ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza,  di  sanita'  e  pubblico  impiego,  nonche' disposizioni
fiscali),  convertito,  con modificazioni, in legge 14 novembre 1992,
n. 438,  e  successive  proroghe,  promosso con ordinanza del 7 marzo
2002  dalla  Corte  di  cassazione  nei  procedimenti  civili riuniti
vertenti  tra  F.S.  s.p.a.  e  Bernardo  Giovanbattista, iscritta al
n. 154  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 16 dell'anno 2002.
    Visti gli atti di costituzione di Bernardo Giovanbattista e della
Rete  Ferroviaria  Italiana s.p.a. nonche' gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri e di Addato Giuseppe;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 settembre  2002 il giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Uditi  gli  avvocati  Sergio Vacirca per Bernardo Giovanbattista,
Franco  Carinci  e  Paolo  Tosi per Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.,
Antonio  Giordano,  Guglielmo  Durazzo  e  Sergio  Vacirca per Addato
Giuseppe  e  l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  depositata  il  7 marzo  2002, la Corte di
cassazione   ha   sollevato,   in   riferimento   all'art. 36   della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma  5, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti
in  materia  di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche'
disposizioni  fiscali),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
14 novembre  1992,  n. 438, e successive proroghe, nella parte in cui
lo stesso - disponendo che "tutte le indennita', compensi, gratifiche
ed  emolumenti  di qualsiasi genere, comprensivi, per disposizioni di
legge  o  atto amministrativo previsto dalla legge o per disposizione
contrattuale,  di una quota di indennita' integrativa speciale di cui
alla  legge  27 maggio  1959  n. 324,  e  successive modificazioni, o
dell'indennita'  di contingenza prevista per il settore privato o che
siano,  comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo
della vita", debbano essere corrisposti "per l'anno 1993 nella stessa
misura  dell'anno 1992" - produce il risultato ovvero consente che il
lavoro  straordinario  prestato  dai  dipendenti delle Ferrovie dello
Stato  venga  retribuito  in  misura  inferiore al lavoro ordinario o
comunque  non  garantisce  "un  compenso  proporzionato alla maggiore
penosita' del lavoro protratto oltre i limiti dell'orario normale".
    Il  giudizio  civile  nel  corso  del quale la questione e' stata
sollevata  venne  introdotto  nel 1996 da Giovanbattista Bernardo con
ricorso per decreto ingiuntivo al pretore di Paola, volto ad ottenere
la  condanna  delle  Ferrovie dello Stato s.p.a. al pagamento di Lire
318.  690  oltre  accessori  a  titolo di maggior compenso del lavoro
straordinario  effettuato  a  far tempo dal novembre 1992, in base al
rilievo  che quel compenso era stato calcolato in misura inferiore al
dovuto,  e  cioe'  "senza  considerare  i  vari  aumenti  stipendiali
maturati dal 1992 ad oggi".
    Emesso  il  provvedimento  monitorio e proposta opposizione dalla
societa' ingiunta, il giudice adito, all'esito del relativo giudizio,
revoco'  il  decreto  ingiuntivo,  aderendo  alla tesi dell'opponente
secondo   la   quale   correttamente   il   compenso  per  il  lavoro
straordinario  -  calcolato  mediante  l'applicazione  delle aliquote
di maggiorazione,   di   cui  all'art. 44  del  contratto  collettivo
nazionale  di  lavoro  1990/1992  per i ferrovieri, alla retribuzione
convenzionale  prevista  dall'art. 36  della medesima fonte negoziale
(costituita da stipendio tabellare, indennita' integrativa speciale e
rateo  della  tredicesima  mensilita) - non era stato piu' adeguato a
partire  dal  1 gennaio 1993, in considerazione delle disposizioni di
cui  al  citato art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 384 del 1992, e
della  proroga  operata  per il triennio 1994/1996 dall'art. 3, comma
36,  della  legge  24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di
finanza pubblica).
    A  seguito  di gravame, il Tribunale di Paola accolse tuttavia la
domanda di Giovambattista Bernardo sulla base dei seguenti rilievi:
        a)  l'aumento,  a  partire  dal novembre  1992,  di  elementi
rientranti nel concetto di retribuzione normale, ma non facenti parte
di  quello  di  retribuzione convenzionale - assunta ex artt. 36 e 44
CCNL   1990/1992   a   base   di  calcolo  del  compenso  per  lavoro
straordinario  - aveva determinato il superamento del compenso orario
del lavoro ordinario rispetto a quello del lavoro straordinario, e la
forbice  si  era  ulteriormente  allargata  negli  anni successivi, a
seguito  della  stipulazione  dei  CCNL del 1994 e del 1998, i quali,
quanto  allo  straordinario,  avevano stabilito il mantenimento degli
importi  derivanti  dall'applicazione  dell'art. 44  CCNL  1990/1992;
conseguentemente,  mentre la retribuzione normale si era incrementata
grazie agli aumenti stipendiali contrattualmente pattuiti, i compensi
dello straordinario erano rimasti bloccati;
        b)  pacifico  in  fatto  che,  in  conseguenza  del descritto
meccanismo  retributivo  dello straordinario dei ferrovieri, questo -
dal  1  novembre  1992  - era stato compensato in misura inferiore al
lavoro  ordinario,  andava  dichiarata  la  "nullita'  delle clausole
contrattuali   sopra   citate  (...),  per  violazione  dei  principi
inderogabili  di  cui  all'art. 2108  cod.  civ.  e all'art. 5 r.d.l.
692/23, da ritenersi subentrati nella regolazione dei rapporti tra le
parti, ai sensi dell'art. 1419, comma secondo, cod. civ.";
        c)  quanto all'applicabilita', sostanzialmente incontroversa,
"del  blocco  dei  compensi  ... operato dal quinto comma dell'art. 7
d.l.  n. 384/1992",  con  sentenza n. 242 del 17 giugno 1999 la Corte
costituzionale,  investita della questione della legittimita' di tali
disposizioni    per    ritenuta    contrarieta'   all'art. 36   della
Costituzione,   l'aveva   dichiarata  infondata  sulla  base  di  una
interpretazione  adeguatrice,  che  limitava l'ambito di applicazione
delle   norme   denunciate   ai   soli   meccanismi   automatici   di
indicizzazione: interpretazione che, ancorche' non vincolante, doveva
tuttavia essere condivisa.
    2.  -  Investita  del ricorso per violazione e falsa applicazione
del  citato  art. 7, comma 5, del d.l. n. 384 del 1992 da parte delle
Ferrovie  dello  Stato  s.p.a.,  la  Corte di cassazione, rilevato di
avere  gia'  avuto  occasione  di  discostarsi  (segnatamente  con la
sentenza 12 febbraio 2002, n. 1996) dalla pronuncia del giudice delle
leggi,  ha  ribadito  il suo convincimento che l'articolo 7, comma 5,
d.l.  19 settembre  1992,  n. 384, convertito con modificazioni nella
legge 14 novembre 1992, n. 438, deve essere interpretato, in coerenza
con  il tenore letterale della disposizione, nel senso che, ad essere
corrisposte   per  l'anno  1993  (e  seguenti)  nella  stessa  misura
dell'anno  1992  siano  "tutte le indennita', compensi, gratifiche ed
emolumenti   di   qualsiasi  genere,  comprensivi  di  una  quota  di
indennita'  integrativa  speciale  o dell'indennita' di contingenza o
comunque  rivalutabili in relazione alla variabilita' del costo della
vita,  e  non  le  sole quote di indennita' integrativa speciale o di
indennita'   di  contingenza  contenute  nei  ricordati  emolumenti".
Ricorda la Corte che disposizioni - di contenuto identico o analogo a
quello  della  norma  in esame (quali gli articoli 7, comma 16, della
legge n. 887/1984 e 6, comma 8, della legge n. 41/1986) - erano state
interpretate  allo stesso modo da essa Corte e che la limitazione del
blocco  ai soli automatismi retributivi - con esclusione dunque degli
emolumenti  che  ne sono comprensivi - non avrebbe avuto senso, posto
che  quegli  automatismi  erano  gia'  sterilizzati prima che venisse
emanato  il  d.l.  n. 384/1992 e che di tanto Governo e parti sociali
avevano  preso  atto  nel Protocollo di intesa stipulato il 31 luglio
1992.
    Precisa  anche  il  rimettente  che, nel giudizio definito con la
citata  sentenza  n. 1996 del 2002, non era stata sollevata questione
di   legittimita'   costituzionale   solo   per  la  mancanza  di  un
accertamento  in  fatto  -  demandato  contestualmente  al giudice di
rinvio  -  sul se la retribuzione di un'ora di lavoro ordinario fosse
"divenuta  nel  periodo in contestazione, superiore alla retribuzione
di  un'ora  di  lavoro  straordinario", laddove tale accertamento era
contenuto  nella  sentenza  impugnata  del  Tribunale di Paola: donde
l'indubbia   rilevanza   della   prospettata   questione,  in  quanto
strumentale  alla  decisione  della controversia, senza necessita' di
ulteriori accertamenti di fatto da parte del giudice di merito.
    Rileva   infine   la   Corte  rimettente  che  la  non  manifesta
infondatezza  della questione puo' essere affermata, oltre che "sulla
base  della  stessa  motivazione  che sorregge la ricordata pronuncia
della  Corte  costituzionale  (sentenza  n. 242 del 1999 cit.)", alla
stregua  dei motivi esposti nell'ordinanza di questa Corte n. 716 del
1988:  ivi  la  questione di legittimita', in riferimento all'art. 36
della   Costituzione,   dell'inapplicabilita',  ai  dipendenti  delle
Ferrovie  dello  Stato  (ai  sensi dell'art. 1, comma 3, in relazione
all'art. 5   del   r.d.l.  n. 692/23),  della  previsione  legale  di
una maggiorazione  retributiva  minima  (non  inferiore  al dieci per
cento)  per  il  lavoro straordinario, venne ritenuta infondata sulla
base  del rilievo che "il combinato disposto dell'art. 2108 cod. civ.
e  delle  norme  della contrattazione collettiva, assicurando, per il
lavoro straordinario, una maggiorazione della retribuzione dovuta per
quello  ordinario,  in  coerenza  con  l'art. 36 della Costituzione",
garantiva comunque "un compenso proporzionato alla maggiore penosita'
del  lavoro  protratto  oltre  i  limiti  dell'orario  normale". Tali
argomentazioni  -  conclude  il  rimettente - rendono ipotizzabile il
contrasto tra la disposizione impugnata e il parametro costituzionale
evocato  non  solo  quando  il  "blocco"  produca  effettivamente  il
risultato  di  retribuire il lavoro straordinario in misura inferiore
rispetto  a  quello ordinario, ma anche quando consenta semplicemente
lo   stesso  risultato  o  comunque  non  garantisca  quel  "compenso
proporzionato  alla maggiore  penosita'  del lavoro protratto oltre i
limiti   dell'orario   normale"  cui  il  Giudice  delle  leggi  fece
riferimento nell'ordinanza n. 716 del 1988.
    3.  -  Si  sono  costituiti in giudizio Bernardo Giovanbattista e
Giuseppe  Addato  -  quest'ultimo  in  quanto  parte  di  un giudizio
pendente   innanzi   alla  Corte  di  cassazione  (Sez.  lavoro  R.G.
n. 14630/2000),  sospeso  "in  attesa  della  decisione  della  Corte
costituzionale  sulla  questione  ...  sollevata"  con l'ordinanza di
rimessione  del  7 marzo 2002 - nonche' Rete Ferroviaria s.p.a. (gia'
Ferrovie  dello  Stato  Societa'  di  Trasporti  e Servizi per Azioni
s.p.a.).
    3.1. - Il  Bernardo  sostiene l'inammissibilita' della questione,
in  quanto gia' decisa dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 242
del  1999  di  interpretazione  adeguatrice, come tale vincolante per
l'interprete;  in  subordine auspica una conferma di quella pronuncia
ovvero  la  declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma
impugnata.
    Rilevato,  peraltro, che nell'ordinanza di rimessione la Corte di
cassazione,  da  un  lato,  avrebbe  erroneamente  ritenuto  non piu'
sussistenti   nel   nostro   ordinamento  meccanismi  di  adeguamento
automatico  delle  retribuzioni  -  affermazione  contraddetta invece
dall'esistenza  della  c.d. indennita' di "vacanza contrattuale" - e,
dall'altro,   avrebbe   del   tutto  ignorato  il  punto  nodale  del
ragionamento   svolto   dal   Giudice   delle  leggi  nel  precedente
intervento,  allorche'  ebbe  a sottolineare che, significativamente,
dei  due  meccanismi  attraverso  i  quali  il  legislatore  del 1992
persegui'  l'obiettivo  del  contenimento  della  spesa  pubblica,  -
impedire  la  stipulazione  di  nuovi  accordi  economici  collettivi
(art. 7,   comma   1);  far  cessare  la  crescita  automatica  delle
retribuzioni (art. 7, comma 5) - solo il secondo era stato prorogato,
da  cio'  deducendo che "il legislatore (aveva) inteso inibire i soli
aumenti automatici della retribuzione e non quelli contrattati".
    3.2. - Analoghi  argomenti  sono  stati esposti dall'interventore
Addato.
    3.3. - La  Rete  Ferroviaria  Italiana s.p.a., dopo aver rilevato
che  in  virtu'  dell'art. 1, comma 66, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662,  "le  disposizioni  dell'art. 7,  comma  5, del decreto-legge
19 dicembre  1992  n. 384,  convertito  con modificazioni dalla legge
14 novembre  1992  n. 438  ...  continuano  ad  applicarsi  anche  al
triennio  1997-1999"  e  che  l'interpretazione della norma impugnata
accolta dal giudice di legittimita' con la sentenza 12 febbraio 2002,
n. 1996,  e'  l'unica  plausibile,  ricorda  che  gia'  in passato la
Suprema  Corte,  nel  confrontarsi  con norme di contenuto identico o
analogo  a  quello  della disposizione impugnata - (art. 7, comma 16,
della  legge  22 dicembre 1984, n. 887 e art. 6, comma 8, della legge
28 febbraio 1986, n. 41) - aveva ritenuto che con esse il legislatore
avesse  stabilito  il  blocco  della  misura retributiva unitaria dei
compensi  ricomprendenti una qualsiasi forma di indicizzazione (Cass.
1  giugno  1992,  n. 6576; Cass. 10 giugno 1999, n. 5719); sottolinea
che  secondo la migliore dottrina e il consolidato insegnamento della
stessa  Corte costituzionale (sentenza n. 164 del 1994), i criteri di
sufficienza   e   proporzionalita'   posti  dall'art. 36  Cost.  sono
"inscindibilmente connessi", di modo che la verifica del rispetto del
precetto  costituzionale  esige  una valutazione globale e di sintesi
dell'intero   assetto   retributivo   garantito   al   lavoratore,  a
prescindere  dai  criteri  di  computo e dall'ammontare delle singole
voci;   sostiene  che,  nella  specie,  il  "blocco"  al  1992  degli
emolumenti   comprensivi  di  una  quota  di  indennita'  integrativa
speciale,  non  puo' considerarsi lesivo del principio di adeguatezza
della  cosiddetta  retribuzione  corrispettivo,  per  l'esiguita' del
decremento  che risulta dalla sua applicazione, peraltro accompagnato
da  progressivi  e  considerevoli  incrementi  retributivi sul minimo
tabellare;  osserva che nessuna norma costituzionale impone di pagare
di  piu'  il lavoro svolto oltre i limiti contrattuali dell'orario di
lavoro   e   che  la  copertura  costituzionale  del  criterio  della
proporzionalita' di cui all'art. 36 Cost. sussiste nella sola ipotesi
di  una  particolare  gravosita',  e  quindi di una speciale qualita'
usurante della prestazione lavorativa, da escludere nella fattispecie
-  in  considerazione  del carattere supplementare e non propriamente
straordinario  del lavoro della cui remunerazione si controverte -, e
comunque  indimostrata;  rileva, infine, che non puo' non attribuirsi
adeguato  rilievo  alla  eccezionalita'  e transitorieta' della norma
denunciata.
    4.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,   rappresentato   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,
depositando  memoria  nella  quale  sostiene  l'inammissibilita'  per
difetto di rilevanza, e comunque l'infondatezza della questione.
    Sotto  il  primo  profilo,  rileva che non e' stato in alcun modo
individuato  dal  giudice  a quo il meccanismo concreto attraverso il
quale  una  voce  retributiva,  che  si articola nella contrattazione
collettiva  come  un emolumento maggiorato in percentuale rispetto al
compenso  previsto  per  l'ora  ordinaria, possa in concreto divenire
minore  della retribuzione normale; che conseguentemente "non e' dato
comprendere  se  l'effetto lamentato dalla Corte di cassazione derivi
dalla legge (che stabilisce un blocco generalizzato dei meccanismi di
rivalutazione),   ovvero  dalla  contrattazione  collettiva,  che  ha
regolato, in ipotesi contra legem, la materia dello straordinario".
    Evidenzia,  poi,  che,  contrariamente  a  quanto sostenuto dalla
Corte di cassazione, la sterilizzazione degli automatismi retributivi
legati  all'inflazione sulle competenze accessorie, quali il compenso
per  lo  straordinario,  costituisce un effetto della norma impugnata
(prorogata negli anni successivi al 1993, fino al triennio 2000/2002,
da  ultimo  con  l'art. 22  della  legge n. 488/1999), e non gia' del
protocollo del 31 luglio 1992, posto che, con questo, Governo e Parti
sociali  si  limitarono a suo tempo a prendere atto "dell'intervenuta
cessazione del sistema di indicizzazione dei salari di cui alla legge
13 luglio  1991  n. 191,  gia'  scaduta il 31 dicembre 1991"; che, in
definitiva   l'asserita  inferiorita'  del  compenso  per  il  lavoro
straordinario,  rispetto  a  quello  del  lavoro  prestato  nel corso
dell'orario  normale,  non consegue al disposto dell'art. 7, comma 5,
del  decreto-legge  n. 384  del  1992, il quale, nell'interpretazione
datane  dalla Corte costituzionale, si limita a bloccare i meccanismi
automatici  di  indicizzazione,  senza  interferire  con le dinamiche
incrementali  dei  compensi  per  lavoro  straordinario,  legati agli
aumenti del trattamento economico fondamentale.
    5. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, le parti private hanno
depositato memorie.
    5.1.  -  Giovanbattista  Bernardo  segnala  che, ad eccezione dei
dipendenti  della  s.p.a. Ferrovie dello Stato, in qualsiasi comparto
del  pubblico  impiego o rapporto di lavoro privatistico appartenente
al  c.d.  settore  pubblico  allargato  cui  si applichi la normativa
sospettata  di  incostituzionalita',  non  si  e' mai dubitato, ancor
prima  che  intervenisse  la  sentenza  n. 242  del  1999 della Corte
costituzionale,  che  il  compenso  del  lavoro straordinario dovesse
essere  adeguato  alle variazioni contrattuali della paga tabellare e
che  il "blocco" riguardasse pertanto i soli meccanismi automatici di
indicizzazione  delle  retribuzioni. Ricorda in proposito che tutti i
contratti  del pubblico impiego stipulati dall'Aran - soggetti, prima
della  sottoscrizione,  al  vaglio  della Corte dei conti - nonche' i
contratti  dei  dipendenti  delle  aziende  autoferrotranviarie hanno
previsto  che  le  misure  degli stipendi da essi risultanti avessero
effetto sul compenso per il lavoro straordinario.
    Sostiene  poi  che  la questione di costituzionalita', cosi' come
riproposta nell'ordinanza della Corte di cassazione, presenta profili
di inammissibilita', in quanto, da un lato, le argomentazioni in essa
enunciate  si fondano su presupposti identici a quelli gia' esaminati
e  decisi  con  la  sentenza  n. 242  del  1999  di  questa Corte, e,
dall'altro  lato,  il  giudice  a  quo  si  e'  limitato a riproporre
un'interpretazione  della  norma  gia'  ritenuta,  sia  pure  in  via
ipotetica,  contrastante  col  dettato  costituzionale, in violazione
quindi dei vincoli derivanti all'interprete dalla predetta decisione.
    Osserva  ancora  il  deducente che, nel disattendere la pronuncia
della   Corte  costituzionale  n. 242  del  1999,  il  rimettente  ha
platealmente  contraddetto i propri precedenti giurisprudenziali, che
avevano  attribuito a norme di identica formulazione letterale (quali
l'art. 7,  comma 16, della legge n. 887 del 1984 e l'art. 6, comma 8,
della   legge   n. 41  del  1986)  proprio  il  significato  ritenuto
plausibile  e  conforme  alla  Costituzione dal Giudice delle leggi e
come  tale  da  questi  assunto  a  presupposto  della  pronuncia  di
interpretazione adeguatrice, quale consolidato diritto vivente.
    Richiama  infine il Bernardo "l'esame diacronico" dei commi 1 e 5
dell'art. 7   del   d.l.   n. 384   del  1992  compiuto  dalla  Corte
costituzionale  nel precedente intervento nonche' il tenore letterale
dell'art. 22 della legge n. 488 del 1999 (legge finanziaria del 2000)
che, col suo generico riferimento a tutti gli emolumenti "soggetti ad
incremento in relazione alle variazioni del costo della vita", mostra
chiaramente di riferirsi ai soli meccanismi automatici di adeguamento
delle retribuzioni e non ai compensi che li contengano.
    Ove  mai  la  questione  di  illegittimita'  sollevata  non fosse
ritenuta  inammissibile  o infondata per le ragioni sopra esposte, la
norma  impugnata  andrebbe,  a  giudizio  dell'esponente,  dichiarata
incostituzionale, perche' contraria all'art. 36 della Costituzione.
    Contrastando  le  deduzioni  svolte  da Rete Ferroviaria Italiana
s.p.a., osserva, da un lato, che la qualificazione come straordinario
(e  non  gia'  supplementare)  del  lavoro di cui trattasi, contenuta
nell'ordinanza  di  rimessione  e'  frutto  di  non piu' contestabile
accertamento  effettuato  nel  giudizio di merito e, dall'altro lato,
che   assolutamente   dirimenti,   ai   fini   dello   scrutinio   di
costituzionalita',  appaiono  i principi estrapolabili dall'ordinanza
n. 716  del  1988,  avendo  in tale pronuncia la Corte costituzionale
affermato non solo la costituzionalizzazione del principio per cui il
lavoro   straordinario  deve  essere  compensato  in  modo  superiore
rispetto a quello ordinario, ma altresi' che il lavoro prestato oltre
il normale orario di lavoro e' di per se' piu' gravoso.
    Osserva  infine il Bernardo che la successione delle proroghe che
hanno  riguardato  l'art. 7,  comma  5, rende insostenibile l'assunto
dell'eccezionalita' dell'intervento legislativo.
    5.2.   -   Giuseppe   Addato   richiama,  al  fine  di  sostenere
l'ammissibilita' del suo intervento, alcuni precedenti della Corte, e
segnatamente le sentenze n. 421 del 1995, la sentenza n. 315 del 1992
e la sentenza n. 235 del 1997.
    Nel   merito   svolge   le  stesse  argomentazioni  difensive  di
Giovanbattista Bernardo.
    5.3.  - Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. ribadisce che l'indagine
sulla  costituzionalita'  della norma denunciata non puo' prescindere
da   un   passaggio  fondamentale:  la maggiorazione  per  il  lavoro
straordinario  prevista dall'art. 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 non e'
applicabile  al  rapporto  di  lavoro  dei  ferrovieri,  il  quale e'
disciplinato  da specifiche norme del settore, e in particolare dalla
legge  13 agosto  1969,  n. 591, dalla legge 11 febbraio 1970, n. 34,
dai  d.P.R.  n. 1372  del  1971  e  n. 374 del 1983. Ricorda che tale
approdo  interpretativo e' stato condiviso dalla Corte costituzionale
nell'ordinanza  n. 716  del  1988,  allorche'  dichiaro' la manifesta
infondatezza  della questione relativa alla legittimita' dell'art. 1,
comma terzo, del r.d.l. n. 692 del 1923, nella parte in cui esclude i
rapporti  di  lavoro  degli  addetti  agli uffici e servizi pubblici,
anche  se  gestiti  da assuntori privati, dalla sua applicazione e in
particolare  dall'applicazione  dell'art. 5, relativo al compenso del
lavoro straordinario; che le affermazioni contenute in tale pronuncia
vanno  lette  tenendo  presente  che  lo straordinario al quale aveva
riguardo  il  Giudice delle leggi era esclusivamente quello "legale",
unico  oggetto,  per  giurisprudenza assolutamente consolidata, della
disciplina  contenuta  nell'art. 2108  del cod. civ; che segnatamente
dall'ordinanza  della  Corte  emergono  due principi fondamentali: la
peculiarita' del settore afferente ai servizi pubblici e il fatto che
in  materia  di compensi per il lavoro straordinario l'attuazione del
precetto  costituzionale  passa attraverso il concorso dell'art. 2108
cod.  civ.  con  le norme della contrattazione collettiva, alle quali
soltanto spetta individuare tale compenso.
    Segnala  anche la R.F.I. che sia nella contrattazione collettiva,
sia  nella  direttiva  comunitaria  n. 104 del 1993, sia infine nella
legge  n. 196 del 1997 (c.d. pacchetto Treu), l'abbassamento a 40 ore
della  soglia legale normale dell'orario di lavoro settimanale appare
inscindibilmente connessa ad una sua flessibilizzazione, che consente
di  riferire  l'orario  normale  alla  durata media delle prestazioni
lavorative  in  un  periodo  non  superiore  all'anno (art. 13, primo
comma);  che, con riferimento alla disciplina dello straordinario del
personale delle ferrovie, si e' in realta' di fronte ad un'ipotesi di
lavoro  c.d.  supplementare,  cioe'  di  ore  di  lavoro comprese tra
l'orario  normale settimanale contrattuale e l'orario normale massimo
previsto  dalla  legge, pari, ex art. 1 del r.d.l. n. 692 del 1923, a
48  ore  settimanali o otto giornaliere; che la disciplina del lavoro
prestato  oltre  l'orario  normale  contrattuale,  ma al di sotto del
tetto  massimo  legale,  appartiene  alla  esclusiva competenza della
contrattazione collettiva; che conseguentemente l'art. 7, comma 5, si
sottrae  ad  un'indagine  di  legittimita', almeno con riferimento al
secondo comma dell'art. 36 della Costituzione.
    Posto  poi  che  i  criteri  di  sufficienza  e  proporzionalita'
enunciati   nel  primo  comma  dell'art. 36  -  argomenta  ancora  il
deducente  -  sono  inscindibilmente  connessi,  e  che  la  garanzia
costituzionale   della   retribuzione   adeguata   riguarda  solo  la
retribuzione  corrispettivo  e  non  la retribuzione parametro (cosi'
Corte cost. n. 164 del 1994; Cass. 7 febbraio 1987 n. 1312), non puo'
non  tenersi  conto,  nello  scrutinio  di  legittimita'  delle norme
denunciate,  dell'incidenza per vero assai modesta del "blocco" dalle
stesse previsto sull'assetto retributivo globale dei dipendenti delle
Ferrovie,   tanto  piu'  che  il  decremento  conseguente  alla  loro
applicazione  e'  stato  accompagnato  da progressivi e considerevoli
incrementi  retributivi  del  minimo  tabellare nonche' da previsioni
contrattuali, come quella contenuta nell'art. 5 della Parte economica
del  CCNL  1994/1995,  che  hanno  previsto - non a caso, proprio con
riferimento  al  periodo  in relazione al quale la retribuzione dello
straordinario ha cominciato a diventare inferiore a quella del lavoro
ordinario  -  "la corresponsione, a titolo integrativo, di un importo
forfetario  ed  una  tantum,  con  funzione  di  compenso relativo al
trattamento economico concordato" (art. 5.9).
    In  punto  di  rilevanza della questione rileva infine R.F.I. che
dall'ordinanza  di  rimessione  non  risulta  affatto  che  sia stata
accertata  l'inferiorita' della retribuzione del lavoro straordinario
rispetto  a  quella convenzionale, unico, corretto punto di raffronto
ai  fini della valutazione della legittimita' del sistema retributivo
in  esame, bensi' solo rispetto alla retribuzione normale, ricordando
che  tale  approccio  ermeneutico  e'  stato condiviso dalla Corte di
cassazione nella sentenza 11 febbraio 2002, n. 1932.
    Peraltro,  sostiene  ancora  la  R.F.I.,  la  decisivita' di tale
profilo,  ai  fini  della  valutazione anche della (in)fondatezza del
sospetto di incostituzionalita' delle norme denunciate, e' avvalorata
dal  rilievo che la normativa contrattuale collettiva, da un lato, ha
fatto  proprio,  contrattualizzandolo,  il blocco dello straordinario
disposto  dal  legislatore,  e dall'altro contiene una disciplina del
lavoro   straordinario  costruita  sull'applicazione  di  percentuali
di maggiorazione    (superiori    a    quelle    legali),    ad   una
retribuzione-parametro  denominata "convenzionale", comprendente solo
alcune delle voci che compongono la retribuzione normale.

                       Considerato in diritto

    1.   -  Preliminarmente,  deve  essere  dichiarato  inammissibile
l'intervento  di  Giuseppe Addato, in quanto questi non era parte del
giudizio a quo.
    Il  costante  indirizzo  di  questa  Corte  (da ultimo, ordinanze
n. 264,  n. 145  e  n. 36  del  2002)  va  ribadito anche nel caso di
specie;  a  nulla rileva che il giudizio del quale l'Addato era parte
sia  stato  sospeso  in  attesa  dell'esito  di quello incidentale di
costituzionalita'   scaturito  dal  giudizio  di  cui  era  parte  il
Bernardo, essendo evidente che la contraria soluzione si risolverebbe
nella sostanziale soppressione del carattere incidentale del giudizio
di legittimita' costituzionale e nell'irrituale esonero del giudice a
quo dal potere-dovere di motivare adeguatamente la rilevanza e la non
manifesta  infondatezza  della  questione  sottoposta al vaglio della
Corte.
    2.  -  La  Corte di cassazione dubita, in riferimento all'art. 36
Cost.,  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 7, comma 5, del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
fiscali),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 14 novembre
1992,  n. 438,  e successive proroghe, nella parte in cui lo stesso -
disponendo   che   "tutte  le  indennita',  compensi,  gratifiche  ed
emolumenti  di  qualsiasi  genere,  comprensivi,  per disposizioni di
legge  o  atto amministrativo previsto dalla legge o per disposizione
contrattuale,  di una quota di indennita' integrativa speciale di cui
alla  legge  27 maggio  1959,  n. 324,  e successive modificazioni, o
dell'indennita'  di contingenza prevista per il settore privato o che
siano,  comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo
della vita", debbano essere corrisposti "per l'anno 1993 nella stessa
misura  dell'anno 1992" - produce il risultato ovvero consente che il
lavoro  straordinario  prestato  dai  dipendenti delle Ferrovie dello
Stato  venga  retribuito  in  misura  inferiore al lavoro ordinario o
comunque  non  garantisce  "un  compenso  proporzionato alla maggiore
penosita' del lavoro protratto oltre i limiti dell'orario normale".
    3. - La   Corte  rimettente  fonda  la  sua  valutazione  di  non
manifesta  infondatezza su due argomentazioni, entrambe moventi dalla
premessa  -  ampiamente  illustrata  -  che  l'"unica interpretazione
compatibile  con  il  tenore  letterale della disposizione" e' quella
secondo la quale il "blocco" riguarda "tutte le indennita', compensi,
gratifiche  ed  emolumenti  di  qualsiasi  genere, comprensivi di una
quota   di  indennita'  integrativa  speciale  o  dell'indennita'  di
contingenza  o  comunque  rivalutabili in relazione alla variabilita'
del  costo  della  vita e non le sole quote di indennita' integrativa
speciale  o  di  indennita'  di  contingenza  contenute nei ricordati
emolumenti" (cosi' Cass. 12 febbraio 2002, n. 1996; Cass. 11 febbraio
2002, n. 1932).
    3.1. - La prima argomentazione si risolve in un richiamo a quanto
questa  Corte  avrebbe  statuito  con  la  sentenza  n. 242 del 1999:
l'interpretazione  in essa proposta sarebbe stata, osserva il giudice
rimettente,    "l'unica    conforme   alla   Costituzione",   sicche'
l'incompatibilita'  di quella interpretazione con il tenore letterale
della    norma    impugnata    comporterebbe    l'incostituzionalita'
dell'"unica" disposizione con tale tenore compatibile; "tanto basta -
conclude   il   rimettente   -   per   dichiarare  la  questione  non
manifestamente  infondata  sulla  base  della  stessa motivazione che
sorregge la ricordata pronuncia della Corte costituzionale".
    3.2. - La  seconda  argomentazione si incentra sul principio, che
sarebbe  desumibile dall'art. 2108 del codice civile (applicabile ove
non  lo  sia  il  disposto  dell'art. 5  del r.d.l. n. 692 del 1923),
secondo    il   quale   l'art. 36   della   Costituzione   garantisce
una maggiorazione   per   il   lavoro   straordinario  rispetto  alla
retribuzione  dovuta  per quello ordinario; tale principio, affermato
da  questa  Corte  con  ordinanza  n. 716  del  1988, comporterebbe a
fortiori  l'incostituzionalita'  della  norma  impugnata - nell'unica
interpretazione  consentita  dal  suo  tenore letterale - non solo in
quanto  effettivamente  comporta o soltanto consente di retribuire il
lavoro  straordinario  in misura inferiore rispetto all'ordinario, ma
anche   in   quanto   "non   garantisce   un  compenso  proporzionato
alla maggiore penosita' del lavoro straordinario".
    4.    -    Preliminarmente,    va    disattesa   l'eccezione   di
inammissibilita'  della  questione  sollevata  in  via principale dal
lavoratore, secondo il quale la Corte rimettente avrebbe proposto una
sorta  di  irrituale "impugnazione" della sentenza n. 242 del 1999 di
questa Corte, laddove ad essa avrebbe dovuto attenersi.
    Ed   infatti,   rifiutando   di   far  propria  l'interpretazione
prospettata da questa Corte e contestualmente sollevando questione di
legittimita'  costituzionale,  la  Corte  di  cassazione non altro ha
fatto  che  esercitare  il potere-dovere di interpretare la legge che
l'art. 101 Cost. riconosce a qualsiasi giudice e certamente riconosce
ad   un   giudice   cui,  "quale  organo  supremo  della  giustizia",
l'ordinamento  giudiziario  (art. 65) affida il compito di assicurare
"l'esatta  osservanza  e l'uniforme interpretazione della legge". Del
tutto  corrette,  quindi,  sono, quali esercizio del potere-dovere di
interpretare  la  legge,  le considerazioni svolte dal rimettente nel
dar  conto  delle  ragioni  per le quali disattende l'interpretazione
proposta  dalla  sentenza  n. 242 del 1999 di questa Corte: la quale,
quindi,  non  puo'  che prendere atto della conclusione raggiunta dal
rimettente  circa l'"unica" interpretazione compatibile con il tenore
letterale della disposizione in questione.
    5. - La questione non e' fondata.
    Occorre  premettere,  in  relazione  ad  entrambi  i  profili  di
incostituzionalita'  prospettati  dal  rimettente, che la valutazione
della  portata sia della sentenza n. 242 del 1999, sia dell'ordinanza
n. 716  del  1988  non e' stata correttamente effettuata, non potendo
tale  valutazione prescindere - come, invece, il rimettente prescinde
-  dal  quadro  complessivo  coerentemente  disegnato, attraverso una
serie  di pronunce anche risalenti nel tempo, da questa Corte intorno
al  significato  del  precetto  espresso  dall'art. 36 Cost.; sicche'
l'isolamento  di  quei  due  provvedimenti  dal  contesto  in  cui si
inserivano  ha  contribuito  ad  una non corretta percezione del loro
valore.
    In  effetti questa Corte, ribadendo il principio, enunciato nella
sentenza   n. 141   del  1979,  secondo  cui  l'art. 36  Cost.,  "nel
proclamare il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata
al  suo  lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare un'esistenza
libera e dignitosa, non puo' essere riferito alle singole fonti della
retribuzione   del   lavoratore,   ma   alla   sua   globalita'",  ha
esplicitamente statuito - a proposito della disciplina (art. 1, comma
terzo,   della   legge   15 novembre   1973,   n. 734)   dell'assegno
perequativo,  la  quale  "comporterebbe  una  retribuzione del lavoro
straordinario  inferiore  a quella per il lavoro prestato nell'orario
di  servizio"  -  che,  "al  fine  di accertare la legittimita' della
retribuzione  dei  lavoratori  dipendenti  in  relazione  al disposto
dell'art. 36  Cost.,  occorre  fare riferimento non gia' alle singole
componenti,  ma al complesso della retribuzione" (sentenza n. 227 del
1982).
    Il  medesimo  principio  - enunciato esattamente in termini dalla
sentenza  da  ultimo citata - e' stato ribadito dalla sentenza n. 164
del  1994,  dalla  sentenza  n. 15 del 1995 dall'ordinanza n. 368 del
1999 e, da ultimo, dall'ordinanza n. 263 del 2002.
    6.   -   Venendo  alle  argomentazioni  poste  dall'ordinanza  di
rimessione   a   sostegno  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale, va rilevato, quanto alla
sentenza  n. 242  del 1999, che il rinvio alle considerazioni esposte
da  questa  Corte  a  sostegno  della  interpretazione  proposta  non
giustifica  una  dichiarazione  di  incostituzionalita'  della  norma
impugnata:  la  circostanza  che  in quella sentenza non sia in alcun
modo argomentata l'incostituzionalita' dell'interpretazione opposta a
quella  proposta,  rivela  con  evidenza  come  questa  Corte  si sia
limitata a prospettare la possibilita' di una diversa interpretazione
che,  nel  quadro  di  quanto  allora dedotto dal rimettente, sarebbe
stata idonea a fugare i dubbi di costituzionalita' sollevati. Dal che
la conclusione che, "dinanzi a una scelta interpretativa suscettibile
di determinare un contrasto fra la norma censurata e la Costituzione,
l'interprete  deve  ricercarne  una  diversa  che  eviti  il supposto
conflitto;   e  nel  caso  di  specie  l'opzione  interpretativa  del
rimettente non era l'unica plausibile".
    Quanto   all'ordinanza  n. 716  del  1988  si  impongono  rilievi
sostanzialmente  analoghi:  chiamata  a giudicare della conformita' a
Costituzione  della  norma  (art. 1, comma terzo, del r.d.l. 15 marzo
1923,   n. 692)  che  esclude  dall'applicazione  dell'art. 5  r.d.l.
(compenso  del  lavoro straordinario) il personale addetto a pubblici
servizi,  questa  Corte  ha  dichiarato manifestamente infondata tale
questione  in  quanto  il  rinvio,  operato  dalla norma impugnata, a
"separate   disposizioni"   era  giustificato  -  con  esclusione  di
irragionevole   disparita'   di   trattamento   -   dall'intento  del
legislatore  di "regolamentare, in parte qua, diversamente i relativi
rapporti  di  lavoro,  in  considerazione  delle  peculiarita' che li
caratterizzano  per la natura e la destinazione delle prestazioni che
ne  sono oggetto". La successiva affermazione, secondo la quale anche
nei  confronti del personale addetto a pubblici servizi "il combinato
disposto   dell'art. 2108   e   delle   norme   della  contrattazione
collettiva,     assicurando,    per    il    lavoro    straordinario,
una maggiorazione  della retribuzione dovuta per quello ordinario, in
coerenza  con  l'art. 36  Cost., garantisce un compenso proporzionato
alla maggior   penosita'   del   lavoro   protratto  oltre  i  limiti
dell'orario   normale"   non   altro   costituisce   che   un'opzione
interpretativa  circa  l'applicabilita' a quel personale del disposto
dell'art. 2108   del   cod.   civ.  e  circa  gli  effetti  che  tale
applicabilita',    unitamente   alle   norme   della   contrattazione
collettiva, avrebbe potuto produrre.
    L'affermazione secondo la quale questa Corte avrebbe enunciato il
principio  del  "compenso  proporzionato  alla maggiore penosita' del
lavoro  protratto  oltre  i  limiti  dell'orario normale" trascura di
considerare:  a) che tale preteso principio (maggiorazione necessaria
del  compenso)  non  e'  conforme a quello pretesamente fissato dalla
sentenza  n. 242  del  1999  (non  inferiorita'  del compenso); b) la
rilevanza  che,  in  tale  preteso  principio,  e'  riconosciuta alla
contrattazione   collettiva;  c)  la  natura  descrittiva,  piu'  che
precettiva  dell'effetto, della riportata proposizione; e pertanto d)
l'assenza  di  ogni  argomentazione  a  sostegno della costituzionale
necessita' di quell'effetto.
    Deve  conclusivamente  affermarsi  che  il  mero  rinvio  ad  una
proposta  interpretativa  formulata da questa Corte non giustifica di
per  se'  una  dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale della
norma impugnata.
    7.  -  Non solo, quindi, deve ribadirsi - in assenza di qualsiasi
argomentazione  che induca a discostarsene - il principio consolidato
secondo  cui la proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione va
riferita  non gia' alle sue singole componenti, ma alla globalita' di
essa,  ma  altresi'  il  corollario  che questa Corte, nella sentenza
n. 164   del   1994,   ne  ha  tratto  affermando  che  "il  silenzio
dell'art. 36    Cost.    sulla   struttura   della   retribuzione   e
sull'articolazione  delle  voci  che  la  compongono significa che e'
rimessa   insindacabilmente   alla   contrattazione   collettiva   la
determinazione    degli    elementi   che   concorrono   a   formare,
condizionandosi  a  vicenda, il trattamento economico complessivo dei
lavoratori,  del  quale  il  giudice  potra'  poi  essere  chiamato a
verificare   la   corrispondenza  ai  minimi  garantiti  dalla  norma
costituzionale".