Il Tribunale di Lanciano, in persona del giudice istruttore in funzione di giudice unico, a scioglimento della riserva formulata all'udienza del 23 febbraio 2001, letti gli atti di causa e le note scritte autorizzate depositate dalla difesa di parte attrice nel procedimento civile di primo grado vertente tra Fosco Nicola e Di Fonzo Giovanni; Rilevato in fatto Con atto di citazione notificato in data 28 settembre 2000 Nicola Fosco - sindaco del comune di Lanciano, componente del Consiglio provinciale di Chieti e gia' presidente dell'assemblea del Consorzio acquedottistico del Chietino - ha convenuto davanti a questo tribunale l'on. Giovanni Di Fonzo, membro della Camera dei deputati del Parlamento italiano, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (quantificati indicativamente nella somma di L. 200.000.000) derivatigli da alcune frasi ed espressioni utilizzate dall'on. Di Fonzo in interviste rese ad organi di stampa e nel corso di trasmissioni televisive, ritenute dall'attore lesive del proprio onore e della propria reputazione. In particolare l'atto di citazione - dopo avere evidenziato come fosse stato proprio l'attore, in veste di presidente dell'assemblea del Consorzio acquedottistico del Chietino e di sindaco del comune capofila del Consorzio medesimo, a denunciare mediante esposta alla Procura della Corte dei conti ed altri atti politico-amministrativi alcune deficienze gestionali del Consorzio ed in particolare una specifica operazione finanziario-speculativa oggetto di indagini da parte della "Magistratura penale frentana" - fa riferimento alle seguenti condotte del convenuto assertivamente diffamatorie: affermazioni contenute nell'articolo pubblicato nell'edizione del 1 settembre 2000 del quotidiano Il Centro - pagina di Chieti e provincia - con il titolo "I DS all'attacco anche del Sindaco", dove si legge testualmente: "non mancano riferimenti al Sindaco Fosco. "Forse dimentica precisa il deputato Giovanni Di Fonzo "che il consiglio e' composto da suoi amici di merende che hanno trovato nel centrodestra la protezione per continuare a gestire il Consorzio ..."; intervista rilasciata in data 31 agosto 2000 all'emittente televisiva regionale Rete 8, nel corso della quale l'on. Di Fonzo ha testualmente affermato: "quello che mi stupisce, a leggere la stampa di oggi, e' questo trionfalismo del Sindaco Fosco, come se Febbo e il Consiglio di amministrazione non fossero suoi amici di merende"; frasi pronunciate all'indirizzo dell'attore nel corso della trasmissione "Angeli e ... angeli" trasmessa dall'emittente televisiva locale Telemax in diretta in data 1 settembre 2000 alle ore 22,30 ed in replica la domenica successiva alle ore 13, alla quale parteciparono sia il sindaco Fosco che l'on. Di Fonzo, il quale ultimo - oltre a non ridimensionare, nonostante esplicito invito, le affermazioni rese in precedenza e sopra riportate - si rivolse al suo contraddittore, dopo avere ricordato che costui era stato eletto in Consiglio provinciale nel territorio di Castel Frentano, accusandolo di avere preso parte "agli sperperi ed alle assunzioni clientelari" in quel comune, "di aver strumentalizzato le finanze di un ente strumentale a fini elettoralistici" e di avere "partecipato a speculazioni". L'on. Giovanni Di Fonzo, nel costituirsi in giudizio e nel chiedere il rigetto della domanda, eccepiva preliminarmente "la insindacabilita' ex art. 68 Cost. delle sue dichiarazioni, in quanto rese nell'esercizio della funzione parlamentare", poiche' i fatti si sarebbero svolti "in un contesto di natura squisitamente politica" concernente l'intero territorio del comprensorio lancianese e vastese ricompreso nell'ambito del Consorzio e "le dichiarazioni rese dall'on. Di Fonzo - parlamentare eletto nel medesimo ambito territoriale - si configur[erebbero] come strettamente connesse all'espletamento delle funzioni tipiche e delle finalita' proprie del mandato parlamentare, costituendo esse espressione di una legittima ed insindacabile critica politica su una vicenda che, per il notevole rilievo pubblico che aveva assunto, giustificava ed addirittura esigeva il suo intervento"; negava, in secondo luogo, che le espressioni utilizzate fossero lesive della onorabilita' e reputazione personali del Fosco, in quanto tutte riferite al ruolo ed al comportamento politico da costui assunti nella vicenda oggetto delle espressioni medesime e quindi "giustificate dal contesto di accesa polemica politica nel quale sono state rese"; assumeva, in subordine, che, avendo l'attore per primo utilizzato espressioni offensive nel corso del dibattito trasmesso da Telemax, la reciprocita' delle offese e/o la reazione all'altrui offesa eliderebbero, in uno con la rilevanza penale del fatto, la fondatezza della pretesa risarcitoria; contestava, infine, la quantificazione dei danni proposta dall'attore. In data 19 gennaio 2001 perveniva dalla Presidenza della Camera dei deputati comunicazione della deliberazione assunta dall'Assemblea nella seduta del 16 gennaio 2001 "nel senso che i fatti per i quali e' in corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione", con allegate copie della relazione della Giunta delle autorizzazioni e del resoconto stenografico della citata seduta assembleare. All'udienza del 23 febbraio 2001 la difesa del convenuto ha chiesto che il tribunale dichiari la improcedibilita' del presente giudizio civile in conseguenza della insindacabilita' dichiarata dal ramo del Parlamento di appartenenza dell'on. Giovanni Di Fonzo, mentre la difesa dell'attore ha chiesto che venga sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale per carenza di connessione tra i fatti oggetto di giudizio e la attivita' parlamentare del convenuto. Nel termine all'uopo concesso dal tribunale, la sola difesa del convenuto ha illustrato con note scritte la propria richiesta. Considerato in diritto Come risulta dalla richiamata comunicazione pervenuta dalla Presidenza della Camera dei deputati e dalla documentazione alla stessa allegata, tale ramo del Parlamento - del quale fa e faceva parte all'epoca dei fatti dedotti in giudizio il convenuto on. Giovanni Di Fonzo - ha approvato in sede assembleare, nella seduta del 16 gennaio 2001, la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere (doc. IV-quater n. 164) di dichiarare che i fatti per i quali e' in corso il procedimento concernono opinioni espresse dal deputato Di Fonzo nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'art. 68 della Costituzione. Dalla relazione della Giunta si evince agevolmente che la proposta approvata fa esplicito riferimento a tutte le dichiarazioni rese dall'on. Di Fonzo e dedotte dall'attore a sostegno della domanda risarcitoria avanzata, come sopra ricordate. La suddetta dichiarazione della Camera dei deputati - che di per se stessa ed in astratto rientra certamente tra le attribuzioni parlamentari - integra, sul piano sostanziale, la causa di irresponsabilita' prevista dall'art. 68, comma 1, Cost. a garanzia del libero svolgimento delle funzioni parlamentari (irresponsabilita' che non puo' ritenersi limitata all'ambito penale, ma che si estende anche a quello civile ed a qualsiasi altra forma di responsabilita' diversa da quella che puo' essere fatta valere nell'ambito dell'ordinamento interno della Camera di appartenenza, come e' oggi reso evidente dal testo della norma introdotto dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, ma come era sostanzialmente pacifico gia' nel vigore del testo originario: si veda, di recente, Corte costituzionale, sent. 18 luglio 1997 - 23 luglio 1997, n. 265) e comporta, sul piano processuale, il divieto per questo tribunale di un diverso accertamento, con il solo rimedio (a garanzia dei diritti dell'altra parte processuale e delle prerogative giurisdizionali) del ricorso, mediante elevazione del conflitto di attribuzione, al controllo della Corte costituzionale sulla correttezza della delibera parlamentare, sotto il profilo della sussistenza di vizi in procedendo oppure dell'omessa o erronea valutazione dei presupposti. Vi e' peraltro da precisare, per quanto concerne quest'ultimo aspetto, che la piu' recente giurisprudenza del giudice dei conflitti ha messo in luce come "nei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato originati dal contrasto tra le valutazioni del Senato, o della Camera dei deputati, e l'autorita' giudiziaria procedente, in ordine all'applicazione dell'art. 68, primo comma, Cost., la Corte costituzionale non puo' limitarsi a verificare la validita' o la congruenza delle motivazioni - ove siano espresse - con le quali la Camera di appartenenza del parlamentare abbia dichiarato insindacabile una determinata opinione, come se il suo fosse un giudizio solo sindacatorio (assimilabile a quello del giudice amministrativo su un atto cui si imputi il vizio di eccesso di potere) su una determinazione discrezionale dell'assemblea politica. Chiamata a svolgere, in tali controversie, in posizione di terzieta', una funzione di garanzia, da un lato, dell'autonomia della Camera di appartenenza del parlamentare, dall'altro, della sfera di attribuzione dell'autorita' giurisdizionale, la Corte non puo' infatti verificare la correttezza, sul piano costituzionale, di una pronuncia di insindacabilita', senza verificare - e in questo senso va precisato e in parte corretto quanto affermato, circa i caratteri di tale controllo, nella sua pregressa giurisprudenza - se, nella specie, l'insindacabilita' sussista, e cioe' se l'opinione di cui si discute sia stata espressa nell'esercizio delle funzioni parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume dalla Costituzione" (Corte costituzionale, sentenza 11 gennaio 2000, n. 10). Occorre dunque verificare se, nella specie, la valutazione di insindacabilita' sia stata correttamente espressa (nel senso e con i limiti appena precisati) dalla Camera di appartenenza del convenuto, ovvero se ricorra una ipotesi che imponga (a tutela dei diritti dell'attore e delle prerogative costituzionali della giurisdizione) di ricorrere alla Corte costituzionale per la risoluzione del conflitto e per l'annullamento della deliberazione della Camera dei deputati su ricordata. E' opportuno, a tal fine, rilevare anzitutto che la relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati - presentata alla Presidenza il 12 gennaio 2001 ed illustrata dal relatore, on. Enzo Ceremigna, nella seduta del 16 gennaio 2001 all'Assemblea, che ne ha approvato la proposta - perviene al giudizio di insindacabilita' sulla base delle seguenti considerazioni, che si riportano integralmente: "e' emerso chiaramente come in questo caso le espressioni usate dal deputato si inseriscono in un contesto prettamente politico-parlamentare. Le espressioni usate dall'onorevole Di Fonzo costituiscono infatti una manifestazione del suo esercizio del diritto di critica nei confronti di un soggetto politico-istituzionale avversato per le scelte amministrative e politiche assunte. Occorre sottolineare al riguardo che la materia degli acquedotti e' stata oggetto di numerosi atti parlamentari, sia legislativi che non, e in particolare di interrogazioni ai competenti Ministeri tra cui una (la n. 4/12185) presentata proprio sulla cattiva gestione del Consorzio acquedottistico Chietino dal senatore Angelo Staniscia, appartenente allo stesso partito dell'onorevole Di Fonzo ed eletto anch'egli in Abruzzo. In tale atto ispettivo si legge testualmente che: "Il presidente pro tempore del suddetto ente, nella persona del sindaco del comune piu' popoloso compreso nell'ambito ottimale suddetto, cioe' il comune di Lanciano, non ha provveduto finora ad espletare i compiti a lui affidati dalla legge per rendere operativo l'ente d'ambito; nonostante alcune conferenze preliminari tra i sindaci interessati convocate dal febbraio al luglio scorso, egli non ha a tutt'oggi convocato l'assemblea per l'elezione degli organismi preposti alla gestione, per cui l'ente non puo' esercitare le sue funzioni (...). I disguidi segnalati, ed altri prevedibili in futuro se dovesse prolungarsi l'attuale situazione di precarieta' (...), sono dunque riferibili proprio alla provvisorieta' della gestione in atto (...), dovuta ai dissidi interni agli ambienti politici locali del centro-destra e ai loro uomini, in quanto presumibili futuri amministratori dell'ente stesso". Nel corso dell'esame della richiesta e' risultato chiaro anche che l'onorevole Di Fonzo, nell'esprimere il suo giudizio censorio sull'operato del sindaco, il quale peraltro aveva avuto occasione di indirizzargli pesanti rilievi, dava voce al malcontento esistente nella popolazione del suo collegio circa un problema primario, quale quello dell'approvvigionamento idrico nella zona della provincia di Chieti, e circa talune scelte economico-gestionali da parte del consorzio rivelatesi poco oculate. Tanto cio' e' vero, che anche il sindaco di Lanciano successivamente si e' unito alle voci critiche della gestione del consorzio acquedottistico. Si puo' osservare, inoltre, che - come anche la giurisprudenza della Corte di cassazione ha affermato ripetutamente - la polemica politica puo' assumere toni anche aspri, purche' sia riferita sempre a condotte e fatti attribuibili all'avversario politico e non trasmodi nell'attacco alla persona mediante l'uso del cosiddetto argumentun ad hominem. Nel caso in esame appare evidente che le espressioni adoperate dall'onorevole Di Fonzo si siano mantenute entro questo limite". Dalla relazione della Giunta non e' dato evincere l'epoca di presentazione della interrogazione del senatore Staniscia, alla quale la relazione stessa fa riferimento, ma nella dichiarazione di voto dell'on. Sergio Cola riportata nel resoconto stenografico della seduta di Assemblea del 16 gennaio 2001, si legge che la data dell'attivita' parlamentare "espletata nell'ambito del sindacato ispettivo al Senato e non alla Camera, (...) e' peraltro successiva alle affermazioni dell'onorevole Di Fonzo". Cio' posto, e notato che nella deliberazione parlamentare in esame non si rinvengono vizi in procedendo, si deve esaminare se la valutazione, compiuta dalla Camera dei deputati, dei presupposti della insindacabilita' delle opinioni espresse dall'on. Di Fonzo sia o meno corretta. A questo proposito va ricordato che l'art. 68, comma l Cost. prevede la irresponsabilita' dei membri del Parlamento soltanto per "le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni". Dunque, la linea di confine tra la tutela dell'autonomia e della liberta' del Parlamento e, a tal fine, della liberta' dei suoi membri, - da un lato - e la tutela dei diritti e degli interessi costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'attivita' dei membri del Parlamento - dall'altro lato - e' fissata dalla norma costituzionale attraverso la delimitazione "funzionale" dell'ambito della prerogativa parlamentare, senza la quale - come piu' volte affermato dalla Corte costituzionale - "l'applicazione della prerogativa si trasformerebbe in un privilegio personale, con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica" (cosi', tra le piu' recenti, Corte costituzionale, sent. 11 gennaio 2000, n. 10). Partendo da tale constatazione, la Corte costituzionale ha svolto - negli ultimi anni - un'opera di interpretazione pervenuta a risultati ormai consolidati nel senso di individuare tra i presupposti dell'esercizio della prerogativa parlamentare di dichiarare la insindacabilita' quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare; e di ricomprendere cosi' nell'ambito di applicazione del primo comma dell'art. 68 Cost. soltanto le manifestazioni di pensiero dei membri del Parlamento che, anche se rese al di fuori degli ambiti istituzionali di esplicazione delle funzioni medesime, possano ritenersi oggettivamente connesse alle funzioni parlamentari, escludendone, invece, le manifestazioni costituenti mera estrinsecazione dell'attivita' in senso lato politica del singolo membro del Parlamento. La Corte costituzionale ha, infatti, affermato (e la rassegna che segue e' limitata alle pronunce piu' recenti, nelle quali peraltro la interpretazione della Corte ha trovato compiuta sistemazione): che nel giudizio sul conflitto tra poteri dello Stato vertente su una delibera parlamentare affermativa dell'insindacabilita' di opinioni espresse essa Corte e' chiamata a verificare "la riferibilita' dell'atto alle funzioni parlamentari, posto che e' appunto il nesso funzionale il discrimine fra quell'insieme di dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono cosi di frequente nell'attivita' politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della garanzia ad essi accordata. Certamente, nell'esperire il controllo di sua competenza, la Corte deve tener conto che la funzione parlamentare, a differenza da altre funzioni, "specializzate" - che pur godono di analoghe, anche se non identiche, garanzie - ha natura generale ed e' libera nel fine. Tuttavia, se e' vero che essa non si risolve negli atti tipici, e ricomprende anche quelli presupposti e conseguenziali, non vi si puo' ricondurre l'intera attivita' politica svolta dal deputato o dal senatore, cio' che finirebbe per vanificare il suddetto nesso funzionale, trasformando la prerogativa in un privilegio personale" (sentenze 26 novembre 1997 - 5 dicembre 1997, n. 375 e 7 luglio 1998 - 18 luglio 1998, n. 289); che "e' il nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio delle attribuzioni proprie del parlamentare a segnare, quale presupposto di operativita' della prerogativa, il discrimine fra le varie manifestazioni dell'attivita' politica di deputati e senatori e le opinioni che godono della garanzia, con la conseguenza che non e' possibile ricondurre nella sfera della funzione parlamentare l'intera attivita' politica dei membri delle Camere" (sentenza 14 luglio 1999, n. 329); che "poiche' la regola per cui, nel linguaggio e nel sistema della Costituzione, le "funzioni riferite agli organi non indicano generiche finalita', ma riguardano ambiti e modi giuridicamente definiti, vale anche per la funzione parlamentare, ancorche' essa si connoti per il suo carattere non "specializzato , mentre e' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera di appartenenza e dei suoi vari organi, in occasione di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea, l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi, invece, di per se' esplicazione della funzione parlamentare. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle Assemblee rappresentano infatti l'esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati, cosicche', a precisazione - anche in vista di esigenze di certezza - della precedente giurisprudenza della Corte in materia, se ne deve concludere che il nesso funzionale da riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare, non puo' esser visto come un semplice collegamento di argomento o contesto fra l'una e l'altra, ma come identificabilita' della dichiarazione quale espressione dell'attivita' parlamentare. Una volta stabilito che a norma dell'art. 68, primo comma, Cost., le dichiarazioni del deputato o del senatore possono riconoscersi coperte dall'immunita' ivi prevista solo in quanto si identifichino in un'opinione espressa in sede parlamentare, non puo' tuttavia affermarsi che tale opinione sia protetta da immunita' solo nell'occasione specifica in cui viene manifestata in questo ambito e che ricada al di fuori della sfera della prerogativa se venga riprodotta in sede diversa. La pubblicita', ed anzi la naturale destinazione, che caratterizza normalmente le attivita' e gli atti del Parlamento, proprio per assicurarne la funzione di sede massima della libera dialettica politica, comportano infatti che l'immunita' si estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui l'opinione venga riprodotta al di fuori dell'ambito parlamentare, purche', beninteso, il contenuto "storico di essa, anche se non proprio testualmente identico, sia sostanzialmente il medesimo. Dal che discende che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde" (sentenze 11 gennaio 2000, n. 10, gia' ricordata, e 9 febbraio 2000, numeri 56 e 58); che "opinioni, rese fiori dalle Camere, [le quali] non riproducono ne' divulgano il contenuto di alcuno specifico atto di natura parlamentare, (...) non sono identificabili come espressione dell'attivita' del deputato, ma semmai di critica politica. Pertanto, delle ragioni che possano eventualmente giustificare quelle dichiarazioni potra' e dovra' conoscere l'autorita' giudiziaria" (sentenza 20 marzo 2000, n. 82); che "al fine dell'applicabilita' della speciale garanzia prevista dal primo comma dell'art. 68 Cost. alle dichiarazioni rilasciate da membri del Parlamento al di fuori di attivita' parlamentari tipiche - nella specie, da un deputato a un organo di stampa - e ciononostante riconducibili o inerenti alla funzione parlamentare, distinguendole cosi' da quelle che ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini, non basta la semplice comunanza di argomenti, oggetto di attivita' parlamentari tipiche e di dichiarazioni fatte al di fuori di esse, ne' basta la riconducibilita' di queste ultime dichiarazioni a un medesimo "contesto politico . Occorre invece che la dichiarazione possa essere qualificata come espressione di attivita' parlamentare, il che normalmente accade se e in quanto sussista una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle attivita' parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni gia' espresse nell'ambito di queste ultime" (sentenze 11 luglio 2000 numeri 320 e 321). Puo' dunque concludersi (riportando ancora quanto autorevolmente e convincentemente osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza 11 gennaio 2000, n. 11) che oggi "riguardo ai criteri da osservarsi per distinguere in concreto, tra le dichiarazioni rese da parlamentari, quelle a cui puo', da quelle a cui non puo', estendersi la insindacabilita' prevista dall'art. 68, primo comma, Cost., premesso che - pur riconoscendosi ormai superata, in ragione dei fattori di trasformazione della comunicazione politica nella societa' contemporanea, la tradizionale interpretazione che considerava compiuti nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e quindi coperti dall'immunita', i soli atti svolti all'interno dei vari organi parlamentari o anche paraparlamentari (quali, ad esempio, i "gruppi o le "deputazioni ) - e' tuttavia evidente che l'estensione del regime di insindacabilita' anche agli atti compiuti al di fuori dell'ambito dei lavori di tali organi non puo' essere automatica, atteso che l'interpretazione del primo comma dell'art. 68 Cost. non soltanto porta ad escludere, per non trasformare la prerogativa in un privilegio personale, che sia compresa nella insindacabilita' tutta la complessiva attivita' politica che il singolo membro del Parlamento pone in essere, ma porta altresi' ad affermare che lo stretto nesso tra le opinioni espresse dal parlamentare e l'esercizio delle relative funzioni, costantemente considerato come indefettibile presupposto di legittimita' della deliberazione di insindacabilita', deve qualificarsi non come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare. Alla luce di tale interpretazione, pertanto, non possono ritenersi insindacabili quelle dichiarazioni che, fuoriuscendo dal campo applicativo del "diritto parlamentare , non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari anche se siano caratterizzate da un asserito "contesto politico , o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazioni di sindacato ispettivo, giacche' tale forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' aver rilievo solo se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previste dai regolamenti parlamentari. A sua volta, quindi, il problema specifico della riproduzione, all'esterno degli organi parlamentari, di dichiarazioni gia' rese nell'esercizio di funzioni parlamentari, si puo' risolvere nel senso della insindacabilita' solo ove sia riscontrabile una corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche". Alla luce dei criteri appena esposti, non vi e' dubbio che la deliberazione parlamentare di insindacabilita' qui in esame sia frutto di una erronea e non corretta valutazione dei presupposti fissati dall'art. 68, comma l Cost. alla operativita' della irresponsabilita' dei membri del Parlamento. La Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, e l'Assemblea che ne ha approvato la proposta, hanno infatti ritenuto - come si e' detto - che le affermazioni dell'onorevole Di Fonzo sub iudice costituiscano espressione della funzione parlamentare perche', in sostanza: a) inserite in un contesto prettamente politico-parlamentare e dirette verso un soggetto politico-istituzionale "avversato per le scelte politiche assunte" e quindi costituenti esercizio del diritto di critica non trasmodante dai limiti fissati dalla giurisprudenza di legittimita'; b) espressive di un "malcontento esistente nella popolazione del collegio" elettorale dell'on. Di Fonzo e vertenti su un problema primario del collegio stesso; c) collegate, per comunanza di materia (quella "degli acquedotti"), a numerosi atti parlamentari, legislativi e non, ed in particolare con una interrogazione presentata all'altro ramo del Parlamento dal senatore Staniscia vertente "proprio sulla cattiva gestione del Consorzio acquedottistico Chietino". Nessuna di tali motivazioni evidenzia un effettivo collegamento funzionale, nel senso sopra illustrato, tra lo svolgimento dell'attivita' parlamentare da parte dell'on. Di Fonzo e le dichiarazioni da questi rese e sottoposte al giudizio di questo tribunale. Cio' e' di tutta evidenza con riferimento alle motivazioni sub a) e sub b) - sostanzialmente coincidenti con le argomentazioni svolte dal convenuto nella comparsa di costituzione nel presente giudizio a sostegno della eccezione di insindacabilita' -, le quali fanno erroneamente derivare la applicabilita', nella specie, dell'art. 68, comma l Cost. dalla ricomprensione delle dichiarazioni sub iudice nell'ambito dell'esercizio del diritto di critica politica, comune a chiunque e non riservato ai membri del Parlamento, e della generale attivita' politica svolta dall'onorevole Di Fonzo nel territorio di elezione, senza istituire alcun collegamento con specifiche attivita' parlamentari del convenuto. Non si puo' ne' si vuole certamente, in questa sede, negare nel merito la effettiva sussumibilita' delle manifestazioni di pensiero dell'onorevole Di Fonzo nell'esercizio del diritto di critica politica, ma soltanto evidenziare che la valutazione di sussistenza e di rilevanza di simile esercizio non rientra tra le prerogative costituzionali della Camera di appartenenza del parlamentare, ma e' riservata all'organo giurisdizionale e deve essere compiuta nell'ambito del giudizio civile instaurato. Ma anche dalla motivazione sub c), che pure contiene il richiamo ad attivita' parlamentari, non e' dato evincere alcuna concreta ed effettiva connessione con lo svolgimento di funzioni parlamentari da parte dell'onorevole Di Fonzo delle dichiarazioni da questi rese al di fuori della sede istituzionale. A tal fine, infatti, sembra anzitutto inconferente la circostanza che la materia degli acquedotti sia stata oggetto di numerosi atti parlamentari, poiche' si tratta di una labile comunanza (peraltro parziale, nessun collegamento essendovi tra la materia degli acquedotti e l'affermazione relativa al concorso del Fosco negli sperperi e nelle assunzioni clientelari nel comune di Castel Frentano) di tematiche tra le dichiarazioni de quibus e la generica attivita' del Parlamento ed in ispecie della Camera dei deputati (la quale - nel suo complesso - non risulta si sia mai occupata della gestione del Consorzio acquedottistico Chietino). Altrettanto inconferente e' poi il richiamo all'attivita' ispettiva compiuta dal senatore Staniscia, poiche' (pur prescindendo dall'effettivo oggetto di tale attivita', che dai passi riportati nella relazione di Giunta sembrerebbe effettivamente essere stato - come sostenuto dalla difesa attorea nelle note depositate - l'Ente d'ambito acquedottistico del Chietino e non il Consorzio) si tratta di attivita' svolta da altro parlamentare in altro ramo del Parlamento (alla quale quindi non ha sicuramente preso parte in alcun modo l'onorevole Di Fonzo nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali) e di attivita' cronologicamente successiva (a quanto e' dato apprendere dal resoconto stenografico della seduta assembleare) alle dichiarazioni dell'onorevole Di Fonzo sub iudice. Sotto il primo profilo, si osserva che - ancora una volta - si desume un collegamento funzionale dalla mera - e labile - comunanza di tematiche tra la generica attivita' del Parlamento (e non del parlamentare interessato) e le dichiarazioni rese dall'onorevole Di Fonzo fuori dal Parlamento; sotto il secondo profilo, ci si limita a ricordare che gia' la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che "un collegamento funzionale non puo' ravvisarsi neppure tra le (...) dichiarazioni di cui [il parlamentare] e' stato chiamato a rispondere (...) ed una interrogazione da lui successivamente rivolta al Ministro (...), dato che, diversamente opinando, qualsiasi affermazione, anche se ritenuta diffamatoria, e - cio' che conta - estranea alla funzione e all'attivita' parlamentare, potrebbe diventare insindacabile a seguito della semplice presentazione, in data successiva al fatto, di una interrogazione ad hoc". In conclusione, la deliberazione della Camera dei deputati del 16 gennaio 2001 con la quale e' stata affermata la insindacabilita' delle opinioni espresse dall'onorevole Di Fonzo appare illegittima in quanto fondata su un'erronea valutazione dei presupposti richiesti dall'art. 68, comma 1, Cost., non essendo ravvisabile alcun concreto ed effettivo nesso tra quelle opinioni e le funzioni parlamentari dell'onorevole Di Fonzo. Questo tribunale non puo' quindi esimersi dal chiederne l'annullamento alla Corte costituzionale, attraverso la proposizione di conflitto di attribuzione, cui consegue la necessaria sospensione del presente processo.