Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 2006 del 4 novembre 2002 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale 8 novembre 2002, rep. n. 46660, rogata dal dott. Federico Stame (doc. 2), dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, ed elettivamente domiciliata in Roma nello studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 13 settembre 2002 per violazione degli artt. 3, 9, 32, 70, 76, 117 e 118 della costituzione e dell'art. 174 del trattato istitutivo della Comunita' europea. F a t t o Nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 13 settembre 2002 e' stata pubblicato il d.lgs. 4 settembre 2002, n. 198, contenente "Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443". Come specificato sin dal titolo, e poi nelle premesse, la base giuridica del provvedimento legislativo considerato consisterebbe nel comma 2 dell'art. 1 (e unico) della legge 21 dicembre 2001, n. 443, intitolata "Delega al Governo in materia di infrastrutrure ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive". La legge n. 443 e' primariamente ordinata alla elaborazione ed attuazione di un programma, approvato dal Governo, di opere infrastrutturali e di impianti definiti di carattere "strategico" ovvero di "preminente interesse nazionale". Precisamente, l'art. 1, comma 1, stabilisce che "il Governo, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, individua le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese". L'ultima frase del comma 1, a sua volta, dispone (con dizione mantenuta anche nella versione modificata dalla legge 1 agosto 2002, n. 166) che "in sede di prima applicazione" il programma sia approvato dal CIPE "entro il 31 dicembre 2001". Fatto sta che il primo programma delle inftastrutture strategiche e' stato approvato con Del. CIPE 21 dicembre 2001, n. 121/2001 (Gazzetta Ufficiale 21 marzo 2002, n. 68, S.O.). In altre parole, tale delibera e' stata approvata il giorno stesso della promulgazione della legge n. 443 del 2001, ma prima della sua pubblicazione, avvenuta solo il 27 dicembre. Dunque, la delibera del CIPE dava presunta attuazione ad una legge non ancora vigente: il che comporta, secondo i consolidati concetti del diritto amministrativo, la nullita' assoluta di tale deliberazione per inesistenza giuridica del potere esercitato, e la conseguente impossibilita' di sanatoria una volta che il potere sia venuto ad esistenza. Sia consentito osservare che, sia pure nell'asserita urgenza di realizzare le "grandi opere", questo non sembra davvero il migliore modo di cominciare. Ai fini che qui interessano, comunque, notiamo che in tale quadro di complessiva illegittimita' l'allegato n. 5 della delibera CIPE, intitolato "interventi strategici di preminente interesse nazionale", contempla specificamente il "piano degli interventi nel comparto delle telecomunicazioni" (doc. 3). Tuttavia, il presunto piano non individua affatto gli interventi, ma si limita ad elencare, per i diversi tipi di reti (reti a banda larga - fibra ottica; reti per tenninali - UMTS; reti per televisione digitale terrestre), le somme previste come investimento negli anni 2002 e seguenti da operatori privati, quali Wind, Telecom Italia, Omnitel, Mediaset, oltre che dalla Rai. In calce alla delibera si precisa che la "distinta delle opere" (sic) verra' effettuata "con successiva delibera". L'art. 1, comma 2, della legge n. 443/2001, inoltre, delega il Governo "ad emanare, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1, a tal fine riformando le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l'autorizzazione integrata ambientale, limitatamente alle opere di cui al comma 1 e comunque nel rispetto del disposto dell'art. 2 della direttiva n. 85/337/CEE del consiglio del 27 giugno 1985, come modificata dalla direttiva n. 97/11/CE del consiglio del 3 marzo 1997 e introducendo un regime speciale, anche in deroga agli artt. 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, nonche' alle ulteriori disposizioni della medesima legge che non siano necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie". Di seguito vengono elencati i principi e criteri direttivi che devono essere rispettati dai decreti legislativi. In attuazione di tale delega e' stato emanato il d.lgs. n. 190/2002, attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale. Di seguito e' stato emanato il qui impugnato d.lgs. n. 198/2002: mentre il d.lgs. n. 190 si occupa delle opere "strategiche" in generale, il d.lgs. n. 198 riguarda specificamente le "infrastrutture di telecomunicazioni strategiche"; esso, infatti, richiama nelle premesse la delibera del CIPE n. 121/2001 "ed in particolare la sintesi del piano degli interventi nel comparto delle telecomunicazioni". La Regione Emilia-Romagna ha gia' impugnato la legge n. 443/2001, la quale - come detto - e' richiamata come propria base giuridica dal decreto legislativo n. 198. Il ricorso della Regione Emilia-Romagna pende col n. 15/2002 e sara' discusso nell'udienza del 19 novembre 2002. Esso comprende, in particolare, per quello che qui specificamente rileva, le disposizioni contenute nel comma 1 e nel comma 2 in base alle quali il governo ha emanato il d.lgs. qui impugnato. Come specificato nel titolo, col d.lgs. n. 198 il Governo si pone l'obiettivo generale di accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche. In particolare, il d.lgs. reca "principi fondamentali in materia di installazione e modifica delle categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, al fine di: a) agevolare la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, consentendo a tutti gli operatori di installare proprie infrastrutture celermente, creando cosi' un mercato effettivamente concorrenziale; b) consentire la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione e l'adeguamento di quelle esistenti...; c) razionalizzare le procedure autorizzatorie per l'installazione di impianti di telecomimicazioni,..; d) assicurare che la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni sia coerente con la tutela dell'ambiente e della salute... relativamente alle emissioni elettromagnetiche di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36...; i) favorire una adeguata diffusione delle infrastrutture di telecomunicazioni sull'intero territorio nazionale" (art. 1). In base all'art. 3, comma 1, "le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche" ai sensi dell'art. 1, comma 1, legge n. 443/2001, "sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto, anche in deroga alle disposizioni di cui all'art. 8, comma 1, lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36" (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici). Ora, tale art. 8, comma 1, lett. c), gia' nel vigore della precedente normativa costituzionale attribuiva alle regioni la competenza a definire le modalita' di rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti considerati. L'art. 3, comma 2, stabilisce poi che "le infrastrutture di cui all'art. 4, ad esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento". In concreto, come specificato dall'art. 4, oggetto del decreto e' "l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi ed, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radiotrasmittenti, di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di stazioni radio base per reti di telecomunicazioni mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonche' per reti radio a larga banda puntomultipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate". Il rilascio dell'autorizzazione spetta agli enti locali, previo accertamento da parte dell'A.R.P.A., della compatibilita' con i limiti di esposizione e di attenzione nonche' con gli obiettivi di qualita' stabiliti in base alla gia' citata legge n. 36/2001. Tuttavia, "nel caso di installazione di impianti con tecnologia UMTS o altre, con potenza in singola antenna uguale o inferiore ai 20 Watt, fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualita' sopra indicati, e' sufficiente la denuncia di inizio attivita'" (art. 5, comma 2; l'art. 12, comma 2, prevede la conversione delle istanze gia' presentante in denunce di questo tipo). Il decreto n. 198 si spinge (art. 5) fino a predisporre un modello di istanza da formulare agli enti locali per ottenere l'autorizzazione, stabilendo minuziosamente fasi e termini del relativo procedimento e prevedendo anche l'ordine delle preferenze in caso di piu' domande. Si prevede, inoltre, per le istanze di autorizzazione e le denunce di attivita', nonche' per le istanze relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti gia' esistenti, il meccanismo del silenzio-assenso (art. 6), e si disciplina in modo completo (art. 7) l'effettuazione di opere civili, di scavi (assimilati ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria: art. 3, comma 3) nonche' l'occupazione di suolo pubblico, prevedendo anche qui il meccanismo del silenzio-assenso (art. 7. comma 7, che per alcuni casi fissa addirittura un termine di 30 giorni). Gli artt. 8 e 9 disciplinano poi il caso della condivisione dello scavo e della coubicazione dei cavi per telecomunicazioni nei centri abitati e quello in cui l'installazione delle infrastrutture considerate interessi aree di proprieta' di piu' enti (art. 9); si prevedono gli oneri connessi alle attivita' in questione (art. 10) e, altresi', limitazioni legali alla proprieta' privata (art. 11). L'art. 13 - intitolato "legislazione regionale" - e' riferito alle sole regioni a statuto speciale. Queste "provvedono alle finalita' di cui al presente decreto, nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, secondo quanto disposto dai singoli ordinamenti". Mentre, dunque, sembra farsi salva, perlomeno in una certa misura, la competenza delle regioni a statuto speciale, viene completamente pretermessa e, in effetti, annullata, quella delle regioni a statuto ordinario alle quali il decreto non dedica neppure un accenno. D'altro canto va tenuto presente che la Regione Emilia-Romagna, con la legge 31 ottobre 2000, n. 30 (modificata con la legge 13 novembre 2001, n. 34, e con la legge 13 novembre 2001, n. 38), intitolata norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico, ha, a sua volta, gia' disciplinato la materia della installazione delle infrastrutture di telecomunicazione contemplate dal d.lgs. n. 198/2002 e delle relative autorizzazioni. Nel capo II tale legge disciplina la localizzazione e l'autorizzazione degli impianti fissi per l'emittenza radio e televisiva, prevedendo un piano provinciale di localizzazione dell'emittenza radio e televisiva (art. 3), il divieto di localizzazione degli impianti in certe aree (residenziali, scolastiche, sanitarie, ecc.: v. l'art. 4), un procedimento autorizzatorio di competenza comunale (art. 6) ed il risanamento degli impianti per l'emittenza radio e televisiva (art. 7). Nel capo III la legge disciplina gli impianti per telefonia mobile, ed in particolare il procedimento autorizzatorio di competenza comunale (art. 8), il divieto di localizzazione degli impianti in certe aree (art. 9), il risanamento degli impianti esistenti (art. 10). Il capo V ha ad oggetto l'attivita' di vigilanza e le sanzioni. Come si puo' constatare il d.lgs. n. 198 del 2002 e la l.r. dell'Emilia-Romagna n. 9 del 2002 riguardano la medesima materia disciplinandola entrambi in modo completo, ma collocandosi, nel contempo, in una prospettiva totalmente diversa. Il d.lgs. n. 198/2002, infatti "liberalizza", per cosi' dire, pressoche' totalmente il settore, affermando, ad es., il principio della compatibilita' degli impianti con qualsiasi destinazione urbanistica di zona e la loro realizzabilita' "in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento", introducendo nella materia l'istituto della denuncia di inizio di attivita' e quello del silenzio-assenso, non prevedendo valutazioni di impatto ambientale e cosi' via. La legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 30 del 2000, per contro, si pone come fine quello di tutelare "in via prioritaria" la salute e l'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico, prevede divieti di localizzazione in determinate aree, controlli da parte dell'amministrazione pubblica nel necessario rispetto della pianificazione urbanistica (art 6, comma 2), il risanamento degli impianti esistenti, una valutazione di impatto paesaggistico-culturale-ambientale (art. 8, comma 1) e cosi' via. Ad avviso della Regione Emilia-Romagna, il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, risulta costituziozionalmente illegittimo e lesivo della sfera regionale di competenza per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale derivata per incostituzionalita' della legge n. 443/2001. Come detto, il d.lgs. qui impugnato costituisce, o almeno (come si dira) asserisce di costituire, attuazione della legge n. 443/2001. La Regione Emilia-Romagna ha impugnato tale legge per ragioni che permangono inalterate e che si riflettono inevitabilmente sul decreto legislativo n. 198/2002, oggetto della presente impugnazione: per semplicita' sia consentito dunque rinviare qui alle argomentazioni svolte nel ricorso proposto da questa regione contro la legge n. 443/2001. Si noti che tali argomentazioni non sono affatto superate dalle modifiche introdotte con la legge n. 166 del 2002: se e' vero infatti che tale legge ha, quanto alla programmazione delle opere, previsto (ancorche' solo per il futuro) procedure di intesa sia con la singola regione interessata sia con la conferenza Stato-Regioni, neppure tali previsioni hanno modificato l'impianto fondamentale della legge n. 443, basato sulla attrazione alla competenza statale non solo della programmazione, ma anche dell'approvazione dei progetti ed in larghissima misura della stessa realizzazione delle opere - sia pubbliche che private - mediante la semplice soggettiva qualificazione delle stesse come "strategiche" e di "preminente interesse nazionale". Dunque, a parte il fatto che la legge n. 166/2002 non incide sul primo programma delle "grandi opere" di cui alla delibera CIPE n. 121/2001 (cui si rifa' il d.lgs. qui impugnato), l'art. 1 legge n. 443/2001 tuttora contempla una generica categoria di opere pubbliche, ben al di la' dei confini assegnati alla potesta' legislativa statale dai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost., non potendo piu' valere l'interesse nazionale ai fini del ritaglio delle materie e, comunque, non potendo l'interesse nazionale essere rimesso alla discrezionale definizione del Governo (si noti che tale ultimo principio gia' operava anche nel vigore del vecchio Titolo V: si pensi alla giurisprudenza costituzionale sul principio di legalita' sostanziale degli atti di indirizzo e coordinamento). Dunque, e' evidente che, ove ritenuta da codesta ecc.ma Corte costituzionale, l'illegittimita' costituzionale delle impugnate disposizioni della legge n. 443 del 2001 non puo' non riflettersi direttamente sulla legittimita' del decreto legislativo delegato emanato in base ad essa. 2. - Estraneita' delle disciplina del d.lgs. n. 198 del 2002 all'ambito della delega operata dalla legge n. 443 del 2001. Difetto assoluto di delega e violazione degli artt. 70, 76, 117 Cost. Come sopra esposto, l'art. 1, comma 2, legge n. 443/2001 delega il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi "volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1", cioe' delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi "strategici e di preminente interesse nazionale". Si trutta, in pratica, delle c.d. "grandi opere": valichi, ponte sullo stretto di Messina, opere stradali e ferroviarie, ecc., cioe' di opere specifiche e chiaramente individuate. Pare chiaro che l'installazione di una pluralita' di antenne, di tralicci, di impianti radiotrasmittenti, di ripetitori ecc. ed a maggiore ragione la modifica degli impianti esistenti non rientrano fra le grandi opere "di preminente interesse nazionale". Si tratta, invece, di una miriade di piccole opere, la cui natura non muta per il fatto che l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 198 le qualifica "opere di interesse nazionale". La natura specifica ed individua delle opere di cui alla legge n. 443 risulta evidente dalla considerazione dei principi e criteri direttivi dettati dal comma 2 dell'art. 1, ai quali i decreti delegati sono tenuti ad attenersi. Dalla previsione della "finanza di progetto" (lett. a) al riferimento alla procedure concessorie e autorizzatorie, che hanno specifico riferimento ai "progetti preliminari" ed alla "localizzazione dell'opera" da effettuare di intesa con la regione competente (lett. b), alla attribuzione "al CIPE, integrato dai presidenti delle regioni interessate", di diversi compiti, quali "approvare il progetto preliminare e definitivo", "vigilare sulla esecuzione dei progetti approvati", anche "adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell'opera e, ove prevista, della VIA" (lett. c), e via via allo stesso modo per tutti i principi e criteri direttivi. D'altronde, la non riconducibilita' del d.lgs. n. 198 all'art. 1, comma 2, legge n. 443/2001 e' confermata chiaramente dal fatto che il d.lgs. n. 198 detta una disciplina che (ovviamente) non si ispira affatto ai principi direttivi della legge di delega: anzi, il d.lgs. n. 198 si "autodetta" (nell'art. 1) i propri principi direttivi, cosi' rendendo palese che esso non trova fondamento nella legge n. 443/2001. Il Governo ha dunque utilizzato impropriamente e strumentalmente la delega di cui all'art. 1 legge n. 443/2001, espandendo il concetto di infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale al di fuori dell'ambito chiaramente definito dalla legge di delega. Ne', naturalmente, tale conclusione e' inficiata dal fatto che l'allegato 5 della delibera CIPE n. 121/2001 contempli interventi nel comparto delle telecomunicazioni: a parte il fatto che, come si vedra', l'allegato 5 prevede solo investimenti finanziari per la realizzazione di reti, se il d.lgs. n. 198 e' fuoriuscito dall'oggetto della legge di delega, la sua incostituzionalita' non puo' certo essere sanata dal fatto che un atto amministrativo ha anch'esso applicato scorrettamente la legge n. 443/2001. Dunque, il decreto legislativo qui impugnato interviene nelle materie di competenza residuale o concorrente regionale, senza alcuna base giuridica nella legge di delega, con conseguente violazione dell'art. 117, commi 2, 3 e 4 e dell'art. 70 della Costituzione, usurpando al tempo stesso i poteri legislativi delle Camere e quelli delle Regioni. 3. - Violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delega e conseguente violazione degli artt. 70, 76, 117 Cost. Si e' sopra accennato alla circostanza che il decreto legislativo qui impugnato non corrisponde per nulla ai principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delega come riprova che esso e' in realta' estraneo all'oggetto stesso della delega. Cio' non toglie, ovviamente, che tale mancata corrispondenza sia anche autonomo vizio delle disposizioni del decreto legislativo delegato. Praticamente, nulla di cio' che e' stabilito tra i principi e criteri direttivi della delega trova corrispondenza nelle disposizioni del decreto n. 198. Cio' e' stato gia' sopra ricordato per le lettere a), b) e c) del comma 2 dell'art. 1 della legge n. 443, ma e' ugualmente vero per le altre: non vi e' alcuna disciplina della conferenza di servizi (lett. d), meno ancora dell'affidamento mediante gara ad un unico soggetto contraente (lett. e), dell'affidamento a contraente generale (lett. f), dell'obbligo di rispetto della normativa europea in tema di appalti pubblici (lett. g), o di specifiche deroghe alla vigente disciplina in materia di aggiudicazione e di realizzazione dei lavori pubblici (lett. h). Ne' risultano pertinenti, senza che occorra qui indicante singolarmente gli oggetti, i criteri di cui alle rimanenti lettere i) l), m), n), o). Si dira' che tali principi e criteri direttivi non sono stati seguiti perche' non si prestavano ad esserlo, date le caratteristiche della materia trattata: ma questo da un lato non assolverebbe certo un decreto legislativo delegato dalla censura di non avere rispettato nessuno dei principi e criteri della delega, dall'altro costituisce prova proprio di cio' che qui si vuole dimostrare: che cioe' oggetto e principi di delega e decreto legislativo delegato costituiscono universi separati e non comunicanti. In realta', la disciplina dettata dal Governo e' percorsa da una radicale contraddizione. Infatti, se - pur contro il senso normativo della legge n. 443 - si fossero volute concepire le "reti" di telecomunicazione come "opere" nel loro insieme, esse si sarebbero dovute considerare nella loro globalita', applicando allora gli istituti generali previsti dalla legge n. 443 e dai principi di delega in tema di approvazione dei progetti, competenza alle concessioni, approvazione delle localizzazioni d'intesa con le regioni interessate, tipologia di gara, valutazione di impatto ambientale etc. Si sarebbe trattato di un disegno in un certo senso mostruoso, e radicalmente espropriativo delle competenze locali, oltre che regionali, ma tale disegno avrebbe avuto una sua esteriore corrispondenza con le previsioni della legge n. 443 e con i principi della delega. Se invece le installazioni per le telecomunicazioni rimangono, come nel decreto legislativo n. 198 rimangono, singole opere individue, soggette ciascuna alla sua disciplina in relazione alla dimensione singola di essa, all'autorizzazione locale, etc., allora si esce completamente non solo dall'oggetto ma anche dalla logica normativa della legge n. 443, e si pone in essere una disciplina che non ha piu' alcun contatto con quella della legge di delega, che non e' legittimata da questa e che comunque ne viola i principi. La contraddizione della disciplina di cui al d.lgs. n. 198 del 2002 con la legge n. 443 del 2001 emerge con chiarezza anche se si considera il contenuto dell'allegato 5 della delibera CIPE n. 121/2001, pure richiamato nelle premesse del decreto. Infatti l'allegato 5, pur nella sua generale illegittimita' di cui si e' detto in premessa, e pur non individuando affatto le opere, per le quali rinvia ad una successiva "distinta" (sic), si riferisce pur sempre a reti, ovvero a progetti unitariariamente concepiti ed aventi rilievo giuridico in quanto progetti unitari: "reti a banda larga", "reti per terminali" e "reti per televisione digitale terrestre". Invece, come sopra osservato, il d.lgs. n. 198 disciplina in realta' i singoli impianti (v. l'art. 4, gia' citato) e le opere civili e gli scavi (art. 7), cioe', in pratica, "piccole opere" (per quanto pericolose per la salute). Fra l'altro, lo schema di decreto legislativo sottoposto al parere della conferenza unificata si intitolava disposizioni per accelerare la realizzazione delle infrastrutture per le reti di telecomunicazioni, e le regioni avevano chiesto un chiarimento sull'oggetto del decreto, ritenendo non coerente il titolo dello schema con l'art. 3 (corrispondente all'attuale art. 4), che contemplava impianti non riconducibili a reti (v. il parere della conferenza unificata 20 giugno 2002, rep. n. 582, ed in particolare l'allegato A: doc. 4). L'allontanamento della normativa qui contestata dall'ambito normativo e dai principi della legge n. 443 del 2001 trova conferma letterale nell'art. 3, comma 1, secondo il quale "le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche" ai sensi dell'art. 1, comma 1, legge n. 443/2001, "sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto". Ora e' agevole osservare che la legge n. 443 del 2001 non prevedeva affatto ne' consentiva la definizione di "categorie" di opere che siano di preminente interesse strategico in quanto astrattamente appartenenti alla categoria, ma prevedeva e prevede l'individuazione di specifiche opere, in concreto individuate a mezzo di un programma come di interesse strategicomma La Regione Emilia-Romagna ha contestato tale disposizione nel ricorso relativo alla legge n. 443: ma soltanto questa e' la disposizione nel cui ambito puo' muoversi qualunque decreto legislativo delegato. Anche questo profilo conferma la generale illegittimita' del decreto legislativo impugnato, ivi compreso l'art. 3 ora citato, per estraneita' alla legge n. 443, e comunque alla delega ed ai suoi principi. Un ulteriore diverso profilo di violazione della legge di delega concerne in particolare l'art. 3 d.lgs. n. 198, che eccede la delega perche' rende possibile la realizzazione delle infrastrutture "anche in deroga... ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento", laddove l'art. 1, comma 2, legge n. 443 prevedeva solo una deroga "agli artt. 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, nonche' alle ulteriori disposizioni della medesima legge che non siano necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie". 4. - Violazione dell'art. 76 Costituzione e del principio della certezza del diritto. Il d.lgs. n. 198 del 2002 viola la legge di delega, e lo stesso principio della certezza del diritto, sotto ulteriori profili. L'art. 3, comma 1, asserisce che "le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto". Gia' si e' detto che si ha qui una violazione della delega, in quanto questa prevede si individuino opere determinate, e non categorie di opere generali ed astratte. La violazione della delega e' confermata dall'art. 4, comma 1, secondo il quale "l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi ed, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di stazioni radio base per reti di telecomunicazioni mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonche' per reti radio a larga banda puntomultipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, viene autorizzata dagli enti locali" secondo le regole e procedure di seguito stabilite. Come si vede, in tale disposizione manca ogni riferimento ad infrastrutture che siano dichiarate "strategiche" ai sensi della legge n. 443 del 2001. Risulta dunque possibile una interpretazione che consideri la disciplina del d.lgs. n. 198 del 2002 come operante in genere per tutte le opere del tipo indicato, a prescindere dal collegamento con opere strategiche ai sensi della legge n. 443/2001. Tale ipotetica interpretazione e' rafforzata dallo stesso comma 2 dell'art. 3. Infatti, dopo che il comma 1 di tale disposizione si e' riferito alle "categorie" di opere strategiche, come sopra detto, il comma 2 stabilisce che "le infrastrutture di cui all'art. 4 ... sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento". Si rafforza cosi' l'impressione che la disciplina dell'art. 4 (e degli articoli seguenti) sia autonoma, che cioe' si riferisca a tali infrastrutture radioelettriche in genere, a prescindere da un collegamento con le opere strategiche: in effetti, diversamente avrebbe dovuto essere l'art. 4, comma 1, a richiamare espressamente l'art. 3, limitando la propria disciplina alle opere strategiche ai sensi di tale articolo, e non l'art. 3, comma 2, a riferirsi alle opere dell'art. 4, comma 1. Se tale fosse l'interpretazione da darsi della normativa dell'art. 4, essa non avrebbe neppure sotto questo profilo alcun collegamento con la legge di delega, la quale ovviamente in nessun caso puo' intendersi come riferita alla disciplina delle infrastrutture radioelettriche in quanto tali: con conseguente radicale illegittimita' costituzionale e invasivita'. Ma anche ove si mantenga in via interpretativa il collegamento con la legge di delega, e dunque si limiti la disciplina di cui agli artt. 4 e seguenti alle infrastrutture che possano dirsi opere strategiche ai sensi di tale legge, il complesso normativo che ne risulta e' assolutamente incerto. In effetti, il solo modo di renderlo riferibile a qualche opera particolare sta nella deliberazione del CIPE prevista dall'art 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001. Ma tale deliberazione e' gia' stata assunta, e per la parte relativa alle telecomunicazioni (all. 5) essa si limita come detto (anche a non voler considerare la sua illegittimita' per le ragioni esposte in narrativa) ad un preventivo di spesa di ditte varie! Risulta dunque evidente che l'intera disciplina del d.lgs. n. 198 del 2002 o e' palesemente al di fuori della delega - in quanto disciplina di inflastrutture di telecomunicazioni in generale - o e' assolutamente inapplicabile, per mancanza o indeterminatezza del proprio oggetto, lasciato indefinito dalla citata deliberazione del CIPE. D'altronde, l'indeterminatezza di tale deliberazione, a sua volta, non e' da ascrivere a mero difetto di stesura, ma e' il riflesso dell'impossibilita' di applicare al settore delle telecomunicazioni la logica delle opere determinate di carattere strategico. L'assoluta incertezza ed indeterminatezza su quali siano esattamente le fattispecie disciplinate dal d.lgs. n. 198 del 2002 - tanto piu' grave in quanto attraverso il meccanismo della mera denuncia di inizio attivita' le sue disposizioni vengono ad essere applicate dai diretti interessati - ne determina l'illegittimita' costituzionale sotto questo ulteriore profilo. 5. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 Costituzione. Con riferimento al d.lgs. n. 198/2002, in se' e per se' considerato, si osserva innanzitutto che la materia da esso disciplinata - riguardante l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, di torri e tralicci, di impianti radiofrasmittenti, di stazioni radio base per reti di telecomunicazioni di vario genere - non rientra sicuramente tra quelle riservate allo Stato dal comma 2 dell'art. 117 Cost. Le opere in questione non appaiono, infatti, riconducibili ad alcuna delle espressioni usate dall'art. 117, comma 2, per designare le materie considerate. In particolare, non potrebbe essere richiamata la materia di cui alla lettera s) del comma 2, indicata come "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", se non per quei limitati richiami alla tutela dell'ambiente contenuti nel d.lgs. qui impugnato (v. l'art. 1, lettera d) e lettera f), l'art. 4, comma 1, ultima parte, e comma 2, l'art. 5, comma 2 e comma 7, l'art. 7, comma 5, l'art. 9, comma 3). Ne' potrebbe essere invocata la lettera m), dato che il d.lgs. n. 198 non si occupa certo di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti, mirando invece a "massimizzare" i sistemi di telecomunicazione. D'altra parte e' lo stesso legislatore a escludere di aver agito nell'esercizio della potesta' esclusiva la' dove asserisce all'art. 1 di dettare "principi fondamentali" nella materia considerata lasciando, cosi', intendere che il decreto si collochi nell'ambito della potesta' legislativa concorrente. Se non che, come si e' argomeutato nel ricorso contro la legge n. 443/01, fra le materie di potesta' legislativa concorrente il legislatore costituzionale ha indicato precise categorie di opere - porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" - nell'ambito delle quali le infrastrutture disciplinate dal decreto impugnato non possono essere ricomprese. Neppure la normativa in questione puo' ricondursi alla materia "ordinamento della comunicazione": la quale ha evidente riferimento non alle infrastrutture, ma alle regole sostanziali della comunicazione, a tutela della liberta' di manifestazione del pensiero, della concorrenza, etc. Quanto alla materia "tutela della salute", e' certo che, nella specie, il d.lgs. n. 198/2002 si e' collocato in una simile prospettiva in misura molto limitata (v. l'art. 1, lettera d), l'art. 4, comma 1, ultima frase, l'art. 5, comma 2 e comma 7, l'art. 7, comma 5, l'art. 9, comma 3), preoccupandosi invece, essenzialmente (come dichiarato sin dall'intitolazione del provvedimento), di accelerare le procedure di realizzazione delle inftastrutture da esso contemplate e subordinando, anzi, per certi aspetti, al conseguimento di questo fine l'esigenza fondamentale di salvaguardare adeguatamente la salute pubblica. Ne', infine, il decreto n. 193 puo' collocarsi nella materia "governo del territorio", se non, al limite, per la censurabile (come si dira) norma di cui all'art. 3, comma 2. Per altro verso, le nuove formule utilizzate dalla Costituzione con riguardo alle "materie di legislazione concorrente" indicate nel comma 3 (la detta potesta' "spetta alle Regioni" restando "riservata alla legislazione dello Stato" "la determinazione dei principi fondamentali") valgono a connotare la stessa potesta' legislativa "concorrente" in modo profondamente diverso rispetto al passato (come confermato anche da codesta Corte costituzionale nella sent. n. 282 del 2002). La "spettanza" alle regioni della relativa potesta' sta ad indicare che quest'ultima si estende all'intera materia al massimo grado compatibile con le esigenze di unita' dell'ordinamento che i "principi fondamentali" dovrebbero necessariamente esprimere. Ne discende che le formule utilizzate non possono essere utilizzate per ritagliare spazi da recuperare allo Stato, come avverrebbe nel caso di specie ove si pretendesse di ricomprendere nell'espressione "governo del territorio" o in quella "tutela della salute" la disciplina della realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni. La verita' e' che nella materia oggetto del decreto legislativo qui impugnato spetta alle Regioni una potesta' legislativa piena salvi gli aspetti relativi alla tutela dell'ambiente, della salute e quelli collegati al governo del territorio (cioe', alla localizzazione delle opere, in quanto si tratti di opere in grado di incidere sul "governo" del territorio). E' precisamente in un simile contesto che si collocano la legge statale n. 36/2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici") e la legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 30/2000 ("Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"). Nondimeno, anche a voler ammettere che il d.lgs. n. 198/2002 sia stato emanato solo nell'esercizio di una potesta' legislativa concorrente (secondo la sua stessa intenzione, espressa dall'art. 1), si perviene ugualmente alla conclusione della sua illegittimita' costituzionale per contrasto con l'art. 117 Cost. Infatti, benche' l'art. 1 d.lgs. n. 198 dichiari che esso detta "principi fondamentali", la realta' e' che esso detta una disciplina completa ed esauriente, che tende ad inibire qualsiasi intervento legislativo regionale. Non a caso l'art. 3, comma 1 (gia' contestato sopra sotto altro profilo), prevede che "le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche" ai sensi dell'art. 1, comma 1, legge n. 443/01, "sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto, anche in deroga alle disposizioni di cui all'art. 8, comma 1, lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36". Tale art. 8, comma 1, lettera c), ha attribuito alle regioni (gia' prima della riforma costituzionale) la competenza a definire le modalita' di rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti considerati nella legge quadro. Con cio' si viola, oltre tutto, la stessa delega conferita dal Parlamento (e, quindi, l'art. 76 Cost.) secondo la quale il Governo avrebbe dovuto elaborare un "quadro normativo" ovvero, secondo il significato proprio della espressione, un insieme di veri e propri principi, lasciando adeguato spazio al legislatore regionale: come si evince anche dalle specificazione secondo la quale il legislatore delegato doveva esercitare il proprio potere "nel rispetto della attribuzioni costituzionali delle regioni". Tale specificazione serviva non a "stabilire" un dovere che ovviamente deriva direttamente dalla Costituzione, ma a richiamare in concreto il legislatore delegato alla realta' della competenza regionale in materia: cosa che tale legislatore ha invece completamente disatteso. La censura qui esposta investe diverse disposizioni del decreto legislativo: oltre agli articoli 1 e 3 gia' esaminati, l'art. 4, comma 1, relativo alle infrastrutture di telecomunicazioni per impianti radioelettrici, l'art. 5 (Procedimenti autorizzatori per tali infrastrutture), l'art. 6 (Esiti e conseguenze), l'art. 7 (Opere civili, scavi e occupazioni di suolo pubblico), l'art. 8 (Condivisione dello scavo e coubicazione dei cavi per telecomunicazioni), l'art. 9 (Reti dorsali), l'art. 10 (Oneri connessi alle attivita' di installazione, scavo ed occupazione di suolo pubblico), l'art. 12 (Disposizioni finali). Per tutte tali disposizioni, infatti, oltre alle censure generali di cui ai punti 1), 2) e 3) del presente ricorso vale l'ulteriore censura di invasione della potesta' legislativa affidata alle regioni in via esclusiva, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, o, qualora si ritenesse che esse rientrano in una materia di potesta' concorrente, di invasione della potesta' legislativa regionale concorrente, per il loro carattere dettagliato. Inoltre il d.lgs. n. 198 viola non solo l'art. 117 Cost. ma anche l'art. 118, dato che, in una materia di competenza regionale, lo Stato attribuisce potesta' amministrative (v. in particolare gli art. 4 ss.). 6. - Violazione del principio di parita' di trattamento tra autonomie regionali e del principio di ragionevolezza, entrambi riconduciblli all'art. 3 Cost. Violazione della delega. L'art. 13, che non forma specificamente oggetto della presente impugnazione (salve le ragioni di illegittimita' che colpiscono l'intero decreto, sopra illustrate), stabilisce che "le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalita' di cui al presente decreto, nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle norme di attuazione, secondo quanto disposto dai rispettivi ordinamenti". E' palese che tale disposizione - che rende rilevanti le sole finalita' del decreto legislativo e demanda alle singole autonomie di attuarle attraverso la propria normativa - e' stata concepita come se fosse ancora vigente il precedente quadro costituzionale, nel quale si poteva dire a priori che le regioni ordinarie godevano di una autonomia limitata rispetto a quelle speciali. Ora tale quadro e' mutato, e la situazione e' molto piu' articolata: al punto che, ai sensi dell'art. 10 legge Cost. n. 3 del 2001, e' proprio alle autonomie speciali che si estendono i poteri e le responsabilita' delle regioni ordinarie, quando essi siano maggiori di quelli delle autonomie speciali. Ora, e' evidente che nella materia delle opere pubbliche e delle infrastrutture proprio questa e' la situazione, essendo in genere tale materia, tranne che per le opere menzionate dall'art. 117, comma 3, di competenza esclusiva regionale. Difetta dunque una ragione giustificatrice di un trattamento per le Regioni ordinarie differenziato e svantaggiato rispetto alle regioni speciali. D'altronde, cio' e' presupposto anche dall'art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001, il quale impone di salvaguardare le autonomie costituzionali delle Regioni in genere, non essendovi nella materia considerata differenze tra le ordinarie e le speciali, in virtu' dell'estensione alle seconde delle nuove autonomie stabilite per le prime. Per contro, come si e' visto, dal d.lgs. n. 198/2002 le regioni a statuto ordinario non vengono neppure nominate, e la normativa dettata chiude ogni spazio a qualsiasi loro intervento. 7. - Violazione degli artt. 3, 9,32, 117e 118 Cost. e dell'art. 174 Trattato CE. Occorre soffermarsi ancora sull'illegittimita' di singole disposizioni, in relazione al loro specifico contenuto dispositivo, sotto profili diversi da quello appena esaminato. Viene in rilievo, in primo luogo, l'art. 3, comma 2 ("le infrastrutture di cui all'art. 4, ad esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabii in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento"). Tale norma implica la completa liberalizzazione, sotto il profilo urbanistico, del diritto di installazione degli impianti di telecomunicazione, realizzando una vera e propria deregulation del settore. Essa vanifica le previsioni degli strumenti urbanistici e, a quanto pare, rende persino superflua la concessione edilizia, la cui necessita' per gli impianti in questione risulta peraltro chiaramente dall'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 380/2001 (t.u. in materia edilizia, che entrera' in vigore il 30 giugno 2003), ai sensi del quale rientrano fra gli "interventi di nuova costruzione ... la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato" e "l'installazione di torri e tralicci per impianti-radio ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione". Cio' privilegia in modo esasperato ed irrazionale l'interesse d'impresa all'installazione degli impianti, a scapito di interessi di livello costituzionale come quello alla tutela del paesaggio di cui all'art. 9 Cost. e quello all'ordinato sviluppo urbanistico del territorio, ed in definitiva oltre il limite della "utilita' sociale", con conseguente violazione dell'art. 41, secondo comma, Cost. All'incostituzionalita' per questi profili della norma si accompagnano la lesione delle competenze amministrative regionali in materia urbanistica (vanificandosi le scelte compiute in sede di pianificazione, e rendendo superfluo lo stesso concetto di urbanistica) e persino la sottrazione alle regioni di competenze che ad esse erano riconosciute gia' nel vigore della precedente versione del Titolo V della parte seconda: dato che, in base all'art. 8, comma 1, lett. a) della legge n. 36/2001, spetta alle regioni l'"individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione". A maggiore ragione tale competenza non puo' essere sottratta alle regioni nel nuovo quadro costituzionale. Inoltre, stabilendo l'art. 3, comma 2, la derogabilita' di "ogni disposizione di legge", si viola anche la potesta' legislativa regionale in materia edilizia, riconosciuta dall'art. 117, comma 4, Cost. L'art. 4, comma 1, attribuisce il potere autorizzatorio agli enti locali, previo accertamento da parte dell'A.R.P.A. della compatibilita' del progetto "con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualita', stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto" della legge n. 36/01. Anche tale norma segna una illegittima sottrazione di competenza regionale in materia, dato che l'art. 3, comma 1, lettera d), legge n. 36/01 definisce "obiettivi di qualita'..., i criteri localizzativi, gli standard urbanistici, le prescrizioni e le incentivazioni per l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, indicati dalle leggi regionali secondo le competenze definite dall'articolo 8". Alludendo invece ad obiettivi di qualita' stabiliti a livello nazionale, l'art. 4 d.lgs. n. 198 pregiudica la competenza regionale quale definita, in attuazione della Costituzione, dalla legge n. 36/01. Inoltre, secondo l'art. 117, comma secondo, lo Stato puo' definire soltanto le funzioni fondamentali degli enti locali. Ora, tale disposizione e' stata oggetto in dottrina di diverse interpretazioni ma sembra evidente che, per quanto si volesse assumere una nozione lata di tale concetto, in nessun caso l'attribuzione di una singola competenza autorizzativa in materia di impianti potrebbe rientrarvi. Anche sotto tale profilo e' violata la Costituzione e la riserva di competenza legislativa alle regioni. Vengono poi in rilievo le norme che prevedono la semplice denunzia di inizio attivita' per gli impianti con potenza inferiore a 20 Watt (art. 5, comma 2) e quelle che prevedono il silenzio-assenso nel procedimento di autorizzazione (v. art. 6, comma 1, e art. 7, comma 7). Trattandosi di impianti comunque pericolosi per la salute, dato che sarebbero posti in qualunque posizione, senza regole che fissino distanze minime dalle abitazioni, tali norme attribuiscono una esasperata ed irrazionale preferenza all'interesse alla celere realizzazione degli impianti a discapito dell'interesse alla salute ed alla tutela dell'ambiente (artt. 9 e 32 Cost.). Risulta anche ed in particolare violato il principio di precauzione di cui all'art. 174, comma 2, del Trattato istitutivo della CE ("La politica della comunita' in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversita' delle situazioni nelle varie regioni della comunita'. Essa e' fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva ..."), recepito dalla totalita' delle leggi regionali vigenti in materia (v. l'art. 1, comma 1, legge regionale Emilia-Romagna n. 30/2000), In una materia cosi' delicata non ci si puo' affidare sulla "autodisciplina" dei privati, prevedendo denunce di inizio attivita' e meccanismi di silenzio-assenso. La censura di incostituzionalita' qui prospettata include la lesione della sfera di competenza regionale, perche' la legislazione e l'amministrazione regionale vengono costrette in un quadro di norme statali illegittime, delle quali dovrebbero comunque subire i contenuti, addivenendo a statuizioni legislative ed amministrative a loro volta di conseguenza illegittime. Si rilevi poi che la competenza concorrente statale in materia di tutela della salute ha il suo senso costituzionale nell'idea che lo Stato ne sia l'ultimo garante, e non certo nell'idea che lo Stato possa metterla a repentaglio, in contrasto con le leggi regionali che stabiliscono piu' elevati livelli di tutela, in conformita' al diritto comunitario. In ogni modo, nell'ambito dei riparti di competenza costituzionale lo Stato avrebbe dovuto limitarsi a porre principi, lasciando alle regioni di attuarli e svilupparli: e non dettare invece norme direttamente operative, autoapplicabili dai privati interessati.