ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma,
numero  3,  della  legge  16 febbraio  1913,  n. 89  (Ordinamento del
notariato  e  degli  archivi  notarili),  come modificato dall'art. 1
della  legge  26 luglio  1995,  n. 328  (Introduzione  della prova di
preselezione   informatica   nel  concorso  notarile),  promosso  con
ordinanza  emessa  il  12 marzo  2002  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio  sui ricorsi riuniti proposti da Luca Gianpiero
contro  il Ministero della giustizia ed altra, iscritta al n. 166 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 17, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il giudice
relatore Annibale Marini.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  Con  ordinanza  emessa  il  12 marzo  2002  il  Tribunale
amministrativo  regionale del Lazio ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,   35,   41,   51  e  97  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma, numero 3, della
legge  16 febbraio  1913,  n. 89  (Ordinamento  del notariato e degli
archivi  notarili), come modificato dall'art. 1 della legge 26 luglio
1995,  n. 328  (Introduzione  della prova di preselezione informatica
nel  concorso  notarile),  nella parte in cui prevede che l'esercizio
dell'azione  penale  per  un  reato  non  colposo punito con pena non
inferiore  nel  minimo  a  sei  mesi  comporta  la  sospensione della
iscrizione  nel  ruolo dei notai sino al definitivo proscioglimento o
sino alla declaratoria di estinzione del reato.
    Quanto  alla  rilevanza  della  questione il rimettente espone di
essere  chiamato  a decidere su due ricorsi, riuniti per connessione,
proposti  dallo  stesso  attore  per  l'annullamento  di  altrettanti
provvedimenti  della  Direzione  generale degli affari civili e delle
libere  professioni  del Ministero della giustizia, riguardanti l'uno
il  rigetto  dell'istanza  diretta  ad  ottenere  il  certificato  di
idoneita'  per  la funzione di coadiutore notarile, l'altro la nomina
dei  vincitori  del  concorso notarile, nella parte in cui esclude il
ricorrente  dal  diritto  di  scelta  della  sede ai sensi del citato
art. 5, primo comma, numero 3, della legge n. 89 del 1913.
    Nel  merito,  il  giudice a quo osserva che quella prevista dalla
norma  impugnata e' una misura cautelare interdittiva de jure, quanto
all'iscrizione  nel  ruolo dei notai, per colui nei cui confronti sia
stata  esercitata  l'azione penale per un qualsiasi reato non colposo
punito  con  pena  non  inferiore  nel minimo a sei mesi, e che detta
misura   trova   rispondenza   nella   misura   cautelare  sospensiva
discrezionale  prevista  dall'art. 140  della  stessa legge n. 89 del
1913  e  nelle misure sospensive e destitutive de jure previste dagli
artt. 139 e 142.
    Ricorda  il  rimettente  che  le  due norme da ultimo citate sono
state  dichiarate  costituzionalmente illegittime, con sentenza n. 40
del   1990,   proprio   nella  parte  in  cui  escludevano  qualsiasi
discrezionalita'   nell'adozione,   da   parte   del   giudice,   del
provvedimento  di  inabilitazione  del  notaio  a seguito di condanna
penale non definitiva, per i medesimi reati di cui all'art. 5, numero
3, ovvero configuravano la destituzione come effetto automatico della
condanna passata in giudicato.
    Viceversa, l'art. 140 della medesima legge ha superato indenne lo
scrutinio  di legittimita' costituzionale (sentenza n. 454 del 2000),
in  considerazione  del  carattere discrezionale del provvedimento di
inabilitazione previsto da detta norma, revocabile in ogni momento in
relazione al possibile venir meno delle esigenze cautelari.
    Ricorda ancora il giudice a quo che, in precedenza, questa stessa
Corte,   con   la   sentenza   n. 206   del   1999,   aveva  ritenuto
costituzionalmente   legittima   la   misura   cautelare   sospensiva
obbligatoria   del  dipendente  pubblico  per  effetto  di  rinvio  a
giudizio,  prevista  dall'art. 15  della  legge  n. 55  del  1990, in
considerazione  del  circoscritto  numero  di reati ivi specificati e
dell'esistenza  di  un  limite di durata massima della misura stessa,
desumibile in via interpretativa da altra norma dell'ordinamento.
    Ritiene  il  rimettente  che  - pur tenuto conto delle differenze
esistenti  tra  la posizione del notaio o del pubblico dipendente, da
un  lato,  e  quella  di  colui  che  ancora non abbia acquisito tali
qualifiche  pur  avendo  superato  le prove concorsuali, dall'altro -
siano tuttavia applicabili nella specie i medesimi principi enunciati
nella  richiamata  giurisprudenza  costituzionale  e che pertanto una
misura interdittiva, quale quella prevista dalla norma impugnata, che
consegua   automaticamente  al  mero  rinvio  a  giudizio  per  reati
individuati  sulla base della sola pena edittale, senza previsione di
un  termine massimo di durata, se non il definitivo proscioglimento o
l'estinzione  del  reato,  si ponga in contrasto con gli artt. 3, 35,
41,  51  e  97  della  Costituzione,  in quanto non rispondente ad un
ragionevole bilanciamento degli interessi contrapposti.
    La  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della norma
impugnata  non  priverebbe,  d'altra  parte,  di tutela gli interessi
pubblici  in  quanto,  una  volta  intervenuta  la  nomina  a  notaio
dell'interessato,  potrebbe  trovare  applicazione il citato art. 140
della   legge   n. 89   del   1913,   che  prevede  il  provvedimento
discrezionale  di  inabilitazione  del notaio all'esercizio delle sue
funzioni  in  caso  di pendenza di procedimento penale per i medesimi
reati previsti dall'art. 5, primo comma, numero 3.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   concludendo   per  la  declaratoria  di  inammissibilita'  o
infondatezza  della  questione,  sulla  scorta  delle  considerazioni
svolte  in  una  memoria  depositata  nell'imminenza  della camera di
consiglio.
    La  parte  pubblica  osserva, innanzitutto, che le censure svolte
nell'ordinanza  di  rimessione  non  riguardano  l'automatismo  della
misura  cautelare  interdittiva,  ma  solamente  il  fatto che questa
consegua  al  rinvio  a  giudizio  per reati definiti solo in ragione
della  pena  edittale  e senza prestabilire un limite certo di durata
della   sua   efficacia   se  non  il  definitivo  proscioglimento  o
l'estinzione del reato.
    La  questione,  cosi'  posta,  sarebbe  -  secondo l'Avvocatura -
sicuramente  infondata,  avendo  questa  stessa  Corte  espressamente
escluso,  nella  sentenza n. 454 del 2000, che sia costituzionalmente
necessaria  la  determinazione  di  un limite massimo di durata della
misura cautelare.
    Nessuno dei parametri evocati risulterebbe dunque violato, "posto
che  la  compressione  dell'interesse  del  soggetto  che  aspiri  ad
acquisire  la posizione di professionista o di dipendente pubblico [.
.  .] appare giustificata dall'avvenuto esercizio di un'azione penale
per  un  reato  particolarmente grave che pregiudichi la credibilita'
della professione stessa".
    La  misura  cautelare  di  cui  si  tratta non contrasterebbe, in
definitiva,  con i principi elaborati in materia dalla giurisprudenza
costituzionale   e   sarebbe,  in  ogni  caso,  destinata  ad  essere
sostituita dalla sanzione definitiva.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita, in
riferimento  agli  artt. 3, 35, 41, 51 e 97 della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma, numero 3, della
legge  16 febbraio  1913,  n. 89  (Ordinamento  del notariato e degli
archivi  notarili), come modificato dall'art. 1 della legge 26 luglio
1995,  n. 328  (Introduzione  della prova di preselezione informatica
nel  concorso  notarile),  nella parte in cui prevede che l'esercizio
dell'azione  penale  per  un  reato  non  colposo punito con pena non
inferiore  nel  minimo  a  sei  mesi  comporta  la  sospensione della
iscrizione  nel  ruolo dei notai sino al definitivo proscioglimento o
sino alla declaratoria di estinzione del reato.
    Assume  in  buona  sostanza  il  giudice  a  quo  che  la  misura
interdittiva obbligatoria cosi' configurata, in quanto ricollegata al
mero  esercizio  dell'azione  penale per reati individuati sulla base
della  sola  pena edittale, senza previsione di un termine massimo di
durata  se  non  il  definitivo  proscioglimento o la declaratoria di
estinzione  del  reato,  non sembrerebbe rispondere ad un ragionevole
bilanciamento  tra  le  esigenze cautelari e l'interesse del soggetto
sottoposto a giudizio.
    2. La questione e' fondata, nei limiti di seguito precisati.
    3.   Deve,   anzitutto,   ribadirsi  la  natura  cautelare  della
sospensione  dell'iscrizione  nel  ruolo  dei  notai in quanto misura
finalizzata  alla tutela, in via provvisoria, dell'interesse pubblico
alla  affidabilita'  della  funzione  notarile che potrebbe risultare
compromessa  dalla  titolarita'  della  funzione  stessa  in  capo  a
soggetti  imputati  di  reati  di  non  trascurabile  gravita'. E va,
altresi',  precisato  che  trattasi  di  misura obbligatoria, essendo
collegata  solo  al  verificarsi  di determinate circostanze di fatto
(imputazione   per   determinati  reati),  indipendentemente  da  una
valutazione   in   concreto   della  sua  opportunita'  e  della  sua
rispondenza  al  pubblico  interesse;  mentre  la durata della misura
stessa,  coincidendo  con  la definitiva conclusione del procedimento
penale,  puo'  prolungarsi  per  un  periodo  di tempo pari a quello,
talvolta assai lungo, di prescrizione del reato.
    Ora,  il  legislatore,  secondo  quanto  piu'  volte affermato da
questa   Corte,   puo'  eccezionalmente  istituire  misure  cautelari
obbligatorie solo in riferimento ad "ipotesi circoscritte nelle quali
l'esigenza  cautelare  che  fonda la sospensione e' apprezzata in via
generale  ed  astratta  dalla  stessa  legge"  e sempre che la misura
stessa   sia   contenuta   "nei   limiti   di   durata   strettamente
indispensabili" per la protezione dell'interesse pubblico che essa e'
diretta a tutelare nell'attesa - come nella specie - di un successivo
accertamento giudiziale, "in ossequio al criterio di proporzionalita'
della  misura cautelare, riconducibile all'art. 3 della Costituzione"
(sentenze  n. 145  del  2002 e n. 206 del 1999). Criterio che, sempre
secondo  questa  Corte,  risulta  violato  dalla  previsione  di  una
sospensione  cautelare  destinata a durare a tempo indeterminato fino
alla  definitiva conclusione del procedimento penale (sentenza n. 206
del 1999).
    4.   Sulla   base   di   quanto  precede  va,  dunque,  affermata
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  denunciata  sotto  il
duplice  e  concorrente  profilo  dell'ampiezza  ed eterogeneita' dei
reati  alla  quale  fa  riferimento  quale  presupposto  della misura
cautelare    e   della   durata   indeterminata   della   sospensione
dell'iscrizione fino al definitivo giudicato sull'accusa penale.
    Vizi,  questi specificati, che devono essere eliminati attraverso
una  pronuncia che affermi la necessita', ai fini dell'adozione della
misura   de   qua,  di  una  valutazione  dell'Amministrazione  sulla
ricorrenza di concrete esigenze cautelari.
    La  discrezionalita'  della  misura  fa,  infatti,  venir meno la
esigenza,  costituzionalmente imposta, del riferimento legislativo ad
ipotesi  specifiche e circoscritte di reato affermata da questa Corte
solo  per  le  misure  cautelari obbligatorie; ferma restando, per le
altre  misure,  la insindacabile liberta' del legislatore di fissare,
con   il   rispetto   del   generale   limite   della  non  manifesta
irragionevolezza,  gli  specifici  presupposti  della  loro adozione.
Rimane su tale base anche superata la censura riguardante la mancanza
di  un  termine  massimo  di  durata  della  sospensione, diverso dal
proscioglimento   o  dalla  declaratoria  di  estinzione  del  reato,
dovendosi   per   le  misure  sospensive  a  carattere  discrezionale
escludere  la  necessita'  della previsione di un limite temporale di
efficacia,  proprio  in  quanto  tali  misure  sono  in  ogni momento
revocabili,  in  relazione  al  possibile  venir  meno delle esigenze
cautelari che le giustificano (sentenza n. 454 del 2000).