ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 291-bis del
d.P.R.  23 gennaio  1973,  n. 43  (Approvazione del testo unico delle
disposizioni  legislative  in  materia  doganale),  e  163 del codice
penale,  promosso,  con ordinanza del 10 dicembre 2001, dal Tribunale
di  Venezia,  nel  procedimento  penale a carico di F.P., iscritta al
n. 188  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 18, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  emessa  il  10 dicembre  2001, il
Tribunale  di  Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 291-bis del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del
testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in materia doganale),
nella  parte  in cui prevede per il reato di contrabbando di tabacchi
lavorati  esteri  la pena pecuniaria fissa di lire diecimila per ogni
grammo convenzionale di prodotto;
        che   la   medesima  ordinanza  ha  sollevato,  altresi',  in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 163  del codice penale, nella parte in cui,
nello  stabilire  i limiti di pena entro i quali puo' essere concessa
la  sospensione  condizionale, non esclude dal ragguaglio ex art. 135
cod.  pen.,  la  parte  della  pena  pecuniaria che eccede la "soglia
massima   convertibile"   in   liberta'   controllata   nel  caso  di
insolvibilita'  del  condannato,  ai  sensi dell'art. 102 della legge
24 novembre 1981, n. 689;
        che  il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito del
processo  penale,  celebrato  con  rito  abbreviato, nei confronti di
persona  imputata  del  reato  di  contrabbando  di tabacchi lavorati
esteri:  reato per il quale l'art. 291-bis del d.P.R. n. 43 del 1973,
aggiunto  dalla  legge  19 marzo  2001,  n. 92, commina la pena della
multa  di  lire  diecimila per ogni grammo convenzionale di prodotto,
congiunta  -  ove  il quantitativo ecceda, come nella specie, i dieci
chilogrammi - alla pena della reclusione da due a cinque anni;
        che  esclusa,  allo  stato,  l'ipotesi  del proscioglimento -
prosegue  il  rimettente  -  all'imputato  potrebbe  essere inflitta,
tenuto  conto delle diminuzioni conseguenti alle attenuanti generiche
ed al giudizio abbreviato, una pena detentiva di poco inferiore ad un
anno di reclusione;
        che   a   detta  pena  si  cumulerebbe,  peraltro,  una  pena
pecuniaria  di  oltre  cinquantotto  miliardi di lire, tale dunque da
impedire  -  una volta ragguagliata a norma dell'art. 135 cod. pen. -
la  concessione  della  sospensione condizionale: beneficio del quale
pure sussisterebbero, per il resto, le condizioni;
        che  -  essendo  nella  specie  prevista  una pena pecuniaria
proporzionale,  con  una  entita'  monetaria  di  base  fissa  ed  un
coefficiente   di   moltiplicazione   ragguagliato   alla  dimensione
quantitativa della fattispecie concreta - il rimettente osserva come,
alla  luce di quanto affermato da questa Corte con sentenza n. 50 del
1980,  le  previsioni sanzionatorie rigide non risultino, in linea di
principio,  in  armonia  con  il  "volto  costituzionale" del sistema
penale:  potendo  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale essere
superato,  caso  per  caso,  solo quando, per la natura dell'illecito
sanzionato  e  per  la  misura  della sanzione prevista, quest'ultima
risulti  ragionevolmente  proporzionata rispetto all'intera gamma dei
comportamenti riconducibili alla fattispecie astratta;
        che  nell'ipotesi  in  questione, peraltro, anche ai "livelli
minimi  di offensivita'" del fatto - quando venga superato, cioe', di
un  solo  grammo  il  limite dei dieci chilogrammi, entro il quale e'
comminata  soltanto  la  multa -  l'ammontare di quest'ultima risulta
cosi'   elevato   da  precludere,  pure  in  presenza  di  attenuanti
generiche, la sospensione condizionale;
        che  la  "struttura sanzionatoria" del reato avrebbe, dunque,
nella  gravosa  pena pecuniaria a base fissa "un fattore di rilevante
rigidita'", che non permetterebbe al giudice una adeguata valutazione
degli   altri   elementi   indicati   nell'art. 133  cod.  pen.:  con
conseguente  violazione  dei  principi  di  uguaglianza, personalita'
della  responsabilita'  penale  e  rieducazione  del reo, di cui agli
artt. 3 e 27 Cost;
        che  il  giudice a quo rileva inoltre, sotto diverso profilo,
come  in forza dell'art. 102 della legge n. 689 del 1981, la multa da
infliggere  per il reato in questione potrebbe essere convertita, nel
caso  di  insolvibilita'  del  condannato,  al  massimo in un anno di
liberta'  controllata:  misura, questa, meno afflittiva rispetto alla
pena detentiva;
        che  sarebbe di conseguenza irragionevole che l'art. 163 cod.
pen., consenta di sospendere condizionalmente una pena di anni due di
reclusione,  e  non  invece quella di anni uno di reclusione (o ancor
meno)  congiunta  con  una pena pecuniaria che - ragguagliata a norma
dell'art. 135  cod. pen., e sommata alla pena detentiva - comporta il
superamento del limite dei due anni;
        che  la  seconda  ipotesi  dovrebbe infatti considerarsi meno
grave  della  prima, posto che, in fase esecutiva, la pena pecuniaria
non potrebbe comunque convertirsi - ove ineseguita per insolvibilita'
del condannato - in piu' di un anno di liberta' controllata;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Considerato  che  nel  formulare  il  primo  dei  due  quesiti di
costituzionalita' - inerente all'asserito contrasto dell'art. 291-bis
del  d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, con gli artt. 3 e 27 Cost., nella
parte  in  cui  la  norma  commina  per  il  reato di contrabbando di
tabacchi  lavorati  esteri  una  pena pecuniaria fissa, proporzionale
alla  quantita'  di  prodotto  -  il giudice rimettente non tiene nel
debito  conto  il fatto che, nel caso in cui il quantitativo ecceda i
dieci  chilogrammi  convenzionali (come nella fattispecie oggetto del
giudizio  a  quo), detta pena pecuniaria e' comminata non da sola, ma
in  aggiunta  ad  una  pena  detentiva  con  una  forbice edittale di
ampiezza significativa (reclusione da due a cinque anni);
        che,  in  simile  situazione,  i  limiti  costituzionali alla
previsione  di  risposte  punitive rigide evidenziati da questa Corte
con  la  sentenza  n. 50  del  1980,  sui  quali  il rimettente fonda
specificamente  le  proprie censure, non vengono comunque in rilievo:
la  graduabilita'  della  pena  detentiva  comminata congiuntamente a
quella  pecuniaria  -  offrendo  al giudice un consistente margine di
adeguamento  del  trattamento  sanzionatorio  alle particolarita' del
caso  concreto,  anche in rapporto a parametri oggettivi e soggettivi
diversi  dalla  semplice  "dimensione  quantitativa"  dell'illecito -
esclude,  difatti, che la pena edittale del reato in questione possa,
nel  suo  complesso,  considerarsi  fissa  (cfr.,  con  riferimento a
fattispecie  del  tutto  analoga  alla  presente, sentenza n. 188 del
1982);
        che,  quanto  al  secondo  quesito  -  afferente alla mancata
previsione,  nell'art. 163  cod.  pen.,  di  un "tetto" al ragguaglio
della  pena  pecuniaria,  ai fini della concessione della sospensione
condizionale,  pari  al  limite  di  convertibilita'  della stessa in
liberta'  controllata  nel  caso di insolvibilita' del condannato, ex
art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689 - il giudice a quo basa
la  propria  denuncia  di  violazione  del  principio  di uguaglianza
sull'assunto della maggiore gravita' di un reato punibile con la pena
di due anni di reclusione (limite massimo ordinario della sospensione
condizionale),  rispetto  ad  un  reato  punibile  (come nell'ipotesi
oggetto  del  giudizio a quo) con la pena di un anno di reclusione, o
ancor  meno,  congiunta  ad  una  pena pecuniaria che, ragguagliata a
norma  dell'art. 135  cod.  pen.,  e  sommata  alla  pena  detentiva,
determina il superamento del limite dei due anni;
        che,  a  sostegno  di  tale  assunto, il rimettente allega il
rilievo  che  la  pena  pecuniaria  da  ultimo  indicata non potrebbe
comunque essere convertita in executivis ai sensi del citato art. 102
della  legge  n. 689  del  1981,  in  un  piu' di un anno di liberta'
controllata: sanzione, questa, meno afflittiva della reclusione;
        che,  in  tal modo, il giudice a quo eleva peraltro ad indice
della  gravita'  dei  reati  puniti con pene congiunte - nel rapporto
comparativo  con  quelli  puniti  con sola pena detentiva - un limite
collegato  ad  un  accadimento meramente eventuale e, per cosi' dire,
patologico,  incidente  sulla  fase  esecutiva,  quale,  appunto,  la
mancata  esecuzione  della  pena  pecuniaria  per  insolvibilita' del
condannato;
        che  questa  Corte  ha gia' avuto modo di chiarire, tuttavia,
come  la  disciplina  del  ragguaglio  tra  pene  pecuniarie  e  pene
detentive,  dettata  dall'art. 135  cod.  pen.,  e  l'istituto  della
conversione,  in  caso  di  insolvibilita',  delle pene pecuniarie in
sanzioni  sostitutive,  di  cui  all'art. 102  della legge n. 689 del
1981,  rispondano  a  differenti  esigenze  e  finalita': escludendo,
quindi,  che  le soluzioni adottate dal legislatore nell'un campo, in
tema  di coefficienti di ragguaglio, debbano essere indefettibilmente
riprodotte nell'altro (cfr. sentenza n. 30 del 2001);
        che  a maggior  ragione  analoga  conclusione  si  impone  in
riferimento  alla  pretesa  del  giudice  a  quo  - prospettata  come
soluzione  costituzionalmente obbligata - di assegnare al limite alla
conversione  delle  pene  pecuniarie  in  executivis  la  funzione di
individuare  anche  il  "massimo"  di  pena pecuniaria computabile ai
fini,  del  tutto  eterogenei,  dell'applicazione del beneficio della
sospensione condizionale;
        che,   al   riguardo,   va  d'altra  parte  ribadito  che  la
sospensione  condizionale e' istituto la cui disciplina resta rimessa
all'apprezzamento  discrezionale  del  legislatore in via generale ed
astratta,  prima  ancora  che a quello del giudice, da compiersi caso
per  caso:  e cio' sia in rapporto alla preliminare condizione che la
pena  inflitta  non  ecceda  un certo limite (cfr. sentenza n. 85 del
1997);  sia  in  riferimento all'effetto preclusivo della fruibilita'
del  beneficio,  che  discende dal dosaggio della pena edittale per i
singoli  reati,  anche tramite la comminatoria di una pena pecuniaria
dal  minimo  particolarmente  elevato,  sola  o  congiunta  alla pena
detentiva  (cfr.  ordinanza  n. 377  del  1990):  scelta legislativa,
quest'ultima,  che  nel  caso  specifico del contrabbando di tabacchi
lavorati  esteri si iscrive in un disegno - quale quello sotteso alla
legge  19 marzo 2001, n. 92 (alla quale si deve il nuovo art. 291-bis
del  d.P.R. n. 43 del 1973) - di piu' energica repressione penale del
fenomeno, in ragione della sua marcata pericolosita' sociale;
        che  le  questioni  vanno  pertanto dichiarate manifestamente
infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.