazione  pervenuta  dalla
Presidenza  della  Camera  dei  deputati  e dalla documentazione alla
stessa  allegata,  tale  ramo  del Parlamento - del quale fa e faceva
parte   all'epoca   dei   fatti  dedotti  in  giudizio  il  convenuto
on. Giovanni  Di  Fonzo  -  ha  approvato  in sede assembleare, nella
seduta   del  16 gennaio  2001,  la  proposta  della  Giunta  per  le
autorizzazioni  a procedere (doc. IV-quater n. 164) di dichiarare che
i  fatti  per i quali e' in corso il procedimento concernono opinioni
espresse  dal deputato Di Fonzo nell'esercizio delle sue funzioni, ai
sensi   del   primo  comma  dell'art. 68  della  Costituzione.  Dalla
relazione   della  Giunta  si  evince  agevolmente  che  la  proposta
approvata  fa  esplicito  riferimento  a  tutte le dichiarazioni rese
dall'on.  Di  Fonzo  e  dedotte  dall'attore a sostegno della domanda
risarcitoria avanzata, come sopra ricordate.
    La  suddetta dichiarazione della Camera dei deputati - che di per
se  stessa  ed  in  astratto  rientra  certamente tra le attribuzioni
parlamentari   -   integra,   sul  piano  sostanziale,  la  causa  di
irresponsabilita'  prevista  dall'art. 68,  comma 1, Cost. a garanzia
del libero svolgimento delle funzioni parlamentari (irresponsabilita'
che  non puo' ritenersi limitata all'ambito penale, ma che si estende
anche  a  quello civile ed a qualsiasi altra forma di responsabilita'
diversa   da   quella   che  puo'  essere  fatta  valere  nell'ambito
dell'ordinamento  interno  della Camera di appartenenza, come e' oggi
reso   evidente   dal   testo  della  norma  introdotto  dalla  legge
costituzionale  29 ottobre  1993,  n. 3,  ma come era sostanzialmente
pacifico  gia'  nel vigore del testo originario: si veda, di recente,
Corte  costituzionale, sent. 18 luglio 1997 - 23 luglio 1997, n. 265)
e comporta, sul piano processuale, il divieto per questo tribunale di
un  diverso accertamento, con il solo rimedio (a garanzia dei diritti
dell'altra parte processuale e delle prerogative giurisdizionali) del
ricorso,  mediante  elevazione  del  conflitto  di  attribuzione,  al
controllo della Corte costituzionale sulla correttezza della delibera
parlamentare,   sotto   il  profilo  della  sussistenza  di  vizi  in
procedendo  oppure dell'omessa o erronea valutazione dei presupposti.
Vi  e'  peraltro  da  precisare,  per  quanto  concerne  quest'ultimo
aspetto, che la piu' recente giurisprudenza del giudice dei conflitti
ha messo in luce come "nei conflitti di attribuzione tra poteri dello
Stato  originati dal contrasto tra le valutazioni del Senato, o della
Camera  dei deputati, e l'autorita' giudiziaria procedente, in ordine
all'applicazione   dell'art. 68,   primo   comma,   Cost.,  la  Corte
costituzionale  non  puo'  limitarsi  a  verificare la validita' o la
congruenza  delle  motivazioni - ove siano espresse - con le quali la
Camera    di   appartenenza   del   parlamentare   abbia   dichiarato
insindacabile  una  determinata  opinione,  come  se  il suo fosse un
giudizio   solo  sindacatorio  (assimilabile  a  quello  del  giudice
amministrativo  su  un  atto  cui  si  imputi  il vizio di eccesso di
potere)  su una determinazione discrezionale dell'assemblea politica.
Chiamata a svolgere, in tali controversie, in posizione di terzieta',
una  funzione di garanzia, da un lato, dell'autonomia della Camera di
appartenenza   del   parlamentare,   dall'altro,   della   sfera   di
attribuzione   dell'autorita'  giurisdizionale,  la  Corte  non  puo'
infatti  verificare  la correttezza, sul piano costituzionale, di una
pronuncia  di  insindacabilita', senza verificare - e in questo senso
va  precisato e in parte corretto quanto affermato, circa i caratteri
di  tale  controllo,  nella  sua pregressa giurisprudenza - se, nella
specie,  l'insindacabilita' sussista, e cioe' se l'opinione di cui si
discute    sia   stata   espressa   nell'esercizio   delle   funzioni
parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume
dalla  Costituzione" (Corte costituzionale, sentenza 11 gennaio 2000,
n. 10).
    Occorre  dunque  verificare  se,  nella specie, la valutazione di
insindacabilita'  sia stata correttamente espressa (nel senso e con i
limiti  appena precisati) dalla Camera di appartenenza del convenuto,
ovvero  se  ricorra  una  ipotesi  che  imponga (a tutela dei diritti
dell'attore  e  delle prerogative costituzionali della giurisdizione)
di  ricorrere  alla  Corte  costituzionale  per  la  risoluzione  del
conflitto  e  per l'annullamento della deliberazione della Camera dei
deputati su ricordata.
    E'  opportuno,  a  tal  fine, rilevare anzitutto che la relazione
della  Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere della Camera dei
deputati   -   presentata  alla  Presidenza  il  12 gennaio  2001  ed
illustrata   dal  relatore,  on. Enzo  Ceremigna,  nella  seduta  del
16 gennaio  2001  all'Assemblea,  che  ne  ha approvato la proposta -
perviene  al  giudizio  di insindacabilita' sulla base delle seguenti
considerazioni, che si riportano integralmente:
        "e'  emerso  chiaramente  come  in questo caso le espressioni
usate   dal  deputato  si  inseriscono  in  un  contesto  prettamente
politico-parlamentare.  Le  espressioni usate dall'onorevole Di Fonzo
costituiscono  infatti  una  manifestazione  del  suo  esercizio  del
diritto     di    critica    nei    confronti    di    un    soggetto
politico-istituzionale  avversato  per  le  scelte  amministrative  e
politiche  assunte.  Occorre  sottolineare al riguardo che la materia
degli  acquedotti e' stata oggetto di numerosi atti parlamentari, sia
legislativi che non, e in particolare di interrogazioni ai competenti
Ministeri  tra  cui  una  (la  n. 4/12185)  presentata  proprio sulla
cattiva  gestione del Consorzio acquedottistico Chietino dal senatore
Angelo  Staniscia, appartenente allo stesso partito dell'onorevole Di
Fonzo ed eletto anch'egli in Abruzzo. In tale atto ispettivo si legge
testualmente che: "Il presidente pro tempore del suddetto ente, nella
persona  del  sindaco  del  comune piu' popoloso compreso nell'ambito
ottimale  suddetto,  cioe'  il  comune di Lanciano, non ha provveduto
finora  ad espletare i compiti a lui affidati dalla legge per rendere
operativo  l'ente  d'ambito; nonostante alcune conferenze preliminari
tra  i  sindaci  interessati convocate dal febbraio al luglio scorso,
egli  non  ha  a tutt'oggi convocato l'assemblea per l'elezione degli
organismi  preposti alla gestione, per cui l'ente non puo' esercitare
le  sue funzioni (...). I disguidi segnalati, ed altri prevedibili in
futuro  se  dovesse  prolungarsi  l'attuale situazione di precarieta'
(...),  sono  dunque  riferibili  proprio  alla  provvisorieta' della
gestione  in  atto  (...),  dovuta  ai  dissidi interni agli ambienti
politici  locali  del  centro-destra  e  ai  loro  uomini,  in quanto
presumibili futuri amministratori dell'ente stesso".
    Nel  corso  dell'esame  della richiesta e' risultato chiaro anche
che  l'onorevole  Di  Fonzo,  nell'esprimere il suo giudizio censorio
sull'operato  del sindaco, il quale peraltro aveva avuto occasione di
indirizzargli  pesanti  rilievi,  dava  voce al malcontento esistente
nella  popolazione del suo collegio circa un problema primario, quale
quello  dell'approvvigionamento  idrico nella zona della provincia di
Chieti,  e  circa  talune  scelte  economico-gestionali  da parte del
consorzio  rivelatesi  poco oculate. Tanto cio' e' vero, che anche il
sindaco  di  Lanciano  successivamente si e' unito alle voci critiche
della gestione del consorzio acquedottistico.
    Si  puo'  osservare,  inoltre, che - come anche la giurisprudenza
della  Corte  di  cassazione ha affermato ripetutamente - la polemica
politica  puo' assumere toni anche aspri, purche' sia riferita sempre
a  condotte  e  fatti  attribuibili  all'avversario  politico  e  non
trasmodi  nell'attacco  alla  persona  mediante  l'uso del cosiddetto
argumentun  ad  hominem.  Nel  caso  in  esame appare evidente che le
espressioni  adoperate  dall'onorevole  Di  Fonzo  si siano mantenute
entro questo limite".
    Dalla  relazione  della  Giunta  non  e' dato evincere l'epoca di
presentazione della interrogazione del senatore Staniscia, alla quale
la  relazione  stessa  fa riferimento, ma nella dichiarazione di voto
dell'on. Sergio  Cola  riportata  nel  resoconto  stenografico  della
seduta  di  Assemblea  del  16 gennaio  2001,  si  legge  che la data
dell'attivita'  parlamentare  "espletata  nell'ambito  del  sindacato
ispettivo  al  Senato e non alla Camera, (...) e' peraltro successiva
alle affermazioni dell'onorevole Di Fonzo".
    Cio'  posto,  e  notato  che  nella deliberazione parlamentare in
esame  non  si rinvengono vizi in procedendo, si deve esaminare se la
valutazione,  compiuta  dalla  Camera  dei  deputati, dei presupposti
della  insindacabilita' delle opinioni espresse dall'on. Di Fonzo sia
o meno corretta.
    A  questo  proposito  va  ricordato  che l'art. 68, comma l Cost.
prevede  la  irresponsabilita' dei membri del Parlamento soltanto per
"le  opinioni  espresse  ed  i  voti  dati  nell'esercizio delle loro
funzioni". Dunque, la linea di confine tra la tutela dell'autonomia e
della  liberta' del Parlamento e, a tal fine, della liberta' dei suoi
membri,  -  da un  lato  -  e la tutela dei diritti e degli interessi
costituzionalmente    protetti,    suscettibili    di   essere   lesi
dall'attivita'  dei  membri  del  Parlamento  -  dall'altro lato - e'
fissata   dalla  norma  costituzionale  attraverso  la  delimitazione
"funzionale"  dell'ambito  della  prerogativa  parlamentare, senza la
quale  -  come  piu'  volte  affermato  dalla  Corte costituzionale -
"l'applicazione  della prerogativa si trasformerebbe in un privilegio
personale,   con   possibili   distorsioni  anche  del  principio  di
eguaglianza   e  di  parita'  di  opportunita'  fra  cittadini  nella
dialettica   politica"   (cosi',   tra   le   piu'   recenti,   Corte
costituzionale, sent. 11 gennaio 2000, n. 10).
    Partendo da tale constatazione, la Corte costituzionale ha svolto
-  negli  ultimi  anni  -  un'opera  di  interpretazione  pervenuta a
risultati   ormai   consolidati   nel  senso  di  individuare  tra  i
presupposti   dell'esercizio   della   prerogativa   parlamentare  di
dichiarare la insindacabilita' quello del collegamento delle opinioni
espresse  con  la  funzione  parlamentare;  e  di ricomprendere cosi'
nell'ambito  di  applicazione  del  primo  comma  dell'art. 68  Cost.
soltanto le manifestazioni di pensiero dei membri del Parlamento che,
anche  se rese al di fuori degli ambiti istituzionali di esplicazione
delle  funzioni  medesime,  possano ritenersi oggettivamente connesse
alle  funzioni  parlamentari, escludendone, invece, le manifestazioni
costituenti   mera   estrinsecazione  dell'attivita'  in  senso  lato
politica del singolo membro del Parlamento.
    La Corte costituzionale ha, infatti, affermato (e la rassegna che
segue e' limitata alle pronunce piu' recenti, nelle quali peraltro la
interpretazione della Corte ha trovato compiuta sistemazione):
        che  nel  giudizio  sul  conflitto  tra  poteri  dello  Stato
vertente     su     una     delibera     parlamentare     affermativa
dell'insindacabilita'  di  opinioni espresse essa Corte e' chiamata a
verificare  "la  riferibilita'  dell'atto alle funzioni parlamentari,
posto   che   e'  appunto  il  nesso  funzionale  il  discrimine  fra
quell'insieme  di  dichiarazioni,  giudizi e critiche - che ricorrono
cosi  di frequente nell'attivita' politica di deputati e senatori - e
le  opinioni che godono della garanzia ad essi accordata. Certamente,
nell'esperire  il  controllo  di  sua competenza, la Corte deve tener
conto  che  la funzione parlamentare, a differenza da altre funzioni,
"specializzate" - che pur godono di analoghe, anche se non identiche,
garanzie  - ha natura generale ed e' libera nel fine. Tuttavia, se e'
vero  che  essa non si risolve negli atti tipici, e ricomprende anche
quelli  presupposti  e  conseguenziali,  non  vi  si  puo' ricondurre
l'intera  attivita' politica svolta dal deputato o dal senatore, cio'
che   finirebbe   per   vanificare   il  suddetto  nesso  funzionale,
trasformando  la  prerogativa  in  un privilegio personale" (sentenze
26 novembre  1997  -  5 dicembre  1997,  n. 375  e  7 luglio  1998  -
18 luglio 1998, n. 289);
        che  "e'  il  nesso  funzionale  tra  le  opinioni espresse e
l'esercizio  delle  attribuzioni  proprie del parlamentare a segnare,
quale  presupposto  di  operativita' della prerogativa, il discrimine
fra  le  varie  manifestazioni  dell'attivita' politica di deputati e
senatori  e le opinioni che godono della garanzia, con la conseguenza
che   non   e'   possibile  ricondurre  nella  sfera  della  funzione
parlamentare  l'intera  attivita'  politica  dei membri delle Camere"
(sentenza 14 luglio 1999, n. 329);
        che  "poiche' la regola per cui, nel linguaggio e nel sistema
della  Costituzione,  le  "funzioni riferite agli organi non indicano
generiche  finalita',  ma  riguardano  ambiti  e  modi giuridicamente
definiti,  vale anche per la funzione parlamentare, ancorche' essa si
connoti  per il suo carattere non "specializzato , mentre e' pacifico
che  costituiscono  opinioni  espresse  nell'esercizio della funzione
quelle  manifestate nel corso dei lavori della Camera di appartenenza
e dei suoi vari organi, in occasione di una qualsiasi fra le funzioni
svolte  dalla  Camera  medesima,  ovvero  manifestate  in atti, anche
individuali,  costituenti  estrinsecazione delle facolta' proprie del
parlamentare  in  quanto  membro dell'assemblea, l'attivita' politica
svolta  dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi,
invece,  di  per  se'  esplicazione  della funzione parlamentare. Nel
normale  svolgimento della vita democratica e del dibattito politico,
le  opinioni  che  il  parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle
attivita'  propri  delle  Assemblee rappresentano infatti l'esercizio
della liberta' di espressione comune a tutti i consociati, cosicche',
a  precisazione  -  anche  in  vista  di esigenze di certezza - della
precedente   giurisprudenza  della  Corte  in  materia,  se  ne  deve
concludere  che  il  nesso  funzionale  da  riscontrarsi,  per  poter
ritenere  l'insindacabilita',  tra  la  dichiarazione  e  l'attivita'
parlamentare,  non  puo' esser visto come un semplice collegamento di
argomento  o  contesto fra l'una e l'altra, ma come identificabilita'
della  dichiarazione  quale  espressione dell'attivita' parlamentare.
Una  volta stabilito che a norma dell'art. 68, primo comma, Cost., le
dichiarazioni  del  deputato  o  del  senatore  possono  riconoscersi
coperte  dall'immunita'  ivi prevista solo in quanto si identifichino
in  un'opinione  espressa  in  sede  parlamentare,  non puo' tuttavia
affermarsi   che   tale  opinione  sia  protetta  da  immunita'  solo
nell'occasione  specifica in cui viene manifestata in questo ambito e
che  ricada  al  di  fuori  della  sfera  della  prerogativa se venga
riprodotta  in  sede  diversa.  La  pubblicita',  ed anzi la naturale
destinazione,  che  caratterizza  normalmente le attivita' e gli atti
del  Parlamento,  proprio per assicurarne la funzione di sede massima
della  libera dialettica politica, comportano infatti che l'immunita'
si estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui l'opinione venga
riprodotta  al di fuori dell'ambito parlamentare, purche', beninteso,
il  contenuto  "storico  di  essa,  anche se non proprio testualmente
identico,  sia  sostanzialmente  il medesimo. Dal che discende che la
semplice  comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende
lesiva  e  le  opinioni  espresse dal deputato o dal senatore in sede
parlamentare  non  puo'  bastare  a  fondare  l'estensione alla prima
dell'immunita'  che  copre  le  seconde"  (sentenze  11 gennaio 2000,
n. 10, gia' ricordata, e 9 febbraio 2000, numeri 56 e 58);
        che  "opinioni,  rese  fiori  dalle  Camere,  [le  quali] non
riproducono  ne'  divulgano  il contenuto di alcuno specifico atto di
natura  parlamentare,  (...) non sono identificabili come espressione
dell'attivita' del deputato, ma semmai di critica politica. Pertanto,
delle   ragioni   che   possano   eventualmente  giustificare  quelle
dichiarazioni  potra'  e  dovra'  conoscere  l'autorita' giudiziaria"
(sentenza 20 marzo 2000, n. 82);
        che  "al  fine  dell'applicabilita'  della  speciale garanzia
prevista  dal  primo  comma  dell'art. 68  Cost.  alle  dichiarazioni
rilasciate  da  membri  del  Parlamento  al  di  fuori  di  attivita'
parlamentari  tipiche  -  nella specie, da un deputato a un organo di
stampa  -  e  ciononostante  riconducibili  o  inerenti alla funzione
parlamentare, distinguendole cosi' da quelle che ricadono nel diritto
comune  a  tutti  i  cittadini,  non  basta  la semplice comunanza di
argomenti,   oggetto   di   attivita'   parlamentari   tipiche  e  di
dichiarazioni   fatte   al   di   fuori   di   esse,   ne'  basta  la
riconducibilita'   di  queste  ultime  dichiarazioni  a  un  medesimo
"contesto politico . Occorre invece che la dichiarazione possa essere
qualificata  come  espressione  di  attivita'  parlamentare,  il  che
normalmente   accade   se   e  in  quanto  sussista  una  sostanziale
corrispondenza  di  significati tra le dichiarazioni rese al di fuori
dell'esercizio   delle   attivita'  parlamentari  tipiche  svolte  in
Parlamento  e le opinioni gia' espresse nell'ambito di queste ultime"
(sentenze 11 luglio 2000 numeri 320 e 321).
    Puo'  dunque concludersi (riportando ancora quanto autorevolmente
e   convincentemente   osservato  dalla  Corte  costituzionale  nella
sentenza  11 gennaio  2000,  n. 11)  che oggi "riguardo ai criteri da
osservarsi  per distinguere in concreto, tra le dichiarazioni rese da
parlamentari, quelle a cui puo', da quelle a cui non puo', estendersi
la   insindacabilita'  prevista  dall'art. 68,  primo  comma,  Cost.,
premesso  che  -  pur  riconoscendosi  ormai superata, in ragione dei
fattori di trasformazione della comunicazione politica nella societa'
contemporanea,   la   tradizionale  interpretazione  che  considerava
compiuti nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e quindi coperti
dall'immunita',  i  soli  atti  svolti  all'interno  dei  vari organi
parlamentari o anche paraparlamentari (quali, ad esempio, i "gruppi o
le  "deputazioni ) - e' tuttavia evidente che l'estensione del regime
di  insindacabilita' anche agli atti compiuti al di fuori dell'ambito
dei  lavori  di  tali  organi  non puo' essere automatica, atteso che
l'interpretazione  del  primo  comma  dell'art. 68 Cost. non soltanto
porta  ad  escludere,  per  non  trasformare  la  prerogativa  in  un
privilegio  personale,  che sia compresa nella insindacabilita' tutta
la   complessiva   attivita'  politica  che  il  singolo  membro  del
Parlamento  pone  in  essere,  ma  porta altresi' ad affermare che lo
stretto nesso tra le opinioni espresse dal parlamentare e l'esercizio
delle relative funzioni, costantemente considerato come indefettibile
presupposto  di legittimita' della deliberazione di insindacabilita',
deve  qualificarsi  non  come semplice collegamento di argomento o di
contesto   fra   attivita'  parlamentare  e  dichiarazione,  ma  come
identificabilita'  della  dichiarazione  stessa  quale espressione di
attivita' parlamentare.
    Alla   luce   di  tale  interpretazione,  pertanto,  non  possono
ritenersi  insindacabili  quelle  dichiarazioni che, fuoriuscendo dal
campo   applicativo   del   "diritto   parlamentare   ,   non   siano
immediatamente  collegabili  con  specifiche  forme  di  esercizio di
funzioni  parlamentari  anche  se siano caratterizzate da un asserito
"contesto politico , o ritenute, per il contenuto delle espressioni o
per  il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazioni
di  sindacato  ispettivo,  giacche'  tale forma di controllo politico
rimessa  al singolo parlamentare puo' aver rilievo solo se si esplica
come    funzione    parlamentare,   attraverso   atti   e   procedure
specificamente  previste  dai  regolamenti parlamentari. A sua volta,
quindi,  il  problema specifico della riproduzione, all'esterno degli
organi  parlamentari,  di  dichiarazioni  gia' rese nell'esercizio di
funzioni   parlamentari,   si   puo'   risolvere   nel   senso  della
insindacabilita'   solo  ove  sia  riscontrabile  una  corrispondenza
sostanziale   di  contenuti  con  l'atto  parlamentare,  non  essendo
sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche".
    Alla  luce  dei  criteri  appena esposti, non vi e' dubbio che la
deliberazione  parlamentare  di  insindacabilita'  qui  in  esame sia
frutto  di  una  erronea  e  non corretta valutazione dei presupposti
fissati   dall'art. 68,   comma   l  Cost.  alla  operativita'  della
irresponsabilita' dei membri del Parlamento.
    La  Giunta  per  le  autorizzazioni  a procedere della Camera dei
deputati,  e  l'Assemblea  che  ne  ha  approvato  la proposta, hanno
infatti   ritenuto   -  come  si  e'  detto  -  che  le  affermazioni
dell'onorevole  Di  Fonzo  sub iudice costituiscano espressione della
funzione parlamentare perche', in sostanza:
        a)  inserite in un contesto prettamente politico-parlamentare
e  dirette verso un soggetto politico-istituzionale "avversato per le
scelte  politiche assunte" e quindi costituenti esercizio del diritto
di critica non trasmodante dai limiti fissati dalla giurisprudenza di
legittimita';
        b)  espressive di un "malcontento esistente nella popolazione
del  collegio" elettorale dell'on. Di Fonzo e vertenti su un problema
primario del collegio stesso;
        c)   collegate,  per  comunanza  di  materia  (quella  "degli
acquedotti"),  a numerosi atti parlamentari, legislativi e non, ed in
particolare  con  una  interrogazione  presentata  all'altro ramo del
Parlamento  dal  senatore  Staniscia  vertente "proprio sulla cattiva
gestione del Consorzio acquedottistico Chietino".
    Nessuna  di  tali motivazioni evidenzia un effettivo collegamento
funzionale,   nel   senso   sopra   illustrato,  tra  lo  svolgimento
dell'attivita'   parlamentare   da   parte  dell'on. Di  Fonzo  e  le
dichiarazioni  da  questi  rese  e  sottoposte  al giudizio di questo
tribunale. Cio' e' di tutta evidenza con riferimento alle motivazioni
sub  a)  e sub b) - sostanzialmente coincidenti con le argomentazioni
svolte  dal  convenuto  nella  comparsa  di costituzione nel presente
giudizio  a  sostegno della eccezione di insindacabilita' -, le quali
fanno   erroneamente   derivare   la  applicabilita',  nella  specie,
dell'art. 68,  comma l Cost. dalla ricomprensione delle dichiarazioni
sub   iudice   nell'ambito  dell'esercizio  del  diritto  di  critica
politica, comune a chiunque e non riservato ai membri del Parlamento,
e  della  generale  attivita' politica svolta dall'onorevole Di Fonzo
nel  territorio  di  elezione, senza istituire alcun collegamento con
specifiche attivita' parlamentari del convenuto.
    Non  si  puo' ne' si vuole certamente, in questa sede, negare nel
merito  la  effettiva sussumibilita' delle manifestazioni di pensiero
dell'onorevole   Di  Fonzo  nell'esercizio  del  diritto  di  critica
politica, ma soltanto evidenziare che la valutazione di sussistenza e
di  rilevanza  di  simile  esercizio  non  rientra tra le prerogative
costituzionali  della  Camera di appartenenza del parlamentare, ma e'
riservata   all'organo   giurisdizionale   e   deve  essere  compiuta
nell'ambito del giudizio civile instaurato.
    Ma  anche dalla motivazione sub c), che pure contiene il richiamo
ad  attivita'  parlamentari,  non e' dato evincere alcuna concreta ed
effettiva  connessione con lo svolgimento di funzioni parlamentari da
parte  dell'onorevole  Di Fonzo delle dichiarazioni da questi rese al
di fuori della sede istituzionale.
    A tal fine, infatti, sembra anzitutto inconferente la circostanza
che  la  materia  degli acquedotti sia stata oggetto di numerosi atti
parlamentari,  poiche'  si  tratta  di una labile comunanza (peraltro
parziale,   nessun   collegamento  essendovi  tra  la  materia  degli
acquedotti  e  l'affermazione  relativa  al  concorso del Fosco negli
sperperi   e  nelle  assunzioni  clientelari  nel  comune  di  Castel
Frentano)  di  tematiche tra le dichiarazioni de quibus e la generica
attivita'  del Parlamento ed in ispecie della Camera dei deputati (la
quale  -  nel  suo  complesso - non risulta si sia mai occupata della
gestione del Consorzio acquedottistico Chietino).
    Altrettanto   inconferente   e'  poi  il  richiamo  all'attivita'
ispettiva  compiuta dal senatore Staniscia, poiche' (pur prescindendo
dall'effettivo  oggetto  di  tale  attivita', che dai passi riportati
nella  relazione  di Giunta sembrerebbe effettivamente essere stato -
come  sostenuto  dalla  difesa attorea nelle note depositate - l'Ente
d'ambito  acquedottistico  del Chietino e non il Consorzio) si tratta
di   attivita'  svolta  da  altro  parlamentare  in  altro  ramo  del
Parlamento (alla quale quindi non ha sicuramente preso parte in alcun
modo   l'onorevole   Di   Fonzo  nell'esercizio  delle  sue  funzioni
istituzionali)  e  di attivita' cronologicamente successiva (a quanto
e'   dato   apprendere   dal   resoconto  stenografico  della  seduta
assembleare) alle dichiarazioni dell'onorevole Di Fonzo sub iudice.
    Sotto  il  primo  profilo, si osserva che - ancora una volta - si
desume  un  collegamento funzionale dalla mera - e labile - comunanza
di  tematiche  tra  la  generica  attivita' del Parlamento (e non del
parlamentare  interessato)  e le dichiarazioni rese dall'onorevole Di
Fonzo  fuori dal Parlamento; sotto il secondo profilo, ci si limita a
ricordare che gia' la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare
che  "un  collegamento  funzionale non puo' ravvisarsi neppure tra le
(...)  dichiarazioni  di  cui  [il  parlamentare] e' stato chiamato a
rispondere (...) ed una interrogazione da lui successivamente rivolta
al   Ministro  (...),  dato  che,  diversamente  opinando,  qualsiasi
affermazione,  anche  se  ritenuta diffamatoria, e - cio' che conta -
estranea   alla   funzione  e  all'attivita'  parlamentare,  potrebbe
diventare  insindacabile  a  seguito della semplice presentazione, in
data successiva al fatto, di una interrogazione ad hoc".
    In  conclusione,  la  deliberazione della Camera dei deputati del
16 gennaio  2001  con la quale e' stata affermata la insindacabilita'
delle opinioni espresse dall'onorevole Di Fonzo appare illegittima in
quanto  fondata  su  un'erronea valutazione dei presupposti richiesti
dall'art. 68,  comma 1, Cost., non essendo ravvisabile alcun concreto
ed  effettivo  nesso  tra  quelle opinioni e le funzioni parlamentari
dell'onorevole  Di  Fonzo.  Questo tribunale non puo' quindi esimersi
dal chiederne l'annullamento alla Corte costituzionale, attraverso la
proposizione di conflitto di attribuzione, cui consegue la necessaria
sospensione del presente processo.