ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 8,
della  legge  27 marzo  1992,  n. 257 (Norme relative alla cessazione
dell'impiego  dell'amianto),  come  modificato  dalla  legge 27 marzo
1993,  n. 271  -  recte:  come  modificato  dall'art. 1, comma 1, del
decreto-legge  5 giugno  1993,  n. 169  (Disposizioni  urgenti  per i
lavoratori  del settore dell'amianto), convertito, con modificazioni,
nella  legge  4 agosto 1993, n. 271 - e dell'art. 80, comma 25, della
legge  23 dicembre  2000,  n. 388 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001),
promosso  con ordinanza del 18 dicembre 2001 dal Tribunale di Ravenna
nel  procedimento  civile  vertente  tra Gamberini Roberto ed altro e
l'INPS,  iscritta  al  n. 59 del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 - prima serie speciale
- dell'anno 2002.
    Visti   l'atto   di  costituzione  dell'INPS  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  18 giugno  2002  il  giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  l'avvocato Alessandro Riccio per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel corso di un giudizio nel quale due ex dipendenti della
Compagnia portuale di Ravenna, ai quali la pensione di anzianita' era
stata  liquidata  con  decorrenza  1  maggio  1987,  avendo  ricevuto
dall'INAIL  l'attestazione  di  esposizione  all'amianto per oltre un
decennio,   hanno  chiesto  il  riconoscimento  del  beneficio  della
rivalutazione  contributiva  di cui all'art. 13, comma 8, della legge
27 marzo  1992,  n. 257,  il  Tribunale di Ravenna, con ordinanza del
18 dicembre  2001,  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo
comma,   e  38,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale del citato art. 13, comma 8, della legge
27 marzo  1992,  n. 257  (Norme relative alla cessazione dell'impiego
dell'amianto),  come  modificato  dalla  legge  27 marzo 1993, n. 271
recte:  come  modificato  dall'art. 1,  comma  1,  del  decreto-legge
5 giugno  1993,  n. 169  (Disposizioni  urgenti  per i lavoratori del
settore  dell'amianto),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
4 agosto  1993,  n. 271  -  e  dell'art. 80,  comma  25,  della legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello Stato - legge finanziaria 2001), nella
parte  in  cui,  secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione,
non  stabiliscono  che l'erogazione del beneficio della rivalutazione
contributiva  ivi  prevista  spetti ai lavoratori esposti all'amianto
per  oltre  un  decennio  che  fossero  gia'  pensionati  al  momento
dell'entrata in vigore della citata legge n. 257 del 1992.
    Il  Tribunale  remittente,  dopo aver precisato che da un atto di
indirizzo  del  Ministero  del  lavoro e della previdenza sociale del
20 aprile  2000  risulta  che per i lavoratori portuali l'esposizione
all'amianto  attraverso  manipolazioni  dirette  ha avuto inizio alla
data  della  relativa  assunzione  (coincidente  con l'iscrizione nei
registri  portuali)  e  si  e' conclusa prima della entrata in vigore
della  legge n. 257 del 1992, essendo cessata il 31 dicembre 1990, fa
una  serie di considerazioni relative all'uso nocivo dell'amianto, ai
progressi   della   scienza   medica   al   riguardo,  alla  relativa
consapevolezza  dimostrata  dalla  comunita'  europea  fin  dal  1983
(direttiva del Consiglio n. 83/477/CEE) ed al ritardo dell'Italia nel
dare  attuazione  alla  suddetta  direttiva,  avendo  il nostro Paese
provveduto a tale doverosa incombenza solo con il decreto legislativo
15 agosto  1991,  n. 277,  emanato  dopo una condanna subita da parte
della Corte di giustizia CEE (sentenza 13 dicembre 1990, n. 240).
    In  tale  situazione, anche in considerazione dell'inclusione, da
parte  della  giurisprudenza  della Corte di cassazione, nella platea
dei  destinatari  del  beneficio  de  quo  di tutti i soggetti ancora
inseriti  nel  mondo  del lavoro alla data di entrata in vigore della
legge  n. 257  del  1992, qualunque fosse il loro stato occupazionale
del momento (di occupato nel settore dell'amianto, di disoccupato, di
sospeso  ovvero  di  occupato  in  un settore diverso), a prescindere
dall'attualita' dell'esposizione, cosi' come addirittura dei titolari
di   pensione   o   assegno   di  invalidita'  (sul  presupposto  del
mantenimento  da parte loro di una residua capacita' lavorativa), non
si  comprende  come  mai  la  stessa  Corte, con giurisprudenza ormai
consolidata,  abbia  sempre escluso l'applicabilita' del beneficio di
cui  si tratta nei confronti di coloro che al momento dell'entrata in
vigore  della legge n. 257 del 1992 fossero gia' titolari di pensione
di anzianita' (come gli attuali ricorrenti) ovvero di vecchiaia.
    Osserva  il  remittente  che  diverse sono le censure che possono
essere  mosse  non  solo al piu' volte citato art. 13, comma 8, della
legge  n. 257  del  1992, interpretato nel senso suindicato, ma anche
all'art. 80,  comma  25,  della successiva legge n. 388 del 2000, che
dello  stesso  art. 13, comma 8, fornirebbe indiretta interpretazione
autentica.
    Le  suddette disposizioni si pongono, infatti, in contrasto con i
parametri   invocati  in  primo  luogo  perche',  in  violazione  del
principio  di  eguaglianza,  riservano ai soggetti gia' pensionati di
cui si e' detto un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto
agli  altri  soggetti che si ritengono compresi fra i destinatari del
beneficio  di  natura  previdenziale  in argomento, pur essendo stata
accertata nei loro confronti la medesima situazione di rischio.
    Sarebbe,  inoltre,  ravvisabile  un contrasto con il principio di
razionalita'   e   coerenza   normativa   di   cui  all'art. 3  della
Costituzione in quanto, se il contenuto precettivo delle disposizioni
impugnate  fosse  quello  loro  attribuito dalla giurisprudenza della
Corte  di  cassazione, esse sarebbero in conflitto con la loro stessa
ratio  -  da  individuare,  anche  secondo quanto affermato da questa
Corte nella sentenza n. 5 del 2000, nella volonta' del legislatore di
offrire  un indennizzo a tutti i lavoratori che sono stati esposti ad
un  rischio  ritenuto morbigeno - perche' si finirebbe "per negare lo
stesso indennizzo ad una circoscritta categoria di soggetti che hanno
subito  la  stessa  esposizione  parimenti  morbigena  per  motivi di
lavoro" di coloro del cui diritto non si dubita.
    Con  specifico riguardo all'art. 80, comma 25, della legge n. 388
del  2000, il remittente precisa, inoltre, che tale norma si porrebbe
in contrasto con l'art. 3 della Costituzione anche ove stabilisce che
non  si  fa  luogo  al  recupero,  da  parte dell'INPS, degli importi
oggetto  di  ripetizione  di  indebito  nei confronti dei titolari di
pensione  interessati  al  beneficio,  in  conseguenza della rinuncia
all'azione  da  parte  del  pensionato e dell'estinzione del relativo
procedimento.  Tale  norma sembrerebbe, infatti, configurare solo per
tali  soggetti  "una  forma  indiretta  di coazione a rinunciare alla
prosecuzione del giudizio".
    Nell'ordinanza  si  sostiene  infine  che,  come  e'  gia'  stato
sottolineato  nella  citata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000, e
non e' stato considerato invece dalla giurisprudenza ordinaria che si
contesta,  la  legge n. 257 del 1992 ha una copertura finanziaria che
non e' dei soli 72 miliardi di lire previsti nel decreto-legge n. 169
del  1993 ma anche dei 110 miliardi di lire originariamente stanziati
dall'art. 13, comma 12, della legge n. 257 medesima. Detto questo, se
si pone un problema di sufficienza di questa copertura, esso non puo'
valere solo per una categoria di soggetti (i pensionati di anzianita'
al  momento dell'introduzione del beneficio) ma, caso mai, deve porsi
per   tutti  coloro  che  hanno  titolo  ad  essere  destinatari  del
beneficio,  non  potendo,  secondo  quanto  affermato da questa Corte
nella  sentenza  n. 136  del  2001, l'esigenza del contenimento della
spesa   "autorizzare   un  uso  sperequato  e  discriminatorio  della
discrezionalita'  normativa  che  sconfini nella aperta violazione di
altri principi cardine dell'ordinamento costituzionale".
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso chiedendo, anche in una memoria
aggiunta,  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o  non
fondata.
    La difesa erariale, dopo aver osservato che il remittente pone in
realta'  in  discussione  scelte  di  politica sociale riservate alla
discrezionalita'  del  legislatore,  sottolinea  che la ricostruzione
interpretativa della normativa impugnata operata dalla giurisprudenza
della Corte di cassazione, a partire dalla sentenza n. 6605 del 1998,
cui  il  Tribunale  di  Ravenna  si  oppone, e' invece da considerare
quella maggiormente   conforme   al  dato  letterale,  sistematico  e
teleologico  delle  disposizioni  impugnate. E', infatti, da ritenere
che  il  legislatore  abbia  concepito  il  beneficio contributivo in
discussione  come  meccanismo  diretto a facilitare il raggiungimento
dei requisiti assicurativi necessari per l'accesso al pensionamento e
non   come   strumento  finalizzato  ad  incrementare  i  trattamenti
pensionistici  gia'  erogati  al momento dell'entrata in vigore della
legge  n. 257  del  1992.  Questa  e'  l'unica  interpretazione della
disposizione  di  cui all'art. 13, comma 8, della citata legge n. 257
del  1992,  attualmente  impugnato,  che risulti armonica rispetto ai
precedenti   commi   2   e   7  dello  stesso  art. 13  ed  e'  anche
l'interpretazione su cui poggia la copiosa giurisprudenza della Corte
di  cassazione  che ha legittimamente diversificato il trattamento da
attribuire  ai  soggetti gia' titolari di pensione di anzianita' e di
vecchiaia  rispetto ai titolari di assegno e pensione di invalidita'.
Soltanto  a  questi  ultimi  e' stata riconosciuta la possibilita' di
avvalersi  della  rivalutazione contributiva de qua in quanto solo ad
essi  puo'  essere riconosciuta una residua capacita' lavorativa, con
l'esigenza  di  incrementare l'anzianita' contributiva per conseguire
le prestazioni di vecchiaia.
    La  suddetta  interpretazione  la  quale,  quindi, esclude che il
beneficio  contributivo  di  cui  si tratta possa essere attribuito a
tutti  i soggetti che comunque, nel corso della loro vita lavorativa,
siano  stati  esposti  ad  inalazione  di  fibre di amianto, e' stata
confermata  ed  arricchita  di  ulteriori  argomenti  dalla  Corte di
cassazione  anche  dopo  la sentenza costituzionale n. 5 del 2000 (v.
per  tutte  Cass.  3 aprile  2001, n. 4913) ed e' l'unica che risulta
coerente  con  la  copertura  di spesa predisposta dal legislatore in
materia.  Va, infatti, considerato al riguardo che, allo stato, hanno
ottenuto    il    riconoscimento    dell'esposizione   ultradecennale
all'amianto  42.000 lavoratori, di cui 10.108 attivi al momento della
entrata  in  vigore  della  citata  legge  n. 257  del  1992,  mentre
risultano  presentate  circa  132.000  domande  di  riconoscimento di
esposizione  all'amianto.  Da  cio'  si desume che, in considerazione
della  platea  dei potenziali interessati, una eventuale pronuncia di
illegittimita'     costituzionale     della    normativa    impugnata
determinerebbe  "rilevanti maggiori  oneri  a  carico  della  finanza
pubblica".
    L'Avvocatura  dello  Stato  sostiene, infine, la natura meramente
interpretativa della questione in argomento.
    3.  -  Si  e'  costituito l'INPS che ha concluso chiedendo che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata.
    L'Istituto  sottolinea  che la norma di cui all'art. 13, comma 8,
della  legge n. 257 del 1992 deve essere riguardata nell'ambito della
logica  dei  prepensionamenti,  come  ritenuto  fin  dalle  sue prime
pronunce  in  argomento  dalla  Corte  di cassazione. Interpretare la
norma in modo diverso vorrebbe dire non solo snaturare la ratio legis
consistente nella introduzione di un meccanismo diretto a favorire il
pensionamento  dei  lavoratori esposti all'amianto ma significherebbe
anche  attribuire  un  identico trattamento a situazioni disomogenee,
come  ha lucidamente sottolineato la stessa Corte di cassazione nella
sentenza  n. 12524  del  2001, nella quale si e' fra l'altro ritenuta
manifestamente infondata una questione di costituzionalita' analoga a
quella   attualmente  sollevata  richiamandosi  il  principio,  ormai
consolidato  nella  giurisprudenza  di questa Corte, secondo cui "non
puo'  contrastare  con  il  principio di uguaglianza un differenziato
trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti ma in momenti
diversi  nel  tempo perche' lo stesso fluire di questo costituisce di
per se' un elemento diversificatore".

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Ravenna, nel corso di un giudizio civile per
la riliquidazione della pensione di anzianita' promosso contro l'INPS
da  due lavoratori portuali collocati in quiescenza il 30 aprile 1987
ed  in  possesso dell'attestazione dell'INAIL di essere stati esposti
alle  polveri  di  amianto  per  oltre un decennio, ha sollevato, con
riferimento  agli  artt. 3,  primo  comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 13,  comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative
alla   cessazione   dell'impiego   dell'amianto),   come   modificato
dall'art. 1,   comma  1,  del  decreti-legge  5 giugno  1993,  n. 169
(Disposizioni  urgenti  per  i  lavoratori del settore dell'amianto),
convertito,  con  modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271, e
dell'art. 80,   comma   25,  della  legge  23 dicembre  2000,  n. 388
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  -  legge finanziaria 2001), in quanto dette norme, come
costantemente   interpretate  dalla  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione,  non  prevedono  che  spetti ai soggetti gia' titolari di
pensione di anzianita' o di vecchiaia al momento di entrata in vigore
della   legge   n. 257   del   1992  (28 aprile  1992)  il  beneficio
contributivo  di  cui  al  citato  art. 13,  comma  8,  della stessa,
consistente   nella   moltiplicazione,   ai  fini  delle  prestazioni
pensionistiche,  per  il  coefficiente  di  1,5  dell'intero  periodo
lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto.
    Secondo  il remittente il beneficio oggetto del giudizio a quo ha
natura  di  indennizzo  del  pericolo corso dai lavoratori per essere
stati esposti all'amianto per il periodo indicato; la moltiplicazione
per il coefficiente di 1,5, ai fini delle prestazioni pensionistiche,
dell'intero    periodo    lavorativo    soggetto    all'assicurazione
obbligatoria    contro    le    malattie    professionali   derivanti
dall'esposizione  all'amianto  atterrebbe quindi al bene salute e non
costituirebbe  un'agevolazione  all'esodo dei lavoratori impiegati in
attivita'  comportanti  l'uso  dell'amianto. Cio', secondo l'opinione
del  remittente,  e'  stato  gia'  affermato  da  questa  Corte nella
sentenza   n. 5  del  2000  e  successivamente  dalla  giurisprudenza
ordinaria (Cass. 3 aprile 2001, n. 4913).
    Una  volta  identificata nel senso suindicato la ratio del citato
comma 8 dell'art. 13 della legge n. 257 del 1992, la inapplicabilita'
del  beneficio ai lavoratori gia' fruenti della pensione di vecchiaia
o  di  anzianita'  sarebbe  irragionevole perche' si risolverebbe nel
praticare un trattamento ingiustificatamente deteriore a soggetti che
si  sono trovati nella medesima situazione di coloro ai quali esso si
applica  e  contrasterebbe  quindi  con il principio di eguaglianza -
art. 3 Cost. - nonche' con l'art. 38, secondo comma, Cost., in quanto
tali    soggetti   percepirebbero   una   prestazione   previdenziale
insufficiente.
    L'illegittimita'  costituzionale  del  citato  art. 13,  comma 8,
comporterebbe anche quella dell'art. 80, comma 25, della legge n. 388
del  2000  il  quale  stabilisce,  in  caso  di  rinuncia all'azione,
l'estinzione   dei   giudizi   aventi   ad   oggetto  la  domanda  di
riliquidazione  della  pensione proposta dai soggetti gia' pensionati
al momento dell'entrata in vigore della prima norma, la compensazione
delle  spese  e  l'irripetibilita'  delle  somme  loro  indebitamente
erogate  a  tale  titolo;  norma  quest'ultima  che  sembra contenere
un'indiretta  interpretazione  autentica  della  prima  e costituisce
un'illegittima  coazione nei confronti dei soggetti gia' pensionati a
non far valere i propri diritti.
    2.  -  Si  rileva,  in  via  preliminare,  che  le  eccezioni  di
inammissibilita'  sollevate  dall'Avvocatura  dello Stato non possono
essere accolte.
    Non   vale,   infatti,   nel   caso   in   esame,   invocare   la
discrezionalita' legislativa perche' il giudice remittente censura di
irragionevolezza   proprio   la   scelta   operata  dal  legislatore,
adducendone il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    Quanto alla rilevanza e' sufficiente osservare che dall'ordinanza
di  remissione  risulta  che  i  soggetti  attori  nel giudizio a quo
godevano  della  pensione  di  anzianita'  da circa cinque anni prima
dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992.
    3. - La questione non e' fondata.
    E'  necessario  ripercorrere  l'iter  degli interventi normativi,
comunitari   e  nazionali,  che  si  sono  succeduti  in  materia  di
progressiva  riduzione  e di finale eliminazione dei rischi derivanti
dall'uso  dell'amianto,  a  partire  dalla  direttiva  CEE n. 477 del
19 settembre 1983.
    Nelle considerazioni premesse all'articolato, mentre si dava atto
della  nocivita'  dell'amianto,  si  rilevava  nel contempo che erano
numerose  le  situazioni  di  lavoro  in  cui  tale agente nocivo era
presente;  che le conoscenze scientifiche dell'epoca non consentivano
di  stabilire  il  livello  al di sotto del quale non vi fossero piu'
rischi  per  la  salute, rischi da ritenere comunque proporzionati al
tipo   di   lavorazione,   al  correlativo  grado  di  concentrazione
dell'amianto e ai tempi di esposizione.
    Sulla  base  di tali considerazioni, il provvedimento dettava una
serie  di  disposizioni dirette, anzitutto, ad accertare, mediante le
opportune  notifiche  da parte delle imprese, le lavorazioni comunque
comportanti  l'uso  dell'amianto  ed i livelli di concentrazione e ad
ottenere   la   eliminazione   di   un   certo  tipo  di  lavorazione
(applicazione  dell'amianto  a spruzzo: art. 5), l'adozione di misure
concernenti   le  modalita'  di  svolgimento  delle  lavorazioni,  la
protezione   degli   ambienti  in  cui  si  svolgevano,  ed,  infine,
l'accertamento  delle  condizioni  di  salute  dei  lavoratori  e  la
dotazione  di  idonei  equipaggiamenti individuali, qualora non fosse
stato possibile eliminare altrimenti i rischi.
    A   tale   direttiva  gli  Stati  membri  avrebbero  dovuto  dare
attuazione  entro  il  1  gennaio 1987, ad esclusione delle attivita'
estrattive  dell'amianto  per  le  quali era previsto un termine piu'
lungo.
    Poiche'  l'Italia  non  aveva adottato i provvedimenti dovuti, la
Corte di giustizia delle Comunita' europee, a seguito di procedura di
infrazione promossa dalla Commissione, con sentenza 13 dicembre 1990,
n. 240, la dichiaro' inadempiente agli obblighi che le incombevano in
forza del Trattato CEE.
    Successivamente  il  Consiglio emise la direttiva n. 382 del 1991
con  la  quale,  nel  ribadire  la  nocivita'  dell'amianto  e la sua
presenza  in  numerose situazioni di lavoro e quindi la necessita' di
prevederne  la sostituzione con altro materiale non pericoloso o meno
pericoloso,  vieto',  in  aggiunta alla applicazione a spruzzo, altre
forme  d'impiego  del  materiale  e  indico' nuovi valori limite, pur
dando  ancora  atto  che  non  erano  del tutto noti allo stato delle
conoscenze scientifiche le circostanze in cui l'amianto poteva essere
morbigeno e i tempi di insorgenza delle diverse patologie.
    Per  dare  attuazione alla suindicata direttiva n. 477 del 1983 e
ad  altre  concernenti  la  protezione dei lavoratori contro i rischi
derivanti  da  esposizione  ad  agenti  chimici,  fisici  e biologici
durante il lavoro, in esecuzione della delega di cui all'art. 7 della
legge  30 luglio  1990,  n. 212,  fu  emesso  il  decreto legislativo
15 agosto  1991,  n. 277, il quale, tra l'altro, all'art. 31 fisso' i
valori  limite  di esposizione alla polvere di amianto, espressi come
media ponderata in funzione del tempo di riferimento di otto ore.
    Fu  poi  emanata la legge n. 257 del 1992 il cui art. 1, comma 1,
individua   le   finalita'  con  essa  perseguite  nella  dismissione
dell'amianto  dalla  produzione  e  dal  commercio,  nella cessazione
dell'estrazione,         dell'importazione,        dell'esportazione,
dell'utilizzazione   di   detto  materiale  e  dei  prodotti  che  lo
contengono,  nonche'  nella  bonifica  delle  aree  inquinate,  nella
ricerca di materiali sostitutivi e nella riconversione produttiva.
    L'art. 13 della legge in esame, costituente il capo IV intitolato
"Misure di sostegno per i lavoratori", prevede una serie di misure di
carattere   previdenziale:   collocamento   in   cassa   integrazione
straordinaria,  pensionamenti  anticipati  per  un numero limitato di
lavoratori  calcolato  in  seicento  unita',  rivalutazione  ai  fini
contributivi  del  periodo  di  lavoro  durante il quale i lavoratori
fossero stati esposti all'amianto.
    Nell'ambito  di tali misure fu inserito, al comma 8, il beneficio
di  cui  si  discute nel presente giudizio. Il testo originario della
disposizione  era  il  seguente:  "Ai  fini  del  conseguimento delle
prestazioni    pensionistiche    i   periodi   di   lavoro   soggetti
all'assicurazione   obbligatoria  contro  le  malattie  professionali
derivanti  dall'esposizione  all'amianto  gestita  dall'INAIL  quando
superano i dieci anni sono moltiplicati per il coefficiente di 1,5".
    L'ultima  parte  della  disposizione  dette  luogo  ad incertezze
interpretative  in quanto si ritenne non chiaro se ad essere soggetto
a rivalutazione mediante moltiplicazione per il coefficiente indicato
fosse  soltanto  il  periodo  di lavoro eccedente il decennio, oppure
l'intero  periodo  di  esposizione  all'amianto una volta che esso si
fosse  protratto per piu' di dieci anni (cfr. Camera dei deputati, XI
legislatura,  Assemblea,  discussioni,  resoconto  della  seduta  del
12 luglio  1993, intervento del relatore del disegno di legge n. 2744
di conversione del d.l. n. 169 del 1993).
    Il Governo intervenne con decretazione d'urgenza e, dopo un primo
d.l.  (5 aprile 1993, n. 95) non convertito, fu emesso il d.l. n. 169
del 1993, convertito con modifiche nella legge n. 271 del 1993.
    Il  testo  originario  dell'art. 1  del  d.l.  n. 169  del  1993,
sostitutivo del comma 8 dell'art. 13 della legge n. 257 del 1992, era
cosi'  formulato:  "Per  i  lavoratori  dipendenti  dalle imprese che
estraggono  amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se
in  corso  di  dismissione  o  sottoposte  a procedura fallimentare o
fallite  o  dismesse,  che  siano  stati  esposti  all'amianto per un
periodo superiore ai dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto
all'assicurazione   obbligatoria  contro  le  malattie  professionali
derivanti   dall'esposizione   all'amianto,  gestita  dall'INAIL,  e'
moltiplicato,  ai  fini  delle  prestazioni  pensionistiche,  per  il
coefficiente di 1,5".
    In  sede  di conversione fu eliminato ogni riferimento al tipo di
attivita'  svolta  dalle  imprese  ed  alla  situazione  in  cui esse
versassero.
    4. - L'esposizione della vicenda legislativa in cui si colloca la
prima  delle norme censurate consente di escludere che la ratio della
medesima  sia  quella,  risarcitoria  o  indennitaria,  indicata  dal
remittente,  con  cio'  venendo  meno lo stesso presupposto della sua
asserita  illegittimita'  costituzionale  in  riferimento  all'art. 3
della Costituzione.
    La  legge  n. 257  del  1992  ha  la  sua  origine  storica nella
direttiva comunitaria n. 477 del 1983 che, sulla base della accertata
nocivita' dell'amianto, prescriveva l'adozione di una serie di misure
finalizzate  all'eliminazione dei rischi derivanti dall'utilizzazione
del  suindicato  materiale  in ogni fase e con qualsiasi modalita' di
lavorazione  (come  e'  reso  palese anche dall'esplicito riferimento
alla   "cessazione   dell'impiego  dell'amianto"  contenuto  nel  suo
titolo).
    A  sua  volta,  il  capo  IV della legge stessa, che si esaurisce
nell'art. 13,  e'  intitolato "Misure di sostegno per i lavoratori" e
contiene,  come  si  e'  detto, altre misure oltre quella in oggetto,
quali  il  collocamento  in cassa integrazione ed i prepensionamenti,
riguardanti, per loro natura, soltanto i soggetti ancora inseriti nel
circuito  lavorativo e quindi la sorte del loro rapporto di lavoro in
considerazione della difficolta' di instaurarne altri.
    Inoltre, il testo originario del comma 8 dell'art. 13 della legge
n. 257 del 1992 iniziava con l'espressione "ai fini del conseguimento
delle  prestazioni  pensionistiche...  ". La necessita' di modificare
tale  testo  sorse  non  con riguardo a siffatta espressione, bensi',
come  si e' detto e come risulta con chiarezza dai lavori preparatori
alla  legge  n. 271 del 1993 (v. Camera dei deputati, XI legislatura,
Assemblea,  discussioni,  resoconto  della seduta del 12 luglio 1993,
citato   intervento  del  relatore  del  relativo  disegno  di  legge
n. 2744), riguardo alla determinazione del periodo lavorativo oggetto
della  rivalutazione.  Ne  consegue  che l'espressione "ai fini delle
prestazioni  pensionistiche", contenuta nel testo attuale della norma
censurata,  deve  essere  letta  come  riferentesi  alle  prestazioni
pensionistiche da conseguire e cioe' come sostanzialmente equivalente
a quella originaria.
    Tale  opinione trova ulteriore conforto in affermazioni formulate
nel  corso dei lavori preparatori ed, in particolare, nel passo della
relazione citata in cui la disposizione in questione viene assimilata
a  quelle  concernenti  la  cassa  integrazione ed i prepensionamenti
nonche' nella precisazione effettuata nella successiva discussione in
Assemblea secondo cui il beneficio era diretto ai lavoratori che "per
il  solo  motivo  di  aver  lavorato  l'amianto  e  per  il carattere
morbigeno  di  tale  lavorazione  non  trovano  spazi sul mercato del
lavoro, ormai tutto nominativo".
    5.  -  Il  giudice  remittente  sostiene  che,  se  la  misura in
questione  fosse  predisposta  ad  ovviare  alla  difficolta'  per  i
lavoratori  del  settore amianto di mantenere il posto di lavoro o di
trovarne   altro,   e   quindi  ad  assicurarne  il  collocamento  in
quiescenza,  essa  non  raggiungerebbe  lo scopo in quanto il periodo
contributivo  di  quindici  anni  - e cioe' il minimo garantito dalla
norma  in  esame  -  non  sarebbe  sufficiente per la maturazione del
diritto  a  pensione.  Il  giudice  a quo sostiene inoltre che questa
Corte  nella  sentenza.  n. 5  del 2000 ha gia' affermato la funzione
risarcitoria  della  rivalutazione  contributiva prevista dal comma 8
dell'art. 13  impugnato.  Infine, ad avviso del Tribunale di Ravenna,
l'esclusione  dei soggetti gia' pensionati al momento dell'entrata in
vigore  della  legge n. 257 del 1992 non potrebbe essere giustificata
neppure  con  il  rispetto  delle  esigenze di bilancio, perche' tali
esigenze  sono  state  soddisfatte con l'individuazione dei necessari
stanziamenti, come questa Corte ha ritenuto con la sentenza citata.
    6. - Nessuna di tali tesi puo' essere condivisa.
    Come si e' premesso, gli organi della Comunita' ed il legislatore
nazionale  si  sono  trovati  a  dover  dettar  norme riguardanti una
materia  della quale molti aspetti non erano del tutto noti. Infatti,
se  da  un lato la nocivita' dell'amianto era da tempo accertata, non
erano  - e non lo sono tuttora - appieno conosciuti le modalita' ed i
tempi  con i quali le polveri di amianto producono le gravi patologie
ad  esse  riconducibili;  d'altro canto, l'utilizzazione dell'amianto
non era ristretta a ben precise categorie di imprese, sicche' non era
possibile  identificare i beneficiari con riguardo al tipo di azienda
in cui lavorassero o avessero lavorato. Proprio la consapevolezza che
la  realta' di fatto delle imprese e delle lavorazioni comportanti in
qualsiasi  forma  l'uso dell'amianto non era determinabile indusse il
Parlamento  all'eliminazione, in sede di conversione, di quella parte
della norma che delimitava la platea dei destinatari del beneficio in
relazione all'appartenenza ad imprese che estraessero o utilizzassero
amianto  come materia prima. Da qui il carattere approssimativo della
normativa  rispetto  ai  fini  perseguiti, ma non contraddittorio ne'
irragionevole.  D'altra  parte,  come  questa Corte ha affermato, non
ogni  incoerenza  o  imprecisione  di  una  normativa  puo' venire in
questione  ai  fini  dello scrutinio di costituzionalita' (v., tra le
altre, proprio la sentenza n. 5 del 2000 invocata dal remittente).
    Ne' e' vero che questa Corte, nella sentenza n. 5 del 2000, abbia
affermato il carattere risarcitorio del beneficio in esame escludendo
che  esso  abbia  invece  la  principale  funzione  di  permettere ai
lavoratori  coinvolti  nel  processo di dismissione delle lavorazioni
comportanti l'uso dell'amianto di ottenere il diritto alla pensione.
    Nello  stabilire  il  significato  ed  il valore di un precedente
occorre  tenere  conto  del contesto e, soprattutto, identificarne la
ratio con riguardo alla questione oggetto della decisione. Il quesito
al  quale  questa  Corte  ha  risposto  con  la  sentenza  da  ultimo
richiamata consisteva nello stabilire se la norma dell'art. 13, comma
8,  della legge n. 257 del 1992 come modificata, avesse descritto una
fattispecie   sufficientemente   determinata,   tale   da   escludere
l'attribuzione  all'amministrazione  di  una  discrezionalita'  cosi'
ampia  da  rendere  possibili trattamenti diversi per casi analoghi o
eguale  trattamento  di  situazioni diverse. La decisione fu positiva
nel  senso  che  la fissazione del tempo di esposizione all'amianto -
oltre  un decennio - unitamente a quella del limite superato il quale
la concentrazione dell'amianto aveva potenzialita' morbigene induceva
a  negare  la  paventata  eventualita',  senza  alcun  riferimento al
profilo prospettato dal remittente.
    Alla luce di queste considerazioni, l'espressione contenuta nella
sentenza  stessa  che  la  norma  ha  "la  finalita'  di  offrire, ai
lavoratori  esposti  all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo
(almeno  dieci anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza
invalidante   di   lavorazioni   che,  in  qualche  modo,  presentano
potenzialita'  morbigene"  non  ha  il  valore  che le attribuisce il
remittente.  Si puo' infatti osservare che proprio la possibilita' di
contrarre  una patologia derivante dall'esposizione all'amianto rende
difficile  la  collocazione  al  lavoro  delle  persone  che si siano
trovate  nella  situazione  descritta  dalla  norma, come fu rilevato
anche nel corso dei lavori preparatori.
    Non  assume  alcun  rilievo  in  senso  contrario  a quanto si e'
esposto  la  ricomprensione  tra  i destinatari della disposizione di
coloro che, pur non avendo ancora raggiunto l'anzianita' contributiva
massima,  abbiano  maturato  prima dell'entrata in vigore della legge
n. 257  del  1992, anche senza l'applicazione del beneficio di cui si
tratta,  i  requisiti  di  contribuzione  per  il conseguimento della
pensione  di  anzianita'  o  di  vecchiaia e siano stati collocati in
quiescenza  in data successiva, atteso che essa trova giustificazione
nel  principio generale secondo cui le prestazioni si liquidano sulla
base  della  legge  vigente  alla  data della liquidazione stessa. La
circostanza che tale inclusione si traduce, cosi' come avverrebbe per
i  pensionati  attualmente  esclusi dalla rivalutazione contributiva,
nella possibilita' di ottenere un aumento della misura della pensione
e  non  in  un'agevolazione  per  il  raggiungimento  del trattamento
pensionistico  non  e' sufficiente a determinare la necessita' di una
parificazione  di  disciplina  in  quanto,  come  piu' volte e' stato
affermato  da questa Corte, "l'estensione di agevolazioni a categorie
di soggetti non contemplate dalla disciplina di favore puo' ritenersi
costituzionalmente   necessitata   solo   ove,   accertata  la  piena
omogeneita'  delle  situazioni  poste  a confronto, lo esiga la ratio
della  disciplina  invocata quale tertium comparationis" (v. sentenze
n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985, nonche' ordinanza n. 194 del 2000).
Nella  specie,  tale  omogeneita'  va esclusa in considerazione della
diversita'  di  date  di  conseguimento  del diritto cui si deve fare
riferimento per ciascuna delle categorie di soggetti di cui si tratta
e  della  corrispondenza  di  tale  criterio  discretivo  ai principi
generali   regolatori  della  materia,  corrispondenza  che  porta  a
concludere  che il legislatore ha esercitato non irragionevolmente la
discrezionalita'  che  gli  compete  nella  scelta delle modalita' di
configurazione   dei   trattamenti   che   -  come  la  rivalutazione
contributiva in oggetto - abbiano carattere eccezionale.
    Ma  cio'  che  piu' conta e' che anche nei confronti dei soggetti
gia'  in  possesso  al  28 aprile  1992 dei requisiti per ottenere la
pensione  di anzianita' o di vecchiaia il beneficio di cui si discute
conserva la finalita' di incentivare l'esodo dal mondo del lavoro.
    Infine, non e' condivisibile l'opinione del giudice a quo secondo
la  quale  il legislatore avrebbe previsto l'estensione del beneficio
ai  soggetti gia' fruenti della pensione di anzianita' o di vecchiaia
al  momento  di  entrata  in  vigore  della legge, indicando le somme
occorrenti per provvedervi e i relativi stanziamenti.
    Basta  rilevare  sul  punto  che,  mentre  non risulta che alcuna
indagine  preventiva fu svolta riguardo al numero dei lavoratori gia'
pensionati  all'entrata  in  vigore  della  legge n. 257 del 1992, il
rappresentante  del  Governo manifesto' perplessita' sull'adeguatezza
degli  stanziamenti  qualora  fosse  stata  eliminata  dal decreto la
limitazione   del   beneficio   ai  lavoratori  operanti  in  imprese
estrattive  o che impiegavano l'amianto come materia prima (v. Camera
dei deputati, XI legislatura, Assemblea, discussioni, resoconto della
seduta del 12 luglio 1993, p. 15950 e s.).
    7.   -  La  questione  non  e'  fondata  neppure  in  riferimento
all'art. 38, secondo comma, della Costituzione.
    Questa  Corte,  infatti,  ha  piu'  volte escluso che la garanzia
prevista da tale precetto costituzionale possa riguardare le pensioni
di  anzianita'  liquidate,  come  quelle cui si riferisce il presente
giudizio,  nel  regime precedente alla riforma introdotta dalla legge
8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio
e  complementare),  presupponendo  esse  la  sola  maturazione di una
determinata  anzianita'  contributiva  (v. sentenza n. 416 del 1999 e
ordinanza n. 70 del 2002).
    Comunque,   pur   prescindendo   dalla  suddetta  considerazione,
all'infondatezza  della questione si perviene in linea generale anche
in  base  all'affermazione  di  questa  Corte  secondo  cui  la norma
costituzionale   di   cui   si   tratta  "esige  che  il  trattamento
previdenziale  sia  sufficiente ad assicurare le esigenze di vita del
lavoratore  pensionato;  ma  nell'attuazione  di  tale  principio  al
legislatore  deve  riconoscersi un margine di discrezionalita', anche
in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco
la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona" (cfr.,
ex multis sentenza n. 180 del 2001 e ordinanza n. 342 del 2002).
    8.    -    L'infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 13,  comma  8,  della legge n. 257 del 1992
determina  l'infondatezza  anche della questione di costituzionalita'
concernente  l'art. 80,  comma  25,  della  legge  n. 388  del  2000,
sollevata  come  derivante  dalla  illegittimita'  della  prima norma
censurata  sotto  il  profilo che il citato comma 25 ne costituirebbe
una  singolare  forma d'interpretazione autentica. Infatti, una volta
ritenuta  la legittimita' costituzionale del citato art. 13, comma 8,
interpretato nel senso che esso esclude dal beneficio i soggetti gia'
pensionati  per  anzianita'  o  vecchiaia  al momento dell'entrata in
vigore  della  legge  n. 257  del  1992, viene meno ogni dubbio sulla
legittimita'   del   suindicato   art. 80   sotto   il   profilo  che
costituirebbe una coazione alla rinuncia a far valere un diritto.