Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore, autorizzato con deliberazione
della  giunta  regionale  n. 2006  del  4  novembre  2002  (doc.  1),
rappresentata  e  difesa,  come  da procura speciale 8 novembre 2002,
rep.  n. 46660,  rogata  dal  dott.  Federico  Stame  (doc. 2), dagli
avvocati  Giandomenico  Falcon  di  Padova  e Luigi Manzi di Roma, ed
elettivamente  domiciliata  in Roma nello studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri, 5;
    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  per  la
dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   del   decreto
legislativo   4   settembre   2002,  n. 198,  disposizioni  volte  ad
accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni
strategiche  per  la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma
dell'art.   1,  comma  2,  della  legge  21  dicembre  2001,  n. 443,
pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 13 settembre 2002 per
violazione degli artt. 3, 9, 32, 70, 76, 117 e 118 della costituzione
e dell'art. 174 del trattato istitutivo della Comunita' europea.

                              F a t t o

    Nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 215 del 13 settembre 2002 e' stata
pubblicato   il   d.lgs.   4   settembre   2002,  n. 198,  contenente
"Disposizioni    volte   ad   accelerare   la   realizzazione   delle
infrastrutture    di    telecomunicazioni    strategiche    per    la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese a norma dell'art. 1, comma 2,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443".
    Come  specificato  sin  dal titolo, e poi nelle premesse, la base
giuridica del provvedimento legislativo considerato consisterebbe nel
comma  2  dell'art. 1 (e unico) della legge 21 dicembre 2001, n. 443,
intitolata  "Delega  al  Governo  in  materia  di  infrastrutrure  ed
insediamenti   produttivi  strategici  ed  altri  interventi  per  il
rilancio delle attivita' produttive".
    La  legge  n. 443  e' primariamente ordinata alla elaborazione ed
attuazione   di   un  programma,  approvato  dal  Governo,  di  opere
infrastrutturali  e  di  impianti  definiti di carattere "strategico"
ovvero  di  "preminente interesse nazionale". Precisamente, l'art. 1,
comma  1, stabilisce che "il Governo, nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle regioni, individua le infrastrutture pubbliche e
private  e  gli  insediamenti  produttivi  strategici e di preminente
interesse  nazionale  da  realizzare  per  la  modernizzazione  e  lo
sviluppo del Paese". L'ultima frase del comma 1, a sua volta, dispone
(con  dizione mantenuta anche nella versione modificata dalla legge 1
agosto 2002, n. 166) che "in sede di prima applicazione" il programma
sia approvato dal CIPE "entro il 31 dicembre 2001".
    Fatto sta che il primo programma delle inftastrutture strategiche
e'  stato  approvato  con  Del.  CIPE  21  dicembre 2001, n. 121/2001
(Gazzetta  Ufficiale  21  marzo  2002, n. 68, S.O.). In altre parole,
tale delibera e' stata approvata il giorno stesso della promulgazione
della  legge  n. 443  del  2001,  ma  prima  della sua pubblicazione,
avvenuta  solo  il  27  dicembre.  Dunque,  la delibera del CIPE dava
presunta attuazione ad una legge non ancora vigente: il che comporta,
secondo   i  consolidati  concetti  del  diritto  amministrativo,  la
nullita' assoluta di tale deliberazione per inesistenza giuridica del
potere  esercitato,  e la conseguente impossibilita' di sanatoria una
volta che il potere sia venuto ad esistenza.
    Sia  consentito  osservare che, sia pure nell'asserita urgenza di
realizzare  le  "grandi opere", questo non sembra davvero il migliore
modo di cominciare.
    Ai fini che qui interessano, comunque, notiamo che in tale quadro
di  complessiva  illegittimita'  l'allegato n. 5 della delibera CIPE,
intitolato "interventi strategici di preminente interesse nazionale",
contempla  specificamente  il  "piano  degli  interventi nel comparto
delle  telecomunicazioni"  (doc.  3). Tuttavia, il presunto piano non
individua  affatto  gli  interventi,  ma si limita ad elencare, per i
diversi  tipi  di  reti  (reti a banda larga - fibra ottica; reti per
tenninali  - UMTS; reti per televisione digitale terrestre), le somme
previste  come  investimento  negli anni 2002 e seguenti da operatori
privati,  quali  Wind,  Telecom  Italia, Omnitel, Mediaset, oltre che
dalla Rai.
    In  calce  alla delibera si precisa che la "distinta delle opere"
(sic) verra' effettuata "con successiva delibera".
    L'art. 1,  comma  2,  della legge n. 443/2001, inoltre, delega il
Governo  "ad  emanare, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali
delle  regioni,  entro  dodici  mesi  dalla data di entrata in vigore
della presente legge, uno o piu' decreti legislativi volti a definire
un  quadro  normativo  finalizzato  alla  celere  realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1,
a  tal  fine  riformando  le  procedure per la valutazione di impatto
ambientale    (VIA)    e   l'autorizzazione   integrata   ambientale,
limitatamente  alle  opere  di cui al comma 1 e comunque nel rispetto
del  disposto dell'art. 2 della direttiva n. 85/337/CEE del consiglio
del  27  giugno 1985, come modificata dalla direttiva n. 97/11/CE del
consiglio  del  3 marzo 1997 e introducendo un regime speciale, anche
in  deroga  agli  artt. 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34,
37-bis,  37-ter  e  37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e
successive  modificazioni,  nonche' alle ulteriori disposizioni della
medesima  legge  che  non  siano necessaria ed immediata applicazione
delle  direttive comunitarie". Di seguito vengono elencati i principi
e   criteri  direttivi  che  devono  essere  rispettati  dai  decreti
legislativi.
    In   attuazione  di  tale  delega  e'  stato  emanato  il  d.lgs.
n. 190/2002,  attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la
realizzazione  delle  infrastrutture  e degli insediamenti produttivi
strategici  e  di interesse nazionale. Di seguito e' stato emanato il
qui  impugnato  d.lgs. n. 198/2002: mentre il d.lgs. n. 190 si occupa
delle  opere  "strategiche"  in  generale,  il d.lgs. n. 198 riguarda
specificamente  le "infrastrutture di telecomunicazioni strategiche";
esso,   infatti,   richiama  nelle  premesse  la  delibera  del  CIPE
n. 121/2001  "ed in particolare la sintesi del piano degli interventi
nel comparto delle telecomunicazioni".
    La Regione Emilia-Romagna ha gia' impugnato la legge n. 443/2001,
la quale - come detto - e' richiamata come propria base giuridica dal
decreto  legislativo  n. 198. Il ricorso della Regione Emilia-Romagna
pende  col  n. 15/2002  e sara' discusso nell'udienza del 19 novembre
2002.   Esso   comprende,   in   particolare,   per  quello  che  qui
specificamente  rileva,  le  disposizioni contenute nel comma 1 e nel
comma  2  in  base  alle  quali  il  governo ha emanato il d.lgs. qui
impugnato.
    Come specificato nel titolo, col d.lgs. n. 198 il Governo si pone
l'obiettivo   generale   di   accelerare   la   realizzazione   delle
infrastrutture  di  telecomunicazioni strategiche. In particolare, il
d.lgs.  reca  "principi  fondamentali  in  materia di installazione e
modifica  delle  categorie  di  infrastrutture  di telecomunicazioni,
considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 21
dicembre  2001,  n. 443, al fine di: a) agevolare la liberalizzazione
del   settore   delle  telecomunicazioni,  consentendo  a  tutti  gli
operatori  di  installare  proprie infrastrutture celermente, creando
cosi'  un  mercato  effettivamente  concorrenziale;  b) consentire la
realizzazione  di infrastrutture di nuova generazione e l'adeguamento
di quelle esistenti...; c) razionalizzare le procedure autorizzatorie
per   l'installazione   di   impianti   di  telecomimicazioni,..;  d)
assicurare    che    la   realizzazione   delle   infrastrutture   di
telecomunicazioni  sia  coerente  con la tutela dell'ambiente e della
salute...  relativamente alle emissioni elettromagnetiche di cui alla
legge 22 febbraio 2001, n. 36...; i) favorire una adeguata diffusione
delle  infrastrutture  di  telecomunicazioni  sull'intero  territorio
nazionale" (art. 1).
    In  base  all'art. 3, comma 1, "le categorie di infrastrutture di
telecomunicazioni  considerate  strategiche"  ai  sensi  dell'art. 1,
comma 1,  legge  n. 443/2001,  "sono  opere  di  interesse nazionale,
realizzabili  esclusivamente  sulla base delle procedure definite dal
presente  decreto,  anche in deroga alle disposizioni di cui all'art.
8,  comma  1, lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36" (Legge
quadro   sulla   protezione  dalle  esposizioni  a  campi  elettrici,
magnetici  ed elettromagnetici). Ora, tale art. 8, comma 1, lett. c),
gia'  nel vigore della precedente normativa costituzionale attribuiva
alle  regioni la competenza a definire le modalita' di rilascio delle
autorizzazioni alla installazione degli impianti considerati.
    L'art. 3,  comma 2,  stabilisce poi che "le infrastrutture di cui
all'art.  4,  ad  esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle
reti   di   televisione  digitale  terrestre,  sono  compatibili  con
qualsiasi  destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte
del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e
ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento".
    In concreto, come specificato dall'art. 4, oggetto del decreto e'
"l'installazione  di  infrastrutture per impianti radioelettrici e la
modifica  delle  caratteristiche di emissione di questi ultimi ed, in
specie,   l'installazione   di   torri,   di  tralicci,  di  impianti
radiotrasmittenti,  di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di
stazioni  radio  base  per reti di telecomunicazioni mobili GSM/UMTS,
per  reti  di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla
televisione  digitale  terrestre,  per reti a radiofrequenza dedicate
alle  emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonche' per reti
radio a larga banda puntomultipunto nelle bande di frequenza all'uopo
assegnate".
    Il  rilascio  dell'autorizzazione spetta agli enti locali, previo
accertamento  da  parte  dell'A.R.P.A.,  della  compatibilita'  con i
limiti  di  esposizione  e di attenzione nonche' con gli obiettivi di
qualita'  stabiliti  in  base  alla  gia'  citata  legge  n. 36/2001.
Tuttavia,  "nel caso di installazione di impianti con tecnologia UMTS
o  altre,  con  potenza  in  singola antenna uguale o inferiore ai 20
Watt,  fermo  restando  il  rispetto  dei  limiti di esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di qualita' sopra indicati, e'
sufficiente  la  denuncia  di  inizio  attivita'"  (art. 5,  comma 2;
l'art. 12,  comma  2,  prevede  la  conversione  delle  istanze  gia'
presentante in denunce di questo tipo).
    Il  decreto  n. 198  si  spinge  (art. 5)  fino  a predisporre un
modello  di  istanza  da  formulare  agli  enti  locali  per ottenere
l'autorizzazione,   stabilendo  minuziosamente  fasi  e  termini  del
relativo procedimento e prevedendo anche l'ordine delle preferenze in
caso di piu' domande.
    Si  prevede,  inoltre,  per  le  istanze  di  autorizzazione e le
denunce  di  attivita', nonche' per le istanze relative alla modifica
delle  caratteristiche di emissione degli impianti gia' esistenti, il
meccanismo  del  silenzio-assenso  (art. 6),  e si disciplina in modo
completo   (art. 7)   l'effettuazione   di  opere  civili,  di  scavi
(assimilati  ad  ogni  effetto alle opere di urbanizzazione primaria:
art. 3,  comma 3) nonche' l'occupazione di suolo pubblico, prevedendo
anche  qui  il  meccanismo del silenzio-assenso (art. 7. comma 7, che
per alcuni casi fissa addirittura un termine di 30 giorni).
    Gli artt. 8 e 9 disciplinano poi il caso della condivisione dello
scavo  e della coubicazione dei cavi per telecomunicazioni nei centri
abitati   e   quello  in  cui  l'installazione  delle  infrastrutture
considerate  interessi  aree  di proprieta' di piu' enti (art. 9); si
prevedono gli oneri connessi alle attivita' in questione (art. 10) e,
altresi', limitazioni legali alla proprieta' privata (art. 11).
    L'art. 13  -  intitolato  "legislazione  regionale" - e' riferito
alle  sole  regioni  a  statuto  speciale.  Queste  "provvedono  alle
finalita' di cui al presente decreto, nell'ambito delle competenze ad
esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme
di  attuazione,  secondo  quanto  disposto  dai singoli ordinamenti".
Mentre, dunque, sembra farsi salva, perlomeno in una certa misura, la
competenza  delle  regioni  a  statuto  speciale, viene completamente
pretermessa  e, in effetti, annullata, quella delle regioni a statuto
ordinario alle quali il decreto non dedica neppure un accenno.
    D'altro  canto  va tenuto presente che la Regione Emilia-Romagna,
con  la  legge  31  ottobre  2000,  n. 30 (modificata con la legge 13
novembre  2001,  n. 34,  e  con  la  legge  13 novembre 2001, n. 38),
intitolata  norme  per  la  tutela  della  salute  e  la salvaguardia
dell'ambiente  dall'inquinamento  elettromagnetico,  ha, a sua volta,
gia' disciplinato la materia della installazione delle infrastrutture
di  telecomunicazione  contemplate  dal  d.lgs.  n. 198/2002  e delle
relative autorizzazioni.
    Nel   capo   II   tale   legge  disciplina  la  localizzazione  e
l'autorizzazione   degli  impianti  fissi  per  l'emittenza  radio  e
televisiva,   prevedendo   un  piano  provinciale  di  localizzazione
dell'emittenza   radio   e   televisiva   (art. 3),   il  divieto  di
localizzazione   degli   impianti   in   certe   aree  (residenziali,
scolastiche,   sanitarie,   ecc.:   v.   l'art. 4),  un  procedimento
autorizzatorio  di  competenza  comunale  (art. 6)  ed il risanamento
degli  impianti per l'emittenza radio e televisiva (art. 7). Nel capo
III  la  legge  disciplina  gli  impianti per telefonia mobile, ed in
particolare  il  procedimento  autorizzatorio  di competenza comunale
(art. 8),  il  divieto di localizzazione degli impianti in certe aree
(art. 9),  il risanamento degli impianti esistenti (art. 10). Il capo
V ha ad oggetto l'attivita' di vigilanza e le sanzioni.
    Come  si  puo'  constatare  il  d.lgs.  n. 198 del 2002 e la l.r.
dell'Emilia-Romagna  n. 9  del  2002  riguardano  la medesima materia
disciplinandola  entrambi  in  modo  completo,  ma  collocandosi, nel
contempo, in una prospettiva totalmente diversa.
    Il  d.lgs.  n. 198/2002,  infatti  "liberalizza", per cosi' dire,
pressoche'  totalmente  il  settore, affermando, ad es., il principio
della   compatibilita'  degli  impianti  con  qualsiasi  destinazione
urbanistica  di  zona  e  la  loro realizzabilita' "in ogni parte del
territorio  comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad
ogni  altra  disposizione  di  legge  o di regolamento", introducendo
nella  materia  l'istituto  della  denuncia  di inizio di attivita' e
quello  del  silenzio-assenso,  non prevedendo valutazioni di impatto
ambientale e cosi' via.
    La  legge  regionale  dell'Emilia-Romagna  n. 30  del  2000,  per
contro,  si pone come fine quello di tutelare "in via prioritaria" la
salute   e  l'ambiente  dall'inquinamento  elettromagnetico,  prevede
divieti  di  localizzazione  in  determinate aree, controlli da parte
dell'amministrazione   pubblica   nel   necessario   rispetto   della
pianificazione  urbanistica  (art  6,  comma 2), il risanamento degli
impianti      esistenti,      una      valutazione     di     impatto
paesaggistico-culturale-ambientale (art. 8, comma 1) e cosi' via.
    Ad  avviso della Regione Emilia-Romagna, il decreto legislativo 4
settembre  2002,  n. 198, risulta costituziozionalmente illegittimo e
lesivo della sfera regionale di competenza per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1.     -     Illegittimita'     costituzionale    derivata    per
incostituzionalita' della legge n. 443/2001.
    Come  detto,  il d.lgs. qui impugnato costituisce, o almeno (come
si dira) asserisce di costituire, attuazione della legge n. 443/2001.
    La Regione Emilia-Romagna ha impugnato tale legge per ragioni che
permangono inalterate e che si riflettono inevitabilmente sul decreto
legislativo  n. 198/2002,  oggetto  della  presente impugnazione: per
semplicita'  sia  consentito  dunque rinviare qui alle argomentazioni
svolte  nel  ricorso  proposto  da  questa  regione  contro  la legge
n. 443/2001.  Si  noti  che  tali  argomentazioni  non  sono  affatto
superate  dalle modifiche introdotte con la legge n. 166 del 2002: se
e'  vero  infatti che tale legge ha, quanto alla programmazione delle
opere,  previsto  (ancorche'  solo per il futuro) procedure di intesa
sia  con  la  singola  regione  interessata  sia  con  la  conferenza
Stato-Regioni,  neppure  tali  previsioni hanno modificato l'impianto
fondamentale   della  legge  n. 443,  basato  sulla  attrazione  alla
competenza   statale   non   solo   della  programmazione,  ma  anche
dell'approvazione  dei progetti ed in larghissima misura della stessa
realizzazione  delle  opere - sia pubbliche che private - mediante la
semplice  soggettiva qualificazione delle stesse come "strategiche" e
di  "preminente interesse nazionale". Dunque, a parte il fatto che la
legge n. 166/2002 non incide sul primo programma delle "grandi opere"
di  cui  alla  delibera  CIPE n. 121/2001 (cui si rifa' il d.lgs. qui
impugnato), l'art. 1 legge n. 443/2001 tuttora contempla una generica
categoria  di  opere  pubbliche,  ben al di la' dei confini assegnati
alla  potesta'  legislativa  statale  dai  commi  2 e 3 dell'art. 117
Cost.,  non  potendo  piu'  valere  l'interesse nazionale ai fini del
ritaglio delle materie e, comunque, non potendo l'interesse nazionale
essere  rimesso  alla  discrezionale definizione del Governo (si noti
che  tale  ultimo principio gia' operava anche nel vigore del vecchio
Titolo  V:  si pensi alla giurisprudenza costituzionale sul principio
di legalita' sostanziale degli atti di indirizzo e coordinamento).
    Dunque,  e'  evidente  che,  ove ritenuta da codesta ecc.ma Corte
costituzionale,   l'illegittimita'   costituzionale  delle  impugnate
disposizioni  della  legge  n. 443  del 2001 non puo' non riflettersi
direttamente  sulla  legittimita'  del  decreto  legislativo delegato
emanato in base ad essa.
    2.  -  Estraneita'  delle  disciplina  del d.lgs. n. 198 del 2002
all'ambito  della delega operata dalla legge n. 443 del 2001. Difetto
assoluto di delega e violazione degli artt. 70, 76, 117 Cost.
    Come  sopra  esposto, l'art. 1, comma 2, legge n. 443/2001 delega
il  Governo  ad  emanare  uno  o  piu'  decreti  legislativi "volti a
definire  un  quadro  normativo finalizzato alla celere realizzazione
delle  infrastrutture  e  degli insediamenti individuati ai sensi del
comma  1", cioe' delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi
"strategici e di preminente interesse nazionale".
    Si  trutta, in pratica, delle c.d. "grandi opere": valichi, ponte
sullo  stretto  di Messina, opere stradali e ferroviarie, ecc., cioe'
di opere specifiche e chiaramente individuate.
    Pare  chiaro che l'installazione di una pluralita' di antenne, di
tralicci,  di  impianti  radiotrasmittenti,  di  ripetitori ecc. ed a
maggiore  ragione  la modifica degli impianti esistenti non rientrano
fra  le  grandi opere "di preminente interesse nazionale". Si tratta,
invece,  di  una miriade di piccole opere, la cui natura non muta per
il  fatto che l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 198 le qualifica "opere di
interesse nazionale".
    La  natura  specifica  ed individua delle opere di cui alla legge
n. 443  risulta  evidente dalla considerazione dei principi e criteri
direttivi  dettati  dal  comma  2  dell'art.  1,  ai  quali i decreti
delegati sono tenuti ad attenersi. Dalla previsione della "finanza di
progetto"  (lett.  a)  al  riferimento  alla  procedure concessorie e
autorizzatorie,   che   hanno   specifico  riferimento  ai  "progetti
preliminari"  ed  alla  "localizzazione  dell'opera" da effettuare di
intesa  con  la  regione  competente (lett. b), alla attribuzione "al
CIPE, integrato dai presidenti delle regioni interessate", di diversi
compiti,  quali  "approvare  il  progetto  preliminare e definitivo",
"vigilare  sulla esecuzione dei progetti approvati", anche "adottando
i  provvedimenti  concessori  ed autorizzatori necessari, comprensivi
della  localizzazione  dell'opera  e, ove prevista, della VIA" (lett.
c),  e  via  via  allo  stesso  modo  per  tutti i principi e criteri
direttivi.
    D'altronde, la non riconducibilita' del d.lgs. n. 198 all'art. 1,
comma 2, legge n. 443/2001 e' confermata chiaramente dal fatto che il
d.lgs.  n. 198  detta  una  disciplina che (ovviamente) non si ispira
affatto  ai principi direttivi della legge di delega: anzi, il d.lgs.
n. 198  si  "autodetta"  (nell'art. 1)  i  propri principi direttivi,
cosi'  rendendo  palese  che  esso  non  trova fondamento nella legge
n. 443/2001.
    Il  Governo ha dunque utilizzato impropriamente e strumentalmente
la delega di cui all'art. 1 legge n. 443/2001, espandendo il concetto
di  infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale al
di fuori dell'ambito chiaramente definito dalla legge di delega.
    Ne',  naturalmente,  tale  conclusione e' inficiata dal fatto che
l'allegato 5 della delibera CIPE n. 121/2001 contempli interventi nel
comparto  delle  telecomunicazioni:  a  parte  il  fatto che, come si
vedra',  l'allegato  5  prevede  solo  investimenti finanziari per la
realizzazione   di   reti,   se   il  d.lgs.  n. 198  e'  fuoriuscito
dall'oggetto  della  legge  di delega, la sua incostituzionalita' non
puo'  certo  essere  sanata  dal  fatto che un atto amministrativo ha
anch'esso applicato scorrettamente la legge n. 443/2001.
    Dunque,  il  decreto  legislativo  qui impugnato interviene nelle
materie di competenza residuale o concorrente regionale, senza alcuna
base  giuridica  nella  legge  di  delega, con conseguente violazione
dell'art. 117,  commi  2,  3  e  4 e dell'art. 70 della Costituzione,
usurpando  al tempo stesso i poteri legislativi delle Camere e quelli
delle Regioni.
    3.  - Violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla
legge  di  delega  e  conseguente  violazione degli artt. 70, 76, 117
Cost.
    Si e' sopra accennato alla circostanza che il decreto legislativo
qui  impugnato  non  corrisponde  per  nulla  ai  principi  e criteri
direttivi stabiliti dalla legge di delega come riprova che esso e' in
realta'  estraneo  all'oggetto  stesso della delega. Cio' non toglie,
ovviamente,  che tale mancata corrispondenza sia anche autonomo vizio
delle disposizioni del decreto legislativo delegato.
    Praticamente,  nulla  di  cio'  che e' stabilito tra i principi e
criteri   direttivi   della   delega   trova   corrispondenza   nelle
disposizioni  del  decreto n. 198. Cio' e' stato gia' sopra ricordato
per  le  lettere  a),  b)  e  c)  del comma 2 dell'art. 1 della legge
n. 443,  ma  e'  ugualmente  vero  per  le  altre:  non  vi e' alcuna
disciplina  della  conferenza  di  servizi  (lett.  d),  meno  ancora
dell'affidamento mediante gara ad un unico soggetto contraente (lett.
e), dell'affidamento a contraente generale (lett. f), dell'obbligo di
rispetto   della  normativa  europea  in  tema  di  appalti  pubblici
(lett. g), o di specifiche deroghe alla vigente disciplina in materia
di  aggiudicazione  e di realizzazione dei lavori pubblici (lett. h).
Ne'   risultano   pertinenti,   senza   che   occorra  qui  indicante
singolarmente gli oggetti, i criteri di cui alle rimanenti lettere i)
l), m), n), o).
    Si  dira'  che  tali  principi e criteri direttivi non sono stati
seguiti perche' non si prestavano ad esserlo, date le caratteristiche
della  materia  trattata: ma questo da un lato non assolverebbe certo
un decreto legislativo delegato dalla censura di non avere rispettato
nessuno  dei  principi e criteri della delega, dall'altro costituisce
prova  proprio di cio' che qui si vuole dimostrare: che cioe' oggetto
e  principi  di  delega  e decreto legislativo delegato costituiscono
universi separati e non comunicanti.
    In  realta', la disciplina dettata dal Governo e' percorsa da una
radicale  contraddizione. Infatti, se - pur contro il senso normativo
della  legge  n. 443  -  si  fossero  volute  concepire  le "reti" di
telecomunicazione  come  "opere"  nel loro insieme, esse si sarebbero
dovute  considerare  nella  loro  globalita',  applicando  allora gli
istituti  generali  previsti  dalla  legge  n. 443  e dai principi di
delega   in  tema  di  approvazione  dei  progetti,  competenza  alle
concessioni,   approvazione  delle  localizzazioni  d'intesa  con  le
regioni  interessate,  tipologia  di  gara,  valutazione  di  impatto
ambientale  etc.  Si sarebbe trattato di un disegno in un certo senso
mostruoso,  e  radicalmente  espropriativo  delle  competenze locali,
oltre  che regionali, ma tale disegno avrebbe avuto una sua esteriore
corrispondenza  con le previsioni della legge n. 443 e con i principi
della delega.
    Se  invece  le  installazioni per le telecomunicazioni rimangono,
come   nel   decreto  legislativo  n. 198  rimangono,  singole  opere
individue,  soggette  ciascuna  alla sua disciplina in relazione alla
dimensione  singola  di essa, all'autorizzazione locale, etc., allora
si  esce  completamente  non  solo dall'oggetto ma anche dalla logica
normativa  della legge n. 443, e si pone in essere una disciplina che
non  ha piu' alcun contatto con quella della legge di delega, che non
e' legittimata da questa e che comunque ne viola i principi.
    La  contraddizione  della  disciplina di cui al d.lgs. n. 198 del
2002  con  la  legge n. 443 del 2001 emerge con chiarezza anche se si
considera   il   contenuto   dell'allegato   5  della  delibera  CIPE
n. 121/2001, pure richiamato nelle premesse del decreto.
    Infatti  l'allegato  5,  pur nella sua generale illegittimita' di
cui si e' detto in premessa, e pur non individuando affatto le opere,
per  le quali rinvia ad una successiva "distinta" (sic), si riferisce
pur  sempre  a  reti, ovvero a progetti unitariariamente concepiti ed
aventi  rilievo  giuridico  in quanto progetti unitari: "reti a banda
larga",  "reti  per  terminali"  e  "reti  per  televisione  digitale
terrestre".
    Invece,  come  sopra  osservato,  il  d.lgs. n. 198 disciplina in
realta'  i  singoli  impianti  (v.  l'art. 4, gia' citato) e le opere
civili  e gli scavi (art. 7), cioe', in pratica, "piccole opere" (per
quanto  pericolose  per la salute). Fra l'altro, lo schema di decreto
legislativo  sottoposto  al  parere  della  conferenza  unificata  si
intitolava   disposizioni   per  accelerare  la  realizzazione  delle
infrastrutture per le reti di telecomunicazioni, e le regioni avevano
chiesto  un  chiarimento  sull'oggetto  del  decreto,  ritenendo  non
coerente   il  titolo  dello  schema  con  l'art.  3  (corrispondente
all'attuale  art. 4),  che  contemplava  impianti non riconducibili a
reti  (v.  il  parere della conferenza unificata 20 giugno 2002, rep.
n. 582, ed in particolare l'allegato A: doc. 4).
    L'allontanamento   della  normativa  qui  contestata  dall'ambito
normativo  e  dai principi della legge n. 443 del 2001 trova conferma
letterale  nell'art. 3,  comma 1,  secondo  il quale "le categorie di
infrastrutture  di  telecomunicazioni,  considerate  strategiche"  ai
sensi  dell'art.  1,  comma 1,  legge  n. 443/2001,  "sono  opere  di
interesse  nazionale,  realizzabili  esclusivamente  sulla base delle
procedure  definite  dal  presente decreto". Ora e' agevole osservare
che  la legge n. 443 del 2001 non prevedeva affatto ne' consentiva la
definizione di "categorie" di opere che siano di preminente interesse
strategico  in  quanto  astrattamente appartenenti alla categoria, ma
prevedeva e prevede l'individuazione di specifiche opere, in concreto
individuate   a   mezzo   di   un   programma   come   di   interesse
strategicomma La    Regione   Emilia-Romagna   ha   contestato   tale
disposizione  nel  ricorso  relativo  alla  legge n. 443: ma soltanto
questa  e'  la  disposizione  nel  cui ambito puo' muoversi qualunque
decreto legislativo delegato.
    Anche  questo  profilo  conferma  la  generale illegittimita' del
decreto  legislativo impugnato, ivi compreso l'art. 3 ora citato, per
estraneita'  alla  legge  n. 443,  e  comunque alla delega ed ai suoi
principi.
    Un  ulteriore diverso profilo di violazione della legge di delega
concerne  in particolare l'art. 3 d.lgs. n. 198, che eccede la delega
perche'  rende possibile la realizzazione delle infrastrutture "anche
in  deroga...  ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento",
laddove  l'art. 1,  comma 2,  legge  n. 443 prevedeva solo una deroga
"agli  artt.  2,  da  7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis,
37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive
modificazioni,  nonche'  alle  ulteriori  disposizioni della medesima
legge  che  non  siano  necessaria  ed  immediata  applicazione delle
direttive comunitarie".
    4.  -  Violazione dell'art. 76 Costituzione e del principio della
certezza del diritto.
    Il  d.lgs.  n. 198 del 2002 viola la legge di delega, e lo stesso
principio della certezza del diritto, sotto ulteriori profili.
    L'art.  3, comma 1, asserisce che "le categorie di infrastrutture
di  telecomunicazioni,  considerate strategiche ai sensi dell'art. 1,
comma  1,  della  legge  21  dicembre  2001,  n. 443,  sono  opere di
interesse  nazionale,  realizzabili  esclusivamente  sulla base delle
procedure definite dal presente decreto".
    Gia'  si  e'  detto che si ha qui una violazione della delega, in
quanto  questa  prevede  si  individuino  opere  determinate,  e  non
categorie di opere generali ed astratte.
    La  violazione  della  delega e' confermata dall'art. 4, comma 1,
secondo  il  quale  "l'installazione  di  infrastrutture per impianti
radioelettrici  e  la  modifica delle caratteristiche di emissione di
questi  ultimi  ed, in specie, l'installazione di torri, di tralicci,
di   impianti   radio-trasmittenti,   di  ripetitori  di  servizi  di
telecomunicazione,    di    stazioni   radio   base   per   reti   di
telecomunicazioni   mobili   GSM/UMTS,   per   reti   di  diffusione,
distribuzione  e  contribuzione  dedicate  alla  televisione digitale
terrestre,   per   reti  a  radiofrequenza  dedicate  alle  emergenze
sanitarie  ed  alla protezione civile, nonche' per reti radio a larga
banda  puntomultipunto  nelle  bande di frequenza all'uopo assegnate,
viene autorizzata dagli enti locali" secondo le regole e procedure di
seguito stabilite.
    Come  si  vede,  in  tale  disposizione manca ogni riferimento ad
infrastrutture  che  siano  dichiarate  "strategiche"  ai sensi della
legge  n. 443  del 2001. Risulta dunque possibile una interpretazione
che  consideri la disciplina del d.lgs. n. 198 del 2002 come operante
in  genere  per  tutte  le opere del tipo indicato, a prescindere dal
collegamento  con opere strategiche ai sensi della legge n. 443/2001.
Tale  ipotetica  interpretazione  e'  rafforzata dallo stesso comma 2
dell'art. 3.  Infatti, dopo che il comma 1 di tale disposizione si e'
riferito  alle "categorie" di opere strategiche, come sopra detto, il
comma  2 stabilisce che "le infrastrutture di cui all'art. 4 ... sono
compatibili   con   qualsiasi   destinazione   urbanistica   e   sono
realizzabili  in  ogni parte del territorio comunale, anche in deroga
agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di
regolamento".
    Si  rafforza cosi' l'impressione che la disciplina dell'art. 4 (e
degli  articoli seguenti) sia autonoma, che cioe' si riferisca a tali
infrastrutture   radioelettriche  in  genere,  a  prescindere  da  un
collegamento  con  le  opere  strategiche:  in  effetti, diversamente
avrebbe  dovuto  essere l'art. 4, comma 1, a richiamare espressamente
l'art. 3,  limitando  la propria disciplina alle opere strategiche ai
sensi  di  tale  articolo,  e non l'art. 3, comma 2, a riferirsi alle
opere dell'art. 4, comma 1.
    Se   tale   fosse  l'interpretazione  da  darsi  della  normativa
dell'art. 4,  essa  non  avrebbe  neppure  sotto questo profilo alcun
collegamento  con  la  legge di delega, la quale ovviamente in nessun
caso   puo'   intendersi   come   riferita   alla   disciplina  delle
infrastrutture   radioelettriche  in  quanto  tali:  con  conseguente
radicale illegittimita' costituzionale e invasivita'.
    Ma  anche  ove  si mantenga in via interpretativa il collegamento
con  la legge di delega, e dunque si limiti la disciplina di cui agli
artt. 4  e  seguenti  alle  infrastrutture  che  possano  dirsi opere
strategiche  ai  sensi  di  tale legge, il complesso normativo che ne
risulta  e'  assolutamente  incerto.  In  effetti,  il  solo  modo di
renderlo   riferibile   a   qualche   opera   particolare  sta  nella
deliberazione  del  CIPE  prevista  dall'art  1, comma 1, della legge
n. 443  del  2001. Ma tale deliberazione e' gia' stata assunta, e per
la parte relativa alle telecomunicazioni (all. 5) essa si limita come
detto  (anche  a  non  voler considerare la sua illegittimita' per le
ragioni  esposte  in  narrativa)  ad  un preventivo di spesa di ditte
varie!
    Risulta dunque evidente che l'intera disciplina del d.lgs. n. 198
del  2002  o  e'  palesemente  al  di  fuori della delega - in quanto
disciplina  di inflastrutture di telecomunicazioni in generale - o e'
assolutamente  inapplicabile,  per  mancanza  o  indeterminatezza del
proprio  oggetto,  lasciato indefinito dalla citata deliberazione del
CIPE.
    D'altronde,  l'indeterminatezza  di  tale  deliberazione,  a  sua
volta,  non  e'  da  ascrivere  a  mero  difetto di stesura, ma e' il
riflesso   dell'impossibilita'   di   applicare   al   settore  delle
telecomunicazioni  la  logica  delle  opere  determinate di carattere
strategico.
    L'assoluta   incertezza   ed   indeterminatezza  su  quali  siano
esattamente  le fattispecie disciplinate dal d.lgs. n. 198 del 2002 -
tanto  piu'  grave  in  quanto  attraverso  il  meccanismo della mera
denuncia  di  inizio  attivita' le sue disposizioni vengono ad essere
applicate  dai  diretti  interessati  - ne determina l'illegittimita'
costituzionale sotto questo ulteriore profilo.
    5. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 Costituzione.
    Con   riferimento  al  d.lgs.  n. 198/2002,  in  se'  e  per  se'
considerato,   si   osserva  innanzitutto  che  la  materia  da  esso
disciplinata  -  riguardante  l'installazione  di  infrastrutture per
impianti   radioelettrici,   di   torri   e   tralicci,  di  impianti
radiofrasmittenti,    di    stazioni   radio   base   per   reti   di
telecomunicazioni  di  vario  genere  -  non  rientra sicuramente tra
quelle riservate allo Stato dal comma 2 dell'art. 117 Cost.
    Le  opere  in  questione  non appaiono, infatti, riconducibili ad
alcuna  delle espressioni usate dall'art. 117, comma 2, per designare
le   materie   considerate.   In  particolare,  non  potrebbe  essere
richiamata  la  materia  di cui alla lettera s) del comma 2, indicata
come "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", se
non  per  quei  limitati richiami alla tutela dell'ambiente contenuti
nel  d.lgs.  qui  impugnato  (v.  l'art.  1, lettera d) e lettera f),
l'art. 4, comma 1, ultima parte, e comma 2, l'art. 5, comma 2 e comma
7,  l'art. 7,  comma  5,  l'art. 9,  comma 3).  Ne'  potrebbe  essere
invocata la lettera m), dato che il d.lgs. n. 198 non si occupa certo
di  livelli  essenziali  delle  prestazioni  concernenti  i  diritti,
mirando invece a "massimizzare" i sistemi di telecomunicazione.
    D'altra  parte e' lo stesso legislatore a escludere di aver agito
nell'esercizio della potesta' esclusiva la' dove asserisce all'art. 1
di   dettare   "principi   fondamentali"  nella  materia  considerata
lasciando,  cosi',  intendere  che il decreto si collochi nell'ambito
della potesta' legislativa concorrente.
    Se  non  che,  come si e' argomeutato nel ricorso contro la legge
n. 443/01,  fra  le  materie  di  potesta' legislativa concorrente il
legislatore  costituzionale  ha indicato precise categorie di opere -
porti  e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;
produzione   trasporto  e  distribuzione  nazionale  dell'energia"  -
nell'ambito  delle  quali  le infrastrutture disciplinate dal decreto
impugnato non possono essere ricomprese.
    Neppure  la  normativa  in questione puo' ricondursi alla materia
"ordinamento  della  comunicazione": la quale ha evidente riferimento
non   alle   infrastrutture,   ma   alle   regole  sostanziali  della
comunicazione,   a   tutela  della  liberta'  di  manifestazione  del
pensiero, della concorrenza, etc.
    Quanto  alla  materia  "tutela della salute", e' certo che, nella
specie,   il  d.lgs.  n. 198/2002  si  e'  collocato  in  una  simile
prospettiva in misura molto limitata (v. l'art. 1, lettera d), l'art.
4,  comma  1,  ultima  frase,  l'art. 5, comma 2 e comma 7, l'art. 7,
comma  5,  l'art.  9, comma 3), preoccupandosi invece, essenzialmente
(come   dichiarato  sin  dall'intitolazione  del  provvedimento),  di
accelerare le procedure di realizzazione delle inftastrutture da esso
contemplate e subordinando, anzi, per certi aspetti, al conseguimento
di questo fine l'esigenza fondamentale di salvaguardare adeguatamente
la salute pubblica.
    Ne',  infine,  il  decreto  n. 193  puo' collocarsi nella materia
"governo del territorio", se non, al limite, per la censurabile (come
si dira) norma di cui all'art. 3, comma 2.
    Per  altro  verso, le nuove formule utilizzate dalla Costituzione
con  riguardo alle "materie di legislazione concorrente" indicate nel
comma  3 (la detta potesta' "spetta alle Regioni" restando "riservata
alla  legislazione  dello  Stato"  "la  determinazione  dei  principi
fondamentali")  valgono  a  connotare  la stessa potesta' legislativa
"concorrente" in modo profondamente diverso rispetto al passato (come
confermato  anche  da codesta Corte costituzionale nella sent. n. 282
del 2002). La "spettanza" alle regioni della relativa potesta' sta ad
indicare  che  quest'ultima  si estende all'intera materia al massimo
grado  compatibile  con  le esigenze di unita' dell'ordinamento che i
"principi  fondamentali"  dovrebbero  necessariamente  esprimere.  Ne
discende  che le formule utilizzate non possono essere utilizzate per
ritagliare  spazi  da recuperare allo Stato, come avverrebbe nel caso
di  specie  ove  si  pretendesse  di  ricomprendere  nell'espressione
"governo  del  territorio"  o  in  quella  "tutela  della  salute" la
disciplina    della    realizzazione    delle    infrastrutture    di
telecomunicazioni.
    La  verita'  e' che nella materia oggetto del decreto legislativo
qui  impugnato  spetta  alle  Regioni  una potesta' legislativa piena
salvi  gli aspetti relativi alla tutela dell'ambiente, della salute e
quelli   collegati   al   governo   del   territorio   (cioe',   alla
localizzazione  delle opere, in quanto si tratti di opere in grado di
incidere sul "governo" del territorio).
    E'  precisamente  in un simile contesto che si collocano la legge
statale  n. 36/2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni
a  campi  elettrici,  magnetici  ed  elettromagnetici")  e  la  legge
regionale  dell'Emilia-Romagna n. 30/2000 ("Norme per la tutela della
salute  e  la  salvaguardia  dell'ambiente  dall'esposizione ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici").
    Nondimeno,  anche a voler ammettere che il d.lgs. n. 198/2002 sia
stato   emanato  solo  nell'esercizio  di  una  potesta'  legislativa
concorrente (secondo la sua stessa intenzione, espressa dall'art. 1),
si  perviene  ugualmente  alla  conclusione  della sua illegittimita'
costituzionale  per  contrasto  con l'art. 117 Cost. Infatti, benche'
l'art. 1   d.lgs.   n. 198   dichiari   che   esso   detta  "principi
fondamentali",  la  realta' e' che esso detta una disciplina completa
ed  esauriente, che tende ad inibire qualsiasi intervento legislativo
regionale.  Non a caso l'art. 3, comma 1 (gia' contestato sopra sotto
altro  profilo),  prevede  che  "le  categorie  di  infrastrutture di
telecomunicazioni,  considerate  strategiche"  ai  sensi dell'art. 1,
comma  1,  legge  n. 443/01,  "sono  opere  di  interesse  nazionale,
realizzabili  esclusivamente  sulla base delle procedure definite dal
presente  decreto,  anche in deroga alle disposizioni di cui all'art.
8,  comma  1,  lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36". Tale
art. 8,  comma  1, lettera c), ha attribuito alle regioni (gia' prima
della  riforma  costituzionale) la competenza a definire le modalita'
di  rilascio  delle  autorizzazioni alla installazione degli impianti
considerati nella legge quadro.
    Con  cio'  si  viola, oltre tutto, la stessa delega conferita dal
Parlamento  (e,  quindi, l'art. 76 Cost.) secondo la quale il Governo
avrebbe  dovuto  elaborare  un  "quadro normativo" ovvero, secondo il
significato  proprio  della  espressione, un insieme di veri e propri
principi, lasciando adeguato spazio al legislatore regionale: come si
evince  anche  dalle  specificazione  secondo la quale il legislatore
delegato  doveva  esercitare  il  proprio  potere "nel rispetto della
attribuzioni   costituzionali  delle  regioni".  Tale  specificazione
serviva   non   a   "stabilire"   un  dovere  che  ovviamente  deriva
direttamente  dalla  Costituzione,  ma  a  richiamare  in concreto il
legislatore  delegato  alla  realta'  della  competenza  regionale in
materia: cosa che tale legislatore ha invece completamente disatteso.
    La  censura  qui esposta investe diverse disposizioni del decreto
legislativo:  oltre  agli  articoli  1  e 3 gia' esaminati, l'art. 4,
comma  1,  relativo  alle  infrastrutture  di  telecomunicazioni  per
impianti  radioelettrici,  l'art.  5  (Procedimenti autorizzatori per
tali infrastrutture), l'art. 6 (Esiti e conseguenze), l'art. 7 (Opere
civili,   scavi   e   occupazioni   di   suolo   pubblico),  l'art. 8
(Condivisione    dello    scavo   e   coubicazione   dei   cavi   per
telecomunicazioni),   l'art. 9   (Reti   dorsali),  l'art. 10  (Oneri
connessi  alle  attivita'  di  installazione, scavo ed occupazione di
suolo  pubblico),  l'art. 12  (Disposizioni  finali).  Per tutte tali
disposizioni,  infatti,  oltre  alle censure generali di cui ai punti
1),  2)  e  3)  del  presente  ricorso  vale  l'ulteriore  censura di
invasione  della  potesta'  legislativa  affidata alle regioni in via
esclusiva,  ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione,
o, qualora si ritenesse che esse rientrano in una materia di potesta'
concorrente,   di  invasione  della  potesta'  legislativa  regionale
concorrente,  per  il  loro  carattere dettagliato. Inoltre il d.lgs.
n. 198 viola non solo l'art. 117 Cost. ma anche l'art. 118, dato che,
in una materia di competenza regionale, lo Stato attribuisce potesta'
amministrative (v. in particolare gli art. 4 ss.).
    6.  -  Violazione  del  principio  di  parita' di trattamento tra
autonomie  regionali  e  del  principio  di  ragionevolezza, entrambi
riconduciblli all'art. 3 Cost. Violazione della delega.
    L'art.  13,  che  non forma specificamente oggetto della presente
impugnazione  (salve  le  ragioni  di  illegittimita'  che colpiscono
l'intero  decreto,  sopra  illustrate),  stabilisce che "le regioni a
statuto  speciale  e  le  Province  autonome  di  Trento e di Bolzano
provvedono  alle  finalita'  di  cui al presente decreto, nell'ambito
delle  competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e
delle  norme  di  attuazione,  secondo quanto disposto dai rispettivi
ordinamenti".
    E'  palese  che  tale  disposizione - che rende rilevanti le sole
finalita' del decreto legislativo e demanda alle singole autonomie di
attuarle attraverso la propria normativa - e' stata concepita come se
fosse  ancora  vigente il precedente quadro costituzionale, nel quale
si  poteva  dire  a  priori  che le regioni ordinarie godevano di una
autonomia limitata rispetto a quelle speciali.
    Ora  tale  quadro  e'  mutato,  e  la  situazione  e'  molto piu'
articolata:  al punto che, ai sensi dell'art. 10 legge Cost. n. 3 del
2001,  e' proprio alle autonomie speciali che si estendono i poteri e
le   responsabilita'  delle  regioni  ordinarie,  quando  essi  siano
maggiori di quelli delle autonomie speciali.
    Ora,  e' evidente che nella materia delle opere pubbliche e delle
infrastrutture  proprio  questa  e'  la situazione, essendo in genere
tale materia, tranne che per le opere menzionate dall'art. 117, comma
3,  di  competenza  esclusiva  regionale.  Difetta dunque una ragione
giustificatrice   di   un   trattamento   per  le  Regioni  ordinarie
differenziato e svantaggiato rispetto alle regioni speciali.
    D'altronde, cio' e' presupposto anche dall'art. 1, comma 2, della
legge  n. 443 del 2001, il quale impone di salvaguardare le autonomie
costituzionali  delle  Regioni in genere, non essendovi nella materia
considerata  differenze  tra  le  ordinarie  e le speciali, in virtu'
dell'estensione  alle  seconde delle nuove autonomie stabilite per le
prime.
    Per contro, come si e' visto, dal d.lgs. n. 198/2002 le regioni a
statuto  ordinario  non  vengono  neppure  nominate,  e  la normativa
dettata chiude ogni spazio a qualsiasi loro intervento.
    7.  -  Violazione degli artt. 3, 9,32, 117e 118 Cost. e dell'art.
174 Trattato CE.
    Occorre   soffermarsi   ancora   sull'illegittimita'  di  singole
disposizioni,  in relazione  al loro specifico contenuto dispositivo,
sotto  profili  diversi da quello appena esaminato. Viene in rilievo,
in primo luogo, l'art. 3, comma 2 ("le infrastrutture di cui all'art.
4,  ad  esclusione  delle  torri e dei tralicci relativi alle reti di
televisione   digitale  terrestre,  sono  compatibili  con  qualsiasi
destinazione  urbanistica  e  sono  realizzabii  in  ogni  parte  del
territorio  comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad
ogni  altra  disposizione  di  legge  o  di regolamento"). Tale norma
implica  la  completa liberalizzazione, sotto il profilo urbanistico,
del  diritto  di  installazione  degli impianti di telecomunicazione,
realizzando  una  vera  e  propria  deregulation  del  settore.  Essa
vanifica  le previsioni degli strumenti urbanistici e, a quanto pare,
rende  persino  superflua  la concessione edilizia, la cui necessita'
per   gli   impianti   in   questione  risulta  peraltro  chiaramente
dall'art. 3,  comma  1, d.lgs. n. 380/2001 (t.u. in materia edilizia,
che  entrera'  in  vigore  il  30  giugno  2003),  ai sensi del quale
rientrano   fra   gli   "interventi   di  nuova  costruzione  ...  la
realizzazione  di  infrastrutture  e  di impianti, anche per pubblici
servizi,  che  comporti  la trasformazione in via permanente di suolo
inedificato"   e   "l'installazione   di   torri   e   tralicci   per
impianti-radio  ricetrasmittenti  e  di  ripetitori  per i servizi di
telecomunicazione".
    Cio'  privilegia  in  modo  esasperato ed irrazionale l'interesse
d'impresa all'installazione degli impianti, a scapito di interessi di
livello  costituzionale  come quello alla tutela del paesaggio di cui
all'art.  9  Cost.  e  quello  all'ordinato  sviluppo urbanistico del
territorio,   ed  in  definitiva  oltre  il  limite  della  "utilita'
sociale",  con  conseguente  violazione  dell'art. 41, secondo comma,
Cost.
    All'incostituzionalita'   per   questi  profili  della  norma  si
accompagnano  la lesione delle competenze amministrative regionali in
materia  urbanistica  (vanificandosi  le  scelte  compiute in sede di
pianificazione,   e   rendendo   superfluo   lo  stesso  concetto  di
urbanistica)  e persino la sottrazione alle regioni di competenze che
ad  esse erano riconosciute gia' nel vigore della precedente versione
del Titolo V della parte seconda:
        dato  che,  in base all'art. 8, comma 1, lett. a) della legge
n. 36/2001,   spetta  alle  regioni  l'"individuazione  dei  siti  di
trasmissione  e  degli  impianti per telefonia mobile, degli impianti
radioelettrici  e  degli  impianti  per  radiodiffusione". A maggiore
ragione  tale  competenza  non puo' essere sottratta alle regioni nel
nuovo quadro costituzionale.
    Inoltre,  stabilendo l'art. 3, comma 2, la derogabilita' di "ogni
disposizione  di  legge",  si  viola  anche  la  potesta' legislativa
regionale  in  materia edilizia, riconosciuta dall'art. 117, comma 4,
Cost.
    L'art. 4, comma 1, attribuisce il potere autorizzatorio agli enti
locali,    previo   accertamento   da   parte   dell'A.R.P.A.   della
compatibilita' del progetto "con i limiti di esposizione, i valori di
attenzione  e  gli  obiettivi  di qualita', stabiliti uniformemente a
livello  nazionale  in  relazione  al disposto" della legge n. 36/01.
Anche  tale  norma  segna  una  illegittima sottrazione di competenza
regionale  in  materia, dato che l'art. 3, comma 1, lettera d), legge
n. 36/01    definisce    "obiettivi   di   qualita'...,   i   criteri
localizzativi,   gli  standard  urbanistici,  le  prescrizioni  e  le
incentivazioni  per l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili,
indicati   dalle  leggi  regionali  secondo  le  competenze  definite
dall'articolo 8". Alludendo invece ad obiettivi di qualita' stabiliti
a  livello nazionale, l'art. 4 d.lgs. n. 198 pregiudica la competenza
regionale  quale  definita,  in  attuazione della Costituzione, dalla
legge n. 36/01.
    Inoltre,   secondo  l'art. 117,  comma  secondo,  lo  Stato  puo'
definire  soltanto  le  funzioni fondamentali degli enti locali. Ora,
tale   disposizione   e'   stata   oggetto  in  dottrina  di  diverse
interpretazioni  ma  sembra  evidente  che,  per  quanto  si  volesse
assumere   una   nozione  lata  di  tale  concetto,  in  nessun  caso
l'attribuzione  di una singola competenza autorizzativa in materia di
impianti  potrebbe rientrarvi. Anche sotto tale profilo e' violata la
Costituzione e la riserva di competenza legislativa alle regioni.
    Vengono  poi  in  rilievo  le  norme  che  prevedono  la semplice
denunzia di inizio attivita' per gli impianti con potenza inferiore a
20  Watt (art. 5, comma 2) e quelle che prevedono il silenzio-assenso
nel  procedimento  di  autorizzazione  (v. art. 6, comma 1, e art. 7,
comma  7). Trattandosi di impianti comunque pericolosi per la salute,
dato  che  sarebbero  posti  in qualunque posizione, senza regole che
fissino  distanze  minime  dalle abitazioni, tali norme attribuiscono
una  esasperata  ed  irrazionale preferenza all'interesse alla celere
realizzazione  degli  impianti a discapito dell'interesse alla salute
ed alla tutela dell'ambiente (artt. 9 e 32 Cost.).
    Risulta   anche   ed  in  particolare  violato  il  principio  di
precauzione  di  cui  all'art. 174,  comma 2, del Trattato istitutivo
della  CE  ("La politica della comunita' in materia ambientale mira a
un  elevato  livello  di tutela, tenendo conto della diversita' delle
situazioni  nelle  varie regioni della comunita'. Essa e' fondata sui
principi  della  precauzione e dell'azione preventiva ..."), recepito
dalla   totalita'  delle  leggi  regionali  vigenti  in  materia  (v.
l'art. 1, comma 1, legge regionale Emilia-Romagna n. 30/2000), In una
materia cosi' delicata non ci si puo' affidare sulla "autodisciplina"
dei  privati,  prevedendo denunce di inizio attivita' e meccanismi di
silenzio-assenso.
    La  censura  di  incostituzionalita'  qui  prospettata include la
lesione  della sfera di competenza regionale, perche' la legislazione
e l'amministrazione regionale vengono costrette in un quadro di norme
statali   illegittime,  delle  quali  dovrebbero  comunque  subire  i
contenuti,  addivenendo a statuizioni legislative ed amministrative a
loro volta di conseguenza illegittime.
    Si rilevi poi che la competenza concorrente statale in materia di
tutela  della  salute ha il suo senso costituzionale nell'idea che lo
Stato  ne  sia  l'ultimo  garante, e non certo nell'idea che lo Stato
possa metterla a repentaglio, in contrasto con le leggi regionali che
stabiliscono  piu'  elevati  livelli  di  tutela,  in  conformita' al
diritto comunitario.
    In   ogni   modo,   nell'ambito   dei   riparti   di   competenza
costituzionale  lo  Stato  avrebbe dovuto limitarsi a porre principi,
lasciando  alle  regioni  di  attuarli  e  svilupparli: e non dettare
invece  norme  direttamente  operative,  autoapplicabili  dai privati
interessati.