ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 1 e 12
della  legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione del patrocinio a
spese  dello  Stato  per i non abbienti), come modificati dalla legge
29 marzo  2001,  n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217,
recante  istituzione  del  patrocinio  a  spese dello Stato per i non
abbienti),  promossi  con  due  ordinanze emesse il 19 settembre 2001
dalla  Corte  d'appello  di  Milano,  iscritte al n. 969 e n. 970 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 3, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti di costituzione delle parti private nel giudizio
principale,  nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 2 luglio 2002 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
    Uditi  l'avvocato  Sami  Behare per le parti private nel giudizio
principale e l'avvocato dello Stato Luigi Criscuolo per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  con  due  ordinanze  di  analogo contenuto in data
19 settembre 2001 (r.o. n. 969 e n. 970 del 2001), la Corte d'appello
di  Milano,  Sezione  IV  penale,  ha  sollevato, in riferimento agli
articoli  3,  97  e 111 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  degli artt. 1 e 12 della legge 30 luglio 1990, n. 217
(Istituzione  del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti),
come  modificati  dalla  legge  29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla
legge  30 luglio  1990,  n. 217, recante istituzione del patrocinio a
spese  dello  Stato  per  i  non  abbienti),  "nella parte in cui non
consentono  di  non  ammettere  al patrocinio a spese dello Stato, di
revocare  la  ammissione gia' disposta o di non liquidare il compenso
al  difensore  o  di  ridurre  tale compenso in presenza di motivi di
appello in tutto o in parte palesemente infondati";
        che  in entrambe le ordinanze la Corte remittente premette di
essere  chiamata  a decidere su richieste di liquidazione di spese ed
onorari avanzate, in relazione ai giudizi di appello conseguenti agli
interposti  gravami  avverso  sentenze  del  Tribunale  di Monza, dai
difensori  di  imputati  ammessi in primo grado al patrocinio a spese
dello  Stato  in quanto non abbienti, e cio' nonostante che i gravami
stessi  presentino "alcuni profili che potrebbero essere esaminati ai
fini di valutarne la parziale manifesta infondatezza";
        che,   in   particolare,   nella  prima  delle  ordinanze  di
rimessione  (r.o.  n. 969  del  2001)  si  precisa che, all'esito del
giudizio  di  appello,  e'  stata  confermata  la sentenza impugnata,
mentre  nella  seconda  ordinanza (r.o. n. 970 del 2001) si riferisce
che  la  Corte ha assolto l'appellante da una imputazione, ha escluso
la sussistenza di una circostanza aggravante con riferimento ad altra
imputazione e ha rigettato gli ulteriori motivi di gravame;
        che il giudice a quo osserva che l'art. 12 della legge n. 217
del 1990 impone al giudice di liquidare gli onorari senza che gli sia
consentita una valutazione della non manifesta infondatezza, totale o
parziale,  del gravame proposto, al fine di mantenere l'ammissione al
patrocinio  a spese dello Stato ovvero di ridurre la liquidazione del
compenso a fronte di motivi all'evidenza infondati;
        che  nelle  ordinanze  di  rimessione si ricorda che l'art. 1
della  legge  n. 217  del  1990  assicura il patrocinio a spese dello
Stato nei procedimenti civili relativamente all'esercizio dell'azione
per  il  risarcimento  del danno e le restituzioni derivanti da reato
"sempreche'  le ragioni del non abbiente risultino non manifestamente
infondate"  e  che  l'art. 15-bis  della  medesima  legge, introdotto
dall'art. 13  della  legge n. 134 del 2001, consente il beneficio nei
giudizi   civili  o  amministrativi  e  negli  affari  di  volontaria
giurisdizione  "quando  le  ragioni  del  non  abbiente risultino non
manifestamente infondate";
        che,  ad  avviso  della Corte d'appello di Milano, se si puo'
comprendere  che  nella  fase delle indagini preliminari ed in quella
del  giudizio  di  primo  grado  la  difesa dei soggetti non abbienti
diversi  dalla  parte  civile  sia  comunque assicurata a prescindere
dalla fondatezza della linea difensiva, essendo i predetti sottoposti
al  procedimento  penale  indipendentemente  dalla loro volonta', non
sarebbe  invece  ragionevole  che  in  tali  procedimenti, in fase di
gravame,   venga   a   mancare   una  valutazione  di  non  manifesta
infondatezza  ai  fini  dell'ammissione  al  patrocinio a spese dello
Stato;
        che   l'utilizzazione  del  pubblico  danaro  per  finanziare
impugnazioni  manifestamente  infondate  e  presentate  a  mero scopo
dilatorio,  oltre  che  violare  il principio di buon andamento della
pubblica  amministrazione,  sarebbe  del  tutto  irragionevole, anche
perche'  nel  giudizio  di  appello non esisterebbe una norma analoga
all'art. 606,  comma  3,  del  codice  di  procedura  penale, che nel
giudizio di Cassazione consente di dichiarare la inammissibilita' del
ricorso  per  manifesta infondatezza, sicche' non opererebbe il comma
2-bis  dell'art. 12  della  legge  n. 217  del 1990, introdotto dalla
legge  n. 134  del 2001, che prevede la liquidazione del compenso per
le   sole   impugnazioni   coltivate   che   non   siano   dichiarate
inammissibili;
        che  gli  artt. 1  e  12  della  legge  n. 217  del 1990, non
consentendo  al giudice di valutare la non manifesta infondatezza del
gravame al fine di ammettere al patrocinio a spese dello Stato ovvero
di  revocare  il beneficio o ancora al fine di liquidare, escludere o
ridurre  il compenso contrasterebbero, quindi, con l'art. 3 Cost., in
quanto   determinerebbero  una  disparita'  di  trattamento  rispetto
all'azione  civile per il risarcimento dei danni derivanti da reato e
per  le  restituzioni,  nonche' rispetto alla difesa nei procedimenti
civili o amministrativi e in quelli di volontaria giurisdizione;
        che  le  disposizioni censurate contrasterebbero, infine, con
l'art. 111 Cost., "sia per violazione della parita' tra parte civile,
imputato  (e civilmente obbligato per la pena pecuniaria)" sia per la
violazione  del  principio  della ragionevole durata del processo che
esse comporterebbero;
        che  in  entrambi  i  giudizi  si sono costituiti i difensori
degli  imputati  ammessi  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  nei
procedimenti  penali  nell'ambito  dei  quali  e'  stata sollevata la
questione  di  legittimita'  costituzionale  e  hanno preliminarmente
eccepito  la  irrilevanza  della  questione, essendo gia' intervenuta
l'ammissione ed essendo rimasti inalterati i requisiti di reddito;
        che   inoltre,  secondo  le  parti  private,  la  sollecitata
pronuncia  di incostituzionalita' comporterebbe una manipolazione del
testo normativo di portata tale da eccedere i poteri di questa Corte;
        che,  nel  merito, negli atti di costituzione si sostiene che
la  disciplina  stabilita  dagli artt. 15-bis e 12 della legge n. 217
del   1990   non   comporterebbe  alcuna  illegittima  disparita'  di
trattamento  nel  procedimento penale rispetto a quanto stabilito nei
procedimenti civili, amministrativi o di volontaria giurisdizione, ma
si  limiterebbe  a  trattare  in  modo  differenziato fattispecie non
omogenee;
        che, sempre ad avviso delle parti private, sarebbe erronea la
premessa   interpretativa   dalla  quale  muovono  i  remittenti  nel
considerare  inoperante,  nel  giudizio  di  appello,  il comma 2-bis
dell'art. 12 della legge n. 217 del 1990, che esclude la liquidazione
in presenza di impugnazioni inammissibili, giacche' anche il giudizio
di    appello    potrebbe   chiudersi   con   una   declaratoria   di
inammissibilita' ai sensi dell'art. 591 cod. proc. pen;
        che  non  pertinente  sarebbe  poi  il  tertium comparationis
evocato,  in quanto la previsione di inammissibilita' del gravame per
manifesta   infondatezza   nel   solo   giudizio   di  Cassazione  si
giustificherebbe  alla luce del piu' circoscritto ambito di indagine,
proprio del giudizio di legittimita';
        che  le  parti  private  ricordano  infine che il comma 2-bis
dell'art. 12  della legge n. 217 del 1990 stabilisce che "il compenso
spettante  al  difensore  e' liquidato dal giudice tenuto conto della
natura  dell'impegno  professionale  in relazione all'incidenza degli
atti  assunti  rispetto  alla  posizione processuale della persona" e
osservano  come  questa disposizione gia' consentirebbe al giudice di
modulare,  con  riferimento  a  specifici  parametri,  il compenso da
liquidare  in  relazione al pregio, alla qualita' e al valore tecnico
dell'opera prestata;
        che,  dopo  avere  posto  in luce la estraneita' dell'art. 97
Cost.  all'esercizio  della  giurisdizione, le parti private rilevano
che  l'art. 111,  quale  diretta  estrinsecazione del principio della
inviolabilita'  della  difesa  in  ogni  stato  e grado del giudizio,
renderebbe  ragione, contrariamente a quanto ritenuto dai remittenti,
della   perfetta   aderenza  al  dettato  costituzionale  del  quadro
normativo  denunciato,  mentre  una  pronuncia  di accoglimento della
questione  avrebbe  l'effetto  di limitare la possibilita' di revisio
prioris instantiae per i non abbienti, a causa della loro prevedibile
riluttanza  a  sostenere  in  appello  una  difesa  sottoposta ad una
valutazione   di  "meritevolezza"  e  determinerebbe,  essa  si',  un
contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost;
        che  nei  giudizi  e'  intervenuto  anche  il  Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  e ha chiesto che la questione sia dichiarata
inammissibile e comunque non fondata;
        che,  nelle successive memorie, la difesa erariale ha dedotto
che, contrariamente a quanto sostenuto nelle ordinanze di rimessione,
l'art. 12,  comma 2-bis della legge n. 217 del 1990, il quale dispone
che  il  compenso  per  le  impugnazioni  coltivate  dalle  parti  e'
liquidato  ove  le stesse non siano dichiarate inammissibili, sarebbe
applicabile  a  tutti  i  giudizi  di  impugnazione e quindi anche al
giudizio di appello;
        che  l'Avvocatura  dello  Stato asserisce poi che l'art. 606,
comma  3,  cod. proc. pen., il quale limita al ricorso per Cassazione
la  dichiarazione  di inammissibilita' per manifesta infondatezza dei
motivi,   sarebbe   espressione   di  una  scelta  discrezionale  del
legislatore   e   che  il  diverso  regime  stabilito  per  l'appello
troverebbe  ragionevole  spiegazione nelle differenze strutturali dei
due procedimenti, come disciplinati dal codice di rito;
        che  sarebbe  inoltre  insussistente  la  dedotta  violazione
dell'art. 3  Cost.,  in  quanto  i  giudizi  civili, amministrativi e
quelli  di  volontaria  giurisdizione,  oggetto di comparazione nelle
ordinanze di rimessione, presentano tratti peculiari che giustificano
la disciplina differenziata riservata dal legislatore al procedimento
penale, che coinvolge valori diversi;
        che,  infine,  secondo  l'Avvocatura  dello Stato, sarebbe da
escludere  che  le  disposizioni censurate siano in contrasto con gli
artt. 97 e 111 Cost., i cui precetti dovrebbero essere considerati di
rango  inferiore  e  recessivi  a  fronte  della inviolabilita' della
liberta'  personale  e  della  difesa  in  ogni  stato  e  grado  dei
procedimenti.
    Considerato che le ordinanze propongono la medesima questione e i
relativi   giudizi   possono   essere   riuniti   per  essere  decisi
congiuntamente;
        che in entrambe le ordinanze di rimessione la Corte d'appello
di  Milano  dubita,  in  riferimento  agli articoli 3, 97 e 111 della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale degli artt. 1 e 12
della  legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione del patrocinio a
spese  dello  Stato  per i non abbienti), come modificati dalla legge
29 marzo  2001,  n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217,
recante  istituzione  del  patrocinio  a  spese dello Stato per i non
abbienti),  "nella  parte  in  cui non consentono di non ammettere al
patrocinio  a  spese  dello  Stato,  di  revocare  la ammissione gia'
disposta  o  di  non  liquidare il compenso al difensore o di ridurre
tale  compenso  in  presenza di motivi di appello in tutto o in parte
palesemente infondati";
        che tali norme sono state ora trasfuse, con modificazioni che
non  ne intaccano il contenuto e non rilevano in ordine alla presente
questione di legittimita' costituzionale, negli artt. 74, 75, 82, 83,
84  e 106 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), sui
quali la questione deve intendersi trasferita;
        che  nell'ordinanza  di  rimessione n. 970 del 2001 la stessa
Corte   remittente   afferma   di   avere   assolto  l'appellante  da
un'imputazione  e di avere escluso, in riferimento ad altro reato, la
sussistenza  di  una circostanza aggravante, rigettando gli ulteriori
motivi di gravame;
        che,   conseguentemente,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata con questa ordinanza deve essere dichiarata
manifestamente  inammissibile  per  difetto  di rilevanza, risultando
dalle  stesse affermazioni del giudice a quo che, nel caso di specie,
i motivi di gravame erano tutt'altro che "palesemente infondati";
        che,   quanto   alla   identica   questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  con  l'ordinanza  di rimessione n. 969 del
2001,  la diversita' di disciplina del patrocinio a spese dello Stato
per  i  non abbienti stabilita dal legislatore per il processo penale
rispetto a quella dettata per i giudizi civili o amministrativi trova
non  irragionevole  spiegazione nelle differenze esistenti tra questi
tipi  di  giudizio  e  nell'esigenza  di assicurare che la difesa nel
giudizio  penale  non  sia condizionata da motivi economici e non sia
subordinata a valutazioni preventive di non infondatezza;
        che  e'  errato  l'assunto  della Corte remittente in base al
quale  l'art. 12,  comma  2-bis  della  legge  n. 217  del  1990 (ora
trasfuso  nell'art. 106 del d.lgs. n. 113 del 2002), il quale prevede
che  il  compenso  per  le  impugnazioni  coltivate  dalle  parti  e'
liquidato  ove  le  stesse  non  siano  dichiarate inammissibili, non
sarebbe  applicabile  al  giudizio  di appello, giacche' anche questo
giudizio  puo'  concludersi  con una declaratoria di inammissibilita'
dell'impugnazione  ai  sensi  dell'art. 591  del  codice di procedura
penale;
        che  la  previsione  di  un diverso regime per l'appello, che
puo' essere dichiarato inammissibile solo nelle ipotesi espressamente
contemplate  dal citato art. 591 e non per manifesta infondatezza dei
relativi  motivi,  rispetto al ricorso per Cassazione, del quale, per
tale  ragione,  l'art. 606,  comma  3,  cod.  proc. pen., consente la
dichiarazione    di    inammissibilita',   costituisce   scelta   non
irragionevole  che rientra nella discrezionalita' del legislatore, in
considerazione   delle   differenze   strutturali  dei  due  tipi  di
impugnazioni   e   del  piu'  circoscritto  ambito  del  giudizio  di
legittimita';
        che  la questione e' priva di fondamento anche in riferimento
all'art. 97   Cost.,  giacche',  come  questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato,  il  principio del buon andamento si riferisce agli organi
dell'amministrazione  della  giustizia  esclusivamente  per i profili
concernenti   l'ordinamento   degli  uffici  giudiziari  ed  il  loro
funzionamento   sotto   l'aspetto  amministrativo,  ma  non  riguarda
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  nel  suo complesso e i
diversi  provvedimenti che ne costituiscono espressione (v. da ultimo
sentenza n. 115 del 2001; ordinanze n. 152 del 2000, n. 381 del 1999,
n. 145 e n. 48 del 1998);
        che  deve  inoltre  escludersi  che le disposizioni censurate
ledano  l'art. 111 Cost., dal momento che il principio di ragionevole
durata  del processo non puo' comportare la vanificazione degli altri
valori  costituzionali  che in esso sono coinvolti, primo fra i quali
il   diritto  di  difesa,  che  l'art. 24,  secondo  comma,  proclama
inviolabile  in  ogni  stato  e grado del procedimento e che non puo'
essere  condizionato,  solo  per  il  non abbiente, da una preventiva
valutazione di meritevolezza, sia pure in fase di gravame;
        che,   d'altra   parte,  gia'  esiste  nella  disciplina  del
patrocinio  a  spese  dello  Stato  una  disposizione che consente al
giudice  di  commisurare  l'entita'  del  compenso  da  liquidare  al
difensore  del non abbiente alla qualita' e al valore dell'assistenza
tecnica  prestata: l'art. 12, comma 2-bis della legge n. 217 del 1990
(ora  trasfuso  nel comma 1 dell'art. 82 del d.lgs. n. 113 del 2002),
prevede infatti che l'onorario e le spese spettanti al difensore sono
liquidati  in  modo  da  non risultare superiori ai valori medi delle
tariffe  professionali  vigenti, tenendo conto, in particolare, della
natura  dell'impegno  professionale  e della concreta incidenza degli
atti difensivi sulla posizione processuale della persona difesa;
        che    pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata in relazione a tutti i parametri evocati dal
giudice a quo.