IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE

    A scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 5 febbraio
2002,  visti ed esaminati gli atti della procedura di sorveglianza in
materia  di  accertamento  art. 58-ter e liberazione condizionale nei
confronti  di Bulla Benito, nato il 27 aprile 1936 a Adrano, detenuto
nella Casa di Reclusione di Volterra; vista la regolarita' degli atti
sotto il profilo processuale;

                            O s s e r v a

    1.  -  Con  ordinanza  n. 5217  del  29  giugno  2000, cosi' come
integrata e rettificata con ordinanza n. 5925 del 10 ottobre 2000, il
Tribunale   di   Sorveglianza   di  Firenze  sollevava  eccezione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 4-bis, primo periodo del primo
comma, nel testo vigente della legge 26 luglio 1975, n. 354, articolo
introdotto dal d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12
luglio  1991,  n. 203, e successivamente modificato dal d.l. 8 giugno
1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356, nella parte
in  cui impedisce, in assenza della collaborazione con la giustizia a
norma  dell'art. 58-ter  del  medesimo ordinamento, l'ammissione alla
liberazione  condizionale  dei  soggetti condannati all'ergastolo per
taluno dei delitti ivi indicati.
    2.  -  La  Corte  costituzionale,  con  ordinanza  n. 359 del 6-7
novembre  2001,  rilevava la presenza di incertezza sulla maturazione
del periodo minimo di detenzione indispensabile per la ammissibilita'
al  beneficio  della liberazione condizionale osservando che pendeva,
presso  il  Tribunale  di  Sorveglianza, la decisione sulla revoca di
parte  della  riduzione  di pena per liberazione anticipata, senza la
quale il condannato non avrebbe espiato i ventisei anni di reclusione
richiesti dall'art. 176, comma 3, c.p. Quindi dichiarava la manifesta
inammissibilita'  della  questione  sollevata  in quanto l'incertezza
sulle  condizioni  di ammissibilita' alla liberazione condizionale si
traduceva in un difetto di rilevanza della questione proposta.
    3.  - Nel frattempo, pero', questo Tribunale di sorveglianza, con
ordinanza  15  marzo 2001, n. 2380, decideva di non revocare la parte
della  riduzione pena in questione (per intervenuta condanna relativa
a  nuovo  reato  durante  la  esecuzione  della  pena).  Contro  tale
ordinanza   era   proposto   ricorso  per  cassazione  da  parte  del
Procuratore  generale  Repubblica  Firenze. La Corte di cassazione, I
sez.,  con  sentenza  del  9  gennaio 2002, rigettava il ricorso. Era
cosi'  confermata la concessione della liberazione anticipata in toto
per   complessivi  giorni  1740  (v.  posizione  giuridica),  cui  si
aggiungono gg. 135, concessi con ordinanza odierna per gli ultimi tre
semestri maturati.
    Tenuto  conto  che  il  Bulla e' detenuto da 23 anni, 6 mesi e 19
giorni,  con i giorni indicati di riduzione pena supera ampiamente il
limite  di  anni  26,  previsto dalla legge per la su ammissione alla
liberazione condizionale.
    Ne  consegue la rilevanza e l'interesse a riproporre la questione
di  legittimita'  costituzionale  ma  prospettata  e  cui  di seguito
riportata.
    4.    -    Riproposizione    del   testo   della   eccezione   di
incostituzionalita' precedente:
        1)  e'  necessario  esporre, in modo abbastanza approfondito,
gli  aspetti  concreti  del caso che viene sottoposto alla attenzione
della  Corte  costituzionale.  Sono  tali  aspetti concreti che danno
significato   ai   problemi   di   costituzionalita'   che   verranno
successivamente indicati.
    Bulla Benito ha presentato istanza di liberazione condizionale in
data 16 febbraio 1999. Nella istanza, dando atto di essere condannato
per   sequestro   di   persona   a  scopo  di  estorsione  alla  pena
dell'ergastolo  (pena  risultante  da due distinte condanne, entrambe
per  il  titolo  di  reato predetto: una condanna a pena temporanea e
l'altra  all'ergastolo),  ha  sostenuto di essere nella situazione di
inesigibilita'  della collaborazione con la giustizia di cui all'art.
58-ter  legge  penitenziaria  e,  sotto  tale profilo, ammissibile al
beneficio richiesto.
    In   passato   analoghe   istanze,   prima   di  ammissione  alla
semiliberta' e poi di liberazione condizionale erano state dichiarate
inammissibili, sempre facendo riferimento al titolo dei reati per cui
il Bulla era stato condannato.
    In  presenza  della  nuova  istanza,  si  procedeva  sia  per  la
richiesta   liberazione   condizionale,   sia   per   il  preliminare
accertamento di cui all'art. 58-ter citato: si ritiene, infatti, che,
anche  quando ci si riferisca ad una situazione equiparabile a quella
di   cui   all'art. 58-ter,   per  l'effetto  del  superamento  della
inammissibilita'  ai  benefici  penitenziari  sancita dall'art. 4-bis
legge  penitenziaria,  si debba inquadrare l'accertamento processuale
nella cornice formale del citato art. 58-ter.
    La  situazione  che e' emersa, nel corso della procedura, da tale
accertamento  e'  rispecchiata  nella  nota  in  data  2  marzo 2000,
indirizzata  da questo Tribunale di sorveglianza alla direzione della
Casa di Reclusione di Volterra e al centro Servizio sociale adulti di
Pisa.  Se  ne  riporta il testo, che riassume la situazione del Bulla
con riferimento alla ricorrenza di collaborazione inesigibile:
    "Nel richiedere l'aggiornamento della osservazione per la udienza
sottoindicata, si prega volere chiarire al Bulla quanto segue.
    Lo  stesso  nella sua istanza 16 febbraio 1999 di accertamento ex
art. 58-ter   e   di   liberazione   condizionale,   ha  invocato  il
riconoscimento  di  una situazione di collaborazione inesigibile, pur
senza nulla aggiungere circa i delitti per cui e' stato condannato.
    Ora,  il  Bulla e' stato condannato con due distinte sentenze per
reati inammissibili ai benefici penitenziari:, sentenza 6 maggio 1980
Corte  appello Catania: anni 26 reclusione;, sentenza 1 febbraio 1984
Corte assise Como: ergastolo.
    In  effetti,  per  la prima delle due condanne, per altro correo,
Santangelo  Filadelfio,  questo ufficio ha riconosciuto la ricorrenza
della  situazione  di  collaborazione  inesigibile  con  ordinanza 24
aprile 1997.
    Per  la  seconda,  invece,  non  si  puo' rilevare una situazione
analoga.  Fra l'altro, la sentenza di condanna, che riguarda solo tre
delle  persone coinvolte nella prima (delle due sentenze citate), fra
cui  il  Bulla,  si muove su una serie di deduzioni logiche da alcuni
dati  di  fatto,  decidendo  solo sulle tre persone per le quali tali
dati   di   fatto   erano   emersi,   ma   certamente  non  chiarendo
complessivamente l'intera vicenda e le persone coinvolte.
    Se,  quindi,  il  Bulla  assume  una situazione di inesigibilita'
della   collaborazione,   deve   essere  consapevole  della  notevole
difficolta' di farla valere per la seconda delle due condanne, per la
quale,  quindi, egli potrebbe (e dovrebbe, se vuole vedere accolta la
propria istanza) dire assai di piu' di quanto non ha detto.
    Per la decisione, e' fissata l'udienza 11 aprile 2000."
    Per  chiarire  il  contenuto  della nota che precede, l'invito al
Bulla  ad  avere  una condotta di collaborazione con la giustizia, si
spiega  con  la previsione dell'art. 58-ter, comma 1, che la condotta
in questione possa essere prestata "anche dopo la condanna".
    Non  emergeva  nulla  di  nuovo da parte del Bulla e, all'udienza
indicata,  questo  tribunale  di sorveglianza, rinviava la decisione,
aprendo  un  nuovo  filone  di accertamento. In tale provvedimento di
rinvio si legge:
        "per   completare  la  situazione  della  informazione  sulla
carcerazione  del  Bulla, va chiarito quale sia stato il suo percorso
trattamentale,  anche  e  soprattutto  prima  dell'8 giugno 1992 (con
riferimento  alla  sentenza 445/1997 Corte costituzionale: si dovra',
comunque,  prendere  atto  dell'episodio  negativo,  rapportato il 23
settembre  1993):  sarebbe;  qui,  utile  recuperare  i  programmi di
trattamento  (o  atti  analoghi)  di quel periodo e la annotazione di
eventuali  esperienze premiali esterne. E' utile ricostruire anche lo
sviluppo successivo al 1993".
    A  riguardo  di  quanto  sopra, sono in atti gli aggiornamenti di
osservazione  piu'  risalenti  (del  12  novembre  1992:  v.  fascic.
n. 2406/1992;  e del 20 maggio 1995: v. fascic. 4711/1994), dai quali
risulta  che  il Bulla inizio' a fruire di permessi premio fin dal 20
agosto  1987  e  ne  frui' fino al 28 marzo 1992. In seguito, dopo il
d.l.   8   giugno   1992,   la   fruizione  dei  permessi  premio  fu
temporaneamente  interrotta  e  riprese,  poi,  col  provvedimento 19
dicembre  1992  (reclamato  dal  p.m. ed eseguito dopo il rigetto del
reclamo  da  parte del tribunale di sorveglianza). Segui', pero', una
nuova  sospensione,  legata ai fatti rapportati il 23 settembre 1993,
per  i  quali  il  Bulla  e'  stato sottoposto a procedimento penale,
concluso  dalla  sentenza  del  Tribunale di Pisa del 17 giugno 1996,
irrevocabile  il 21 maggio 1998, con la quale il Bulla era condannato
ad  anni  due  e  mesi sei reclusione per il delitto di estorsione in
danno  di  un  compagno  di pena, con le attenuanti della particolare
tenuita'  del  danno e generiche (v. copia sentenza in atti): i fatti
riguardavano una vicenda di scambio di cose fra detenuti, nell'ambito
della  quale  il  Bulla  aveva  ottenuto  da  altro  detenuto, con la
intimidazione,  cose  acquistate da questi per corrispondenza. Pur in
presenza di tale episodio, in pendenza del procedimento penale, nella
relazione  20  maggio  1995  del  carcere  di Volterra, si osservava:
"Sotto  il  profilo  penale, tale episodio e' pertanto da verificarsi
negli esiti". E si aggiungeva: "c'e' da valutare positivamente che il
Bulla, nei 13 anni di permanenza a Volterra (vi si trovava dal 1982),
non e' mai incorso in alcuna infrazione" (v. nel fascic. 4711/1994 in
atti).  Nell'aggiornamento piu' recente dell'osservazione a Volterra,
per  la  udienza del 29 giugno 2000, si legge che, per i fatti di cui
alla  sentenza  di  condanna  citata,  "il Bulla fu sottoposto per un
periodo  al  regime di alta sicurezza (dal 27 ottobre 1993 al 5 marzo
1994),  con  sospensione  dei  benefici  di  legge  e, in seguito, fu
condannato.  Dopo  tale  vicenda,  il Bulla ha ripreso gradualmente a
conquistarsi  la fiducia degli operatori, sia trattamentali che della
sicurezza,   mostrando   cooperazione,   in  specie  nelle  attivita'
lavorative  di  fatica  e delle pulizie; ha ripreso altresi ad essere
ammesso  al programma trattamentale interrotto e, quindi, a fruire di
permessi,  regolarmente  effettuati,  in  famiglia presso Adrano, suo
paese di origine. Anche il beneficio della liberazione anticipata gli
e' stato concesso, dopo la parentesi relativa al fatto accaduto, fino
a raggiungere attualmente 1605 gg. di riduzione pena".
    Si   deve  aggiungere  che  il  Bulla  ha  manifestato  interesse
essenzialmente   per   la  liberazione  condizionale  e  non  per  la
semiliberta',  che  pure  in  passato  aveva  richiesto  (ma  per una
soluzione   di   inserimento  esterno  a  Volterra,  attualmente  non
indicata),  in  quanto  la  semiliberta'  non  sembra  attuabile  per
l'inserimento  lavorativo  richiesto  per la eccessiva lontananza del
luogo   di   lavoro   dalla  sezione  di  semiliberta'  piu'  vicina,
comportante  4 ore di viaggio giornaliero: v. relazione aggiornamento
osservazione  per  udienza  17  febbraio  2000, con le notizie in tal
senso del Servizio sociale competente.
    Se  si  prescinde  dalla inammissibilita' riferibile al titolo di
reato,  le  condizioni  temporali  di  ammissibilita'  del  Bulla  al
beneficio  richiesto sussistono, aggiungendo alla pena effettivamente
espiata  -  22  anni  circa  - i periodi di riduzione pena ex art. 54
l.p.,  che raggiungono e superano gli anni 4 e mesi sei (al riguardo,
la  intervenuta  definitivita' della sentenza di condanna per i fatti
rapportati   nel  settembre  1993,  comportera'  la  verifica,  della
revocabilita'  o meno di parte della riduzione pena in relazione alla
condanna   subita   e  alla  incompatibilita'  della  stessa  con  il
mantenimento del beneficio).
        2)  In  conclusione,  e' preliminare e decisiva allo stato la
inammissibilita'  del  Bulla  al  beneficio richiesto in relazione al
titolo   di   reato   ex  art. 4-bis  e  cio'  porta  alla  ulteriore
conclusione,   decisiva   nella   presente  procedura,  che  la  pena
dell'ergastolo in esecuzione nei suoi confronti resta definitivamente
perpetua senza possibilita' di temperamento.
    Si puo' riepilogare in proposito:
        a)  che la inammissibilita' alla liberazione condizionale del
Bulla   deriva  dalla  applicazione  dell'ari.  4-bis  anche  a  tale
beneficio,  non  menzionato,  per  vero,  da  tale  norma  nel  testo
introdotto  con il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge
7 agosto 1992, n. 356;
        b) che non risulta che il Bulla si trovi in una situazione di
collaborazione   inesigitile   equiparabile,   con  riferimento  alla
giurisprudenza   costituzionale   e   in  particolare  alla  sentenza
n. 68/1995, alla collaborazione propria, prevista dall'art. 58-ter e,
che  non  sia  quindi  superabile,  per tale via, la inammissibilita'
suindicata;
        c)  che  neppure  parrebbe  superabile  tale inammissibilita'
attraverso  la  applicazione  nei suoi confronti della giurisprudenza
costituzionale  di  cui  alla sentenza n. 445/1997: se e' vero che il
Bulla,  prima della entrata in vigore del d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
era  avviato da tempo su un percorso riabilitativo, e' anche vero che
tale  percorso,  con  i fatti del 1993, per i quali il Bulla e' stato
condannato,  ha  determinato  la  interruzione, da quella data, della
continuita'  del percorso di rieducazione nella fase e nel grado gia'
maturati in precedenza.
    Secondo  le  applicazioni  normative  ora  indicate,  la  pena in
esecuzione nei confronti del Bulla e' dunque effettivamente perpetua.
    Solo per completare il quadro, prima di approfondire e sviluppare
il  discorso sul punto centrale e ora indicato, si deve ricordare che
il  Bulla  non  e'  ammissibile ad alcuna misura alternativa: l'unica
concepibile sarebbe comunque la semiliberta' (possibile, diversamente
dalle   altre,   per  il  all'ergastolo),  alla  quale  egli  non  e'
ammissibile  sempre  ai  sensi  dell'art. 4-bis,  che, anzi, contiene
proprio  la  esplicita  e diretta esclusione dalle misure alternative
per  chi e' detenuto per il titolo di reato per cui il Bulla e' stato
condannato.
        3)  Si  riparte,  allora,  dal punto cui si era pervenuti: la
pena   in   esecuzione   nei   confronti   del   Bulla,  per  la  sua
inammissibilita'  alla  liberazione  condizionale,  e' effettivamente
perpetua.
    Si  tratta,  allora,  di  comparare  tale  conclusione  con altra
pronuncia  costituzionale,  relativa a normativa determinante analogo
effetto,   di   definitiva  perpetuita'  della  pena  dell'ergastolo,
giudicata  incostituzionale.  Si  fa riferimento alla sentenza n. 161
del  2  giugno  1997,  che cosi conclude: "Dichiara la illegittimita'
costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice
penale,  nella  parte  in cui non prevede che il condannato alla pena
dell'ergastolo,  cui  sia stata revocata la liberazione condizionale,
possa  essere  nuovamente  ammesso  a  fruire  del  beneficio  ove ne
sussistano i relativi presupposti."
    Si  ritiene  conveniente  un'ampia citazione della motivazione di
tale  pronuncia:  quanto  affermato  nella  stessa, ai n. 5 e 6 della
motivazione in diritto, e' essenziale per valutare le questioni poste
dal caso in esame in questa procedura.
    "Della  compatibilita'  della pena dell'ergastolo con la funzione
rieducativa  assegnata  alla  pena  in  generale  dall'art. 27, comma
terzo,   della   Costituzione,   e   piu'   in  generale  della  pena
dell'ergastolo, questa Corte ebbe ad occuparsi piu' di una volta".
    "Con   la   sentenza  n. 264  del  1974,  la  Corte,  chiamata  a
riesaminare  la legittimita' dell'ergastolo, espose, a sostegno della
infondatezza  della  questione  vari  argomenti,  tra  i quali assume
indubbiamente  valore  preminente  quello  incentrato  sulla legge 25
novembre  1962,  n. 1634 che ammise la liberazione condizionale anche
per   i  condannati  a  detta  pena.  Scrisse  allora  la  Corte  che
"l'istituto della liberazione condizionale disciplinato dall'art. 176
codice  penale - modificato dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962,
n. 1634  -  consente l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano
nel  consorzio  civile  ...  E  questa posizione fu rinforzata, nella
sentenza  stessa, con il dare rilievo alla precedente sentenza n. 204
dello  stesso  anno  1974,  con  la  quale  era  stata  dichiarata la
illegittimita'  costituzionale della norma attributiva della facolta'
di  concedere la liberazione condizionale al Ministro della giustizia
(art. 43 r.d. 28 maggio 1931, n. 602), conseguentemente attribuendosi
la  competenza  stessa all'autorita' giudiziaria "che con le garanzie
proprie  del procedimento giurisdizionale accertera' se il condannato
abbia  tenuto  un  comportamento  tale da fare ritenere sicuro il suo
ravvedimento".
    "Questi   motivi   furono   ripetutamente  ripresi  in  decisioni
successive,  fra  le  quali spicca la sentenza n. 274 del 1983, nella
quale - a premessa della estensione del gia' ricordato istituto della
riduzione  pena, che va sotto il nome di "liberazione anticipata , ai
condannati all'ergastolo - puo' leggersi che la finalita' rieducativa
voluta  dall'art. 27,  terzo  comma,  della Costituzione si riferisce
senza  ombra  di  dubbio  anche a detti soggetti e che cio' "e' fatto
palese   dalla   estensione   in   loro  favore  dell'istituto  della
liberazione  condizionale  operata  dalla  legge n. 1634 del 1962 : a
proposito  della  quale  - prosegue la sentenza - fu enunciato, nella
relazione  governativa  che accompagnava la presentazione alla Camera
dei  deputati  del  disegno  di legge, il proposito di "completare ed
integrare,  con  speciale  riferimento  all'ergastolo, la progressiva
umanizzazione  della  pena, rendendo piu' concreta e funzionale anche
nell'ergastolo l'azione intesa alla rieducazione del condannato".
    La recuperabilita' sociale del condannato all'ergastolo, mediante
la  possibilita'  della sua liberazione condizionale, segnava percio'
nella  nostra legislazione penale una svolta di evidente rilievo: una
svolta  sottolineata anche da questa Corte, la quale, nel dichiarare,
con  la  ricordata sentenza n. 264 del 1974, non fondata la questione
di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 22  del  codice  penale,
sollevata    in   riferimento   all'art. 27,   comma   terzo,   della
Costituzione,  faceva  perno,  fra l'altro, proprio sulla intervenuta
ammissione  alla  liberazione  condizionale, in quanto essa "consente
l'effettivo reinserimento dell'ergastolano nel consorzio civile."
    "Alla  stregua di queste premesse non puo' non essere rilevata la
illegittimita'  costituzionale della disposizione che, vietando per i
condannati    all'ergastolo    la   riammissione   alla   liberazione
condizionale,  li esclude in modo permanente ed assoluto dal processo
rieducativo e di reinserimento sociale."
    "La  pena  dell'ergastolo, per il suo carattere di perpetuita' si
distingue  dalle  altre  pene  restrittive  della liberta' personale;
oltre   a  comportare,  per  chi  vi  e'  sottoposto,  una  serie  di
conseguenze,  di tipo interdittivo e di tipo penitenziario, che sono,
in  tutto  o  in  parte,  estranee  alle  altre  pene.  Ma questo suo
connotato  di  perpetuita'  non  puo' legittimamente intendersi, alla
stregua  dei  principi  costituzionali,  come  legato,  sia pure dopo
l'esperimento   negativo  di  un  periodo  trascorso  in  liberazione
condizionale,  ad  una  preclusione  assoluta  dell'ottenimento,  ove
sussista  il  presupposto  del  sicuro  ravvedimento,  di  una  nuova
liberazione  condizionale.  Il mantenimento di questa preclusione nel
nostro  ordinamento equivarrebbe, per il condannato all'ergastolo, ad
una  sua  esclusione  dal  circuito  rieducativo,  e  cio'  in palese
contrasto - come gia' si e' visto - con l'art. 27, comma terzo, della
Costituzione,  la  cui  valenza  e'  stata  piu'  volte  affermata  e
ribadita, senza limitazioni, anche per i condannati alla massima pena
prevista dall'ordinamento italiano vigente."
    "Se la liberazione condizionale e' l'unico istituto che in virtu'
della  sua  esistenza  nell'ordinamento rende non contrastante con il
principio   rieducativo,  e  dunque  con  la  Costituzione,  la  pena
dell'ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo
cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso
il  passaggio  per  uno o piu' esperimenti negativi, fosse totalmente
preclusa,  in  via  assoluta,  la  riammissione  del  condannato alla
liberazione condizionale."
    "Certamente,  in  concreto,  il  condannato  all'ergastolo potra'
dalla competente autorita' giudiziaria essere ritenuto non meritevole
della  riammissione  al  beneficio  della liberazione condizionale; e
l'autorita'   stessa   potra'  graduare  anche  nei  tempi  la  nuova
ammissione, tenuto conto sia della prova data dal detenuto durante la
detenzione   sia  della  prova  data  durante  i  precedenti  periodi
trascorsi    in    liberta'   vigilata,   prendendo   ovviamente   in
considerazione anche la concreta gravita' delle violazioni che ebbero
a  dare luogo alla revoca. Ma questa possibilita' di non riammissione
o   di  riammissione  dilazionata  nel  tempo  non  equivale  ad  una
esclusione totale per divieto di legge."
    Si  deve prendere atto che le analogie fra il caso in esame nella
presente  procedura  e  quello trattato nella sentenza costituzionale
citata  sono  strettissime:  in  entrambi i casi, la inammissibilita'
alla  liberazione  condizionale - nel caso in esame originaria e non,
come  nell'altro  caso, conseguente ad una prima fruizione, revocata,
della  liberazione  condizionale  medesima - determina la perpetuita'
effettiva della pena dell'ergastolo in esecuzione: in entrambi non e'
consentito  "l'effettivo  reinserimento  anche  dell'ergastolano  nel
consorzio   civile".   E  vale  ricordare  un  passo  della  sentenza
costituzionale  n. 204/1974,  piu'  volte  ricordata  nell'altra  ora
ampiamente  citata  (n. 2  della motivazione in diritto): "Sulla base
del  precetto  costituzionale  (si  intende:  art. 27,  terzo  comma,
Costituzione:  nota  di chi scrive) sorge, di conseguenza, il diritto
per  il  condannato  a  che,  verificandosi le condizioni poste dalla
norma  di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della
pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti
la  quantita'  di  pena espiata abbia o meno assolto positivamente al
suo  fine  rieducativo:  tale  diritto  deve  trovare nella legge una
valida  e  ragionevole garanzia giurisdizionaleº. In entrambi i casi,
risulta  dunque  in  giuoco  un vero e proprio diritto soggettivo che
trova  la  sua  fonte  nella  Costituzione,  diritto a rischio di non
fruizione.
    Non  si  puo',  pero',  sottacere un problema: nell'art. 4-bis si
definisce  una  inammissibilita'  ai  benefici  penitenziari?  Si  e'
ragionato  in  questi  termini  e  si  ritiene  che  siano  esatti  e
corrispondenti  alla  previsione normativa. E, d'altronde, e' proprio
di  inammissibilita'  delle  istanze  che  si  parla  quando  non  si
riscontra  l'unico  dato  che  puo'  sbloccare  la inammissibilita' e
consentire  la  ammissione: che e' la collaborazione con la giustizia
ai  sensi  dell'art. 58-ter. Non si vede come una tale situazione non
possa   essere  considerata  di  inammissibilita'.  Per  confermarlo,
occorrera'   chiarire   che  la  collaborazione  non  puo'  ritenersi
obbligata,    scelta    necessaria   nel   rapporto   giudiziario   e
penitenziario.  La  collaborazione  resta, invece, una scelta libera,
della quale:
        quando  sarebbe  possibile, non possiamo conoscere le ragioni
del silenzio;
        ma  che  potrebbe, comunque, essere sovente non possibile per
quello  che  l'interessato  non  sa  (al  limite  non e' da escludere
neppure che sia stato condannato ingiustamente) e che non si inquadra
in  una  delle  ipotesi in cui la inammissibilita' viene temperata in
vario  modo, per la previsione diretta della legge o la lettura della
stessa da parte della giurisprudenza costituzionale.
    Si  deve,  quindi,  ribadire che l'art. 4-bis, nel testo vigente,
sancisce   una   vera   e   propria   inammissibilita'   ai  benefici
penitenziari:  le  eccezioni possibili non annullano la regola. Ed e'
questo,  d'altronde,  che  chiarisce  la  Corte costituzionale, nella
sentenza  n. 68/1995,  quando,  sintetizzando la diversa impostazione
delle  normative restrittive del 1991 e del 1992, osserva: "Si passa,
pertanto,   da  un  regime  di  prova  rafforzata  per  accertare  la
inesistenza  di  una condizione negativa (assenza di collegamenti con
la   criminalita'  organizzata)  ad  un  modello  che  introduce  una
preclusione per certi condannati, rimuovibile soltanto attraverso una
condotta qualificata (la collaborazione)".
    A  questo punto si ritiene che la questione debba essere posta in
questi termini:
        le conclusioni cui si' e' pervenuti alle lettere a), b) e c),
all'inizio  del  n. 2,  sono  espressioni  della  volonta'  normativa
effettivamente ricavabile ed applicabile al caso in esame: e, in caso
di  risposta  affermativa,  si  realizza  o  meno  una  situazione di
incostituzionalita' della normativa?
        al  contrario e' possibile una interpretazione della volonta'
normativa, una sua lettura, compatibile con i principi costituzionali
che si sono indicati?
    La  questione  e'  esaminata  partitamente  sotto  i  tre profili
ricordati al n. 2, alle lettere a), b) e c).
        4)  Sotto  il primo profilo, che puo' essere quello decisivo,
la  domanda  che  si  pone  semplice: la inammissibilita' ai benefici
penitenziari  - in ragione di titoli di reato quale quello per cui e'
condannato  il  Bulla  -  prevista (salvo eccezioni) dall'art. 4-bis,
comma 1, primo periodo, vale anche per la liberazione condizionale?
    Il   testo   attuale  dell'art. 4-bis,  con  la  inammissibilita'
indicata,  e'  stato  introdotto dall'art. 15 del d.l. 8 giugno 1992,
n. 306,  convertito  nella  legge  7  agosto  1992, n. 356. In questo
testo,  i benefici cui si riferisce la inammissibilita' sono indicati
con  chiarezza:  "l'assegnazione  al  lavoro  all'esterno, i permessi
premio  e  le misure alternative alla detenzione previste dal Capo VI
della   legge   26  luglio  1975,  n. 354,  fatta  eccezione  per  la
liberazione  anticipata".  Le misure alternative previste dal Capo VI
sono  l'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,  la detenzione
domiciliare  e  la  semiliberta'.  Non  vi  e'  alcun  dubbio  che la
liberazione condizionale non sia prevista dalla norma in questione.
    Ne'  alcun  riferimento  alla  liberazione  condizionale si trova
nelle altre norme del testo di legge indicato: la parte penitenziaria
dello  stesso  e'  contenuta nel titolo IV del testo legislativo, che
comprende  gli  artt. da  14  a  20.  In  nessuna di tali norme si fa
riferimento alla liberazione condizionale.
    Senonche',  la  domanda  posta  all'inizio  di  questo  numero si
giustifica  per  i precedenti normativi, che sono, poi, rappresentati
dal  d.l.  13  maggio  1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio
1991, n. 203. Era stato questo provvedimento legislativo a introdurre
l'art.  4-bis,  con un contenuto diverso da quello poi modificato nel
1992.  Il  nuovo  articolo  e  varie modifiche concernenti i tempi di
ammissione ai vari benefici penitenziari, erano contenuti nell'art. 1
del  provvedimento  legislativo,  che,  all'art. 2, conteneva, per la
liberazione   condizionale,   una   estensione   della   applicazione
dell'art. 4-bis  alla  stessa  e  la modifica dei tempi di ammissione
alla medesima.
    E,  allora,  la  risposta  che  si  e' data (nella giurisprudenza
prevalente,  compresa  quella  di merito, come attestato dai ripetuti
provvedimenti  di  inammissibilita'  pronunciati  nei  confronti  del
Bulla) alla domanda iniziale e' stata la seguente: se l'art. 4-bis e'
applicabile  alla liberazione condizionale secondo la normativa 1991,
una  volta  che  tale  norma  viene modificata con la normativa 1992,
anche  la  nuova normativa modificata e' applicabile alla liberazione
condizionale.
    Su tale interpretazione si possono avanzare serie riserve.
    Le  scelte delle normative 1991 e 1992 sono profondamente diverse
(lo  si  e'  gia' ricordato attraverso la sintesi della analisi fatta
dalla sentenza costituzionale n. 68/1995).
    La  normativa  del 1991, una volta individuata una serie di reati
di  maggiore  rilievo con la introduzione dell'art. 4-bis, stabilisce
per  questi,  in  materia  di  benefici  penitenziari, una disciplina
speciale, che si articola in tre punti:
        un regime di accertamenti particolari per stabilire l'assenza
di   collegamenti  attuali  degli  interessati  con  la  criminalita'
organizzata ed eversiva: comma 1 dell'art. 1;
        tempi  piu'  lunghi  per  la  ammissione  ai singoli benefici
penitenziari:  normativa questa che doveva, pero', valere per i reati
commessi  dopo  l'entrata  in  vigore  della  stessa:  commi 2, 3 e 4
dell'art. 1 e art. 4;
        mantenimento  della  disciplina  preesistente  in  materia di
tempi  di  ammissione  ai  benefici per coloro che collaborano con la
giustizia,  previsione contenuta in un nuovo articolo, l'art. 58-ter:
comma 5 dell'art. 1.
    Per  la liberazione condizionale, come si e' accennato, valeva un
apposito  articolo,  l'art.  2, del d.l.1991, che confermava la linea
precedentemente indicata per gli altri benefici:
        al  comma  1,  conteneva  il  richiamo  alle regole dell'art.
4-bis,  che, concernevano, come detto, le particolari modalita' degli
accertamenti  sulla assenza di collegamenti attuali degli interessati
con la criminalita' organizzata;
        al  comma  2,  indicava  un tempo maggiore di ammissione alla
liberazione   condizionale,   applicabile,   peraltro,   per  effetto
dell'art. 4,  solo  ai  reati commessi dopo l'entrata in vigore della
nuova normativa;
        estendeva  alla liberazione condizionale anche l'art. 58-ter,
con  la  sua  previsione  di  una  normativa agevolata per coloro che
collaborano con la giustizia.
    La  normativa  del  1992 sceglieva una linea diversa, anche se la
limitava  a un solo gruppo di reati, i piu' gravi fra quelli indicati
dall'art.  4-bis:  tale linea, contenuta nello stesso art. 4-bis, era
quella  di stabilire la inammissibilita' ai benefici penitenziari per
coloro che erano stati condannati per quel ristretto numero di reati,
salvo  che  gli  stessi non avessero collaborato o non collaborassero
con la giustizia nei termini di cui all'art. 58-ter.
    La nuova disciplina, recante inammissibilita' ai benefici, indica
nello  stesso  art. 4-bis,  gli  stessi  benefici  gia'  indicati  in
precedenza  dalla  stessa norma: lavoro all'esterno, permessi premio,
misure   alternative   alla  detenzione  di  cui  al  capo  VI  legge
penitenziaria.   Nessuna  menzione,  come  detto,  della  liberazione
condizionale,  nessun  nuovo  rimando  per  la stessa alla disciplina
dell'art. 4-bis.
    Cosi'  inquadrata  la riflessione sul quesito posto all'inizio di
questo   numero   (si   estende   alla  liberazione  condizionale  la
inammissibilita'  stabilita  dall'art.  4-bis  per gli altri benefici
penitenziari   specificamente   indicati),   si   possono   fare  tre
osservazioni per una conclusione.
    Prima  osservazione.  La  volonta' della legge per la liberazione
condizionale  si  e'  espressa  solo  e  soltanto  nell'art. 2  della
normativa del 1991 e nel rimando che la stessa faceva alla disciplina
del nuovo art. 4-bis, quale prevista dalla stessa normativa del 1991:
modalita'   speciali   degli   accertamenti   sulla   attualita'  dei
collegamenti  degli  interessati  con la criminalita' organizzata. E'
solo   in   questi   limiti  che  deve  valere,  per  la  liberazione
condizionale,   il   rinvio   alla   disciplina  dell'art. 4-bis.  Le
successive  modifiche  di  questo  non  possono  rientrare nel rinvio
espresso  dall'art.  2  della  normativa  del  1991,  nella  volonta'
normativa resa esplicita dallo stesso.
    Seconda  osservazione. Si deve dire che la nuova normativa di cui
all'art. 4-bis  stabilisce  una  eccezione  profonda  al  sistema. Si
vedano,   in   proposito,  le  considerazioni  fatte  nella  sentenza
costituzionale n. 306/1993 (n. 11 della motivazione in diritto). Cio'
che si enuncia nel nuovo testo dell'art. 4-bis e' la inammissibilita'
ai  benefici  penitenziari  essenziali. Proprio per questa sua natura
eccezionale,   la   interpretazione   della   norma   deve  attenersi
strettamente al contenuto della stessa.
    Sotto  tale  profilo  la  indicazione dei soli benefici contenuti
nella  legge  penitenziaria  appare  una  scelta  netta, che non puo'
agganciare  anche  la  liberazione condizionale attraverso un rinvio,
contenuto   in   una   legge   precedente,   a  un  testo  precedente
dell'art. 4-bis, che non aveva alcun contenuto esclusivo di benefici,
ma  che  prevedeva soltanto le modalita' speciali di accertamento per
la ammissione agli stessi.
    Terza  osservazione.  Nella  sentenza  306/1993,  ora  citata (v.
sempre  il  n. 11  della  motivazione  in  diritto)  si rileva che la
costituzionalita'  della normativa sulla inammissibilita' ai benefici
penitenziari,  ai sensi art. 4-bis come modificato nel 1992, e' stata
salvata  dalla esclusione di tale inammissibilita' per la liberazione
anticipata.  Orbene,  per il condannato all'ergastolo, la liberazione
anticipata  non ha alcun effetto se non in funzione della liberazione
condizionale.   La   inammissibilita'   di  questa  rende  del  tutto
irrilevante la possibilita' di concedere la liberazione anticipata. E
la  inammissibilita'  alla  liberazione  condizionale rende perpetua,
effettivamente e definitivamente, la pena dell'ergastolo, realizzando
una  situazione  di  incostituzionalita',  quale si e' individuata ed
anticipata al numero precedente.
    Cosi  stando  le  cose, possono essere prospettate due soluzioni:
prima  soluzione.  Vi e' una possibilita' interpretativa che salva la
ammissibilita'  della  liberazione  condizionale  nei  confronti  dei
condannati  all'ergastolo per uno dei delitti di cui al primo periodo
del  primo comma dell'art. 4-bis, casi' fra i quali rientra quello di
cui  alla  presente  procedura.  Si  puo'  aggiungere  che,  se anche
apparisse  possibile  altra  interpretazione,  quella che consente la
ammissibilita'  si  rivela essere conforme ai principi costituzionali
ed  essere quindi preferibile a qualunque altra. Il riconoscimento di
tale lettura costituzionale della situazione normativa da parte della
Corte    costituzionale   potrebbe   evitare   una   valutazione   di
incostituzionalita'  della  normativa  in esame, che e' quella che si
propone  nella  vera e propria eccezione di incostituzionalita' della
seconda soluzione, che si indichera' fra poco.
    Si  noti  che  tale  interpretazione  non  eviterebbe affatto gli
speciali  accertamenti  gia' previsti dal testo originario (del 1991)
dell'art.  4-bis  per  verificare  la assenza di collegamenti attuali
degli interessati con la criminalita' organizzata o eversiva.
    E'  da  supporre  che tale soluzione possa essere ritenuta valida
anche  per  i  condannati  a  pene  temporanee,  ma, ad avviso di chi
scrive,  la  esclusione  della liberazione condizionale dal regime di
inammissibilita'  ai benefici penitenziari prevista dal testo vigente
dell'art.  4-bis, potrebbe oggi rappresentare un elemento di maggiore
certezza  ap  plicativa  in  una  materia  nella  quale non sempre e'
agevole  muoversi, nel concreto delle decisioni sui singoli casi, fra
le  varie eccezioni alla inammissibilita' che derivano dalle numerose
sentenze  costituzionali:  difficolta'  di scelte decisionali, che si
esprimono inevitabilmente in una giurisprudenza concreta notevolmente
eterogenea  e  diseguale. D'altronde va ricordato che la storia della
liberazione  condizionale, risalente addirittura al codice penale del
1889,  e'  ben  distinta  da quella della legge penitenziaria e delle
misure  alternative  dalla stessa introdotte. Anche la sua estensione
al  condannato  all'ergastolo  (1962)  e  il  suo inquadramento nella
visione  costituzionale  di  un  diritto  soggettivo  del  condannato
(1974),  come sopra ricordato, che indubbiamente l'ha avvicinata alle
misure  alternative  di cui alla normativa penitenziaria, non esclude
la  distinzione  dell'un  beneficio dagli altri e puo', quindi, senza
scossoni  sismatici  ed  anzi  ridando  certezza  e ragionevolezza al
sistema,  consentire la sua esclusione dal regime di inammissibilita'
riservato agli altri.
    Seconda  soluzione. E' indubbio che l'indirizzo giurisprudenziale
prevalente  e'  nel  senso  di ritenere applicabile l'art. 4-bis, nel
testo  vigente  come modificato dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv.
nella   legge   7   agosto   1992,  n. 356,  anche  alla  liberazione
condizionale  e  di  ritenere,  quindi,  inammissibile  la stessa nei
confronti  di coloro che, come il Bulla, siano condannati per uno dei
delitti  di  cui al primo periodo del primo comma dell'art. 4-bis. Ed
allora,  se  tale interpretazione deve essere quella con cui la norma
ora   detta   viene  applicata  e  vive  concretamente  nella  nostra
legislazione,  si deve prendere atto che la applicazione della stessa
ha  come risultato, nei casi dei condannati all'ergastolo, analoghi a
quello  del  Bulla, di rendere tale pena perpetua in modo effettivo e
definitivo.
    Se  cosi'  e',  si  deve ritenere non manifestamente infondata la
questione  di  incostituzionalita' dell'art. 4-bis, primo periodo del
primo  comma,  della legge 26 luglio 1975, n. 354, nel testo vigente,
norma introdotta con il d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella
legge  12  luglio 1991, n. 203, successivamente modificato dal d.l. 8
giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, in
quanto  applicabile anche alla liberazione condizionale nei confronti
dei  condannati  all'ergastolo  per i delitti indicati in tale norma,
per  violazione  dell'art. 27,  comma 3, della Costituzione: e questo
perche'  tale normativa determina, stabilendo una inammissibilita' ai
benefici  penitenziari,  la  perpetuita' effettiva e definitiva della
pena  dell'ergastolo  e, quindi, impedisce, in violazione della norma
costituzionale  citata,  la  finalizzazione  della  pena  stessa alla
rieducazione e al reinserimento sociale del condannato.
        5)  Il  riconoscimento  di  una  delle  soluzioni indicate al
numero   precedente  (cioe':  o  una  soluzione  interpretativa,  che
escludesse la inammissibilita' ex art. 4-bis vigente alla liberazione
condizionale,  o  una soluzione che dichiarasse incostituzionale tale
inammissibilita) renderebbe superfluo l'esame degli ulteriori profili
problematici  di  costituzionalita' indicati all'inizio del numero 2,
alle lettere b) e c).
    Gli  stessi  hanno  in  comune  la verifica della posssibilita' o
impossibilita'  che  il  caso del Bulla possa rientrare, accettata la
inammissibilita'  in  linea  generale ex art. 4-bis, fra le eccezioni
alla  stessa,  ricavabili  dalla  applicazione  della  giurisprudenza
costituzionale in materia.
    Nel sintetizzare, nella parte ora indicata - numero 2, lettera b)
-  la situazione dell'interessato, si dava atto: "che non risulta che
il  Bulla  si  trovi  in una situazione di collaborazione inesigibile
equiparabile, con riferimento alla giurisprudenza costituzionale e in
particolare  alla  sentenza  n. 68/1995,  alla collaborazione propria
prevista  dall'art. 58-ter e che non sia, quindi, superabile per tale
via la inammissibilita' suindicata".
    Si  crede utile, a questo punto, tornare a citare la lettera gia'
citata  del  2 marzo 2000 di questo ufficio alla direzione della Casa
si  reclusione  di  Volterra  e  al Centro servizio sociale adulti di
Pisa, nella quale si osservava: "... il Bulla e' stato condannato con
due   distinte   sentenze   per   reati   inammissibili  ai  benefici
penitenziari:
        sentenza  6  maggio  1980  Corte  appello  Catania:  anni  26
reclusione;
        sentenza 1 febbraio 1984 Corte Assise Como: ergastolo.
    In  effetti,  per  la prima delle due condanne, per altro correo,
Santangelo  Filadelfio,  questo ufficio ha riconosciuto la ricorrenza
della  situazione  di  collaborazione  inesigibile  con  ordinanza 24
aprile 1997.
    Per  la  seconda,  invece,  non  si  puo' rilevare una situazione
analoga.  Fra  l'altro, la sentenza di condanna che riguarda solo tre
delle  persone  coinvolte  nella prima, fra cui il Bulla, si muove su
una  serie  di  deduzioni  logiche da alcuni dati di fatto, decidendo
solo  sulle tre persone per le quali tali dati di fatto erano emersi,
ma  certamente  non  chiarendo complessivamente l'intera vicenda e le
persone coinvolte."
    Su questo punto non credo ci sia da aggiungere altro. Non si puo'
affermare   la   presenza   di   una   situazione  di  collaborazione
inesigibile.
    Ci  si  puo', quindi, soffermare su quanto osservato al numero 2,
lettera   c),   altra   soluzione   di  possibile  superamento  della
inammissibilita' ex 4-bis in presenza di una situazione specifica. Si
riporta, anche qui quanto si annotava al punto indicato: "... neppure
parrebbe  superabile tale inammissibilita' attraverso la applicazione
nei suoi confronti (del Bulla) della giurisprudenza costituzionale di
cui  alla  sentenza n. 445/1997: se e' vero che il Bulla, prima della
entrata  in  vigore  del  d.l.  8 giugno 1992, n. 306, era avviato da
tempo  su un percorso riabilitativo, e' anche vero che tale percorso,
con  i  fatti  del 1993, per i quali il Bulla e' stato condannato, ha
determinato  la  interruzione,  da quella data, della continuita' del
percorso  di  rieducazione  nella  fase  e nel grado gia' maturato in
precedenza".
    Questo   secondo   aspetto   di   possibile   superamento   della
inammissibilita' va messo meglio a fuoco.
    Va  richiamato,  al  proposito,  uno  dei  passi  centrali  della
sentenza  costituzionale  ora  citata:  e' proprio il principio della
progressivita'  trattamentale  a  rappresentare,  dunque,  il  fulcro
attorno  al  quale  si e' dipanata la giurisprudenza di questa Corte,
doverosamente attenta a rimarcare la esigenza che ciascun istituto si
modelli  e  viva  nel  concreto come strumento dinamicamente volto ad
assecondare  la funzione rieducativa, non soltanto nei profili che ne
caratterizzano  l'essenza,  ma  anche  per i riflessi che dal singolo
istituto   scaturiscono   sul   piu'   generale  quadro  delle  varie
opportunita' trattamentali che l'ordinamento fornisce. Ogni misura si
caratterizza,  infatti,  per  essere parte di un percorso nel quale i
diversi  interventi  si  sviluppano  secondo  un  ordito  unitario  e
finalisticamente  orientato,  al  fondo  del  quale sta il necessario
plasmarsi  in  funzione  dello  specifico  comportamento  serbato dal
condannato. Qualsiasi regresso giustifica, pertanto, un riadeguamento
del  percorso  rieducativo,  cosi' come, all'inverso, il maturarsi di
positive  esperienze  non  potra' non generare un ulteriore passaggio
nella "scala" degli istituti di risocializzazione."
    Si tratta di sapere qui, con riferimento al caso del Bulla, se vi
possa  essere  una  applicazione  della  sentenza costituzionale, che
passi attraverso queste due considerazioni:
        la  prima:  una  volta  avviato  il  percorso riabilitativo e
raggiunto  un  livello  significativo  per  la  fruizione di benefici
penitenziari  prima  della  legislazione  restrittiva  del 1992, quel
percorso  dovrebbe potere proseguire il suo sviluppo e consentire gli
ulteriori passaggi "nella scala degli istituti di risocializzazione";
la  interruzione,  con  la  normativa  restrittiva,  del  percorso di
riabilitazione   avviato,   comporterebbe   un   effetto   "ablativo"
ripetutamente censurato dalla Corte costituzionale;
        la  seconda:  gli "incidenti di percorso", se cosi' si voglia
chiamarli, del cammino di riabilitazione possono essere sottoposti ad
un  semplice  "riadeguamento"  (termine  che  si ricava dal passo ora
citato  della sentenza Costituzionale n. 445/1995) o, se verificatisi
dopo  l'8 giugno 1992, determinano una discontinuita' con il percorso
riabilitativo  gia'  avviato  e  l'inizio  di un nuovo percorso, che,
successivo  alla  data indicata, sara' condizionato e sostanzialmente
chiuso dalla normativa restrittiva in argomento?
    Vi  e'  da  dire  che  la  prima considerazione sembra discendere
correttamente dalla sentenza costituzionale citata: una volta avviato
il    percorso    riabilitativo    attraverso   forme   trattamentali
significative  come  i  permessi  premio, il suo svolgimento positivo
dovrebbe   consentire   di   salire  la  "scala"  delle  opportunita'
trattamentali  previste dalla legge, man mano che ne maturino i tempi
di ammissione.
    Quanto  alla  seconda  considerazione,  la  stessa  prospetta due
soluzioni opposte.
    La  prima  sembra, da un punto di vista sistematico, accettabile,
anzi   piu'   accettabile  dell'altra,  in  quanto,  in  un  percorso
rieducativo e di risocializzazione, lo sviluppo rettilineo e costante
di  segno  positivo  e'  tutt'  altro  che  ceno  e prevalente. Ma il
problema  e' qui reso complesso dalla discontinuita' normativa. Se il
percorso  riprende  nuovamente,  ma  quando  sono state modificate le
regole,  la  soluzione  di  applicare  alla  ripresa  del percorso le
regole,  che  erano  operative  al  suo  inizio,  sembra  fuori della
giurisprudenza  costituzionale,  la  quale ipotizzava la applicazione
delle  vecchie  regole,  ma  solo  se  il  percorso si era sviluppato
positivamente  prima  dell'arrivo  delle  nuove. E' questa la seconda
soluzione, sfavorevole al Bulla.
    Si possono, quindi, tirare le conclusioni per questo numero.
    Nessuna  risposta  favorevole  per  il  Bulla  e, quindi, nessuna
ammissibilita'  alla  liberazione condizionale sotto il profilo della
collaborazione inesigibile.
    E'  possibile  solo  ipotizzare  una  applicazione costituzionale
della  sentenza  n. 445/1997,  che  escluderebbe  inammissibilita' al
beneficio  in  questione,  ma  si  tratta di una soluzione - la prima
delle  due  indicate  poche righe sopra - che non si rivela facile da
sostenere.
    La  conclusione,  allora, e' che non si riscontra la possibilita'
di  eccezioni  alla  regola  della inammissibilita', eccezioni basate
sulla  giurisprudenza  costituzionale, che non appare applicabile nel
caso.
    Tutto  torna  allora  alla  conclusione cui si era pervenuti alla
fine del numero 4.
    Se  si  esclude  la  possibilita',  nel  caso, della applicazione
all'interessato  delle  eccezioni  alla regola della inammissibilita'
del  beneficio  della  liberazione  condizionale  ex art. 4-bis della
legge 26 luglio 1975, n. 354, nel testo vigente, norma introdotta con
il  d.l.  13  maggio  1991,  n. 152, convertito nella legge 12 luglio
1991,  n. 203,  successivamente modificato con il d.l. 8 giugno 1992,
n. 306,   convertito  nella  legge  7  agosto  1992,  n. 356,  per  i
condannati  all'ergastolo  per  i delitti di cui al primo periodo del
primo comma dell'articolo citato, resta ferma la conclusione indicata
alla  fine  del  numero  4:  non  risulta manifestamente infondata la
questione  di  costituzionalita'  di  tale  norma  perche'  la stessa
determina,  stabilendo  la inammissibilita' ai benefici penitenziari,
la  effettivita'  e definitivita' della pena dell'ergastolo come pena
perpetua e viola, quindi, l'art. 27, comma 3, Costituzione, in quanto
impedisce  la  finalizzazione  di  tale  pena  alla rieducazione e al
reinserimento sociale del condannato.
    E'  tale  conclusione  che  si  sottopone al giudizio della Corte
costituzionale.
    Viene  indicata  una  eccezione unitaria, che e' quella riportata
nel dispositivo.