Ricorso  per  la  Regione  Marche,  in persona del presidente pro
tempore  della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della  giunta  regionale n. 1866 del 22 ottobre 2002, rappresentato e
difeso  dall'avv.  prof.  Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato
presso  lo  studio  di  quest'ultimo in Roma, piazza Barberini n. 12,
come  da  procura  speciale  per  atto  del notaio Sabatini di Ancona
n. rep. 37.248 del 28 ottobre 2002;
    Contro  lo  Stato,  in  persona  del Presidente del Consiglio dei
ministri   pro   tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  del  decreto  legislativo  4  settembre  2002, n. 198
("Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione di infrastrutture
di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo
del  Paese,  a  norma  dell'art. 1,  comma 2, della legge 21 dicembre
2001,  n. 443"),  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale n. 215 del 13
settembre  2002,  per violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost.,
anche  in  relazione  agli  artt. 76,  9,  32, 41, 42 e 44 Cost., nei
termini di seguito prospettati.
    1. - Oggetto del ricorso.
    1.1.   -  Il  4  settembre  2002  e'  stato  emanato  il  decreto
legislativo n. 198 del 2002, indicato in epigrafe, con cui il Governo
ha  esercitato  la  delega legislativa contenuta nell'art. 1, secondo
comma,  della legge n. 443 del 2001 ("Delega al Governo in materia di
infrastrutture   ed   insediamenti  produttivi  strategici  ed  altri
interventi per il rilancio delle attivita' produttive").
    La  Regione Marche, con ricorso depositato il 21 febbraio 2002 ed
iscritto  al  n. 9  del  registro  dei  ricorsi  dell'anno  2002,  ha
impugnato  l'art. 1,  commi  da  1  a  5,  della  legge  indicata per
violazione  delle  competenze regionali costituzionalmente attribuite
dagli articoli 117, 118 e 119 Cost.
    La legge di delegazione cosi' impugnata e' stata, in primo luogo,
attuata  con  l'emanazione  del  decreto legislativo n. 190 del 2002,
contenente  una  serie  di  disposizioni  dirette  a  disciplinare le
procedure  per  la  progettazione,  l'approvazione e la realizzazione
delle  infrastrutture  strategiche di preminente interesse nazionale.
Anche  tale decreto delegato e' stato impugnato dalla Regione Marche,
ai   sensi   dell'art. 127,   secondo   comma,   Cost.,  con  ricorso
tempestivamente  notificato  e  depositato  il  31  ottobre  2002  ed
iscritto al n. 81 del registro dei ricorsi del 2002.
    Il   decreto   legislativo  n. 198  del  2002  dichiara  di  dare
attuazione  allo  stesso  art. 1, comma 2, della legge di delegazione
n. 443  del  2001,  dettando  norme  "in  materia  di installazione e
modifica  delle  categorie  di  infrastrutture  di telecomunicazioni,
considerate  strategiche  ai sensi dell'art. 1, comma 1", della legge
di delegazione.
    Anche  il  decreto  legislativo  n. 198 del 2002 presenta vizi di
illegittimita'   costituzionale  che  configurano  la  lesione  delle
competenze  costituzionalmente  attribuite  alla  Regione  Marche, la
quale   pertanto   lo   impugna   in  questa  sede  per  le  seguenti
considerazioni.
    1.2. - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche
contesta  la  legittimita' costituzionale di tutte le norme contenute
nel  decreto legislativo n. 198 del 2002, ma in particolare di quelle
di cui:
        all'art. 1   (che   definisce   gli   obiettivi  del  decreto
legislativo  in  termini  molto ampi e sicuramente eccedenti l'ambito
oggettivo dell'installazione e della modifica delle infrastrutture di
telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma
1,  della  legge  n. 443  del 2001: agevolare la liberalizzazione del
settore;    conseguire    la    razionalizzazione   delle   procedure
autorizzatorie,  anche  attraverso  un  quadro  normativo  omogeneo a
livello   nazionale;   favorire  e  facilitare  la  diffusione  e  la
realizzazione delle infrastrutture; etc.);
        all'art. 3  (che:  al comma 1, stabilisce che le categorie di
infrastrutture  di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi
dell'art. 1  della  legge  n. 443  del  2001  sono opere di interesse
nazionale,  realizzabili  esclusivamente  sulla  base delle procedure
definite  nel decreto, anche in deroga alle disposizioni dell'art. 8,
comma  1,  lett. c),  legge n. 36 del 2001; al comma 2, dichiara tali
infrastrutture  compatibili  con qualsiasi destinazione urbanistica e
realizzabili  in  ogni parte del territorio comunale, anche in deroga
agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di
regolamento;  al comma 3, rende applicabile la disciplina delle opere
di urbanizzazione primaria alle opere civili ed in genere ai lavori e
alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazione - meglio precisate agli artt. 7, 8 e 9 dello stesso
decreto;
        all'art. 4  (che,  al comma 1, stabilisce che l'installazione
delle  infrastrutture  per  impianti  radioelettrici  e  le  relative
modifiche  siano  autorizzate  dagli enti locali, previo accertamento
del  rispetto  di  limiti  di  esposizione,  valori  di attenzione ed
obiettivi di qualita' stabiliti uniformemente a livello nazionale);
        all'art. 5  (che detta una articolata disciplina di dettaglio
sui  procedimenti  di  autorizzazione relativi alle infrastrutture di
telecomunicazione  per  impianti  radioelettrici,  prevedendo  -  tra
l'altro  -  sia una forma di autorizzazione sia una forma di denuncia
di  inizio  di  attivita',  secondo modelli predisposti e definiti in
allegato al decreto);
        all'art. 6   (che  prevede  una  forma  di  silenzio  assenso
generalizzato sulle istanze di cui al precedente art. 5);
        agli artt. 7, 8 e 9 (che stabiliscono una disciplina puntuale
delle  modalita' - tra cui una particolare procedura di conferenza di
servizi  -  con  le quali si possono autorizzare le opere civili, gli
scavi   e   l'occupazione   di   suolo   pubblico   funzionali   alle
infrastrutture  di  telecomunicazione  -  art. 7;  fissano  regole di
condivisione   dello   scavo  e  di  coubicazione  dei  cavi  per  le
telecomunicazioni  -  art. 8; stabiliscono una procedura speciale per
l'autorizzazione  delle  c.d.  "reti  dorsali", fissando anche regole
perche' gli enti pubblici, e quindi anche le Regioni e gli altri enti
locali,  definiscano  i  programmi di realizzazione o di manutenzione
ordinaria  o  straordinaria delle rispettive opere pubbliche, in modo
da  garantire  le  esigenze  di  programmazione  sia  delle attivita'
strumentali  sia  dei programmi di installazione delle infrastrutture
da parte dei titolari di licenze individuali - art. 9);
        all'art. 10 (secondo cui, agli operatori di telecomunicazione
puo'  essere  posto  a carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente
locale,  ovvero  l'ente  proprietario,  dalle spese necessarie per le
opere  di  sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte
dagli  interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a
regola d'arte le medesime nei tempi stabiliti dall'ente locale, fatte
salve le tasse ed i canoni di occupazione);
        all'art. 11  (che aggiunge all'art. 232 del testo unico delle
disposizioni  legislative  in  materia  postale,  di  bancoposta e di
telecomunicazioni  -  d.P.R.  29 marzo 1973, n. 156 - un comma per il
quale  "l'operatore di telecomunicazioni incaricato del servizio puo'
agire   direttamente  in  giudizio  per  far  cessare  impedimenti  o
turbativa al passaggio ed alla installazione delle infrastrutture");
        all'art. 12 (contenente disposizioni finali, che estendono la
disciplina  del  decreto  ai  "diversi  titoli gia' rilasciati per le
installazioni  delle  infrastrutture"  -  comma  1  - e attribuiscono
valore  di  dichiarazione  di  inizio  di attivita' alle istanze gia'
presentate  per  gli impianti con tecnologia UMTS o altre con potenza
di  antenna  uguale  o inferiore ai 20 Watt - comma 2 -; prevedono un
catasto    delle   infrastrutture   gestito   dal   Ministero   delle
comunicazioni;  abrogano  l'art. 2-bis  della  legge  1  luglio 1997,
n. 189,  gia'  diretto  a  garantire  il rispetto delle norme vigenti
relative  ai  rischi  sanitari  per la popolazione, in particolare in
merito   ai  campi  elettromagnetici  da  essi  generati,  nonche'  a
sottoporre   le  infrastrutture  di  telecomunicazione  ad  opportune
procedure di valutazione di impatto ambientale).
    Le norme del decreto legislativo n. 198 del 2002 sono lesive:
        della    competenza   legislativa   regionale,   cosi'   come
individuata  dal  combinato  disposto  dell'art. 117,  commi secondo,
terzo e quarto, Cost.;
        della   competenza   regolamentare   regionale,   cosi'  come
individuata dall'art. 117, comma sesto, Cost.;
        della   competenza   amministrativa   regionale,  cosi'  come
individuata dall'art. 118, commi primo e secondo, Cost.;
        dell'autonomia  finanziaria regionale, cosi' come individuata
dall'art. 119 Cost.
    La  Regione  Marche  ritiene,  altresi', che il d.lgs. n. 190 del
2002 invada le proprie attribuzioni costituzionali anche per la parte
in  cui si discosta palesemente dalle stesse prescrizioni della legge
di delegazione n. 443 del 2001, violando l'art. 76 Cost., nonche' per
la  parte  in  cui  viola  il  valore  costituzionale  della  "tutela
dell'ambiente",   che   trova   riconoscimento  nell'art. 117,  comma
secondo, lett. s), Cost., in correlazione con gli artt. 9, 32, 41, 42
e 44 Cost.
    2.  -  Illegittimita'  costituzionale  del  decreto legislativo 4
settembre  2002, n. 198, ed in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6,
7,  8,  9,  10,  12 per lesione della sfera di competenza legislativa
regionale,   particolarmente   per  violazione  dell'art. 117,  commi
secondo, terzo e quarto, Cost.
    2.1.  - La disciplina contenuta nel decreto legislativo impugnato
dovrebbe   essere  finalizzata  ad  accelerare  la  realizzazione  di
infrastrutture    di    telecomunicazioni    strategiche    per    la
modernizzazione  e  lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma
2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.
    L'oggetto  della disciplina e' definito in termini molto ampi e -
come  si  dira' - del tutto al di fuori dei confini individuati nella
legge   di   delegazione,   sino   a  comprendere  tutta  la  materia
dell'installazione     e    modifica    delle    infrastrutture    di
telecomunicazioni,  al  fine  di  consentire  la liberalizzazione del
settore; razionalizzando le procedure autorizzatorie, anche imponendo
un  quadro  normativo  omogeneo  a  livello nazionale, per favorire e
facilitare la diffusione e la realizzazione di tali infrastrutture.
    2.1.1.  -  Tale  oggetto  non  e'  riconducibile  alla competenza
legislativa esclusiva che l'art. 117, comma secondo, Cost., riconosce
allo   Stato.   Infatti,  nessuna  delle  materie  elencate  in  tale
disposizione   costituzionale  e'  in  grado  di  costituire  per  il
legislatore  statale  titolo  legittimante  all'esercizio di potesta'
legislativa  nella  disciplina  delle  modalita'  di approvazione dei
progetti di infrastrutture di telecomunicazione.
    In  particolare,  come  gia'  la  Regione Marche ha sostenuto nel
ricorso n. 9 del 2002, in relazione all'art. 1 della legge n. 443 del
2001,  e  nel  ricorso  n. 81  del  2002,  in  relazione  al  decreto
legislativo  n. 190  del 2002, le norme impugnate non possono trovare
fondamento   nell'art. 117,   comma   secondo,   lettera   e),  della
Costituzione,  che  riserva allo Stato la "tutela della concorrenza".
La  disciplina dettata dal legislatore statale non ha difatti solo lo
scopo  di  proteggere il libero gioco della concorrenza, ma quello di
assicurare  la  realizzazione di opere "strategiche" (e, forse, anche
di  quelle non definite tali), con una procedura del tutto speciale e
derogatoria  rispetto  a  quella  ordinaria,  assorbendo senza alcuna
legittimazione   la  competenza  regionale  ed  imponendo  specifiche
procedure  non  in  grado  di  per se' di garantire l'uniformita' del
mercato.
    Ne'  si  potrebbe  affermare  che l'oggetto delle norme impugnate
rientri   nella   "determinazione   dei   livelli   essenziali  delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto il territorio nazionale", materia riservata allo
Stato ai sensi della lettera m) del secondo comma dell'art. 117 Cost.
E'  difatti evidente che la determinazione dei livelli essenziali per
garantire  determinati  diritti  sul territorio nazionale e' cosa del
tutto  diversa  dalla  decisione circa la necessita' di realizzare le
infrastrutture  di  comunicazione  e circa la loro localizzazione sul
territorio.  Cio'  e'  dimostrato  dallo stesso carattere derogatorio
della  disciplina  e  dal carattere discrezionale delle scelte che si
presuppone  vengano effettuate nella programmazione di questo tipo di
opere:  non  e'  senza significato la circostanza che i programmi per
l'installazione  di queste infrastrutture non sono nemmeno decisi dal
Governo  o  da  poteri  pubblici,  ma  sono  il  frutto  di decisioni
imprenditoriali che vengono svolte (sia pure nell'ambito di controlli
e forme rigorose di autorizzazione) da operatori privati.
    Ne',  infine,  si  potrebbe ritenere che le norme impugnate siano
riconducibili  alla  "tutela  dell'ambiente",  materia riservata alla
potesta'  legislativa  statale  dall'art. 117, comma secondo, lettera
s),  Cost.  La disciplina contenuta nel d.lgs. n. 198 del 2002, cosi'
come quelle contenute nel d.lgs. n. 190 del 2002 e nella legge n. 443
del  2001,  non  risponde  solo  a  scopi  ed  esigenze di protezione
ambientale,  valore  quest'ultimo destinato piuttosto ad operare come
necessario  controlimite  rispetto  all'interesse  alla realizzazione
delle  infrastrutture  di  telecomunicazione  (come del resto risulta
dalle  stesse  finalita' espresse nell'art. 1, comma 1, lettere d) ed
f), che richiamano espressamente la legge n. 36 del 2001).
    2.1.2.  -  La disciplina impugnata puo' solo essere ricondotta ad
ambiti di competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117,
terzo  comma,  Cost.  (e  piu' precisamente alla materia "ordinamento
della  comunicazione"  ed  alla  materia  "governo  del  territorio",
nonche'  alla  materia  "tutela  della  salute"), ovvero a materie di
legislazione  residuale  regionale,  ai  sensi  dell'art. 117, quarto
comma, Cost.
    La disciplina, nei termini cosi' ampi ed omnicomprensivi indicati
dal  decreto impugnato, non e' peraltro riconducibile ad altri ambiti
individuati  nell'art. 117,  comma  terzo,  Cost.,  e  affidati  alla
legislazione  concorrente  dello  Stato e delle Regioni. E', infatti,
difficile  ricondurre  le  infrastrutture  di telecomunicazione a una
materia  ipoteticamente  identificabile nei "lavori e opere pubbliche
di  interesse  nazionale";  materia,  questa,  che non e' contemplata
nell'elenco    della    disposizione    costituzionale   e   la   cui
configurabilita',  anzi,  e'  da  ritenere esplicitamente esclusa dal
fatto  che  nel  medesimo  elenco compaiono materie delimitate (e non
riconducibili  a  quella oggetto del decreto impugnato) come "porti e
aeroporti  civili",  "grandi  reti  di  trasporto  e di navigazione",
"produzione,  trasporto  e  distribuzione nazionale dell'energia". E'
quindi  evidente che l'art. 117, comma terzo, potrebbe consentire una
potesta'  legislativa  concorrente dello Stato solo ed esclusivamente
in relazione alle opere pubbliche strettamente ricomprese nei settori
materiali ivi indicati (e sopra richiamati).
    D'altronde, anche sotto questo profilo, la disciplina del decreto
impugnato   si   pone   chiaramente   in   contrasto   con  il  ruolo
specificamente  riservato  allo Stato nella legislazione concorrente;
ruolo  che  la  norma  costituzionale  limita alla determinazione dei
principi  fondamentali  della  materia  e,  dunque, solo agli aspetti
relativi al "modo di esercizio della potesta' legislativa regionale",
senza  "comportare  l'inclusione  o  l'esclusione  di singoli settori
dalla  materia  o  dall'ambito di essa". Piu' precisamente, si devono
ritenere   e   qualificare   "principi   fondamentali" -   anche  con
riferimento  alla  nuova  formulazione  dell'art. 117 Cost. - "solo i
nuclei  essenziali  del  contenuto  normativo che quelle disposizioni
esprimono  per  i  principi  enunciati  o  da esse desumibili" (Corte
costituzionale, sent. n. 482 del 1995).
    Il  decreto  legislativo  impugnato,  pur  affermando,  nel primo
periodo  dell'art. 1,  di  voler  dettare  "principi  fondamentali in
materia",  prevede  un'esplicita  deroga  ai  normali  procedimenti e
competenze  nella  decisione sulla realizzazione delle infrastrutture
di  telecomunicazione,  sacrificando in maniera del tutto illegittima
ed  incoerente,  quel  contenuto  minimo  dell'autonomia  legislativa
regionale  che,  nelle materie attribuite alla competenza legislativa
concorrente  delle Regioni, il legislatore statale non puo' viceversa
comprimere o eliminare.
    Piu' precisamente, e' certo che i principi fondamentali stabiliti
dalle  leggi-quadro  nazionali  debbano  avere un "livello di maggior
astrattezza"   rispetto   alle  regole  positivamente  stabilite  dal
legislatore  regionale  (Corte cost., sent. n. 65 del 2001) e debbono
comunque  lasciare ampi spazi decisionali agli organi rappresentativi
della  comunita' regionale, nelle materie affidate costituzionalmente
alla loro competenza concorrente.
    Anche  ad  ammettere  che  lo  Stato  abbia  il potere di emanare
discipline  autoapplicative  o di dettaglio nelle materie di potesta'
legislativa   concorrente,   si  deve  ricordare  che,  per  costante
giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo
attraverso  norme  a  carattere cedevole rispetto agli interventi del
legislatore  regionale.  Carattere,  con tutta evidenza, da escludere
per  le norme impugnate, che si riferiscono, comunque ad opere che lo
Stato  intende  chiaramente disciplinare (e, di fatto, disciplina) in
via   esclusiva  (senza  lasciare  alcun  spazio  di  autonomia  alla
legislazione  regionale) e che, pertanto, risultano gravemente lesive
della competenza legislativa della Regione.
    2.1.3.  -  L'ambito  di disciplina del decreto legislativo n. 198
del  2002 si riferisce ad infrastrutture strategiche private definite
come di preminente interesse nazionale, citate anche nell'art. 13 del
decreto legislativo n. 190 del 2002. Ne' si comprende chiaramente con
quale  criterio  tali  infrastrutture siano da ricondurre nell'ambito
delle  infrastrutture  di  cui  all'art. 1,  comma  1, della legge di
delegazione   n. 443   del   2001:   non  risulta,  infatti,  che  le
infrastrutture  di  telecomunicazione  siano  state  individuate  dal
Governo, quali infrastrutture rientranti nell'ambito della disciplina
derogatoria  prevista dal legislatore delegante, secondo la procedura
individuata  dallo  stesso  art. 1,  comma  1, della legge n. 443 del
2001.   Le  infrastrutture  di  telecomunicazione  non  risultano  in
particolare  individuate  con esattezza nel provvedimento CIPE del 21
dicembre 2001, n. 121, che, in sede di prima applicazione della legge
n. 443  del  2001,  ha  semplicemente  esposto (nell'allegato n. 5) i
flussi  di investimento indicati dal Ministero delle infrastrutture e
dei  trasporti,  su proposta del Ministero delle comunicazioni, senza
che  tale  deliberazione  risulti  -  fino  ad  oggi  - seguita dalla
distinta delle opere, che dovra' essere approvata con le modalita' di
cui allo stesso art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001.
    L'oggetto  del  decreto  legislativo  impugnato  con  il presente
ricorso,  non  essendo  riconducibile ad alcuno dei settori materiali
elencati  espressamente  nell'art. 117,  comma  secondo, Cost., e non
essendo  ancora  individuato ne' individuabile nella sua concretezza,
e'   quindi  da  ritenere  affidato  sia  alla  potesta'  legislativa
concorrente   delle   Regioni   in   materia  di  "ordinamento  della
comunicazione" sia alla potesta' legislativa residuale delle Regioni,
di  cui  al  comma  quarto  dello  stesso  art.  117, con conseguente
esclusione  di  qualunque  titolo  di  legittimazione  per interventi
normativi,  di  dettaglio  e  a  carattere non cedevole, da parte del
legislatore statale.
    2.1.4.  -  Ne'  il  riferimento  all'"interesse  nazionale"  puo'
giustificare l'attribuzione allo Stato della potesta' di disciplinare
l'installazione  e  la  modifica  in concreto delle infrastrutture di
telecomunicazione  considerate  come "strategiche", da realizzare sul
territorio delle singole Regioni.
    Indipendentemente  dalla  circostanza  che,  in  nessun  modo, il
limite  dell'interesse  nazionale  e'  espressamente menzionato nelle
norme  del  Titolo  V  della  Costituzione,  (quale  risulta  dopo le
modifiche  apportate  con  la  legge  cost.  n. 3  del 2001), si deve
comunque rilevare che il riferimento all'interesse nazionale non puo'
di  per  se' escludere la potesta' legislativa regionale negli ambiti
materiali di competenza concorrente o residuale di cui ai commi terzo
e quarto dell'art. 117 Cost.
    Cio'  e' dimostrato dal gia' citato elenco delle materie affidate
alla  competenza concorrente, in cui figurano, oltre all'"ordinamento
della  comunicazione",  i "porti e aeroporti civili", le "grandi reti
di   trasposto   e  di  navigazione",  la  "produzione,  trasporto  e
distribuzione  nazionale dell'energia": materie cioe' che, pur avendo
inequivocabilmente  dimensione  nazionale, appartengono espressamente
alla  competenza regionale. Tutte le infrastrutture non riconducibili
alle  categorie  ora  citate,  che  pure  possono, essere, in qualche
misura, di interesse nazionale, debbono quindi essere considerate tra
quelle rientranti nella competenza legislativa esclusiva regionale.
    Le  infrastrutture di telecomunicazione rientrano, per una parte,
nella  competenza  concorrente di cui alla materia "ordinamento della
comunicazione",  e, per ogni altro profilo, negli ambiti materiali di
competenza  legislativa residuale delle Regioni, come l'urbanistica e
l'edilizia ovvero anche come l'industria ed il commercio. Non si puo'
quindi  assumerle  nell'ambito della competenza statale semplicemente
sulla base di un loro presunto carattere di "interesse nazionale".
    La  scelta  del legislatore di revisione costituzionale e' stata,
infatti,  chiaramente  quella  di non attribuire al rilievo nazionale
dell'opera  e  agli  interessi  nazionali  da  essa  soddisfatti,  il
significato  di  un  fattore di esclusione della potesta' legislativa
regionale.
    Il   nuovo   testo  costituzionale,  non  prevedendo  l'interesse
nazionale  come  limite  alla potesta' legislativa delle Regioni, non
prevede  anche  l'esercizio  di  un  generale  potere  di indirizzo e
coordinamento   (che,   nel   contesto   costituzionale   previgente,
costituiva  il  corollario  positivo  dell'interesse  nazionale). Ed,
infatti,  la tutela degli interessi nazionali - o ultraregionali - e'
espressa,  nel  nuovo  art.  117  Cost.,  solo in sede di elencazione
tassativa   dei  compiti  specificatamente  riservati  alla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato.
    2.2.  -  La  palese  violazione dell'assetto costituzionale delle
competenze  legislative  dello Stato e delle Regioni risulta evidente
anche  nell'ipotesi in cui si volesse ammettere che, sulla base ed in
forza  dell'art.  118,  comma primo, Cost., si possa riconoscere allo
Stato  una  competenza  legislativa  ulteriore  rispetto ai titoli di
legittimazione  ricavabili  dall'art. 117  Cost.  Si  tratterebbe, in
questa  prospettiva,  di  muovere  dalla  necessita', in concreto, di
attribuire  allo  Stato  determinate funzioni amministrative, in base
alla  sussistenza  di  esigenze  di  "esercizio unitario", secondo "i
principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed adeguatezza" e di
riconoscere  a  tal  fine una competenza legislativa statale ad hoc -
anche  in  materie  di legislazione regionale - destinata ad allocare
tali  funzioni  e  a  disciplinarne  inevitabilmente  le modalita' di
organizzazione e di esercizio.
    Una  simile ipotesi si pone in contrasto con l'impianto formale e
sostanziale  dell'art. 117, ne' risulta giustificata in ragione della
migliore  attuazione  possibile dei principi contenuti nell'art. 118.
Anche in tale ipotesi, peraltro, l'intervento legislativo dello Stato
-  che  comunque  sarebbe  da  considerare  ammissibile solo se ed in
quanto   risultasse  rigorosamente  limitato  alla  disciplina  delle
funzioni  amministrative  attratte  nella  sfera statale (il che, nel
caso  di  specie,  non avviene) - dovrebbe necessariamente rispettare
almeno due condizioni:
        a)  che risultassero motivate espressamente e puntualmente le
specifiche    esigenze   di   esercizio   unitario   delle   funzioni
amministrative  in  grado  di  giustificarne l'attrazione nella sfera
statale,    in    conformita'    ai   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza;
        b)  che  fosse  rispettato  un  procedimento  di "codecisione
paritaria"  con  le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta
dell'intervento  normativo  statale  su  ambiti materiali formalmente
spettanti  al  legislatore regionale. La necessita' di rispettare una
simile  condizione  trova  conferma  nel  meccanismo previsto, per le
leggi  del  Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001,
nel quale si prevede che la commissione parlamentare per le questioni
regionali,   integrata   con   i   rappresentanti   delle   autonomie
territoriali,   debba   sempre  esprimere  un  parere,  ad  efficacia
rinforzata,  su  tutti  i progetti di legge riguardanti le materie di
legislazione  concorrente  e  l'autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali.
    Tale   norma   costituzionale  puo'  dare  luogo  a  due  diverse
interpretazioni   (ed  entrambe  convincono  dell'illegittimita'  del
decreto  legislativo  impugnato).  O  si  ritiene  che  l'art. 11 sia
direttamente   prescrittivo   e  vincolante,  ed  allora  il  decreto
legislativo   impugnato   e'   costituzionalmente   illegittimo   per
incostituzionalita'  della  stessa  legge di delega (legge n. 443 del
2001),  in  quanto  approvata  in  violazione  dell'art. 11; e cio' a
maggior   ragione,   poiche'   disciplina   anche   ambiti  oggettivi
riconducibili  alla  legislazione  residuale delle Regioni. Ovvero si
ritiene  che  la  norma  abbia carattere meramente facoltizzante, per
l'attivazione  dello  specifico  meccanismo  contemplato, ma si debba
considerare vincolante, in ordine al principio costituzionale ad essa
sotteso:  la  leale  collaborazione  tra  Stato  e  Regioni; cio', in
particolare, sotto il profilo dell'esigenza (opportunamente avvertita
dal   legislatore   di  revisione  costituzionale)  di  garantire  la
partecipazione   paritaria  delle  Regioni  a  tutti  i  procedimenti
decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia
costituzionalmente  riconosciute; ed in questa ipotesi, e' innegabile
la  necessita' di adottare, anche per gli atti normativi del Governo,
un meccanismo idoneo a tale scopo.
    Nel  caso  del  decreto  impugnato, si puo' facilmente constatare
come tale meccanismo non sia stato adottato, cosi' come non risultano
ragionevolmente    riferibili    a   tutte   le   infrastrutture   di
telecomunicazione    genericamente   individuate   dal   decreto   le
motivazioni  indicate  nell'art. 1  dello  stesso decreto. Assenza di
idonea  giustificazione  tanto  piu' grave in presenza di una precisa
scelta  della  legge  di  revisione costituzionale che ha inserito la
materia  "ordinamento  della  comunicazione" tra quelle di competenza
concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.
    2.3.  -  Tutte  le disposizioni citate nell'epigrafe del presente
motivo  sono  da  considerare  costituzionalmente  illegittime per le
ragioni esposte nei precedenti paragrafi.
    2.3.1.  -  In  particolare, si puo' sottolineare l'illegittimita'
dell'art. 1,  che,  con ampiezza di formulazione, individua finalita'
sufficientemente generiche per giustificare la disciplina derogatoria
introdotta   in   materia   di   installazione   e   modifica   delle
infrastrutture di telecomunicazione.
    Non  si  vede  per  quale motivo la liberalizzazione del settore,
cosi'  come  la  realizzazione di infrastrutture di nuova generazione
implichi, di per se', la necessita' di uniformare a livello nazionale
le  procedure  autorizzatorie  e  di  dettare una disciplina speciale
sulle  modalita'  di  acquisizione  delle  indispensabili valutazioni
degli  interessi pubblici (di notevole delicatezza, come, ad esempio,
quelli  relativi  alla  tutela della salute e dell'ambiente, ma anche
quelli  attinenti  alla  materia "ordinamento della  comunicazione")
coinvolti dalla realizzazione di queste infrastrutture.
    Non  si  vede,  inoltre,  come sia ammissibile che il legislatore
statale  possa  imporre  una  procedura  derogatoria  ed  unificata a
livello  nazionale  per  opere  che sicuramente rientrano anche nella
competenza  regionale (data l'evidente connessione dell'oggetto della
disciplina  con  materie  di competenza regionale sia concorrente che
residuale).  La  lesione della competenza della Regione e' tanto piu'
grave,  perche'  e'  sicuramente difficile individuare quali siano le
installazioni  in  cui  l'interesse  regionale non sia da considerare
concorrente  con quello statale ed e' comunque inammissibile che tale
situazione  (ove  possa  verificarsi) venga individuata sulla base di
regole imposte dallo Stato.
    2.3.2.  - Particolarmente evidente e' la lesione delle competenze
legislative  regionali  che  deriva  dalla disciplina dell'art. 3 del
decreto  impugnato,  per  la parte in cui afferma che le categorie di
infrastrutture  di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi
dell'art. 1  della  legge  n. 443  del  2001  sono opere di interesse
nazionale,  realizzabili  esclusivamente  sulla  base delle procedure
definite  nel decreto, anche in deroga alle disposizioni dell'art. 8,
comma 1, lett. c), legge n. 36 del 2001.
    La  legge  quadro  n. 36 del 2001 aveva correttamente previsto la
competenza  legislativa  regionale  nel  definire le modalita' per il
rilascio delle autorizzazioni all'installazione degli impianti, anche
nell'ambito  delle  previgenti norme del Titolo V della seconda parte
della  Costituzione.  E'  evidente come l'esclusione della competenza
regionale  sia del tutto ingiustificata nel vigore del nuovo art. 117
Cost., che fra l'altro assegna alle Regioni la competenza concorrente
in materia di "ordinamento della comunicazione".
    L'assorbimento  di  ogni  competenza regionale, nella definizione
delle  procedure  autorizzatorie  da  parte  dello  Stato,  assume il
carattere di una vera e propria imposizione di scelte urbanistiche ed
edilizie,  oltre  che di scelte aventi specifica attinenza al settore
della  comunicazione,  in  nessun  modo filtrate da intese o forme di
coordinamento   con  le  Regioni  o  gli  enti  locali,  in  sede  di
localizzazione  e  definizione della disciplina urbanistica di queste
installazioni.
    Ne  sono una prova evidente le norme di cui ai commi 2 e 3, dello
stesso  art. 3  del decreto impugnato, nelle quali si dichiara che le
infrastrutture  di  telecomunicazione  sono  comunque compatibili con
qualsiasi  destinazione  urbanistica e sono realizzabili in ogni pane
del  territorio comunale, "anche in deroga agli strumenti urbanistici
e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento" (v. comma 2),
con  la  precisazione che la disciplina delle opere di urbanizzazione
primaria  e'  applicabile  alle opere civili ed in genere ai lavori e
alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazione,  meglio precisate agli artt. 7, 8 e 9 dello stesso
decreto (v. comma 3).
    E'  evidente  come  questa  deroga  alle  previsioni  edilizie ed
urbanistiche   locali   costituisca   una   palese  violazione  delle
competenze  sia  in materia di "ordinamento della comunicazione" e di
"governo   del   territorio",  nelle  quali  sussiste  la  competenza
legislativa  concorrente  regionale,  ai  sensi  dell'art. 117, terzo
comma,  Cost., sia in materia di "urbanistica" e di "edilizia", nelle
quali  sussiste  la  competenza "residuale" o esclusiva regionale, ai
sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.
    La  realizzazione  di  questo  particolare tipo di infrastrutture
tocca  in  modo  evidente  gli  interessi  pubblici  connessi  con le
competenze  legislative  sopra richiamate. Competenze che non possono
ragionevolmente  essere  travolte  da  una  generalizzata deroga alle
previsioni   specifiche   che  in  ciascuna  Regione  ed  in  ciascun
territorio   provinciale   e  comunale  debbono  essere  assunte  per
governare correttamente lo sviluppo edilizio e i valori paesistici ed
ambientali.  E',  infatti, di ogni evidenza come, non soltanto vi sia
un preciso compito affidato alle autonomie regionali, nell'ambito del
settore  della  comunicazione,  che  lo  Stato  non  puo' invadere in
termini  arbitrari;  ma  vi  sono  anche  situazioni  urbanistiche ed
edilizie,  in  cui le infrastrutture di telecomunicazioni si vanno ad
inserire,   che  sono  ampiamente  differenziate,  in  un  territorio
nazionale,   quale  il  nostro,  ricco  di  valori  paesistici  e  di
differenziate  caratteristiche  fisiche e morfologiche, che fanno del
paesaggio  e  della  tutela  del  territorio cosi' multiforme uno dei
valori  fondanti il nostro ordinamento (art. 9, anche in correlazione
con  gli  artt. 41, 42 e 44 Cost.). La disciplina dettata dal decreto
impugnato si pone in netta contraddizione con tali valori nel momento
in   cui   impedisce   una   corretta   valutazione,  per  necessita'
differenziata  ed  adeguata alle singole realta' locali, da parte dei
legislatori e delle amministrazioni regionali.
    2.3.3.  -  Altrettanto  illegittima  e'  la  disposizione dettata
dall'art. 4  del  decreto  impugnato  che, al comma 1, stabilisce che
l'installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici e le
relative  modifiche  siano  autorizzate  dagli  enti  locali,  previo
accertamento  da  parte  delle  ARPA  ovvero degli organismi indicati
dalle  Regioni,  del  rispetto  di  limiti  di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualita' stabiliti uniformemente a livello
nazionale.
    Non  si vuole escludere la possibilita' che alcuni limiti dettati
per  la  tutela  dagli  effetti  dei  campi  elettromagnetici vengano
imposti  in termini uniformi su tutto il territorio nazionale. Quello
che  la  Regione  ricorrente  non  puo'  ammettere  e'  l'esclusione,
chiaramente  precisata dalla norma impugnata, di ogni possibilita' di
specificazione o comunque di adozione di ulteriori misure di garanzia
da parte del legislatore regionale.
    Questa  Corte  gia' conosce il problema posto dalla necessita' di
un   intervento   regionale  a  tutela  degli  interessi  sanitari  e
ambientali  della  popolazione,  a fronte di comportamenti omissivi o
eccessivamente  permissivi (in relazione alle conoscenze scientifiche
e  alle  indicazioni  comunitarie),  del  Governo  nazionale  (si  fa
riferimento  al  ricorso  proposto dallo Stato avverso la legge della
Regione  Marche  n. 25 del 2001 - n. 4/2002 del ruolo). Il principio,
piu'  volte  ribadito  da  questa Corte, secondo cui e' ammissibile e
giustificato   l'esercizio   delle  competenze  regionali  in  questa
materia,  per  garantire  una  tutela piu' adeguata in relazione alle
particolarita'  delle  situazioni locali, non permette di considerare
legittima   la   formulazione  dell'art. 4  del  decreto  legislativo
impugnato.  Per  la  tutela  degli interessi sanitari e ambientali il
livello territoriale inferiore deve avere la possibilita' di adottare
(con   atto  normativo  od  amministrativo)  misure  di  tutela  piu'
restrittive  di quelle del livello superiore; unica condizione e' che
l'intervento  avvenga  negli  ambiti  materiali  che  la Costituzione
affida  alle  competenze  regionali  (il  che  avviene sicuramente in
relazione   alle   infrastrutture   di   telecomunicazione,   la  cui
realizzazione  incide in termini evidenti nelle materie di competenza
regionale  quali  la  materia  "ordinamento della comunicazione" e la
materia  "governo del territorio" - entrambe previste come settori di
legislazione concorrente - e le materie, "urbanistica" ed "edilizia",
rientranti tra quelle di competenza solo regionale).
    2.3.4. - Sono altrettanto illegittime le previsioni degli artt. 5
e   6,  che  dettano  una  articolata  disciplina  di  dettaglio  sui
procedimenti   di  autorizzazione  relativi  alle  infrastrutture  di
telecomunicazione per impianti radioelettrici, prevedendo tra l'altro
- sia una forma di autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio
di  attivita',  secondo modelli predisposti e definiti in allegato al
decreto  (art. 5),  nonche'  una  forma  di  silenzio assenso su tali
istanze o denuncie di inizio di attivita' (art. 6).
    La  specificita'  della  disciplina  adottata,  che  detta regole
puntuali   in   tema   di   semplificazione   del   procedimento   di
autorizzazione,  nonche'  tempi prefissati di formazione degli atti e
di manifestazione della volonta' delle amministrazioni coinvolte (ivi
comprese  quelle locali), implica una sicura lesione delle competenze
legislative  regionali,  entrando  nel dettaglio (e con regole che si
presentano  strutturalmente  -  per  natura  e  finalita'  - come non
derogabili  dal  legislatore regionale) in un settore che sicuramente
rientra, quanto meno, nella competenza regionale concorrente.
    2.3.5.   -   Un   ulteriore  profilo  di  violazione  del  quadro
costituzionale  delle competenze legislative si puo' collegare con la
disciplina  di  particolare  favore  dettata  in relazione alle opere
civili,  scavi  e  occupazioni  di  suolo  pubblico  strumentali alla
realizzazione  delle  infrastrutture di telecomunicazione, cosi' come
precisate agli artt. 7, 8, 9 e 10 del decreto legislativo impugnato.
    Si  tratta  delle  norme che stabiliscono una disciplina puntuale
delle  modalita' - tra cui una particolare procedura di conferenza di
servizi  -  con  le quali debbono essere autorizzate le opere civili,
gli   scavi   e  l'occupazione  di  suolo  pubblico  funzionali  alla
realizzazione  in  concreto delle infrastrutture di telecomunicazione
(cosi'  l'art. 7,  che  riprende  un  modulo procedimentale analogo a
quello   indicato   nel   precedente   art. 5);   fissano  regole  di
condivisione   dello   scavo  e  di  coubicazione  dei  cavi  per  le
telecomunicazioni  (cosi'  l'art. 8,  che  coinvolge direttamente gli
operatori    nell'attuare   questa   forma   di   razionalizzazione);
stabiliscono  una procedura speciale per l'autoriz-zazione delle c.d.
"reti  dorsali",  fissando  anche regole perche' gli enti pubblici, e
quindi  anche  le  Regioni  e  gli  altri  enti locali, definiscano i
programmi   di   realizzazione   o   di   manutenzione   ordinaria  o
straordinaria  delle rispettive opere pubbliche, in modo da garantire
le esigenze di programmazione sia delle attivita' strumentali sia dei
programmi di installazione delle infrastrutture da parte dei titolari
di licenze individuali (v. art. 9).
    L'assimilazione   di   tali   opere   e   lavori  alle  opere  di
urbanizzazione   primaria,  anche  se  di  proprieta'  privata  degli
operatori, di per se' dimostra l'invasione della competenza regionale
in   tutte   le   materie  che  si  sono  fin  qui  richiamate,  come
l'urbanistica e l'edilizia, nonche' il governo del territorio.
    Ma  e' altrettanto evidente come la disciplina speciale in ordine
a   queste  particolari  opere  favorisca  alcuni  operatori,  quelli
individuati  come  di  preminente  interesse  nazionale,  con criteri
ancora  non  del  tutto specificati dallo stesso Governo, nel settore
delle  telecomunicazioni,  senza  che  le Regioni - pur competenti in
materia  di "ordinamento della comunicazione" - abbiano in alcun modo
potuto  interloquire  sulla  individuazione  di tali soggetti e sulla
necessita' di ammetterli a questo regime speciale e derogatorio.
    Nella  stessa  censura  non puo' non essere incluso l'art. 10 del
decreto   legislativo  impugnato,  secondo  cui,  agli  operatori  di
telecomunicazione puo' essere posto a carico solo l'obbligo di tenere
indenne  l'ente  locale,  ovvero  l'ente  proprietario,  dalle  spese
necessarie   per  le  opere  di  sistemazione  delle  aree  pubbliche
specificamente   coinvolte   dagli   interventi  di  installazione  e
manutenzione,  e  solo  l'obbligo  di ripristinare a regola d'arte le
medesime  nei  tempi stabiliti dall'ente locale, fatte salve le tasse
ed i canoni di concessione.
    Anche  questa  norma  si  ingerisce  in  termini  indebiti  nelle
competenze legislative regionali sopra richiamate.
    2.3.6.  -  Non  meno lesive sono le disposizioni finali (art. 12)
che  estendono  la  disciplina  del  decreto  ai "diversi titoli gia'
rilasciati  per  le installazioni delle infrastrutture" - comma 1 - e
attribuiscono  valore  di  dichiarazione  di inizio di attivita' alle
istanze  gia' presentate per gli impianti con tecnologia UMTS o altre
con  potenza  di  antenna  uguale o inferiore ai 20 Watt - comma 2 -,
nonche'   prevedono  un  catasto  delle  infrastrutture  gestito  dal
Ministero delle comunicazioni.
    Si  tratta,  con ogni evidenza, di un'estensione della disciplina
derogatoria  gia' denunciata come lesiva delle competenze legislative
regionali, con l'aggravante che la disciplina retroagisce anche sulle
situazioni  e  le  infrastrutture  gia'  oggetto  di autorizzazione o
valutazione  alla luce di norme emanate nel legittimo esercizio delle
competenze   regionali,  imponendo  un  adeguamento  alla  disciplina
statale  sopravvenuta  ancor  piu',  inammissibile perche' riferito a
infrastrutture  che  -  con  ogni  evidenza  -  non  risultano ancora
individuate come di preminente interesse nazionale (non essendo tali,
come  gia'  sopra  sostenuto,  i  "programmi  di investimento" di cui
all'allegato 5 della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121.
    E',  infine,  da  contestare  l'abrogazione dell'art. 2-bis della
legge  n. 189  del  1997,  sia  per la parte in cui tale disposizione
imponeva  l'adozione  di  misure  di  tutela  delle popolazioni dagli
effetti  dei  campi  elettromagnetici,  sia  - e soprattutto - per la
parte  in  cui  veniva  stabilita  la  necessita'  di  sottoporre  le
infrastrutture   di   telecomunicazione   ad   idonee   procedure  di
valutazione   di   impatto   ambientale.  L'effetto  che  una  simile
abrogazione  determina  e' il venir meno di fondamentali garanzie per
la  tutela del valore costituzionale "ambiente" al quale, come questa
Corte  ha  anche  di  recente  confermato (sent. n. 407 del 2002), si
collegano    trasversalmente    specifiche   competenze   legislative
regionali,  connesse  con  le  materie  di legislazione concorrente e
residuale.  In  particolare, l'abrogazione dell'art. 2-bis richiamato
viola  senza  dubbio  l'autonomia  legislativa  della  Regione  ed e'
pertanto costituzionalmente illegittima, per la parte in cui la norma
pretenderebbe  di  escludere la competenza della Regione a prevedere,
nell'esercizio delle proprie attribuzioni legislative, l'applicazione
di  procedure  di valutazione d'impatto ambientale anche in relazione
ad oggetti non specificamente individuati dalle direttive comunitarie
(direttive nn. 337 del 1985, 11 del 1997 e 42 del 2001).
    3.  -  Illegittimita'  costituzionale  del  decreto legislativo 4
settembre  2002,  n. 198,  ed  in  particolare  dell'art. 3, comma 2,
dell'art. 5  e  degli allegati "A" e "B", dell'art. 7 e dell'allegato
"C", dell'art. 9 e dell'allegato "D", nonche' dell'art. 12, commi 3 e
4,   per   lesione   della   sfera  di  competenza  regolamentare  ed
amministrativa     regionale,    particolarmente    per    violazione
dell'art. 117,  comma  sesto, e dell'art. 118, commi primo e secondo,
Cost.
    3.1. - Le norme e gli allegati del decreto impugnato citati nella
rubrica  del  presente  motivo  configurano  l'esercizio da parte del
Governo  non  solo  di  una  potesta'  legislativa,  ma  anche di una
potesta'  normativa  diretta  alla  deroga  o  alla  modificazione  e
integrazione  di  tutti  i  regolamenti di esecuzione e di attuazione
della  legislazione  statale  e  regionale  fin qui vigenti. La nuova
disciplina  prevede,  inoltre,  numerose  ipotesi  di  allocazione di
decisioni  amministrative  presso il Consiglio dei ministri (artt. 5,
comma  7,  7,  comma  5, 9, comma 3) e fissa anche regole di raccolta
dati (art. 9, comma 5, e art. 12, comma 3), che incardinano in organi
statali le relative funzioni ed attivita'.
    Le  disposizioni  richiamate  si  pongono in contrasto con quanto
stabilito  dall'art. 117,  comma sesto, Cost., e dall'art. 118 Cost.,
che  fissano, rispettivamente, una ripartizione rigida della potesta'
regolamentare   e   i   parametri   costituzionali  per  la  corretta
allocazione/distribuzione  delle funzioni amministrative tra gli enti
che "costituiscono" la Repubblica.
    Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nelle materie di
legislazione esclusiva statale; alle Regioni spetta, invece, "in ogni
altra  materia".  Poiche'  l'oggetto  della  disciplina  del  decreto
impugnato  e'  riconducibile  a materie elencate nell'art. 117, comma
terzo  e  quarto, Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' di
dettare norme a contenuto regolamentare, in tale ambito disciplinare,
deve essere riconosciuta solo alla Regione.
    3.2.  -  L'evidente illegittimita' costituzionale di queste norme
del  decreto  legislativo  impugnato non puo' essere superata neppure
sostenendo  che  allo Stato dovrebbe essere riconosciuto (in denegata
ipotesi)  un  potere  di  intervenire  con  norme  legislative per la
modifica,   l'integrazione  o  la  deroga  di  previgenti  discipline
regolamentari  (statali, regionali o locali) anche in materie diverse
da  quelle  di  legislazione  statale  esclusiva;  potere  che, nella
suddetta  denegata  ipotesi,  sarebbe  giustificabile  in  base  alla
considerazione  che  allo  Stato  sarebbe  comunque da riconoscere un
potere  generale  di dettare norme regolamentari in ambiti diversi da
quelli indicati nell'art. 117, comma secondo, Cost., a condizione che
tali   norme   risultassero   "cedevoli"   rispetto  alla  successiva
emanazione    di   regolamenti   regionali.   Infatti,   una   simile
ricostruzione  si  porrebbe  in  palese contrasto con la ripartizione
delle   competenze   regolamentari   stabilita   espressamente  nella
Costituzione;  ed  e' d'altronde evidente che, nel caso di specie, le
norme  del decreto legislativo impugnato si pongono come direttamente
sostitutive,  senza  alcun  margine  di  derogabilita',  delle  norme
regolamentari   previgenti,   escludendo   espressamente  la  propria
"cedevolezza",  e  ledendo  cosi'  irrimediabilmente  le attribuzioni
costituzionali della Regione in tema di potesta' regolamentare.
    3.3. - Le disposizioni impugnate, come si e' detto, attribuiscono
anche funzioni amministrative ad organi dell'amministrazione statale.
    In  proposito,  l'art. 118, comma primo, Cost. stabilisce che "le
funzioni  amministrative  sono  attribuite  ai  comuni salvo che, per
assicurarne  l'esercizio unitario, siano conferite a province, citta'
metropolitane,   regioni   e   Stato,  sulla  base  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza".
    La  norma  costituzionale non contiene un'attribuzione diretta di
funzioni  amministrative  ai diversi livelli territoriali di governo;
fissa,  semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali
funzioni  da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare
di  una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza,
l'art. 118,   primo   comma,   costituisce  necessario  parametro  di
legittimita'  costituzionale di ogni intervento normativo finalizzato
ad allocare funzioni amministrative.
    Tale   parametro  e'  individuato  nell'esigenza  che  sussistano
specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente
motivate  in  base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della
competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello "piu'
vicino"  al  cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni
norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello
di governo "piu' lontano" dal cittadino, ossia al livello statale.
    Vi  e'  dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per
quello  statale,  di  accompagnare qualunque scelta di allocazione di
funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con
una  analisi  ed  una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza
della  scelta  (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla
norma  costituzionale.  Cio'  implica  che  la  norma  che  alloca le
funzioni  dovra'  anche  enunciare  le circostanze e le finalita' che
rendono legittima la scelta effettuata.
    Le  disposizioni  impugnate  non  soddisfano  tali requisiti, non
essendo  rinvenibile,  neppure implicitamente o indirettamente, alcun
riferimento  ad  una  qualunque  ragione  in  grado  di  giustificare
l'attribuzione  ad organi statali di funzioni amministrative relative
alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione.
    Anche  ove  questa  Corte  volesse  ritenere  che  lo Stato possa
autoattribuirsi  funzioni  amministrative nella materia in oggetto (a
prescindere   dall'illegittimita'   del  riconoscimento  di  una  sua
potesta'  legislativa,  denunciata  sub 2), senza sottostare ad alcun
vincolo  formale  di  espressa  indicazione  dei  presupposti  che ne
motivano  la  scelta,  le  disposizioni  impugnate si devono comunque
ritenere  costituzionalmente  illegittime in quanto lesive dei limiti
sostanziali   che   l'art. 118,   comma   primo,  stabilisce  per  la
distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento.
    In  altri  termini,  una  volta  individuate  le  "grandi  opere"
considerate   strategiche   -  e  tra  queste  le  infrastrutture  di
telecomunicazione  -  attraverso  una  valutazione  complessiva delle
esigenze  e  dei  bisogni dell'intera collettivita' nazionale, non si
vede  alcun  motivo  per  allocare  a livello centrale anche funzioni
amministrative   che   risultino   relative   alla   loro   specifica
localizzazione  sul  territorio  e  alla loro concreta realizzazione.
Tali  funzioni, infatti, potrebbero adeguatamente essere svolte dalle
amministrazioni  preposte alla cura degli interessi che insistono sul
territorio    regionale,    ovviamente   garantendo   il   necessario
coordinamento con i competenti organi dello Stato.
    Anche  sotto  questo  profilo  risulta  evidente la lesione della
sfera  di  autonomia  amministrativa della Regione, soprattutto nella
parte  in  cui  le  disposizioni  impugnate  limitano il potere della
Regione  nella  definizione delle procedure autorizzatorie attraverso
meccanismi   che  prevedono  una  compartecipazione  formalmente  non
paritaria  e  sostituiscono, con norme di rango legislativo, tutte le
procedure sin qui avviate.
    La  Regione  ricorrente  non nega pregiudizialmente l'esigenza di
prevedere  meccanismi  che  garantiscano, sia pure nell'ambito di una
compartecipazione   paritaria  di  tutti  gli  enti  interessati,  la
definizione  in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale;
cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo -
e'  che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso
il  mero  riconoscimento al legislatore statale della possibilita' di
sostituire    direttamente    e    completamente   ogni   valutazione
discrezionale    della   Regione   nell'esercizio   dei   poteri   di
autorizzazione  in  materie  di  competenza  regionale  concorrente o
addirittura esclusiva.
    4.  - Illegittimita' costituzionale in particolare degli artt. 9,
comma  5,  e 10 del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, per
lesione    della    sfera   di   autonomia   finanziaria   regionale,
particolarmente per violazione dell'art. 119 Cost.
    4.1.  -  Le disposizioni impugnate, per la parte in cui impongono
agli  enti  locali  forme  di programmazione in tempi predefiniti dal
legislatore  statale (art. 9, comma 5) e per la parte in cui limitano
in  modo  puntuale  -  per  gli  operatori  - gli oneri connessi alle
attivita'  di  installazione,  scavo ed occupazione di suolo pubblico
(art. 10),  sono  costituzionalmente  illegittime anche per contrasto
con l'art. 119 Cost.
    Infatti,   il  principio  dell'autonomia  finanziaria  (sotto  il
profilo  dell'autonomia  di spesa), unitamente alla norma secondo cui
"per  provvedere  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle loro
funzioni,  lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi
speciali   in   favore   di   determinati  comuni,  province,  citta'
metropolitane  e  regioni",  implica  necessariamente  che  tutte  le
funzioni  amministrative  spettanti  alle Regioni e diverse da quelle
"ordinarie"    risultino    adeguatamente    finanziate    attraverso
l'attribuzione  diretta  ai  loro  bilanci di adeguate risorse, senza
vincoli sulle modalita' di spesa.
    4.2.  - Le norme impugnate violano altresi' l'art. 119 Cost., per
la  parte  in  cui  impongono  oneri  finanziari  a carico - sia pure
indirettamente  -  delle  Regioni.  Nella  realizzazione delle grandi
opere,  infatti, e' ammissibile che vi sia un interesse dello Stato a
garantire il conseguimento del risultato finale complessivo; cio' che
e'  costituzionalmente inammissibile e' la limitazione dell'autonomia
regionale  sulle  modalita'  e  gli strumenti per la realizzazione in
concreto degli obiettivi da perseguire.
    5.  - Illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7,
8,  9,  10, 11 e 12 del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198,
per  violazione  dell'art.  76  Cost.,  anche  sotto il profilo della
conseguente   lesione   delle   sfere   di  autonomia  legislativa  e
amministrativa regionale, di cui agli artt. 117 e 118 Cost.
    5.1.  -  Il  fondamento normativo del potere legislativo delegato
esercitato  con  il  decreto  legislativo  n. 198  del  2002 e', come
testualmente  riconosciuto  nel  titolo  e  in  premessa,  la  delega
contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001.
    In   questa   norma,   l'oggetto   della  delega  e'  chiaramente
individuato  nella  "definizione  di  un quadro normativo finalizzato
alla  celere  realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
individuati  ai  sensi  del comma 1", ossia di quelle "infrastrutture
pubbliche  e private" e di quegli "insediamenti produttivi strategici
e   di   preminente   interesse   nazionale   da  realizzare  per  la
modernizzazione  e  lo  sviluppo del Paese", la cui individuazione e'
affidata  al  programma  disciplinato  dal  comma 1 dell'art. 1 della
legge  n. 443  del  2001  e  da inserire annualmente nel Documento di
programmazione  economico-finanziaria. La norma di delegazione, prima
di  individuare  i  principi  e  criteri direttivi - tra i quali deve
essere   sottolineato   quello   indicato  nella  lettera  c),  sulla
necessaria  "attribuzione  al  CIPE,  integrato  dai presidenti delle
Regioni  e  delle  province  autonome  interessate,  del  compito  di
valutare   le  proposte  dei  promotori,  di  approvare  il  progetto
preliminare  e  definitivo, di vigilare sulla esecuzione dei progetti
approvati,  adottando  i  provvedimenti  concessori  ed autorizzatori
necessari,   comprensivi   della  localizzazione  dell'opera  e,  ove
prevista,  della VIA istruita dal competente Ministero" - precisa che
l'esercizio della delega - sempre "limitatamente alle opere di cui al
comma  1"  -  dovra'  contemplare  la  "riforma"  delle  procedure di
valutazione  d'impatto  ambientale  e  dell'autorizzazione  integrata
ambientale,  nonche'  l'introduzione di un "regime speciale" rispetto
alle  disposizioni  della  legge  n. 109  del  1994  che non siano di
necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie.
    5.2. - Gli artt. 1, 3, commi 2 e 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12
stabiliscono  norme  palesemente  eccedenti  l'ambito oggettivo della
delega  legislativa,  risultando costituzionalmente illegittime anche
per  violazione  dell'art. 76  Cost.,  in quanto non contengono alcun
riferimento   alla   limitazione   della  loro  efficacia  alle  sole
infrastrutture  di  telecomunicazioni  da realizzare sulla base della
previa  individuazione  nel  programma  annuale  di  cui  all'art. 1,
comma 1, della legge n. 443 del 2001.
    In  particolare,  l'art. 1, dopo aver riconosciuto che il decreto
detta  "principi  fondamentali in materia di installazione e modifica
delle  categorie  di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate
strategiche  ai  sensi  dell'art. 1, comma 1, della legge 21 dicembre
2001,   n. 443",  individua  una  complessa  e  amplissima  serie  di
finalita'   riferite   all'intera  materia  delle  infrastrutture  di
telecomunicazioni,   del   tutto   inconciliabili   con  la  suddetta
limitazione  del  campo  applicativo  del  decreto  a  infrastrutture
puntualmente e tassativamente individuate anno per anno.
    Le  altre disposizioni indicate confermano il carattere puramente
formale  e  di facciata del richiamo alla norma di delega, prevedendo
una  disciplina  chiaramente  rivolta  a  tutte  le infrastrutture di
telecomunicazione da realizzarsi su tutto il territorio nazionale.
    5.3.  -  Inoltre,  gli  artt. 3,  commi  1 e 2, 11 e 12, comma 4,
eccedono  palesemente l'ambito oggettivo della delega legislativa, in
quanto vanno ad incidere illegittimamente su discipline normative che
il  legislatore  delegante non aveva affidato alla disponibilita' del
Governo.  In  particolare,  dalla  norma  di  delega non e' possibile
ricavare  alcun  potere  di derogare alle norme della legge n. 36 del
2001 (art. 3, comma 1), ne' un generico potere di disporre la deroga,
sotto  il profilo urbanistico, "ad ogni altra disposizione di legge o
di  regolamento"  (art. 3,  comma  2),  ne'  il  potere di introdurre
nell'art. 232 del d.P.R. n. 156 del 1973 la norma di cui all'art. 11,
ne',  infine,  il  potere  di eliminare le procedure di VIA (art. 12,
comma  4),  dal  momento  che  la  delega  contempla, semmai, la loro
semplice "riforma".
    5.4. - Da ultimo, occorre considerare la specifica violazione dei
limiti  della  delega  in  relazione  all'art. 12,  commi  1 e 2, che
stabiliscono l'estensione dell'efficacia della nuova disciplina anche
alle   installazioni   di   infrastrutture   gia'  "assentite"  dalle
amministrazioni  o  per le quali sia gia' stata presentata domanda di
autorizzazione.  E'  del tutto evidente, infatti, che - in assenza di
una  qualunque  previsione  di  infrastrutture  di  telecomunicazioni
strategiche  nel  primo  programma approvato dal CIPE con la delibera
n. 121  del  21  dicembre 2001 - il decreto legislativo impugnato non
potrebbe assumere in alcun modo efficacia retroattiva.
    6.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 3, 4, 5, 6
e  7;  dell'art. 6,  comma  1;  dell'art. 7, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7;
dell'art. 8,  comma  3;  dell'art. 9,  commi  1, 2 e 3; dell'art. 12,
comma  4;  del  decreto  legislativo  4  settembre  2002, n. 198, per
violazione  degli  artt. 9,  32,  41, 42 e 44 Cost., sotto il profilo
della primarieta' da riconoscere al valore costituzionale "ambiente",
con  conseguente  lesione  delle  sfere  di  autonomia  legislativa e
amministrativa regionale, di cui agli artt. 117 e 118 Cost.
    6.1.  -  Le  disposizioni  indicate stabiliscono, oltre alla gia'
ricordata  abrogazione  della  speciale  previsione  di  procedure di
valutazione   di   impatto   ambientale,   una   variegata  serie  di
semplificazioni  procedurali  (tanto  in  ordine  ai tempi, quanto in
ordine  alle  modalita)  finalizzate  all'evidente  obiettivo  di una
rappresentazione  puramente "accidentale" e comunque "parziale" degli
interessi relativi alla tutela dell'ambiente nei processi decisionali
per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni.
    Il  sistema  cosi'  delineato  rende evidente, in primo luogo, la
totale  estromissione  delle  Regioni  da  quel  ruolo sostanziale ed
ineliminabile  nell'attuazione del valore costituzionale ambiente che
questa  Corte  ha  da sempre riconosciuto loro e che ha avuto modo di
confermare  nella  sentenza  n. 407  del  2002;  in secondo luogo, la
degradazione   dell'interesse  ambientale  da  valore  costituzionale
primario  "insuscettivo  di  essere  subordinato  a  qualsiasi altro"
(Corte  cost.,  sent. n. 151 del 1986), che - in quanto tale - impone
non  un  vincolo  di  risultato  ma  una  ponderazione procedimentale
rafforzata  (di  per  se'  incapace  di conciliarsi con meccanismi di
"silenzio-assenso"  o con la mancata acquisizione esplicita del punto
di  vista  delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale), ad
interesse  la  cui  rappresentazione  nel  processo  decisionale puo'
essere  parziale  e  prescindibile  in  ragione  di  una  presunta  e
aprioristica  importanza strategica di un intero settore di attivita'
quale quello delle telecomunicazioni.