ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 194,
della  legge  23 dicembre  1996,  n. 662 (Misure di razionalizzazione
della  finanza pubblica), promosso con ordinanza del 19 dicembre 2001
dal  Tribunale  di  Padova,  nel  procedimento civile vertente tra la
Banca Antoniana Veneta S.r.l. e l'Istituto nazionale della previdenza
sociale,  iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 19, 1a serie speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto   che,   nel   corso   di  una  controversia  di  natura
previdenziale  promossa  nei  confronti dell'Istituto nazionale della
previdenza sociale per il recupero di somme in precedenza versate, il
Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato,
in   riferimento   all'art. 3   della   Costituzione,   questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  194,  della  legge
23 dicembre  1996,  n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica),  "nella parte in cui dispone la deroga al regime ordinario
della prescrizione dei crediti contributivi";
        che  nell'ambito  del medesimo giudizio a quo, instaurato con
ricorso del 21 luglio 1997 e poi sospeso a seguito della proposizione
di  alcune  questioni  di  legittimita'  costituzionale  da parte del
medesimo  odierno remittente, questa Corte e' gia' intervenuta con la
sentenza n. 178 del 2000 con la quale, oltre a dichiarare non fondata
la  questione  riguardante  l'innalzamento  del  c.d.  contributo  di
solidarieta'  dal  dieci al quindici per cento (per il periodo che va
dal  1  settembre  1985  al  30 giugno  1991),  ha  dichiarato  anche
l'inammissibilita'   di   quella  concernente  la  deroga  al  regime
ordinario  di  prescrizione,  in  quanto  l'ordinanza  era carente di
motivazione sul punto;
        che,  una volta riassunto il giudizio, la parte ricorrente e'
tornata  a  proporre  la  questione di legittimita' costituzionale in
precedenza  dichiarata  inammissibile, sostenendo che la prescrizione
del  contributo di cui alla norma impugnata avrebbe dovuto cominciare
a  computarsi  dal  1  luglio  1991,  ai  sensi  del testo originario
dell'art. 9-bis  del  decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, introdotto
dalla legge di conversione 1 giugno 1991, n. 166;
        che,  infatti,  poiche'  l'unico  ostacolo  alla  pretesa  di
ottenere il pagamento del contributo anche per il periodo antecedente
tale  data  era costituito dal tenore della norma ora richiamata, poi
dichiarata  costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 421 del
1995  di questa Corte, l'INPS avrebbe dovuto attivarsi fin da allora,
secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione la quale
insegna  che la presenza di un vizio di illegittimita' costituzionale
non   dichiarato   costituisce   una   difficolta'   di   mero  fatto
all'esercizio  del  diritto, non tale da impedire il regolare decorso
della prescrizione;
        che  ad  avviso della parte ricorrente, le cui argomentazioni
vengono  riferite  e  fatte proprie dal Tribunale di Padova, la norma
impugnata lederebbe l'art. 3 Cost. sotto vari profili e precisamente:
a)   per  violazione  dei  principi  della  certezza  del  diritto  e
dell'affidamento    dei    cittadini,    avendo    la   stessa   reso
imprescrittibili  ed  esigibili in ogni tempo le contribuzioni dovute
dal  1  settembre  1985  al  30 giugno  1991,  comprese quelle che si
sarebbero   dovute  considerare  estinte  per  la  prescrizione  gia'
maturata  ai  sensi dell'art. 3, comma 10, della legge 8 agosto 1995,
n. 335; b) per contrasto con il principio di eguaglianza, realizzando
la  norma  una irragionevole disparita' di trattamento tra contributi
ordinari  e  contributo  di solidarieta'; c) per mancato rispetto del
principio  di ragionevolezza, avendo modificato situazioni giuridiche
che dovevano ritenersi ormai definite e, percio', intangibili;
        che  il  Tribunale,  dopo aver osservato come sia controverso
tra  le  parti  se  l'INPS  abbia  o meno efficacemente interrotto il
decorso  della prescrizione col proprio verbale del 22 dicembre 1995,
rileva  che  il  giudizio  circa  l'idoneita'  interruttiva  di detto
verbale  spetta  allo  stesso  giudice di merito e che, anche a voler
ritenere  la  sussistenza della predetta idoneita', tale interruzione
non opererebbe per il periodo 1 settembre 1985 - 22 dicembre 1985;
        che  il  credito contributivo relativo a quest'ultimo periodo
non risulterebbe prescritto proprio in ragione della deroga contenuta
nella   norma   impugnata,  sicche'  la  questione  sarebbe  comunque
rilevante  con  riguardo alla debenza o meno dei contributi afferenti
questo, sia pur limitato, arco temporale;
        che  il  giudice a quo, quindi, richiamando e facendo proprie
le  motivazioni di cui alla precedente ordinanza di remissione emessa
il  18 ottobre  2000 dal Tribunale di Firenze, conclude chiedendo una
sentenza  di illegittimita' costituzionale della norma impugnata, nei
termini sopra riportati;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  della  questione,
siccome   motivata   per   relationem,   ovvero  per  l'infondatezza,
osservando  che  la  fissazione  di  un termine di prescrizione e' di
spettanza del legislatore.
    Considerato  che  una  questione  di  legittimita' costituzionale
sostanzialmente  identica  a  quella odierna e' stata gia' sottoposta
all'esame  di  questa  Corte e dichiarata non fondata con la sentenza
n. 121 del 2002;
        che  in  quell'occasione  la  Corte  ha chiarito che la norma
impugnata  -  sorta con l'obiettivo di stabilire una contropartita in
cambio  dell'esonero dal pagamento dei contributi previdenziali cosi'
come  sollecitato dalla precedente sentenza costituzionale n. 421 del
1995  -  ha  creato,  in  sostanza,  un contributo nuovo, sicche' non
risultano  violati  ne'  il principio della ragionevolezza ne' quello
dell'affidamento,  poiche'  nel  fissare  l'obbligo  di  pagamento  a
ritroso  il  legislatore  non  e'  andato oltre il decennio anteriore
all'emanazione della citata sentenza n. 421 del 1995;
        che,   pertanto,   non   avendo   la   norma  fatto  rivivere
un'obbligazione  contributiva  gia' prescritta, ogni censura relativa
all'art. 3 Cost. deve ritenersi priva di fondamento;
        che l'odierna questione - nella quale il Tribunale di Padova,
tra  l'altro,  richiama  proprio l'ordinanza del Tribunale di Firenze
oggetto della sentenza n. 121 del 2002 - non aggiunge profili nuovi o
diversi  di  censura  che  non siano stati scrutinati da questa Corte
nella pronuncia appena indicata;
        che  la  questione,  percio',  deve  ritenersi manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.