ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
27 marzo  2001,  n. 97  (Norme sul rapporto tra procedimento penale e
procedimento   disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei
confronti  dei  dipendenti delle amministrazioni pubbliche), promossi
con  ordinanze  emesse  il 20 giugno e l'11 luglio 2001 dal Tribunale
amministrativo  regionale  dell'Emilia Romagna e il 19 settembre 2001
dal    Tribunale    amministrativo    regionale    della    Campania,
rispettivamente  iscritte al n. 935 del registro ordinanze 2001 ed ai
nn. 99  e 141 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 48, 1a serie speciale, dell'anno 2001 e
nn. 11 e 14, 1a speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto  che  il  Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia
Romagna,  con  ordinanza  del  20 giugno 2001, depositata l'11 luglio
2001,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, secondo comma,
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 4,  comma  1,  della  legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul
rapporto  tra  procedimento  penale  e  procedimento  disciplinare ed
effetti  del  giudicato  penale  nei  confronti  dei dipendenti delle
amministrazioni  pubbliche),  secondo  cui  i dipendenti pubblici, in
caso  di  condanna,  anche  non  definitiva,  per  alcuno dei delitti
previsti  dagli  artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320
del codice penale e dall'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383,
sono sospesi dal servizio;
        che,  secondo  il  rimettente,  il carattere automatico della
misura  cautelare prevista dalla norma non sarebbe compatibile - alla
luce  della stessa giurisprudenza costituzionale - ne' con i principi
di   ragionevolezza   e  proporzionalita'  di  cui  all'art. 3  della
Costituzione  ne'  con  la  presunzione  di  non  colpevolezza di cui
all'art. 27, secondo comma, della Costituzione;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  la  declaratoria  di  non  fondatezza della
questione;
        che,  secondo  la parte pubblica, il riferimento al parametro
di   cui  all'art. 27,  secondo  comma,  della  Costituzione  sarebbe
inconferente  in quanto la sospensione dal servizio di cui alla norma
censurata   sarebbe  una  tipica  misura  cautelare  che  opera,  per
definizione, prima dell'accertamento definitivo di colpevolezza;
        che  la questione sarebbe, d'altro canto, priva di fondamento
anche  con  riferimento  al  parametro rappresentato dal principio di
ragionevolezza,  considerato  che  una  pronuncia di colpevolezza per
taluno  dei  reati considerati dalla norma, pur se non definitiva, e'
comunque   tale   da   pregiudicare   l'affidabilita'   del  pubblico
dipendente,    cosicche'    la    misura    sospensiva,   in   attesa
dell'accertamento  definitivo,  non potrebbe certamente ritenersi non
proporzionata all'interesse pubblico tutelato;
        che  il  medesimo  rimettente,  con  ordinanza dell'11 luglio
2001,  depositata il 18 ottobre 2001, ha sollevato, in riferimento ai
parametri  di cui agli artt. 3, primo comma, 27, secondo comma, e 97,
primo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  dello  stesso  art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 97
del   2001,   "nella   parte   in  cui  non  prevede  la  valutazione
discrezionale  da  parte della P.A. circa la durata della sospensione
automatica  dal  servizio  dei  dipendenti  disciplinata  dalla detta
disposizione";
        che,   secondo   il   giudice  a  quo,  il  provvedimento  di
sospensione   previsto  dalla  norma  impugnata,  pur  avendo  natura
cautelare, a causa della sua automaticita' acquisterebbe il carattere
di    "anticipazione    degli    effetti    repressivi    conseguenti
all'accertamento   della   colpevolezza   a  seguito  della  condanna
definitiva",  senza  che  peraltro  possa  tenersi  alcun conto della
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena;
        che,   oltretutto,   per   la   sua   durata  tendenzialmente
indeterminata,  la  sospensione stessa potrebbe talvolta risultare di
gravita maggiore della successiva sanzione disciplinare inflitta dopo
la condanna definitiva;
        che  solamente la previsione di una valutazione discrezionale
della  pubblica  amministrazione  riguardo,  quanto meno, alla durata
della  misura  potrebbe  rendere la norma compatibile - ad avviso del
rimettente - con il principio di non colpevolezza di cui all'art. 27,
secondo comma, della Costituzione;
        che la medesima norma, sempre in relazione ai caratteri della
automaticita'  e  della  indeterminatezza  della  durata della misura
cautelare,  si  porrebbe  poi in contrasto con l'art. 3, primo comma,
della  Costituzione  sotto  il  profilo  della irrazionalita' e della
mancanza di proporzionalita', tenuto conto della notoria lunga durata
media dei giudizi penali;
        che  risulterebbe  altresi' leso il principio di eguaglianza,
in  quanto  la  norma comminerebbe lo stesso trattamento a situazioni
differenziate,  restando  irrilevante sia la concessione o meno della
sospensione  condizionale della pena sia l'entita' della pena stessa,
e  cio'  nonostante  che  il  successivo  art. 5  della  stessa legge
preveda,  al  comma 2, l'automatica estinzione del rapporto di lavoro
solo  nel caso di condanna definitiva per determinati reati contro la
pubblica amministrazione a pena detentiva non inferiore a tre anni;
        che  la  norma  impugnata, infine, privando l'amministrazione
del potere di compiere qualsiasi valutazione di opportunita' riguardo
alla adozione della misura cautelare, contrasterebbe con il principio
di   buon   andamento,   "inteso   come  efficienza  ed  economicita'
dell'azione amministrativa";
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di infondatezza della
questione,  riportandosi  integralmente  al contenuto della memoria -
depositata  in  copia - relativa ad analoga questione gia' sollevata,
con piu' ordinanze, da altro giudice;
        che il Tribunale amministrativo regionale della Campania, con
ordinanza  del  19 settembre  2001, depositata il 23 gennaio 2002, ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  del  medesimo
art. 4  della  legge  n. 97 del 2001, in riferimento agli artt. 3, 4,
24, 27, 35, 36 e 97 della Costituzione;
        che   l'incostituzionalita'   della  norma  si  incentrerebbe
essenzialmente, ad avviso del rimettente, sulla irragionevolezza "del
bilanciamento  operato  dal  legislatore  fra  le  esigenze  di  buon
andamento  ed  imparzialita'  della pubblica amministrazione e tutela
dei diritti compressi dalla misura cautelare";
        che   la  giurisprudenza  costituzionale  sarebbe  del  resto
consolidata  -  sempre  secondo  il  giudice  a  quo  -  nel senso di
"escludere  ogni  automatismo  di  trasposizione di effetti dal piano
penale  a  quello  disciplinare  e cautelare nell'ambito del rapporto
d'impiego",  salva  l'ipotesi  estrema  -  cui farebbe riferimento la
sentenza  n. 206  del  1999 - della condanna per reato associativo di
stampo  mafioso,  prevista  quale  causa  di sospensione dall'ufficio
dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  anche  in  tal  caso  riportandosi integralmente alla memoria
depositata nell'altro giudizio.
    Considerato  preliminarmente che i tre giudizi, in considerazione
della evidente affinita' delle questioni sollevate, vanno riuniti per
essere decisi con unico provvedimento;
        che  questa  Corte,  con sentenza n. 145 del 2002, successiva
alle  tre  ordinanze  di  rimessione,  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale,  nei  sensi di cui in motivazione, dell'art. 4, comma
2,   della  legge  27 marzo  2001,  n. 97  (Norme  sul  rapporto  tra
procedimento  penale  e  procedimento  disciplinare  ed  effetti  del
giudicato  penale  nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche),  "nella  parte  in  cui  dispone che la sospensione perde
efficacia  decorso  un periodo di tempo pari a quello di prescrizione
del reato";
        che  -  stante  l'evidente  connessione  tra  le disposizioni
contenute  nel  primo  e  nel  secondo  comma della norma impugnata -
l'intervenuto  mutamento  del  quadro  normativo  rende necessaria la
restituzione  degli  atti  ai giudici a quibus perche' valutino se le
questioni sollevate possano ritenersi tuttora rilevanti.