Ricorso per la Regione Marche, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1866 del 22 ottobre 2002, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio Sabatini di Ancona n. rep. 37.248 del 28 ottobre 2002; Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 ("Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443"), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 13 settembre 2002, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost., anche in relazione agli artt. 76, 9, 32, 41, 42 e 44 Cost., nei termini di seguito prospettati. 1. - Oggetto del ricorso. 1.1. - Il 4 settembre 2002 e' stato emanato il decreto legislativo n. 198 del 2002, indicato in epigrafe, con cui il Governo ha esercitato la delega legislativa contenuta nell'art. 1, secondo comma, della legge n. 443 del 2001 ("Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive"). La Regione Marche, con ricorso depositato il 21 febbraio 2002 ed iscritto al n. 9 del registro dei ricorsi dell'anno 2002, ha impugnato l'art. 1, commi da 1 a 5, della legge indicata per violazione delle competenze regionali costituzionalmente attribuite dagli articoli 117, 118 e 119 Cost. La legge di delegazione cosi' impugnata e' stata, in primo luogo, attuata con l'emanazione del decreto legislativo n. 190 del 2002, contenente una serie di disposizioni dirette a disciplinare le procedure per la progettazione, l'approvazione e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale. Anche tale decreto delegato e' stato impugnato dalla Regione Marche, ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost., con ricorso tempestivamente notificato e depositato il 31 ottobre 2002 ed iscritto al n. 81 del registro dei ricorsi del 2002. Il decreto legislativo n. 198 del 2002 dichiara di dare attuazione allo stesso art. 1, comma 2, della legge di delegazione n. 443 del 2001, dettando norme "in materia di installazione e modifica delle categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma 1", della legge di delegazione. Anche il decreto legislativo n. 198 del 2002 presenta vizi di illegittimita' costituzionale che configurano la lesione delle competenze costituzionalmente attribuite alla Regione Marche, la quale pertanto lo impugna in questa sede per le seguenti considerazioni. 1.2. - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche contesta la legittimita' costituzionale di tutte le norme contenute nel decreto legislativo n. 198 del 2002, ma in particolare di quelle di cui: all'art. 1 (che definisce gli obiettivi del decreto legislativo in termini molto ampi e sicuramente eccedenti l'ambito oggettivo dell'installazione e della modifica delle infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001: agevolare la liberalizzazione del settore; conseguire la razionalizzazione delle procedure autorizzatorie, anche attraverso un quadro normativo omogeneo a livello nazionale; favorire e facilitare la diffusione e la realizzazione delle infrastrutture; etc.); all'art. 3 (che: al comma 1, stabilisce che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto, anche in deroga alle disposizioni dell'art. 8, comma 1, lett. c), legge n. 36 del 2001; al comma 2, dichiara tali infrastrutture compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento; al comma 3, rende applicabile la disciplina delle opere di urbanizzazione primaria alle opere civili ed in genere ai lavori e alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione - meglio precisate agli artt. 7, 8 e 9 dello stesso decreto; all'art. 4 (che, al comma 1, stabilisce che l'installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici e le relative modifiche siano autorizzate dagli enti locali, previo accertamento del rispetto di limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualita' stabiliti uniformemente a livello nazionale); all'art. 5 (che detta una articolata disciplina di dettaglio sui procedimenti di autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici, prevedendo - tra l'altro - sia una forma di autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio di attivita', secondo modelli predisposti e definiti in allegato al decreto); all'art. 6 (che prevede una forma di silenzio assenso generalizzato sulle istanze di cui al precedente art. 5); agli artt. 7, 8 e 9 (che stabiliscono una disciplina puntuale delle modalita' - tra cui una particolare procedura di conferenza di servizi - con le quali si possono autorizzare le opere civili, gli scavi e l'occupazione di suolo pubblico funzionali alle infrastrutture di telecomunicazione - art. 7; fissano regole di condivisione dello scavo e di coubicazione dei cavi per le telecomunicazioni - art. 8; stabiliscono una procedura speciale per l'autorizzazione delle c.d. "reti dorsali", fissando anche regole perche' gli enti pubblici, e quindi anche le Regioni e gli altri enti locali, definiscano i programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria o straordinaria delle rispettive opere pubbliche, in modo da garantire le esigenze di programmazione sia delle attivita' strumentali sia dei programmi di installazione delle infrastrutture da parte dei titolari di licenze individuali - art. 9); all'art. 10 (secondo cui, agli operatori di telecomunicazione puo' essere posto a carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale, ovvero l'ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le medesime nei tempi stabiliti dall'ente locale, fatte salve le tasse ed i canoni di occupazione); all'art. 11 (che aggiunge all'art. 232 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni - d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - un comma per il quale "l'operatore di telecomunicazioni incaricato del servizio puo' agire direttamente in giudizio per far cessare impedimenti o turbativa al passaggio ed alla installazione delle infrastrutture"); all'art. 12 (contenente disposizioni finali, che estendono la disciplina del decreto ai "diversi titoli gia' rilasciati per le installazioni delle infrastrutture" - comma 1 - e attribuiscono valore di dichiarazione di inizio di attivita' alle istanze gia' presentate per gli impianti con tecnologia UMTS o altre con potenza di antenna uguale o inferiore ai 20 Watt - comma 2 -; prevedono un catasto delle infrastrutture gestito dal Ministero delle comunicazioni; abrogano l'art. 2-bis della legge 1 luglio 1997, n. 189, gia' diretto a garantire il rispetto delle norme vigenti relative ai rischi sanitari per la popolazione, in particolare in merito ai campi elettromagnetici da essi generati, nonche' a sottoporre le infrastrutture di telecomunicazione ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale). Le norme del decreto legislativo n. 198 del 2002 sono lesive: della competenza legislativa regionale, cosi' come individuata dal combinato disposto dell'art. 117, commi secondo, terzo e quarto, Cost.; della competenza regolamentare regionale, cosi' come individuata dall'art. 117, comma sesto, Cost.; della competenza amministrativa regionale, cosi' come individuata dall'art. 118, commi primo e secondo, Cost.; dell'autonomia finanziaria regionale, cosi' come individuata dall'art. 119 Cost. La Regione Marche ritiene, altresi', che il d.lgs. n. 190 del 2002 invada le proprie attribuzioni costituzionali anche per la parte in cui si discosta palesemente dalle stesse prescrizioni della legge di delegazione n. 443 del 2001, violando l'art. 76 Cost., nonche' per la parte in cui viola il valore costituzionale della "tutela dell'ambiente", che trova riconoscimento nell'art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in correlazione con gli artt. 9, 32, 41, 42 e 44 Cost. 2. - Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, ed in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12 per lesione della sfera di competenza legislativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117, commi secondo, terzo e quarto, Cost. 2.1. - La disciplina contenuta nel decreto legislativo impugnato dovrebbe essere finalizzata ad accelerare la realizzazione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443. L'oggetto della disciplina e' definito in termini molto ampi e - come si dira' - del tutto al di fuori dei confini individuati nella legge di delegazione, sino a comprendere tutta la materia dell'installazione e modifica delle infrastrutture di telecomunicazioni, al fine di consentire la liberalizzazione del settore; razionalizzando le procedure autorizzatorie, anche imponendo un quadro normativo omogeneo a livello nazionale, per favorire e facilitare la diffusione e la realizzazione di tali infrastrutture. 2.1.1. - Tale oggetto non e' riconducibile alla competenza legislativa esclusiva che l'art. 117, comma secondo, Cost., riconosce allo Stato. Infatti, nessuna delle materie elencate in tale disposizione costituzionale e' in grado di costituire per il legislatore statale titolo legittimante all'esercizio di potesta' legislativa nella disciplina delle modalita' di approvazione dei progetti di infrastrutture di telecomunicazione. In particolare, come gia' la Regione Marche ha sostenuto nel ricorso n. 9 del 2002, in relazione all'art. 1 della legge n. 443 del 2001, e nel ricorso n. 81 del 2002, in relazione al decreto legislativo n. 190 del 2002, le norme impugnate non possono trovare fondamento nell'art. 117, comma secondo, lettera e), della Costituzione, che riserva allo Stato la "tutela della concorrenza". La disciplina dettata dal legislatore statale non ha difatti solo lo scopo di proteggere il libero gioco della concorrenza, ma quello di assicurare la realizzazione di opere "strategiche" (e, forse, anche di quelle non definite tali), con una procedura del tutto speciale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, assorbendo senza alcuna legittimazione la competenza regionale ed imponendo specifiche procedure non in grado di per se' di garantire l'uniformita' del mercato. Ne' si potrebbe affermare che l'oggetto delle norme impugnate rientri nella "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", materia riservata allo Stato ai sensi della lettera m) del secondo comma dell'art. 117 Cost. E' difatti evidente che la determinazione dei livelli essenziali per garantire determinati diritti sul territorio nazionale e' cosa del tutto diversa dalla decisione circa la necessita' di realizzare le infrastrutture di comunicazione e circa la loro localizzazione sul territorio. Cio' e' dimostrato dallo stesso carattere derogatorio della disciplina e dal carattere discrezionale delle scelte che si presuppone vengano effettuate nella programmazione di questo tipo di opere: non e' senza significato la circostanza che i programmi per l'installazione di queste infrastrutture non sono nemmeno decisi dal Governo o da poteri pubblici, ma sono il frutto di decisioni imprenditoriali che vengono svolte (sia pure nell'ambito di controlli e forme rigorose di autorizzazione) da operatori privati. Ne', infine, si potrebbe ritenere che le norme impugnate siano riconducibili alla "tutela dell'ambiente", materia riservata alla potesta' legislativa statale dall'art. 117, comma secondo, lettera s), Cost. La disciplina contenuta nel d.lgs. n. 198 del 2002, cosi' come quelle contenute nel d.lgs. n. 190 del 2002 e nella legge n. 443 del 2001, non risponde solo a scopi ed esigenze di protezione ambientale, valore quest'ultimo destinato piuttosto ad operare come necessario controlimite rispetto all'interesse alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione (come del resto risulta dalle stesse finalita' espresse nell'art. 1, comma 1, lettere d) ed f), che richiamano espressamente la legge n. 36 del 2001). 2.1.2. - La disciplina impugnata puo' solo essere ricondotta ad ambiti di competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. (e piu' precisamente alla materia "ordinamento della comunicazione" ed alla materia "governo del territorio", nonche' alla materia "tutela della salute"), ovvero a materie di legislazione residuale regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. La disciplina, nei termini cosi' ampi ed omnicomprensivi indicati dal decreto impugnato, non e' peraltro riconducibile ad altri ambiti individuati nell'art. 117, comma terzo, Cost., e affidati alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni. E', infatti, difficile ricondurre le infrastrutture di telecomunicazione a una materia ipoteticamente identificabile nei "lavori e opere pubbliche di interesse nazionale"; materia, questa, che non e' contemplata nell'elenco della disposizione costituzionale e la cui configurabilita', anzi, e' da ritenere esplicitamente esclusa dal fatto che nel medesimo elenco compaiono materie delimitate (e non riconducibili a quella oggetto del decreto impugnato) come "porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di navigazione", "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia". E' quindi evidente che l'art. 117, comma terzo, potrebbe consentire una potesta' legislativa concorrente dello Stato solo ed esclusivamente in relazione alle opere pubbliche strettamente ricomprese nei settori materiali ivi indicati (e sopra richiamati). D'altronde, anche sotto questo profilo, la disciplina del decreto impugnato si pone chiaramente in contrasto con il ruolo specificamente riservato allo Stato nella legislazione concorrente; ruolo che la norma costituzionale limita alla determinazione dei principi fondamentali della materia e, dunque, solo agli aspetti relativi al "modo di esercizio della potesta' legislativa regionale", senza "comportare l'inclusione o l'esclusione di singoli settori dalla materia o dall'ambito di essa". Piu' precisamente, si devono ritenere e qualificare "principi fondamentali" - anche con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 117 Cost. - "solo i nuclei essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono per i principi enunciati o da esse desumibili" (Corte costituzionale, sent. n. 482 del 1995). Il decreto legislativo impugnato, pur affermando, nel primo periodo dell'art. 1, di voler dettare "principi fondamentali in materia", prevede un'esplicita deroga ai normali procedimenti e competenze nella decisione sulla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, sacrificando in maniera del tutto illegittima ed incoerente, quel contenuto minimo dell'autonomia legislativa regionale che, nelle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, il legislatore statale non puo' viceversa comprimere o eliminare. Piu' precisamente, e' certo che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro nazionali debbano avere un "livello di maggior astrattezza" rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (Corte cost., sent. n. 65 del 2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi decisionali agli organi rappresentativi della comunita' regionale, nelle materie affidate costituzionalmente alla loro competenza concorrente. Anche ad ammettere che lo Stato abbia il potere di emanare discipline autoapplicative o di dettaglio nelle materie di potesta' legislativa concorrente, si deve ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo attraverso norme a carattere cedevole rispetto agli interventi del legislatore regionale. Carattere, con tutta evidenza, da escludere per le norme impugnate, che si riferiscono, comunque ad opere che lo Stato intende chiaramente disciplinare (e, di fatto, disciplina) in via esclusiva (senza lasciare alcun spazio di autonomia alla legislazione regionale) e che, pertanto, risultano gravemente lesive della competenza legislativa della Regione. 2.1.3. - L'ambito di disciplina del decreto legislativo n. 198 del 2002 si riferisce ad infrastrutture strategiche private definite come di preminente interesse nazionale, citate anche nell'art. 13 del decreto legislativo n. 190 del 2002. Ne' si comprende chiaramente con quale criterio tali infrastrutture siano da ricondurre nell'ambito delle infrastrutture di cui all'art. 1, comma 1, della legge di delegazione n. 443 del 2001: non risulta, infatti, che le infrastrutture di telecomunicazione siano state individuate dal Governo, quali infrastrutture rientranti nell'ambito della disciplina derogatoria prevista dal legislatore delegante, secondo la procedura individuata dallo stesso art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001. Le infrastrutture di telecomunicazione non risultano in particolare individuate con esattezza nel provvedimento CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121, che, in sede di prima applicazione della legge n. 443 del 2001, ha semplicemente esposto (nell'allegato n. 5) i flussi di investimento indicati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta del Ministero delle comunicazioni, senza che tale deliberazione risulti - fino ad oggi - seguita dalla distinta delle opere, che dovra' essere approvata con le modalita' di cui allo stesso art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001. L'oggetto del decreto legislativo impugnato con il presente ricorso, non essendo riconducibile ad alcuno dei settori materiali elencati espressamente nell'art. 117, comma secondo, Cost., e non essendo ancora individuato ne' individuabile nella sua concretezza, e' quindi da ritenere affidato sia alla potesta' legislativa concorrente delle Regioni in materia di "ordinamento della comunicazione" sia alla potesta' legislativa residuale delle Regioni, di cui al comma quarto dello stesso art. 117, con conseguente esclusione di qualunque titolo di legittimazione per interventi normativi, di dettaglio e a carattere non cedevole, da parte del legislatore statale. 2.1.4. - Ne' il riferimento all'"interesse nazionale" puo' giustificare l'attribuzione allo Stato della potesta' di disciplinare l'installazione e la modifica in concreto delle infrastrutture di telecomunicazione considerate come "strategiche", da realizzare sul territorio delle singole Regioni. Indipendentemente dalla circostanza che, in nessun modo, il limite dell'interesse nazionale e' espressamente menzionato nelle norme del Titolo V della Costituzione, (quale risulta dopo le modifiche apportate con la legge cost. n. 3 del 2001), si deve comunque rilevare che il riferimento all'interesse nazionale non puo' di per se' escludere la potesta' legislativa regionale negli ambiti materiali di competenza concorrente o residuale di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost. Cio' e' dimostrato dal gia' citato elenco delle materie affidate alla competenza concorrente, in cui figurano, oltre all'"ordinamento della comunicazione", i "porti e aeroporti civili", le "grandi reti di trasposto e di navigazione", la "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia": materie cioe' che, pur avendo inequivocabilmente dimensione nazionale, appartengono espressamente alla competenza regionale. Tutte le infrastrutture non riconducibili alle categorie ora citate, che pure possono, essere, in qualche misura, di interesse nazionale, debbono quindi essere considerate tra quelle rientranti nella competenza legislativa esclusiva regionale. Le infrastrutture di telecomunicazione rientrano, per una parte, nella competenza concorrente di cui alla materia "ordinamento della comunicazione", e, per ogni altro profilo, negli ambiti materiali di competenza legislativa residuale delle Regioni, come l'urbanistica e l'edilizia ovvero anche come l'industria ed il commercio. Non si puo' quindi assumerle nell'ambito della competenza statale semplicemente sulla base di un loro presunto carattere di "interesse nazionale". La scelta del legislatore di revisione costituzionale e' stata, infatti, chiaramente quella di non attribuire al rilievo nazionale dell'opera e agli interessi nazionali da essa soddisfatti, il significato di un fattore di esclusione della potesta' legislativa regionale. Il nuovo testo costituzionale, non prevedendo l'interesse nazionale come limite alla potesta' legislativa delle Regioni, non prevede anche l'esercizio di un generale potere di indirizzo e coordinamento (che, nel contesto costituzionale previgente, costituiva il corollario positivo dell'interesse nazionale). Ed, infatti, la tutela degli interessi nazionali - o ultraregionali - e' espressa, nel nuovo art. 117 Cost., solo in sede di elencazione tassativa dei compiti specificatamente riservati alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. 2.2. - La palese violazione dell'assetto costituzionale delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni risulta evidente anche nell'ipotesi in cui si volesse ammettere che, sulla base ed in forza dell'art. 118, comma primo, Cost., si possa riconoscere allo Stato una competenza legislativa ulteriore rispetto ai titoli di legittimazione ricavabili dall'art. 117 Cost. Si tratterebbe, in questa prospettiva, di muovere dalla necessita', in concreto, di attribuire allo Stato determinate funzioni amministrative, in base alla sussistenza di esigenze di "esercizio unitario", secondo "i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza" e di riconoscere a tal fine una competenza legislativa statale ad hoc - anche in materie di legislazione regionale - destinata ad allocare tali funzioni e a disciplinarne inevitabilmente le modalita' di organizzazione e di esercizio. Una simile ipotesi si pone in contrasto con l'impianto formale e sostanziale dell'art. 117, ne' risulta giustificata in ragione della migliore attuazione possibile dei principi contenuti nell'art. 118. Anche in tale ipotesi, peraltro, l'intervento legislativo dello Stato - che comunque sarebbe da considerare ammissibile solo se ed in quanto risultasse rigorosamente limitato alla disciplina delle funzioni amministrative attratte nella sfera statale (il che, nel caso di specie, non avviene) - dovrebbe necessariamente rispettare almeno due condizioni: a) che risultassero motivate espressamente e puntualmente le specifiche esigenze di esercizio unitario delle funzioni amministrative in grado di giustificarne l'attrazione nella sfera statale, in conformita' ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza; b) che fosse rispettato un procedimento di "codecisione paritaria" con le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta dell'intervento normativo statale su ambiti materiali formalmente spettanti al legislatore regionale. La necessita' di rispettare una simile condizione trova conferma nel meccanismo previsto, per le leggi del Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001, nel quale si prevede che la commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata con i rappresentanti delle autonomie territoriali, debba sempre esprimere un parere, ad efficacia rinforzata, su tutti i progetti di legge riguardanti le materie di legislazione concorrente e l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali. Tale norma costituzionale puo' dare luogo a due diverse interpretazioni (ed entrambe convincono dell'illegittimita' del decreto legislativo impugnato). O si ritiene che l'art. 11 sia direttamente prescrittivo e vincolante, ed allora il decreto legislativo impugnato e' costituzionalmente illegittimo per incostituzionalita' della stessa legge di delega (legge n. 443 del 2001), in quanto approvata in violazione dell'art. 11; e cio' a maggior ragione, poiche' disciplina anche ambiti oggettivi riconducibili alla legislazione residuale delle Regioni. Ovvero si ritiene che la norma abbia carattere meramente facoltizzante, per l'attivazione dello specifico meccanismo contemplato, ma si debba considerare vincolante, in ordine al principio costituzionale ad essa sotteso: la leale collaborazione tra Stato e Regioni; cio', in particolare, sotto il profilo dell'esigenza (opportunamente avvertita dal legislatore di revisione costituzionale) di garantire la partecipazione paritaria delle Regioni a tutti i procedimenti decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia costituzionalmente riconosciute; ed in questa ipotesi, e' innegabile la necessita' di adottare, anche per gli atti normativi del Governo, un meccanismo idoneo a tale scopo. Nel caso del decreto impugnato, si puo' facilmente constatare come tale meccanismo non sia stato adottato, cosi' come non risultano ragionevolmente riferibili a tutte le infrastrutture di telecomunicazione genericamente individuate dal decreto le motivazioni indicate nell'art. 1 dello stesso decreto. Assenza di idonea giustificazione tanto piu' grave in presenza di una precisa scelta della legge di revisione costituzionale che ha inserito la materia "ordinamento della comunicazione" tra quelle di competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. 2.3. - Tutte le disposizioni citate nell'epigrafe del presente motivo sono da considerare costituzionalmente illegittime per le ragioni esposte nei precedenti paragrafi. 2.3.1. - In particolare, si puo' sottolineare l'illegittimita' dell'art. 1, che, con ampiezza di formulazione, individua finalita' sufficientemente generiche per giustificare la disciplina derogatoria introdotta in materia di installazione e modifica delle infrastrutture di telecomunicazione. Non si vede per quale motivo la liberalizzazione del settore, cosi' come la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione implichi, di per se', la necessita' di uniformare a livello nazionale le procedure autorizzatorie e di dettare una disciplina speciale sulle modalita' di acquisizione delle indispensabili valutazioni degli interessi pubblici (di notevole delicatezza, come, ad esempio, quelli relativi alla tutela della salute e dell'ambiente, ma anche quelli attinenti alla materia "ordinamento della comunicazione") coinvolti dalla realizzazione di queste infrastrutture. Non si vede, inoltre, come sia ammissibile che il legislatore statale possa imporre una procedura derogatoria ed unificata a livello nazionale per opere che sicuramente rientrano anche nella competenza regionale (data l'evidente connessione dell'oggetto della disciplina con materie di competenza regionale sia concorrente che residuale). La lesione della competenza della Regione e' tanto piu' grave, perche' e' sicuramente difficile individuare quali siano le installazioni in cui l'interesse regionale non sia da considerare concorrente con quello statale ed e' comunque inammissibile che tale situazione (ove possa verificarsi) venga individuata sulla base di regole imposte dallo Stato. 2.3.2. - Particolarmente evidente e' la lesione delle competenze legislative regionali che deriva dalla disciplina dell'art. 3 del decreto impugnato, per la parte in cui afferma che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto, anche in deroga alle disposizioni dell'art. 8, comma 1, lett. c), legge n. 36 del 2001. La legge quadro n. 36 del 2001 aveva correttamente previsto la competenza legislativa regionale nel definire le modalita' per il rilascio delle autorizzazioni all'installazione degli impianti, anche nell'ambito delle previgenti norme del Titolo V della seconda parte della Costituzione. E' evidente come l'esclusione della competenza regionale sia del tutto ingiustificata nel vigore del nuovo art. 117 Cost., che fra l'altro assegna alle Regioni la competenza concorrente in materia di "ordinamento della comunicazione". L'assorbimento di ogni competenza regionale, nella definizione delle procedure autorizzatorie da parte dello Stato, assume il carattere di una vera e propria imposizione di scelte urbanistiche ed edilizie, oltre che di scelte aventi specifica attinenza al settore della comunicazione, in nessun modo filtrate da intese o forme di coordinamento con le Regioni o gli enti locali, in sede di localizzazione e definizione della disciplina urbanistica di queste installazioni. Ne sono una prova evidente le norme di cui ai commi 2 e 3, dello stesso art. 3 del decreto impugnato, nelle quali si dichiara che le infrastrutture di telecomunicazione sono comunque compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni pane del territorio comunale, "anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento" (v. comma 2), con la precisazione che la disciplina delle opere di urbanizzazione primaria e' applicabile alle opere civili ed in genere ai lavori e alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, meglio precisate agli artt. 7, 8 e 9 dello stesso decreto (v. comma 3). E' evidente come questa deroga alle previsioni edilizie ed urbanistiche locali costituisca una palese violazione delle competenze sia in materia di "ordinamento della comunicazione" e di "governo del territorio", nelle quali sussiste la competenza legislativa concorrente regionale, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., sia in materia di "urbanistica" e di "edilizia", nelle quali sussiste la competenza "residuale" o esclusiva regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. La realizzazione di questo particolare tipo di infrastrutture tocca in modo evidente gli interessi pubblici connessi con le competenze legislative sopra richiamate. Competenze che non possono ragionevolmente essere travolte da una generalizzata deroga alle previsioni specifiche che in ciascuna Regione ed in ciascun territorio provinciale e comunale debbono essere assunte per governare correttamente lo sviluppo edilizio e i valori paesistici ed ambientali. E', infatti, di ogni evidenza come, non soltanto vi sia un preciso compito affidato alle autonomie regionali, nell'ambito del settore della comunicazione, che lo Stato non puo' invadere in termini arbitrari; ma vi sono anche situazioni urbanistiche ed edilizie, in cui le infrastrutture di telecomunicazioni si vanno ad inserire, che sono ampiamente differenziate, in un territorio nazionale, quale il nostro, ricco di valori paesistici e di differenziate caratteristiche fisiche e morfologiche, che fanno del paesaggio e della tutela del territorio cosi' multiforme uno dei valori fondanti il nostro ordinamento (art. 9, anche in correlazione con gli artt. 41, 42 e 44 Cost.). La disciplina dettata dal decreto impugnato si pone in netta contraddizione con tali valori nel momento in cui impedisce una corretta valutazione, per necessita' differenziata ed adeguata alle singole realta' locali, da parte dei legislatori e delle amministrazioni regionali. 2.3.3. - Altrettanto illegittima e' la disposizione dettata dall'art. 4 del decreto impugnato che, al comma 1, stabilisce che l'installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici e le relative modifiche siano autorizzate dagli enti locali, previo accertamento da parte delle ARPA ovvero degli organismi indicati dalle Regioni, del rispetto di limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualita' stabiliti uniformemente a livello nazionale. Non si vuole escludere la possibilita' che alcuni limiti dettati per la tutela dagli effetti dei campi elettromagnetici vengano imposti in termini uniformi su tutto il territorio nazionale. Quello che la Regione ricorrente non puo' ammettere e' l'esclusione, chiaramente precisata dalla norma impugnata, di ogni possibilita' di specificazione o comunque di adozione di ulteriori misure di garanzia da parte del legislatore regionale. Questa Corte gia' conosce il problema posto dalla necessita' di un intervento regionale a tutela degli interessi sanitari e ambientali della popolazione, a fronte di comportamenti omissivi o eccessivamente permissivi (in relazione alle conoscenze scientifiche e alle indicazioni comunitarie), del Governo nazionale (si fa riferimento al ricorso proposto dallo Stato avverso la legge della Regione Marche n. 25 del 2001 - n. 4/2002 del ruolo). Il principio, piu' volte ribadito da questa Corte, secondo cui e' ammissibile e giustificato l'esercizio delle competenze regionali in questa materia, per garantire una tutela piu' adeguata in relazione alle particolarita' delle situazioni locali, non permette di considerare legittima la formulazione dell'art. 4 del decreto legislativo impugnato. Per la tutela degli interessi sanitari e ambientali il livello territoriale inferiore deve avere la possibilita' di adottare (con atto normativo od amministrativo) misure di tutela piu' restrittive di quelle del livello superiore; unica condizione e' che l'intervento avvenga negli ambiti materiali che la Costituzione affida alle competenze regionali (il che avviene sicuramente in relazione alle infrastrutture di telecomunicazione, la cui realizzazione incide in termini evidenti nelle materie di competenza regionale quali la materia "ordinamento della comunicazione" e la materia "governo del territorio" - entrambe previste come settori di legislazione concorrente - e le materie, "urbanistica" ed "edilizia", rientranti tra quelle di competenza solo regionale). 2.3.4. - Sono altrettanto illegittime le previsioni degli artt. 5 e 6, che dettano una articolata disciplina di dettaglio sui procedimenti di autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici, prevedendo tra l'altro - sia una forma di autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio di attivita', secondo modelli predisposti e definiti in allegato al decreto (art. 5), nonche' una forma di silenzio assenso su tali istanze o denuncie di inizio di attivita' (art. 6). La specificita' della disciplina adottata, che detta regole puntuali in tema di semplificazione del procedimento di autorizzazione, nonche' tempi prefissati di formazione degli atti e di manifestazione della volonta' delle amministrazioni coinvolte (ivi comprese quelle locali), implica una sicura lesione delle competenze legislative regionali, entrando nel dettaglio (e con regole che si presentano strutturalmente - per natura e finalita' - come non derogabili dal legislatore regionale) in un settore che sicuramente rientra, quanto meno, nella competenza regionale concorrente. 2.3.5. - Un ulteriore profilo di violazione del quadro costituzionale delle competenze legislative si puo' collegare con la disciplina di particolare favore dettata in relazione alle opere civili, scavi e occupazioni di suolo pubblico strumentali alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, cosi' come precisate agli artt. 7, 8, 9 e 10 del decreto legislativo impugnato. Si tratta delle norme che stabiliscono una disciplina puntuale delle modalita' - tra cui una particolare procedura di conferenza di servizi - con le quali debbono essere autorizzate le opere civili, gli scavi e l'occupazione di suolo pubblico funzionali alla realizzazione in concreto delle infrastrutture di telecomunicazione (cosi' l'art. 7, che riprende un modulo procedimentale analogo a quello indicato nel precedente art. 5); fissano regole di condivisione dello scavo e di coubicazione dei cavi per le telecomunicazioni (cosi' l'art. 8, che coinvolge direttamente gli operatori nell'attuare questa forma di razionalizzazione); stabiliscono una procedura speciale per l'autoriz-zazione delle c.d. "reti dorsali", fissando anche regole perche' gli enti pubblici, e quindi anche le Regioni e gli altri enti locali, definiscano i programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria o straordinaria delle rispettive opere pubbliche, in modo da garantire le esigenze di programmazione sia delle attivita' strumentali sia dei programmi di installazione delle infrastrutture da parte dei titolari di licenze individuali (v. art. 9). L'assimilazione di tali opere e lavori alle opere di urbanizzazione primaria, anche se di proprieta' privata degli operatori, di per se' dimostra l'invasione della competenza regionale in tutte le materie che si sono fin qui richiamate, come l'urbanistica e l'edilizia, nonche' il governo del territorio. Ma e' altrettanto evidente come la disciplina speciale in ordine a queste particolari opere favorisca alcuni operatori, quelli individuati come di preminente interesse nazionale, con criteri ancora non del tutto specificati dallo stesso Governo, nel settore delle telecomunicazioni, senza che le Regioni - pur competenti in materia di "ordinamento della comunicazione" - abbiano in alcun modo potuto interloquire sulla individuazione di tali soggetti e sulla necessita' di ammetterli a questo regime speciale e derogatorio. Nella stessa censura non puo' non essere incluso l'art. 10 del decreto legislativo impugnato, secondo cui, agli operatori di telecomunicazione puo' essere posto a carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale, ovvero l'ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione, e solo l'obbligo di ripristinare a regola d'arte le medesime nei tempi stabiliti dall'ente locale, fatte salve le tasse ed i canoni di concessione. Anche questa norma si ingerisce in termini indebiti nelle competenze legislative regionali sopra richiamate. 2.3.6. - Non meno lesive sono le disposizioni finali (art. 12) che estendono la disciplina del decreto ai "diversi titoli gia' rilasciati per le installazioni delle infrastrutture" - comma 1 - e attribuiscono valore di dichiarazione di inizio di attivita' alle istanze gia' presentate per gli impianti con tecnologia UMTS o altre con potenza di antenna uguale o inferiore ai 20 Watt - comma 2 -, nonche' prevedono un catasto delle infrastrutture gestito dal Ministero delle comunicazioni. Si tratta, con ogni evidenza, di un'estensione della disciplina derogatoria gia' denunciata come lesiva delle competenze legislative regionali, con l'aggravante che la disciplina retroagisce anche sulle situazioni e le infrastrutture gia' oggetto di autorizzazione o valutazione alla luce di norme emanate nel legittimo esercizio delle competenze regionali, imponendo un adeguamento alla disciplina statale sopravvenuta ancor piu', inammissibile perche' riferito a infrastrutture che - con ogni evidenza - non risultano ancora individuate come di preminente interesse nazionale (non essendo tali, come gia' sopra sostenuto, i "programmi di investimento" di cui all'allegato 5 della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121. E', infine, da contestare l'abrogazione dell'art. 2-bis della legge n. 189 del 1997, sia per la parte in cui tale disposizione imponeva l'adozione di misure di tutela delle popolazioni dagli effetti dei campi elettromagnetici, sia - e soprattutto - per la parte in cui veniva stabilita la necessita' di sottoporre le infrastrutture di telecomunicazione ad idonee procedure di valutazione di impatto ambientale. L'effetto che una simile abrogazione determina e' il venir meno di fondamentali garanzie per la tutela del valore costituzionale "ambiente" al quale, come questa Corte ha anche di recente confermato (sent. n. 407 del 2002), si collegano trasversalmente specifiche competenze legislative regionali, connesse con le materie di legislazione concorrente e residuale. In particolare, l'abrogazione dell'art. 2-bis richiamato viola senza dubbio l'autonomia legislativa della Regione ed e' pertanto costituzionalmente illegittima, per la parte in cui la norma pretenderebbe di escludere la competenza della Regione a prevedere, nell'esercizio delle proprie attribuzioni legislative, l'applicazione di procedure di valutazione d'impatto ambientale anche in relazione ad oggetti non specificamente individuati dalle direttive comunitarie (direttive nn. 337 del 1985, 11 del 1997 e 42 del 2001). 3. - Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, ed in particolare dell'art. 3, comma 2, dell'art. 5 e degli allegati "A" e "B", dell'art. 7 e dell'allegato "C", dell'art. 9 e dell'allegato "D", nonche' dell'art. 12, commi 3 e 4, per lesione della sfera di competenza regolamentare ed amministrativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117, comma sesto, e dell'art. 118, commi primo e secondo, Cost. 3.1. - Le norme e gli allegati del decreto impugnato citati nella rubrica del presente motivo configurano l'esercizio da parte del Governo non solo di una potesta' legislativa, ma anche di una potesta' normativa diretta alla deroga o alla modificazione e integrazione di tutti i regolamenti di esecuzione e di attuazione della legislazione statale e regionale fin qui vigenti. La nuova disciplina prevede, inoltre, numerose ipotesi di allocazione di decisioni amministrative presso il Consiglio dei ministri (artt. 5, comma 7, 7, comma 5, 9, comma 3) e fissa anche regole di raccolta dati (art. 9, comma 5, e art. 12, comma 3), che incardinano in organi statali le relative funzioni ed attivita'. Le disposizioni richiamate si pongono in contrasto con quanto stabilito dall'art. 117, comma sesto, Cost., e dall'art. 118 Cost., che fissano, rispettivamente, una ripartizione rigida della potesta' regolamentare e i parametri costituzionali per la corretta allocazione/distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti che "costituiscono" la Repubblica. Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nelle materie di legislazione esclusiva statale; alle Regioni spetta, invece, "in ogni altra materia". Poiche' l'oggetto della disciplina del decreto impugnato e' riconducibile a materie elencate nell'art. 117, comma terzo e quarto, Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' di dettare norme a contenuto regolamentare, in tale ambito disciplinare, deve essere riconosciuta solo alla Regione. 3.2. - L'evidente illegittimita' costituzionale di queste norme del decreto legislativo impugnato non puo' essere superata neppure sostenendo che allo Stato dovrebbe essere riconosciuto (in denegata ipotesi) un potere di intervenire con norme legislative per la modifica, l'integrazione o la deroga di previgenti discipline regolamentari (statali, regionali o locali) anche in materie diverse da quelle di legislazione statale esclusiva; potere che, nella suddetta denegata ipotesi, sarebbe giustificabile in base alla considerazione che allo Stato sarebbe comunque da riconoscere un potere generale di dettare norme regolamentari in ambiti diversi da quelli indicati nell'art. 117, comma secondo, Cost., a condizione che tali norme risultassero "cedevoli" rispetto alla successiva emanazione di regolamenti regionali. Infatti, una simile ricostruzione si porrebbe in palese contrasto con la ripartizione delle competenze regolamentari stabilita espressamente nella Costituzione; ed e' d'altronde evidente che, nel caso di specie, le norme del decreto legislativo impugnato si pongono come direttamente sostitutive, senza alcun margine di derogabilita', delle norme regolamentari previgenti, escludendo espressamente la propria "cedevolezza", e ledendo cosi' irrimediabilmente le attribuzioni costituzionali della Regione in tema di potesta' regolamentare. 3.3. - Le disposizioni impugnate, come si e' detto, attribuiscono anche funzioni amministrative ad organi dell'amministrazione statale. In proposito, l'art. 118, comma primo, Cost. stabilisce che "le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, citta' metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza". La norma costituzionale non contiene un'attribuzione diretta di funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo; fissa, semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali funzioni da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare di una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza, l'art. 118, primo comma, costituisce necessario parametro di legittimita' costituzionale di ogni intervento normativo finalizzato ad allocare funzioni amministrative. Tale parametro e' individuato nell'esigenza che sussistano specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente motivate in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello "piu' vicino" al cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello di governo "piu' lontano" dal cittadino, ossia al livello statale. Vi e' dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per quello statale, di accompagnare qualunque scelta di allocazione di funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con una analisi ed una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza della scelta (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla norma costituzionale. Cio' implica che la norma che alloca le funzioni dovra' anche enunciare le circostanze e le finalita' che rendono legittima la scelta effettuata. Le disposizioni impugnate non soddisfano tali requisiti, non essendo rinvenibile, neppure implicitamente o indirettamente, alcun riferimento ad una qualunque ragione in grado di giustificare l'attribuzione ad organi statali di funzioni amministrative relative alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione. Anche ove questa Corte volesse ritenere che lo Stato possa autoattribuirsi funzioni amministrative nella materia in oggetto (a prescindere dall'illegittimita' del riconoscimento di una sua potesta' legislativa, denunciata sub 2), senza sottostare ad alcun vincolo formale di espressa indicazione dei presupposti che ne motivano la scelta, le disposizioni impugnate si devono comunque ritenere costituzionalmente illegittime in quanto lesive dei limiti sostanziali che l'art. 118, comma primo, stabilisce per la distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento. In altri termini, una volta individuate le "grandi opere" considerate strategiche - e tra queste le infrastrutture di telecomunicazione - attraverso una valutazione complessiva delle esigenze e dei bisogni dell'intera collettivita' nazionale, non si vede alcun motivo per allocare a livello centrale anche funzioni amministrative che risultino relative alla loro specifica localizzazione sul territorio e alla loro concreta realizzazione. Tali funzioni, infatti, potrebbero adeguatamente essere svolte dalle amministrazioni preposte alla cura degli interessi che insistono sul territorio regionale, ovviamente garantendo il necessario coordinamento con i competenti organi dello Stato. Anche sotto questo profilo risulta evidente la lesione della sfera di autonomia amministrativa della Regione, soprattutto nella parte in cui le disposizioni impugnate limitano il potere della Regione nella definizione delle procedure autorizzatorie attraverso meccanismi che prevedono una compartecipazione formalmente non paritaria e sostituiscono, con norme di rango legislativo, tutte le procedure sin qui avviate. La Regione ricorrente non nega pregiudizialmente l'esigenza di prevedere meccanismi che garantiscano, sia pure nell'ambito di una compartecipazione paritaria di tutti gli enti interessati, la definizione in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale; cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo - e' che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso il mero riconoscimento al legislatore statale della possibilita' di sostituire direttamente e completamente ogni valutazione discrezionale della Regione nell'esercizio dei poteri di autorizzazione in materie di competenza regionale concorrente o addirittura esclusiva. 4. - Illegittimita' costituzionale in particolare degli artt. 9, comma 5, e 10 del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, per lesione della sfera di autonomia finanziaria regionale, particolarmente per violazione dell'art. 119 Cost. 4.1. - Le disposizioni impugnate, per la parte in cui impongono agli enti locali forme di programmazione in tempi predefiniti dal legislatore statale (art. 9, comma 5) e per la parte in cui limitano in modo puntuale - per gli operatori - gli oneri connessi alle attivita' di installazione, scavo ed occupazione di suolo pubblico (art. 10), sono costituzionalmente illegittime anche per contrasto con l'art. 119 Cost. Infatti, il principio dell'autonomia finanziaria (sotto il profilo dell'autonomia di spesa), unitamente alla norma secondo cui "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni", implica necessariamente che tutte le funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle "ordinarie" risultino adeguatamente finanziate attraverso l'attribuzione diretta ai loro bilanci di adeguate risorse, senza vincoli sulle modalita' di spesa. 4.2. - Le norme impugnate violano altresi' l'art. 119 Cost., per la parte in cui impongono oneri finanziari a carico - sia pure indirettamente - delle Regioni. Nella realizzazione delle grandi opere, infatti, e' ammissibile che vi sia un interesse dello Stato a garantire il conseguimento del risultato finale complessivo; cio' che e' costituzionalmente inammissibile e' la limitazione dell'autonomia regionale sulle modalita' e gli strumenti per la realizzazione in concreto degli obiettivi da perseguire. 5. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, per violazione dell'art. 76 Cost., anche sotto il profilo della conseguente lesione delle sfere di autonomia legislativa e amministrativa regionale, di cui agli artt. 117 e 118 Cost. 5.1. - Il fondamento normativo del potere legislativo delegato esercitato con il decreto legislativo n. 198 del 2002 e', come testualmente riconosciuto nel titolo e in premessa, la delega contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001. In questa norma, l'oggetto della delega e' chiaramente individuato nella "definizione di un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1", ossia di quelle "infrastrutture pubbliche e private" e di quegli "insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese", la cui individuazione e' affidata al programma disciplinato dal comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 e da inserire annualmente nel Documento di programmazione economico-finanziaria. La norma di delegazione, prima di individuare i principi e criteri direttivi - tra i quali deve essere sottolineato quello indicato nella lettera c), sulla necessaria "attribuzione al CIPE, integrato dai presidenti delle Regioni e delle province autonome interessate, del compito di valutare le proposte dei promotori, di approvare il progetto preliminare e definitivo, di vigilare sulla esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell'opera e, ove prevista, della VIA istruita dal competente Ministero" - precisa che l'esercizio della delega - sempre "limitatamente alle opere di cui al comma 1" - dovra' contemplare la "riforma" delle procedure di valutazione d'impatto ambientale e dell'autorizzazione integrata ambientale, nonche' l'introduzione di un "regime speciale" rispetto alle disposizioni della legge n. 109 del 1994 che non siano di necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie. 5.2. - Gli artt. 1, 3, commi 2 e 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 stabiliscono norme palesemente eccedenti l'ambito oggettivo della delega legislativa, risultando costituzionalmente illegittime anche per violazione dell'art. 76 Cost., in quanto non contengono alcun riferimento alla limitazione della loro efficacia alle sole infrastrutture di telecomunicazioni da realizzare sulla base della previa individuazione nel programma annuale di cui all'art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001. In particolare, l'art. 1, dopo aver riconosciuto che il decreto detta "principi fondamentali in materia di installazione e modifica delle categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443", individua una complessa e amplissima serie di finalita' riferite all'intera materia delle infrastrutture di telecomunicazioni, del tutto inconciliabili con la suddetta limitazione del campo applicativo del decreto a infrastrutture puntualmente e tassativamente individuate anno per anno. Le altre disposizioni indicate confermano il carattere puramente formale e di facciata del richiamo alla norma di delega, prevedendo una disciplina chiaramente rivolta a tutte le infrastrutture di telecomunicazione da realizzarsi su tutto il territorio nazionale. 5.3. - Inoltre, gli artt. 3, commi 1 e 2, 11 e 12, comma 4, eccedono palesemente l'ambito oggettivo della delega legislativa, in quanto vanno ad incidere illegittimamente su discipline normative che il legislatore delegante non aveva affidato alla disponibilita' del Governo. In particolare, dalla norma di delega non e' possibile ricavare alcun potere di derogare alle norme della legge n. 36 del 2001 (art. 3, comma 1), ne' un generico potere di disporre la deroga, sotto il profilo urbanistico, "ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento" (art. 3, comma 2), ne' il potere di introdurre nell'art. 232 del d.P.R. n. 156 del 1973 la norma di cui all'art. 11, ne', infine, il potere di eliminare le procedure di VIA (art. 12, comma 4), dal momento che la delega contempla, semmai, la loro semplice "riforma". 5.4. - Da ultimo, occorre considerare la specifica violazione dei limiti della delega in relazione all'art. 12, commi 1 e 2, che stabiliscono l'estensione dell'efficacia della nuova disciplina anche alle installazioni di infrastrutture gia' "assentite" dalle amministrazioni o per le quali sia gia' stata presentata domanda di autorizzazione. E' del tutto evidente, infatti, che - in assenza di una qualunque previsione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche nel primo programma approvato dal CIPE con la delibera n. 121 del 21 dicembre 2001 - il decreto legislativo impugnato non potrebbe assumere in alcun modo efficacia retroattiva. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 3, 4, 5, 6 e 7; dell'art. 6, comma 1; dell'art. 7, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7; dell'art. 8, comma 3; dell'art. 9, commi 1, 2 e 3; dell'art. 12, comma 4; del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, per violazione degli artt. 9, 32, 41, 42 e 44 Cost., sotto il profilo della primarieta' da riconoscere al valore costituzionale "ambiente", con conseguente lesione delle sfere di autonomia legislativa e amministrativa regionale, di cui agli artt. 117 e 118 Cost. 6.1. - Le disposizioni indicate stabiliscono, oltre alla gia' ricordata abrogazione della speciale previsione di procedure di valutazione di impatto ambientale, una variegata serie di semplificazioni procedurali (tanto in ordine ai tempi, quanto in ordine alle modalita) finalizzate all'evidente obiettivo di una rappresentazione puramente "accidentale" e comunque "parziale" degli interessi relativi alla tutela dell'ambiente nei processi decisionali per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni. Il sistema cosi' delineato rende evidente, in primo luogo, la totale estromissione delle Regioni da quel ruolo sostanziale ed ineliminabile nell'attuazione del valore costituzionale ambiente che questa Corte ha da sempre riconosciuto loro e che ha avuto modo di confermare nella sentenza n. 407 del 2002; in secondo luogo, la degradazione dell'interesse ambientale da valore costituzionale primario "insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro" (Corte cost., sent. n. 151 del 1986), che - in quanto tale - impone non un vincolo di risultato ma una ponderazione procedimentale rafforzata (di per se' incapace di conciliarsi con meccanismi di "silenzio-assenso" o con la mancata acquisizione esplicita del punto di vista delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale), ad interesse la cui rappresentazione nel processo decisionale puo' essere parziale e prescindibile in ragione di una presunta e aprioristica importanza strategica di un intero settore di attivita' quale quello delle telecomunicazioni.