ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, del codice di procedura
penale (in relazione agli artt. 197, comma 1, lettera b), e 64, comma
3,  lettera  c),  cod.  proc.  pen.),  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale,  dal  Tribunale  di  Biella  con  ordinanza del
19 novembre  2001,  iscritta  al  n. 49 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, 1a serie
speciale, dell'anno 2002.
    Udito  nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che il Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  del  combinato  disposto  degli artt. 210, comma 6, e
197-bis,  comma  2, del codice di procedura penale (in relazione agli
artt. 197, comma 1, lettera b), e 64, comma 3, lettera c), cod. proc.
pen.), nella parte in cui non prevede la possibilita' di sentire come
testimone,  in  sede dibattimentale e a prescindere dall'avvertimento
di  cui  all'art. 64,  comma 3, lettera c), cod. proc. pen., anche la
persona  che  abbia  reso  in precedenza dichiarazioni concernenti la
responsabilita'  dell'imputato  in  qualita' di persona informata sui
fatti  e  che  abbia assunto la qualita' di indagato o di imputato di
reato  collegato  a  norma  dell'art. 371,  comma 2, lettera b), cod.
proc. pen., in epoca successiva alle dichiarazioni stesse;
        che  il  rimettente  premette  di  procedere nei confronti di
persona  imputata  (in concorso con altro soggetto gia' giudicato con
rito abbreviato) dei reati di sequestro di persona, cessione illecita
di  sostanze  stupefacenti e violenza sessuale e che nella fase degli
atti  introduttivi  al  dibattimento il pubblico ministero ha chiesto
l'esame   di  alcune  parti  offese  che  nel  corso  delle  indagini
preliminari avevano reso dichiarazioni concernenti la responsabilita'
dell'imputato in qualita' di persone informate sui fatti;
        che tali soggetti avevano successivamente assunto la qualita'
di persone sottoposte alle indagini in relazione al reato - collegato
a  quello  per  cui si procede ex art. 371, comma 2, lettera b), cod.
proc.  pen. -  di  tentato  omicidio  commesso  in danno dell'attuale
imputato,  ed  erano stati poi condannati per tale reato con sentenza
non  ancora  passata  in  giudicato pronunciata a seguito di giudizio
abbreviato;
        che  ad  avviso  del  rimettente  i  soggetti  che hanno reso
dichiarazioni  prima  di  assumere la veste di imputati devono essere
esaminati  ai  sensi del combinato disposto degli artt. 197-bis comma
2,  e  210,  comma  6,  cod.  proc.  pen.,  che disciplina l'esame in
dibattimento degli imputati in procedimenti teleologicamente connessi
o di reati collegati che in tale veste non abbiano reso in precedenza
dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilita' altrui;
        che  secondo  il  giudice  a  quo  tale  conclusione  si trae
agevolmente   dalla   nuova   disciplina   della  incompatibilita'  a
testimoniare  introdotta  dalla  legge 1 marzo 2001, n. 63, posto che
nel  caso di specie non si versa in alcuna delle ipotesi per le quali
in  base  agli  artt. 197  e  197-bis  cod.  proc.  pen. e'  prevista
l'assunzione dell'ufficio di testimone;
        che,  in  particolare,  il  comma  6 dell'art. 210 cod. proc.
pen.,  pur stabilendo che l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3,
lettera c), cod. proc. pen. deve essere dato alle persone imputate in
procedimento   connesso  o  di  reato  collegato  che  non  hanno  in
precedenza   reso   dichiarazioni   concernenti   la  responsabilita'
dell'imputato,  non  puo' non ritenersi applicabile anche ai soggetti
che  abbiano  in precedenza reso dichiarazioni nella diversa veste di
persone informate sui fatti;
        che  ad  avviso  del  giudice a quo il conseguente obbligo di
formulare  l'avvertimento  relativo  alla facolta' di non rispondere,
oltre   a   determinare  un  evidente  profilo  di  "irragionevolezza
intrinseca" delle norme censurate, si pone in contrasto:
        con  l'art. 3 Cost., perche' disciplina in modo identico, con
riferimento,  in particolare, alla garanzia del diritto al silenzio e
al  regime  di  valutazione  delle  dichiarazioni  rese dalla persona
esaminata,  situazioni  processuali  diverse, quali appunto sarebbero
quella  di  imputati  di  reati  collegati  che  non  hanno  mai reso
dichiarazioni  su  fatti altrui e quella di soggetti che hanno invece
in  precedenza  reso dichiarazioni erga alios, ma nella diversa veste
di persone informate sui fatti;
        con  l'art. 111  Cost., in quanto, una volta che il soggetto,
non   ancora   indagato  o  imputato  di  reato  collegato  ai  sensi
dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., abbia deciso per
""libera  scelta  "  [...] di rendere dichiarazioni contra alios", il
riconoscimento  della  garanzia  del  diritto  al  silenzio  previsto
dall'art. 64,  comma  3,  lettera  c), cod. proc. pen. "finirebbe per
scontrarsi,  in maniera irragionevole e inaccettabile, con il diritto
sia  dell'accusato che del pubblico ministero al confronto dialettico
nella formazione della prova";
        con   l'art. 112   Cost.,   perche'   determina  un  ostacolo
all'esercizio dell'azione penale.
    Considerato  che il Tribunale di Biella dubita della legittimita'
costituzionale  del  combinato  disposto  degli artt. 210, comma 6, e
197-bis, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che
chi   ha  in  precedenza  reso  dichiarazioni  sulla  responsabilita'
dell'imputato  in  qualita'  di  persona  informata sui fatti, e solo
successivamente  ha  assunto  la  qualita'  di  imputato  di un reato
collegato  ai  sensi  dell'art. 371,  comma 2, lettera b), cod. proc.
pen.,   possa   essere  sentito  come  testimone  in  dibattimento  a
prescindere  dall'avvertimento  di  cui all'art. 64, comma 3, lettera
c), cod. proc. pen;
        che   il   rimettente  ritiene  che  l'avvertimento  previsto
dall'art. 210,  comma  6,  cod.  proc.  pen. circa la facolta' di non
rispondere  debba  essere  rivolto  anche alla persona imputata in un
procedimento  connesso  ai  sensi  dell'art. 12, comma 1, lettera c),
ovvero  di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera
b),  cod.  proc.  pen., che ha in precedenza reso dichiarazioni sulla
responsabilita'  di altri nella diversa qualita' di persona informata
sui fatti;
        che ad avviso del giudice a quo la normativa censurata, cosi'
interpretata,  si  pone  in  contrasto: con l'art. 3 Cost., in quanto
disciplina  in modo identico le diverse situazioni processuali di chi
non  ha  mai  reso in precedenza dichiarazioni erga alios e di chi ha
reso  tali  dichiarazioni,  sia  pure  nella diversa veste di persona
informata sui fatti; con l'art. 111 Cost., in quanto una volta che il
soggetto,  anche  se non ha ancora assunto la qualita' di imputato di
reato  collegato  a  norma  dell'art. 371,  comma 2, lettera b), cod.
proc. pen., abbia operato la "libera scelta" di rendere dichiarazioni
sul  fatto altrui, il riconoscimento del diritto al silenzio verrebbe
a   violare   il   principio   della   formazione   della   prova  in
contraddittorio; con l'art. 112 Cost., in quanto ostacola l'esercizio
dell'azione penale;
        che  la  legge n. 63 del 2001, nell'intento di ridurre l'area
del  diritto  al  silenzio,  ha  previsto  che  l'incompatibilita'  a
testimoniare  degli  imputati  in  procedimenti  connessi ex art. 12,
comma  1,  lettera  c),  cod. proc. pen. o di reati collegati a norma
dell'art. 371,  comma  2,  lettera  b),  cod.  proc. pen. venga meno,
quando  il  procedimento  a loro carico e' ancora pendente, se questi
hanno  reso  dichiarazioni  concernenti  la  responsabilita' di altri
precedute  dall'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lettera c),
cod. proc. pen. (richiamato dall'art. 210, comma 6, cod. proc. pen.),
nel  rispetto  del  principio  nemo  tenetur se detegere e al fine di
garantire che il dichiarante operi una scelta libera e consapevole;
        che  il  rimettente,  nel  ritenere che le dichiarazioni erga
alios  rese  ex  art. 362 cod. proc. pen. siano frutto di una "libera
scelta"   -   circostanza   che,   a   suo  avviso,  rende  superfluo
l'avvertimento - trascura di considerare che la persona informata sui
fatti  ha  l'obbligo  di  rispondere,  secondo  verita', alle domande
rivoltele  dal  pubblico ministero, e che, se rifiuta di rispondere o
dichiara  il falso, commette il reato di false informazioni, previsto
e sanzionato dall'art. 371-bis cod. pen;
        che   le  dichiarazioni  a  norma  dell'art. 362  cod.  proc.
pen. non  sono  pertanto  assimilabili a quelle rese sul fatto altrui
dalla  persona  sottoposta  alle  indagini  o  imputata  di  un reato
collegato  ex  art. 371,  comma  2,  lettera  b), cod. proc. pen., in
quanto  solo nel secondo caso il soggetto, ricevuto l'avvertimento di
cui  all'art. 64,  comma 3,  lettera  c),  cod.  proc.  pen.,  si  e'
liberamente determinato a rilasciare dichiarazioni accusatorie;
        che  la  nuova  disciplina  del  diritto al silenzio prevista
dalla legge n. 63 del 2001, esprimendo l'esigenza di subordinare, per
determinate  categorie  di  soggetti,  l'assunzione della qualita' di
testimone  su fatti concernenti la responsabilita' altrui alla libera
autodeterminazione  del  dichiarante,  si  fonda su una ratio che non
puo'  non estendersi alla peculiare situazione di chi, avendo reso le
precedenti  dichiarazioni nella veste di soggetto che aveva l'obbligo
di  rispondere  alle  domande  e di dire la verita', debba poi essere
esaminato nella diversa qualita' di imputato di reato collegato;
        che  non  e'  dunque  dato  ravvisare  alcuna  violazione del
principio  di  eguaglianza  nella  disciplina,  non  implausibilmente
interpretata   dal   rimettente,  che  prescrive  l'obbligo  di  dare
l'avvertimento circa la facolta' di non rispondere all'imputato di un
reato  collegato  a  norma  dell'art. 371,  comma 2, lettera b), cod.
proc.  pen.,  non rilevando la circostanza che tale soggetto abbia in
precedenza  reso  dichiarazioni concernenti la responsabilita' altrui
nella diversa qualita' di persona informata sui fatti;
        che non sussiste neppure la dedotta violazione dell'art. 111,
comma  quarto,  Cost., perche' la regola della formazione della prova
in  contraddittorio  non  puo'  vanificare l'esercizio del diritto al
silenzio, che e' espressione del principio nemo tenetur se detegere e
costituisce  percio' un "corollario essenziale del diritto di difesa"
(v. ordinanza n. 291 del 2002);
        che,  infine,  non  sussiste  alcuna violazione dell'art. 112
Cost.,  posto  che  le  norme  che  assicurano il diritto al silenzio
all'imputato  di  reato collegato o in procedimento connesso, che non
si  sia  determinato  per  consapevole  e  libera  scelta  a  rendere
dichiarazioni  erga  alios, non incidono in alcun modo sull'esercizio
dell'azione  penale, tanto piu' nel caso in cui il pubblico ministero
abbia  gia'  formulato  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  e  il
procedimento si trovi nella fase dibattimentale;
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
infondata   con   riferimento   a   tutti   i   parametri   presi  in
considerazione.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.