ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1469-bis,
secondo  comma,  del  codice civile, promosso con ordinanza emessa il
5 luglio  1999 dal giudice di pace di Sanremo nel procedimento civile
Style  Car  s.n.c.  contro  Grizzly  s.p.a.,  iscritta  al n. 959 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, 1a serie speciale, n. 1, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 19 giugno 2002 il giudice
relatore Fernanda Contri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Il  giudice  di  pace  di  Sanremo,  con ordinanza emessa il
5 luglio  1999,  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 25 e 41
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 1469-bis,  secondo comma, del codice civile, nella parte in
cui   non  equipara  al  consumatore  le  piccole  imprese  e  quelle
artigiane.
    Ad   avviso   del  rimettente,  tale  norma  sarebbe  viziata  di
incostituzionalita',  per  la  irragionevolezza della discriminazione
operata  tra  piccolo  imprenditore  e artigiano rispetto al "privato
consumatore".
    Il  giudice  a  quo  sottolinea, in particolare, che la finalita'
dell'art. 1469-bis  e  dell'intero capo XIV-bis del codice civile sta
nella    tutela   del   contraente   debole   rispetto   alla   parte
avente maggiore  potere contrattuale e che, soprattutto nei contratti
per   adesione,  le  cui  clausole  negoziali  sono  predisposte  dal
professionista,   e'   evidente   come  la  parte  debole  sia  posta
nell'alternativa  di  aderire  alle  clausole  o  di  rinunciare alla
prestazione.
    Il    rimettente    afferma   che   un   ulteriore   profilo   di
incostituzionalita'  potrebbe  ravvisarsi  nella  circostanza  che le
clausole  che attribuiscono la competenza territoriale esclusivamente
al giudice del luogo dove ha sede il "professionista" hanno l'effetto
di  sottrarre  l'attore  al  giudizio  del  proprio  giudice naturale
precostituito  per  legge,  che  e'  quello  del  luogo  ove l'attore
medesimo ha la residenza o il domicilio.
    Infine,   sussisterebbe   un   contrasto   con   l'art. 41  della
Costituzione,  in  quanto  la  direttiva comunitaria, di cui la norma
impugnata  costituisce  attuazione, si iscrive nel piu' ampio disegno
di  realizzare  in  ambito  comunitario  il  libero mercato, il quale
postula  una  effettiva  concorrenza  tra  i  soggetti economici e la
rimozione  degli  ostacoli, di fatto o di diritto, che nei vari Stati
membri la limitano.
    2. - E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    La  difesa  erariale  pone  anzitutto  in  rilievo come non debba
confondersi  la  figura  del  consumatore  con  quella del contraente
debole,  in  quanto  la  prima riceve una efficace tutela sostanziale
dagli  artt. 1469-bis e seguenti del codice civile, mentre la seconda
e' contemplata dagli artt. 1341, 1342 e 1370 cod. civ. ai fini di una
tutela meramente formale.
    La  definizione di consumatore come "la persona fisica che agisce
per  scopi  estranei  all'attivita'  imprenditoriale  o professionale
eventualmente  svolta",  recepita  dalla  novella al codice civile in
attuazione  della  direttiva  comunitaria  93/13  e  comune  a  molte
discipline  normative  - come quelle concernenti i contratti conclusi
fuori  dai locali commerciali, la pubblicita' ingannevole, il credito
al consumo e i prodotti difettosi - attribuisce particolare rilevanza
all'attivita' del soggetto che opera per il soddisfacimento di propri
bisogni di vita non gia' per scopi professionali.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura,  il  legislatore,  sia  interno  che
comunitario,  ha  ragionevolmente  escluso  dalla tutela le attivita'
dirette  alla realizzazione di un profitto o di un reddito, in quanto
il  soggetto  economico,  di  fronte  all'aumento  di costi derivanti
"dall'abusivita'" delle clausole, puo' riversare sul mercato il danno
subito,  aumentando  il  corrispettivo  per  le  sue  prestazioni,  a
differenza  del  consumatore,  che  puo' solo ridurre i suoi consumi.
Inoltre,  l'imprenditore  debole e' tutelato dagli artt. 1341, 1342 e
2597  cod.  civ.  e  dall'art. 3  della legge 10 ottobre 1990, n. 287
(Norme  per  la  tutela della concorrenza e del mercato), che reprime
gli abusi realizzati da una o piu' imprese in posizione dominante.
    Non    sussisterebbero    quindi    i    lamentati   profili   di
incostituzionalita',   ne',   ad   avviso  dell'Avvocatura,  potrebbe
ravvisarsi   la   violazione   dell'art. 25  della  Costituzione,  in
considerazione  della  legittimita'  delle  clausole che stabiliscono
come  foro  esclusivo  quello  di  residenza del professionista nelle
ipotesi in cui la controparte non rivesta la qualita' di consumatore.
    Osserva  infine  l'Avvocatura  che  la definizione di consumatore
accolta  dall'art. 1469-bis  cod. civ. e la tutela che da essa deriva
costituiscono   mere  trasposizioni  di  normative  valide  in  tutta
l'Unione europea, onde l'introduzione nella legislazione nazionale di
una tutela piu' ampia non solo non sarebbe conforme all'art. 11 della
Costituzione,  al  principio  di armonizzazione dei diritti interni e
alla logica dell'integrazione economica, ma comporterebbe il pericolo
di distorsioni della concorrenza.

                       Considerato in diritto

    1. - La  questione  di  legittimita' costituzionale sollevata dal
giudice  di  pace  di Sanremo investe l'art. 1469-bis, secondo comma,
del  codice civile, nella parte in cui non equipara al consumatore le
piccole  imprese  e  quelle  artigiane.  Il  rimettente sollecita, in
definitiva,  l'attribuzione  della qualita' di consumatore alla parte
che risulti avere minore potere contrattuale, indipendentemente dalla
veste   in  cui  questa  agisca,  e  quindi  anche  se  essa  sia  un
imprenditore individuale o collettivo.
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  detta norma si porrebbe in
contrasto  con  l'art. 3  della Costituzione, per la irragionevolezza
della  discriminazione  operata  tra piccolo imprenditore e artigiano
rispetto  al "privato consumatore"; con l'art. 25 della Costituzione,
in  quanto  le  clausole che attribuiscono la competenza territoriale
esclusiva  al  giudice del luogo dove ha sede il professionista hanno
l'effetto  di  sottrarre  l'attore  al  giudizio  del proprio giudice
naturale  precostituito  per  legge,  che  e'  quello  del  luogo ove
l'attore medesimo ha la residenza o il domicilio; con l'art. 41 della
Costituzione,  in  quanto  la  direttiva  comunitaria di cui la norma
impugnata costituisce attuazione si iscrive nel piu' ampio disegno di
realizzare  in  ambito  comunitario il libero mercato, il quale a sua
volta postula una effettiva concorrenza tra i soggetti economici e la
rimozione  degli  ostacoli, di fatto o di diritto, che nei vari Stati
membri la limitano.
    2. - La questione non e' fondata.
    2.1. - Il legislatore, con l'art. 25 della legge 6 febbraio 1996,
n. 52   (Disposizioni   per   l'adempimento   di  obblighi  derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'  europee  -  legge
comunitaria  1994),  ha  dato  attuazione  alla  direttiva  93/13/CEE
concernente  le  clausole  abusive  nei  contratti  stipulati  con  i
consumatori,  introducendo  nel titolo II del libro quarto del codice
civile  il  capo  XIV-bis  dedicato  ai contratti del consumatore. La
prima  di  tali norme, l'art. 1469-bis cod. civ., dopo aver stabilito
il  campo  di  applicazione  della  disciplina  ed  aver  offerto una
definizione   di   carattere   generale  delle  clausole  vessatorie,
attribuisce,  in conformita' al testo della direttiva, la qualita' di
consumatore  alla  persona  fisica  che  agisce  per  scopi  estranei
all'attivita' imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
    L'esclusione  dalla speciale tutela di tutti quei soggetti che in
forma  individuale  o  anche  collettiva  agiscono per scopi comunque
connessi  all'attivita'  economica  da  essi svolta, quantunque senza
finalita'  di  lucro,  e'  stata posta in discussione dalla dottrina,
soprattutto  in relazione a quelle particolari ipotesi nelle quali la
linea  di  demarcazione  tra  le  varie finalita' del consumo risulti
particolarmente incerta.
    Tuttavia la scelta del legislatore di limitare la tutela non solo
non appare irragionevole ma si sottrae decisamente a tutte le censure
mosse dal giudice rimettente.
    Di   particolare   rilievo   ai  fini  dell'armonizzazione  delle
legislazioni  e'  anzitutto  il  dato che nella normativa di numerosi
Paesi  membri  dell'Unione  europea  la definizione di consumatore e'
ristretta  alle  sole  persone  fisiche  che  agiscono  per scopi non
professionali;  la medesima definizione ricorre anche nel progetto di
codice  civile  europeo,  in  fase  di  elaborazione,  nel  quale  e'
rigorosamente  definito  consumatore  colui  che  agisce  al di fuori
dell'attivita' economica.
    La predisposizione di strumenti di tutela comuni, attuati in base
a   modelli  uniformi,  consente  una  semplificazione  dei  rapporti
giuridici  tra  i  cittadini  dei  diversi  Paesi aderenti all'Unione
europea  e costituisce di per se' sola una idonea ragione di politica
legislativa  a  sostegno  della  scelta  di restringere la nozione di
consumatore,   effettuata  dal  legislatore  con  l'attuazione  della
direttiva comunitaria 93/13.
    La  preferenza nell'accordare particolare protezione a coloro che
agiscono  in  modo  occasionale,  saltuario  e  non  professionale si
dimostra  non  irragionevole  allorche' si consideri che la finalita'
della norma e' proprio quella di tutelare i soggetti che secondo l'id
quod  plerumque  accidit  sono presumibilmente privi della necessaria
competenza  per negoziare; onde la logica conseguenza dell'esclusione
dalla disciplina in esame di categorie di soggetti - quali quelle dei
professionisti,  dei  piccoli  imprenditori,  degli  artigiani  - che
proprio  per  l'attivita' abitualmente svolta hanno cognizioni idonee
per contrattare su un piano di parita'.
    Una  diversa  scelta  presupporrebbe  logicamente  che il piccolo
imprenditore  e  l'artigiano,  cosi'  come  il  professionista, siano
sempre  soggetti  deboli anche quando contrattano a scopo di lucro in
funzione dell'attivita' imprenditoriale o artigianale da essi svolta;
il  che  contrasterebbe  con  lo  spirito  della  direttiva  e  della
conseguente normativa di attuazione.
    2.2.  - Alla medesima conclusione di infondatezza della questione
si giunge esaminando gli altri profili di incostituzionalita' dedotti
dal rimettente in relazione agli artt. 25 e 41 della Costituzione.
    Come questa Corte ha reiteratamente affermato, il principio della
precostituzione del giudice e' rispettato qualora l'organo giudicante
sia  stato  istituito  dalla  legge  sulla  base  di criteri generali
fissati  in  anticipo  e  non  gia' in vista di singole controversie;
inoltre   detto   principio   e'  estraneo  alla  ripartizione  della
competenza  territoriale  tra  giudici dettata da normativa anteriore
nel tempo alla istituzione del giudizio.
    Pertanto,   nella  fattispecie,  nella  quale  la  competenza  e'
individuata  in base al foro generale delle persone giuridiche di cui
all'art. 19  cod.  proc.  civ.,  essendo  convenuta  in  giudizio una
societa'  di  capitali,  non puo' certamente ritenersi sussistente la
lesione  del  citato  precetto  costituzionale; ne' tale lesione puo'
derivare   dalla   impossibilita'   di  applicare  il  foro  previsto
dall'art. 1469-bis,  terzo  comma,  numero  19), cod. civ., in quanto
cio'  consegue  al  difetto della qualita' di consumatore, secondo la
definizione contenuta nella norma sostanziale.
    Il  rimettente  ha  infine prospettato la violazione dell'art. 41
della  Costituzione,  senza  tuttavia  offrire  una chiara e adeguata
motivazione.
    Poiche'  non  e'  dato  comprendere,  ne'  risulta  in alcun modo
specificato,  come la lamentata disparita' di trattamento tra privato
consumatore  e piccolo imprenditore possa determinare una limitazione
della  concorrenza e un ostacolo al libero mercato, la censura appare
priva di consistenza.