ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2,
della  legge  30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale
di   previdenza  e  assistenza  a  favore  dei  ragionieri  e  periti
commerciali),   promosso   con  ordinanza  del  5 febbraio  2002  dal
Tribunale  di Lucca nel procedimento civile vertente fra Tozzi Vito e
l'Associazione  cassa  nazionale  di previdenza e assistenza a favore
dei  ragionieri e periti commerciali, iscritta al n. 204 del registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti gli atti di costituzione di Tozzi Vito e della Associazione
cassa  nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e
periti commerciali;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 settembre  2002 il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Udito   l'avvocato   Massimo  Luciani  per  l'Associazione  cassa
nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti
commerciali.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  Nel  corso  di  un  procedimento  civile  instaurato  dal
ragioniere   Vito   Tozzi  nei  confronti  della  Associazione  cassa
nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti
commerciali   (d'ora   in  avanti:  Cassa)  per  ottenere  -  "previa
rimessione  alla Corte costituzionale della questione di legittimita'
dell'art. 3,  comma  2,  della  legge  30 dicembre  1991,  n. 414, in
riferimento  agli  artt. 3,  secondo comma, 4, primo comma, 35, primo
comma  e  38,  secondo  comma, della Costituzione, nella parte in cui
afferma   la   incompatibilita'  della  pensione  di  anzianita'  con
l'iscrizione  a  qualsiasi  albo professionale o elenco di lavoratori
autonomi  e con qualsiasi attivita' di lavoro dipendente o associato"
-  l'accertamento  del  diritto ad ottenere la pensione di anzianita'
alla  sola  condizione  della  preventiva cancellazione dall'albo dei
ragionieri  e  non  anche  subordinatamente  alla  cancellazione  dal
registro   dei   revisori   contabili,   con   conseguente   condanna
dell'Associazione   convenuta   alla   relativa   corresponsione,  il
Tribunale  di Lucca, con ordinanza del 5 febbraio 2002, ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 3  e 4, primo comma, della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale del citato art. 3, comma 2,
della  legge  30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale
di   previdenza  e  assistenza  a  favore  dei  ragionieri  e  periti
commerciali),  "nella  parte  in cui prevede l'incompatibilita' della
corresponsione  della pensione di anzianita' con l'iscrizione ad albi
o  elenchi di lavoratori autonomi diversi dall'albo professionale dei
ragionieri".
    Premette  il  remittente  che  il  ricorrente, dopo aver ottenuto
dalla  convenuta  risposta affermativa in merito alla sussistenza dei
requisiti   di   contribuzione  e  di  eta'  per  conseguire,  previa
tempestiva  cancellazione  dall'albo  dei  ragionieri, la pensione di
anzianita'  con decorrenza dal 1 febbraio 2001, aveva successivamente
richiesto  al  Consiglio  di  amministrazione  della  Cassa stessa se
sussistesse  la  possibilita'  di mantenere l'iscrizione nel registro
dei  revisori  contabili  ottenendone  risposta negativa, sul rilievo
che,  essendo  la  attivita'  di  revisore contabile una attivita' di
lavoro autonomo per il cui esercizio e' necessaria l'iscrizione in un
apposito  elenco  assimilabile  ad un albo professionale, essa doveva
considerarsi  incompatibile  con  la  corresponsione  della richiesta
pensione, ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge n. 414 del
1991  citato  e  dell'art. 50  del  regolamento  di  esecuzione dello
statuto della Cassa stessa.
    Il  Tribunale  di  Lucca  rileva,  in  primo  luogo,  che sono da
respingere le eccezioni di inammissibilita' della sollevata questione
di  legittimita'  costituzionale  presentate  dalla Cassa sul duplice
rilievo  della  natura  meramente  astratta  della  lite  (in ipotesi
esclusivamente  finalizzata a proporre la questione) e del difetto di
rilevanza  della  questione stessa nel giudizio a quo (in conseguenza
della   mancata  impugnativa  dell'art. 50  del  citato  regolamento,
prevedente  la medesima incompatibilita' sancita dalla legge n. 414 e
della  preclusione  di una successiva estensione del thema decidendum
anche  a  tale norma regolamentare, ai sensi dell'art. 414 cod. proc.
civ.).  Il  rimettente  osserva, quanto alla prima delle due suddette
eccezioni,  che  l'accoglimento della sollevata questione si limita a
condizionare  l'accertamento del richiesto diritto e la condanna alla
corrispondente prestazione e non si identifica, quindi, con l'oggetto
del  giudizio,  mentre,  per  quel  che  riguarda  l'altra eccezione,
precisa  che il richiamo della citata norma regolamentare costituisce
una  mera  difesa che, come tale, non amplia il thema decidendum e si
sottrae  al  regime  delle preclusioni posto dall'art. 414 cod. proc.
civ.
    Quanto  al  merito  della  questione, il giudice remittente, dopo
aver  sottolineato  che  la  norma impugnata consente la attribuzione
della   pensione  di  anzianita'  nella  ipotesi  di  svolgimento  di
attivita'   di  lavoro  autonomo  per  le  quali  non  sia  richiesta
l'iscrizione ad un albo o elenco, sostiene che e' in contrasto con il
principio  di  razionalita'  di  cui all'art. 3 della Costituzione la
previsione  dell'incompatibilita'  della prestazione stessa con altre
attivita' della medesima natura solo perche' richiedenti l'iscrizione
ad  un  albo professionale o ad un elenco e afferma, altresi', che la
disposizione  denunciata  viola il principio della tutela del diritto
al  lavoro,  sancito  dall'art. 4,  primo  comma, della Costituzione,
"nella  misura in cui pone al pensionato, in difetto di equiparazione
della  pensione  di  anzianita'  alla pensione di vecchiaia una volta
raggiunto  il  limite anagrafico per questa previsto, una limitazione
alla possibilita' di lavoro per tutto il resto della vita".
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte si sono costituiti sia
l'Associazione  cassa  nazionale di previdenza ed assistenza a favore
dei ragionieri e periti commerciali sia il ragioniere Vito Tozzi.
    La   prima  ha  chiesto,  anche  in  una  memoria  aggiunta,  una
dichiarazione di inammissibilita' o di infondatezza della questione.
    Alla   prima   conclusione   porterebbero,  secondo  quanto  gia'
sostenuto  dalla  stessa  parte  nell'ambito  del  giudizio  a quo la
mancanza  del requisito della incidentalita' e comunque l'irrilevanza
della  questione stessa derivante dal fatto che l'incompatibilita' di
cui  si  discute  non  e' stabilita solo dalla norma impugnata, ma e'
prevista  anche  nel  regolamento  di  esecuzione dello statuto della
Cassa  che  non  ha  costituito  oggetto  di  contestazione nell'atto
introduttivo  del  giudizio  principale  e  non potrebbe piu' esservi
esaminato ex art. 414 cod. proc. civ.
    Quanto  all'infondatezza,  la Cassa pone l'accento principalmente
sul  fatto  che  la  sentenza di questa Corte n. 73 del 1992 - che ha
accolto  una  questione  di legittimita' analoga a quella attualmente
sollevata,   riguardante   l'art. 3,   secondo   comma,  della  legge
20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense)
-  non  puo' essere utilmente richiamata sia perche' in essa e' stata
esaminata  una  fattispecie  diversa  da  quella  oggi  in esame, sia
perche' sono sopravvenuti radicali cambiamenti nel diritto positivo e
nella giurisprudenza costituzionale nel senso della disincentivazione
delle  richieste  di  pensione  di  anzianita'  al  fine di ridurre i
problemi  di  tipo  economico-finanziario  conseguenti  alla relativa
erogazione, problemi che assumono particolare importanza per gli enti
previdenziali  delle categorie professionali in seguito alla relativa
trasformazione  in  persone  giuridiche private, disposta dal decreto
legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita
dall'art. 1,  com-ma 32,  della  legge  24 dicembre  1993, n. 537, in
materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche  private di enti
gestori  di  forme obbligatorie di previdenza e assistenza). Per quel
che  riguarda,  in particolare, il caso di cui si tratta, le esigenze
di  equilibrio  finanziario  della  Cassa  potrebbero subire un forte
pregiudizio  dall'eventuale  accoglimento della presente questione in
quanto  l'ampliamento  dell'ambito di cumulabilita' della pensione di
anzianita' con i redditi da lavoro aumenterebbe sicuramente il numero
dei professionisti interessati ad ottenere la provvidenza stessa.
    3.  - Il ragioniere Vito Tozzi, facendo proprie le argomentazioni
svolte  dal  remittente,  ha  chiesto,  invece,  l'accoglimento della
questione,  sottolineandone  l'identita' con quella accolta da questa
Corte con la sentenza n. 73 del 1992, avendo l'art. 3, secondo comma,
della legge n. 576 del 1980, quello esaminato in decisione, contenuto
identico alla norma attualmente impugnata.
    Il  ragioniere  Tozzi  ha,  inoltre,  precisato  che  il  rifiuto
espresso  dalla  Cassa,  in  applicazione  della norma denunciata, di
consentirgli   di   rimanere   iscritto  nel  registro  dei  revisori
contabili,  gli  ha  di  fatto  impedito di chiedere la cancellazione
dall'albo  dei ragionieri e l'erogazione della pensione di anzianita'
per  la  quale  aveva  maturato i requisiti, in quanto se egli avesse
richiesto  la  suddetta  cancellazione  non  solo  non avrebbe potuto
ottenere  la  pensione  di anzianita', ma avrebbe altresi' perduto il
diritto  alla  pensione  di vecchiaia, non avendo ancora raggiunto il
richiesto limite di eta' di sessantacinque anni.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Lucca ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  articoli  3 e 4, primo comma,
della   Costituzione,   dell'art. 3,   secondo   comma,  della  legge
30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza
e  assistenza  a  favore  dei ragionieri e periti commerciali), nella
parte  in  cui  prevede l'incompatibilita' della corresponsione della
pensione  di  anzianita'  con  l'iscrizione  ad  albi  o  elenchi  di
lavoratori  autonomi diversi dall'albo professionale dei ragionieri e
periti commerciali.
    Secondo  il  remittente  la  norma  e' irrazionale in quanto, dal
momento   che  lo  svolgimento  di  lavoro  autonomo  non  osta  alla
maturazione  del  diritto alla pensione di anzianita', non vi sarebbe
ragione  per  escludere  il  diritto  alla  prestazione previdenziale
soltanto perche' l'esercizio dell'attivita' lavorativa e' subordinata
alla iscrizione in un albo o in un elenco.
    La  norma  censurata si porrebbe, inoltre, in contrasto anche con
l'art. 4, primo comma, della Costituzione, perche' determinerebbe una
compressione del diritto al lavoro indefinita nel tempo, visto che il
raggiungimento  della  eta'  prescritta  per  il  conseguimento della
pensione   di   vecchiaia  non  comporta  il  conseguimento  di  tale
prestazione  da  parte  dei ragionieri o periti commerciali che siano
gia' titolari della pensione di anzianita'.
    2.  -  In  via  preliminare, devono essere esaminate le eccezioni
prospettate  dalla  difesa della Cassa, secondo la quale la questione
sarebbe   inammissibile:  a)  perche'  sollevata  nell'ambito  di  un
giudizio   non  avente  altro  contenuto  che  la  risoluzione  della
questione  di costituzionalita'; b) in quanto irrilevante, perche' la
norma  censurata  e' riprodotta in identica formulazione nell'art. 50
del  regolamento  di  esecuzione  dello  statuto  della  Cassa  e  la
disposizione  regolamentare  non  e' stata oggetto d'impugnazione con
l'atto  introduttivo  del  giudizio a quo; c) per insufficienza della
motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione stessa.
    Nessuna di tali eccezioni puo' essere accolta.
    Il   giudice   remittente   ha   rilevato,  con  motivazione  non
implausibile,  che  il  giudizio pendente davanti a lui ha ad oggetto
principale  l'accertamento del diritto alla pensione di anzianita' in
capo  all'attore  e  la condanna della Cassa a corrispondergliela sia
pure   subordinatamente   alla   sua   cancellazione   dall'albo  dei
ragionieri.  La  questione  di legittimita' costituzionale, lungi dal
costituire  l'oggetto  unico  del  giudizio,  si  pone quindi come un
incidente    nell'iter    logico-giuridico   da   seguire   ai   fini
dell'accertamento del diritto alla prestazione previdenziale.
    Riguardo   alla   norma   regolamentare   ed   alla  sua  mancata
impugnazione  con  il ricorso introduttivo del giudizio, il Tribunale
di  Lucca  ha  osservato  -  ed  anche  sul  punto  la motivazione e'
plausibile  -  che  la  tesi della nullita' della norma regolamentare
conseguente   alla   sollecitata   dichiarazione   di  illegittimita'
costituzionale  dell'identica  norma  di legge e' da qualificare come
mera difesa, essendo la suddetta invalidita' rilevabile d'ufficio.
    Infine,  la  motivazione  sulla  non  manifesta  infondatezza  e'
sintetica  ma  non insufficiente dal momento che indica sia i profili
di  irrazionalita' determinanti il possibile contrasto con l'articolo
3  della  Costituzione,  sia  le  ragioni della ipotizzata violazione
dell'art. 4, primo comma, della Costituzione.
    3. - Nel merito la questione e' fondata.
    Questa   Corte,   chiamata   a  pronunciarsi  sulla  legittimita'
costituzionale  di  una  disposizione  inserita  nell'art. 3, secondo
comma,  della  legge  20 settembre  1980, n. 576 (Riforma del sistema
previdenziale  forense), identica a quella censurata dal Tribunale di
Lucca, ne dichiaro' l'illegittimita' costituzionale per contrasto con
gli  stessi parametri evocati nel presente giudizio, sul rilievo che,
una  volta  ammessa  la  compatibilita'  della pensione di anzianita'
degli   avvocati   con   lo  svolgimento  di  un  lavoro  autonomo  o
subordinato,   non   era  ragionevole  stabilirne  l'incompatibilita'
qualora per tale lavoro fosse prescritta l'iscrizione in un albo o in
un  elenco,  costituendo  inoltre  tale  incompatibilita'  violazione
dell'art. 4, primo comma, della Costituzione (cfr. sentenza n. 73 del
1992).
    Secondo  la  difesa  della  Cassa  di previdenza dei ragionieri e
periti  commerciali  le  ragioni  addotte a sostegno della suindicata
pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale  sono  contraddette dal
mutato  assetto delle casse di previdenza ed hanno percio' perduto la
loro  validita'.  Poiche'  gli  enti  previdenziali  delle  categorie
professionali  si  sono  trasformati in persone giuridiche private ai
sensi  del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, le esigenze di
bilancio  sono  particolarmente  pressanti, dovendo gli enti medesimi
avvalersi dell'autofinanziamento, senza poter ricorrere a sovvenzioni
pubbliche.  Lo  sfavore  con  il  quale  il  legislatore  guarda allo
svolgimento di attivita' lavorativa da parte dei titolari di pensione
di  anzianita',  concretizzatosi  nelle  norme  che in vario modo nel
tempo  hanno  limitato  o  escluso  il cumulo tra reddito da lavoro e
pensione  di  anzianita'  (la difesa della Cassa invoca l'art. 10 del
decreto   legislativo   30 dicembre  1992,  n. 503,  come  modificato
dall'art. 11  della  legge  24 dicembre 1993, n. 537, l'art. 1, comma
189,  della  legge  23 dicembre  1996, n. 662, e l'art. 59, comma 14,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449), dimostrerebbe la necessita' di
scoraggiare  il  ricorso  alla  pensione  di  anzianita'  da parte di
persone ancora in grado di lavorare.
    Le  tesi  difensive  della Cassa non inficiano la validita' delle
ragioni   che   indussero   la   Corte   alla   citata  pronuncia  di
illegittimita'   costituzionale,   ragioni   che  sussistono  tuttora
riguardo alla questione in esame.
    E',   infatti,   da  osservare  anzitutto  che  il  perseguimento
dell'obiettivo  tendenziale  dell'equilibrio  di  bilancio  non  puo'
essere  assicurato  da parte degli enti previdenziali delle categorie
professionali - e, in particolare, da parte della Cassa di previdenza
a  favore dei ragionieri e periti commerciali - con il ricorso ad una
normativa   che,   trattando   in  modo  ingiustificatamente  diverso
situazioni  sostanzialmente  uguali,  si  traduce  in  una violazione
dell'art. 3 della Costituzione. L'iscrizione ad albi o elenchi per lo
svolgimento di determinate attivita' e', infatti, prescritta a tutela
della  collettivita' ed in particolare di coloro che dell'opera degli
iscritti intendono avvalersi.
    In  secondo  luogo,  si rileva che le norme concernenti il cumulo
tra  reddito  da  lavoro e prestazione previdenziale presuppongono la
liceita'   dell'esercizio  dell'attivita'  lavorativa  da  parte  del
pensionato  ed  operano  quindi  su un piano diverso ed in un momento
successivo   a   quelle   del   tipo  della  disposizione  censurata,
finalizzate ad impedirne lo svolgimento.
    La  difesa  della  Cassa  sostiene  infine,  con riguardo al caso
specifico,   che   l'iscrizione   all'albo   dei  revisori  contabili
consentirebbe  un'attivita'  in  parte  analoga  a  quella tipica dei
ragionieri,  il  divieto  della  quale  non  e'  contestato (divieto,
peraltro,   ritenuto   legittimo,  per  l'iscrizione  all'albo  degli
avvocati, dalla citata sentenza n. 73 del 1992).
    Sul  punto  si  osserva che cio' che rileva, ai fini del presente
giudizio  di  costituzionalita', e' esclusivamente la circostanza che
lo  svolgimento dell'attivita' dei revisori contabili e' subordinato,
in  base ad una specifica e autonoma disciplina, all'iscrizione in un
registro  analogo  ad  un  albo  professionale, mentre e' irrilevante
considerare  che  nell'ambito  delle relative prestazioni ve ne siano
alcune  che  presentano elementi di analogia con le attivita' proprie
dei ragionieri.
    4.  -  La  contestata  incompatibilita'  si  pone,  altresi',  in
contrasto  con  il  principio  del  diritto al lavoro. Al riguardo va
precisato   che  la  disciplina  della  pensione  di  anzianita'  dei
ragionieri  e  periti  commerciali,  al  pari  di analoghe discipline
relative ad altre categorie di professionisti (v. sentenza n. 362 del
1997   sulla   normativa  applicabile  in  materia  nella  previdenza
forense),   non   prevede  alcuna  equiparazione  della  pensione  di
anzianita'  alla  pensione  di  vecchiaia  al compimento da parte del
titolare  dell'eta'  stabilita  per  il  conseguimento di tale ultima
pensione,    a    differenza    di   quanto   avviene   nel   sistema
dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per effetto dell'art. 22,
sesto  comma,  della  legge  30 aprile  1969, n. 153, e dell'art. 10,
comma  7,  del  d.lgs. n. 503 del 1992, sicche' la norma impugnata si
traduce  in  una limitazione a tempo indefinito della possibilita' di
lavoro  dei  pensionati  (v.  sul  punto la citata sentenza n. 73 del
1992).