Ricorso per la Regione Toscana, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, autorizzato con deliberazione n. 1092 del 14 ottobre 2002, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dagli avvocati Lucia Bora, Vito Vacchi e Fabio Lorenzoni, presso il cui studio elegge domicilio, in Roma, via del Viminale n. 43, ricorrente; contro: la presidenza del consiglio dei ministri, in persona del presidente pro tempore; il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio pro tempore; resistenti, per l'annullamento del decreto ministeriale 19 settembre 2002 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, pervenuto alla regione Toscana in data 26 settembre 2002 (doc. 1), con cui e' stato nominato il commissario straordinario dell'Ente parco nazionale dell'Arcipelago Toscano. F a t t o con il d.m. del 19 settembre 2002, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha provveduto (art. 1) a nominare il commissario straordinario dell'Ente parco nazionale dell'Arcipelago Toscano nella persona del dott. Ruggero Barbetti. Tale decreto fa seguito al d.P.R. 22 luglio 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 290 dell'11 dicembre 1996, recante: "Istituzione del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano". In particolare, l'art. 2, comma 2, del medesimo d.P.R. disciplina la nomina degli organi dell'Ente parco, da effettuarsi secondo le disposizioni e le modalita' previste dall'art. 9, commi 3, 4, 5, 10, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 e successive modificazioni ed integrazioni. La procedura concernente la nomina del presidente dell'Ente parco nazionale, di cui al menzionato art. 9, comma 3, prevede il meccanismo dell'intesa tra il Ministero dell'ambiente e i presidenti delle regioni, nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale. Cio' premesso, va preliminarmente rilevato che con il d.m. del 6 marzo 1997 (doc. 2) e' stato nominato il presidente dell'Ente parco nazionale dell'Arcipelago Toscano nella persona del dott. Giuseppe Tanelli. A norma dell'art. 9, comma 12, della legge n. 394 del 1991 gli organi del parco durano in carica cinque anni. In data 6 marzo 2002, il mandato del dott. Tanelli e', quindi, venuto a scadenza. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, con nota 1 marzo 2002, prot. GAB/2002/2487/B07 (doc. 3), ha richiesto al presidente della Regione Toscana l'intesa alla nomina del presidente dell'Ente nella persona, peraltro unilateralmente individuata, del dott. Ruggero Barbetti. Il Ministro, infatti, si e' limitato ad indicare un nome sul quale ottenere il consenso della Regione, omettendo del tutto la pregressa e doverosa fase di individuazione dell'eventuale candidato su cui potesse formarsi il consenso richiesto per la nomina a presidente del parco. Trattasi di circostanza, per cosi' dire, sintomatica del comportamento in seguito tenuto dal Ministro. Successivamente, in data 15 marzo 2002 (doc. 4), la Regione Toscana, in risposta alla nota ministeriale del 1 marzo 2002, ha trasmesso al Ministro on. Altero Matteoli una nota per richiedere un incontro urgente, allo scopo di ricercare l'intesa sulla nomina del presidente dell'Ente in questione, per la quale non sussistevano, allo stato, le condizioni. Il presidente della Regione Toscana, nell'esprimere il diniego all'intesa richiesta, ha opportunamente evidenziato che "il procedimento di nomina, cosi' come avviato dal Ministro, non sembrava tener conto della delicatezza della questione e dell'attenta valutazione necessaria per i risvolti sia a livello locale sia piu' in generale". Nell'affermare la funzionalita' dell'intesa rispetto ad un'efficiente amministrazione dell'Ente, basata su obiettivi condivisi, il presidente della Regione ha, poi, giustamente "ritenuto necessario procedere preliminarmente ad una verifica congiunta circa la situazione attuale e gli orientamenti generali che guideranno l'attivita' della nuova amministrazione". Trattasi, com'e' evidente, di fasi imprescindibili in ogni reale procedimento di intesa. Per contro, gia' dal tenore della nota 1 marzo 2002, e' emersa una chiara volonta' del Ministro di svuotare l'intesa de qua di ogni effettivo contenuto. Il Ministro, infatti, com'era prevedibile, atteso l'analogo comportamento tenuto in altra procedura, anch'essa attualmente al vaglio di codesta ecc.ma Corte costituzionale (nomina degli organi del Parco "Appennino Tosco-Emiliano"), ric. n. 25/2002, ha inspiegabilmente ignorato tale legittima richiesta di incontro. Venuti a scadenza i termini per la proroga degli organi amministrativi prescritti dal d.l. 16 maggio 1994, n. 293, convertito in legge del 15 luglio 1994, n. 444, il Ministro ha provveduto a nominare, con decreto del 14 agosto 2002, pervenuto alla Regione in data 22 agosto 2002 (doc. 5), il dott. Silvio Vetrano, quale commissario straordinario dell'Ente parco, fino a tutto il 21 settembre 2002. La Regione Toscana non ha condiviso tale provvedimento, stante la sua formale illegittimita'. Nella fattispecie in oggetto difettano, come meglio si dira' infra, i presupposti giuridici per una amministrazione commissariale. Tuttavia, la ricorrente ha tollerato la decisione del Ministro nella convinzione - rivelatasi poi erronea - che tale misura fosse stata adottata per consentire la prosecuzione dell'attivita' amministrativa durante il tempo necessario per addivenire all'intesa con la Regione Toscana. In altri termini, l'atteggiamento tenuto dalla ricorrente in quella circostanza e' stato dettato dall'intenzione di instaurare tra le parti un clima di distensione e di leale collaborazione. Il Ministro, invece, ha ricambiato un simile atteggiamento, ispirato, si ripete, alla correttezza e all'apertura verso le posizioni altrui, con un comportamento illegittimo. Non solo, infatti, ha lasciato trascorrere il mandato del dott. Vetrano senza prendere alcuna iniziativa per addivenire all'intesa, ma ha strumentalizzato tale prima nomina, trasformandola in un precedente finalizzato a legittimare successive sostituzioni commissariali. In data 26 settembre 2002, e', infine, pervenuto alla Regione Toscana un ulteriore decreto con il quale il Ministro ha nominato un secondo commissario straordinario, questa volta nella persona del dott. Barbetti (la stessa persona sottoposta all'intesa non raggiunta con la nota 1 marzo 2002) e senza un termine predefinito di durata. Al riguardo, va rilevato che la conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, con un ordine del giorno del 26 settembre 2002 (doc. 6), nell'esprimere grande preoccupazione per la reiterata violazione del comma 3, art. 9 della legge n. 394/1991 da parte del Ministro dell'ambiente, ha espressamente richiesto al Governo di rivedere tutti gli atti emanati disattendendo la procedura dell'intesa "perche' lesivi dell'Intesa interistituzionale sottoscritta il 20 giugno u.s.". Il provvedimento in oggetto e' gravemente pregiudizievole per gli interessi dell'Amministrazione regionale in quanto viola, come meglio si dira' in seguito, le competenze costituzionalmente garantite alla Regione, nelle materie del governo del territorio (ove rientra, la difesa del suolo e quindi l'attivita' di difesa idrogeologica prevista all'art. 3 del d.P.R. istitutivo del parco 22 luglio 1996, nonche' la disciplina urbanistica ed edilizia degli interventi all'interno del parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia, della pesca, della valorizzazione dei beni culturali e ambientali e dell'industria alberghiera. La Regione intende, quindi, proporre conflitto di attribuzione avverso tale decreto. A conforto della ammissibilita' del presente ricorso, e' possibile svolgere le seguenti considerazioni. Secondo il costante orientamento di codesta corte, il conflitto di attribuzione puo' essere proposto non solo per rivendicare la titolarita' di attribuzioni costituzionalmente conferite, ma anche per la difesa di proprie competenze di natura costituzionale che si suppongono menomate o impedite in seguito all'esercizio illegittimo di poteri altrui. In altri termini, e' stato ammesso anche il conflitto c.d. da menomazione, consentendo cioe' di ricorrere allo strumento del conflitto anche quando si lamenta non l'appartenenza di un potere o di una competenza, ma solo il cattivo uso dello stesso da parte del suo legittimo titolare che viene ad incidere o a creare turbativa nei confronti di poteri o competenze costituzionalmente riconosciute al ricorrente. A nulla vale eccepire, quindi, che nel caso non si versa in un'ipotesi di vindicatio potestatis, avendo la corte costituzionale, in piu' occasioni e in termini assai precisi, affermato che: "la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi a se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto" (Corte cost. n. 432/1994; si vedano, altresi', le sentenze nn. 444 e 126 del 1994, 132 del 1993, 473 e 245 del 1992, 204 del 1991). Situazione, questa, che ricorre pienamente in relazione alla domanda prospettata con il ricorso in esame, dove la lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni nelle materie summenzionate consegue alla nomina di un commissario straordinario, disposta dal Ministro competente all'evidente scopo di eludere la procedura di legge prescrivente l'intesa (art. 9, comma terzo, legge 6 dicembre 1991, n. 394 - Legge quadro sulle aree protette), stante il difetto, nella fattispecie de qua, delle circostanze di fatto e delle ragioni giuridiche che avrebbero potuto rendere praticabile una simile soluzione. Parimenti dagli atti traspare con evidenza che nella fattispecie manca una reale richiesta di partecipazione della Regione Toscana al procedimento di intesa. Il Ministro si e' limitato ad indicare un nome sul quale ottenere il consenso della Regione, con cio' dimostrando l'insussistenza di una effettiva volonta' di addivenire ad una definizione concordata del contenuto dell'atto di nomina. Ne' riscontro alcuno, come visto, e' stato dato alla legittima richiesta di un incontro urgente da parte del presidente della Regione Toscana. L'intesa, in questa materia, e' stata chiaramente posta dal legislatore a salvaguardia di prerogative regionali costituzionalmente garantite nelle materie del governo del territorio, dell'agricoltura, turismo, caccia, pesca, edilizia. La sua violazione, quindi, non puo' non integrare una fattispecie idonea a far sorgere un conflitto di attribuzioni. La stessa corte, difatti, ha espressamente affermato che il conflitto di attribuzione "e' ammissibile non soltanto se ricorra l'invasione di competenza ma anche quando l'ordinamento richieda la collaborazione di una pluralita' di enti e, per contro, uno di essi provveda autonomamente, senza tener conto della potesta' altrui" (sent. n. 286 del 1985). Il provvedimento, pertanto, lede le competenze costituzionali garantite alle Regioni per i seguenti motivi di: D i r i t t o I. Violazione del principio di leale cooperazione e degli artt. 5, 117 e 118 della costituzione. I. a) A norma dell'art. 9, comma 1, della legge n. 394/1991, l'Ente parco e' sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente. Tale vigilanza, come noto, si estrinseca nel potere-dovere di controllare il regolare funzionamento degli organi di amministrazione al fine dell'ordinato svolgimento dei compiti dell'ente. Non rientra, invece, in tal potere l'emanazione di decreti di nomina di un commissario straordinario, in ragione dell'avvenuta scadenza dei termini di durata dell'organo ordinario. La continuita' e la funzionalita' della gestione amministrativa, infatti, sono affidate, in questa ipotesi, ad una diversa procedura che rinviene nell'intesa Stato-Regione il suo caposaldo (cfr. art. 9, comma terzo, legge n. 394/1991). Cio' considerato, risulta difficile negare che il decreto, oggetto dell'odierno gravame, sia stato adottato per eludere la procedura di legge. La riprova di cio' si rinviene, per come gia' visto, nella totale assenza da parte del Ministro della ricerca di un accordo con la Regione Toscana e nella circostanza che la nomina in questione sia stata disposta pur in mancanza delle circostanze di fatto e dei presupposti di diritto che avrebbero potuto legittimare un simile provvedimento. L'organo straordinario costituisce, per definizione, eccezione all'assetto organizzativo della P.A. in un dato ordinamento positivo. In un ordinamento come quello italiano che affonda le sue radici nei principi di riserva di legge, buon andamento e imparzialita' dei pubblici uffici, gli organi amministrativi straordinari devono essere sempre istituiti e disciplinati per legge. Non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma cui sia riconducibile, sia pure solo indirettamente, la nomina di un commissario straordinario in un caso come quello in esame. Gli organi straordinari, infatti, possono essere nominati in tre ipotesi: 1) gravi violazioni di legge; 2) gravi irregolarita' di gestione; 3) catastrofi e calamita' naturali. E' di tutta evidenza che la nomina di un commissario straordinario in sostituzione di un organo ordinario, non rinnovato volutamente dall'autorita' competente, non rientra in nessuno dei casi menzionati. Il decreto impugnato e' stato, quindi, assunto in totale violazione dell'art. 9, terzo comma, della legge n. 394/1991 il quale statuisce: "Il presidente e' nominato con decreto del Ministro dell'ambiente, d'intesa con i presidenti delle regioni (...)". La norma prevede una modalita' di codeterminazione del contenuto dell'atto, a tutela delle competenze regionali. E' indispensabile svolgere talune considerazioni sull'istituto dell'intesa e sulle ragioni che hanno indotto il legislatore a far ricorso, nella materia in oggetto, a questa primaria forma di concertazione Stato-Regioni. L'intesa, come risaputo, e' istituto completamente diverso dal parere. Questo discende gia' dalla legge n. 394/1991 che distingue chiaramente i casi in cui e' necessaria l'intesa con le Regioni (per gli atti fondamentali quali, oltre alla nomina del presidente, l'approvazione del regolamento del parco: art. 11, sesto comma) dai casi in cui e' sufficiente il solo parere delle Regioni stesse (ad es. per la nomina dei componenti del consiglio direttivo dell'ente parco: art. 9, quarto comma, e per le misure di salvaguardia: art. 34, commi 3 e 9). La legge n. 394/1991, ove prevede l'intesa con le Regioni, non stabilisce che in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa prescindere da questa e provvedere unilateralmente. Se la legge utilizza termini diversi, non e' giuridicamente consentito attribuire agli stessi il medesimo significato. considerazione questa tanto piu' rilevante ove si consideri che la Corte costituzionale ha si' riconosciuto piena discrezionalita' al legislatore "nella determinazione delle forme piu' opportune di collaborazione in relazione all'esercizio di un potere indiscutibilmente spettante allo Stato, purche', ovviamente, risulti realmente soddisfatto l'interesse inerente alle materie di competenza regionale coinvolte, che ha indotto a prevedere la partecipazione delle Regioni al procedimento statale" (sent. n. 1031 del 1988). Ogni interpretazione del dato normativo considerato, diversa da quella prospettata, pertanto, dovrebbe assurdamente fondarsi sul presupposto che quella del legislatore sia stata una scelta meramente casuale. E' doveroso ritenere, invece, che il legislatore del 1991, nel richiamare l'intesa nella procedura de qua, abbia inteso rispettare quei criteri di ragionevolezza piu' volte richiamati dalla Corte costituzionale al fine di tutelare al meglio le competenze regionali coinvolte (sent. citata n. 1031 del 1988). Ma l'intesa si differenzia dal parere, oltre che per il sopra rilevato aspetto letterale, soprattutto sul piano sostanziale e concettuale. In merito la dottrina e' orientata a sussumere le intese nella categoria degli accordi preliminari al provvedimento, operando una sostanziale equiparazione con la figura del concerto (Roffi - Concerto e intesa nell'attivita' amministrativa: spunti ricostruttivi, in Giur. it. 1988, IV, 416). Com'e' noto, e' poi stata la Corte costituzionale a chiarire il significato dell'intesa nei rapporti Stato-Regioni. In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che l'intesa rappresenta lo strumento essenziale per assicurare l'attuazione del principio di leale cooperazione, che trova un esplicito fondamento nell'art. 5 della costituzione e che deve presiedere e regolare l'esercizio delle competenze interferenti di Stato e Regioni, consentendo di conciliare gli interessi di cui sono portatori tali enti dotati entrambi di rilevanza costituzionale. Cosi' la Corte costituzionale ha definito l'intesa come lo strumento che si esplica "in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto sottoposto ad intesa" (sent. n. 351/1991), e, ancora, come "una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione e' giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve concorrere alla decisione stessa" (Corte cost. n. 337/1989 e, nello stesso senso, sent. nn. 116/1994; 21/1991; 220/1990; 747/1988). Dunque, la caratteristica fondamentale dell'istituto dell'intesa e' data dal fatto che, a fronte di materie interferenti e di competenze concorrenti, e' necessario che si addivenga alla codeterminazione paritaria del contenuto finale da parte dello Stato e delle Regioni e cio' perche', altrimenti, i poteri statali comprimerebbero eccessivamente le competenze regionali costituzionalmente garantite. La conseguenza del suddetto significato dell'intesa c.d. "in senso forte" e' che la mancata intesa inibisce il proseguimento del procedimento. La suddetta giurisprudenza della Corte costituzionale, elaborata durante la vigenza del previgente art. 117 della costituzione, e' maggiormente valida oggi, a seguito dell'avvenuta riforma del titolo V della parte seconda della costituzione, operata dalla legge costituzionale n. 3/2001. Com'e' noto tale riforma ha valorizzato l'autonomia regionale; ha notevolmente ampliato, con la nuova formulazione dell'art. 117, le materie attribuite alla potesta' legislativa concorrente, riconoscendo in tali materie allo Stato solo il compito di dettare i principi fondamentali; ha riservato alla potesta' legislativa esclusiva delle Regioni la disciplina delle materie non statali e non ricomprese nell'ambito della legislazione concorrente (cosi' sono oggi soggette alla legislazione esclusiva regionale rilevanti materie quali l'agricoltura, il turismo, l'industria alberghiera, la caccia, la pesca, l'artigianato, solo per citarne alcune); ha costituzionalizzato all'art. 118 il principio di sussidiarieta' quale regola di allocazione delle funzioni amministrative. L'accresciuta autonomia regionale e la posizione di parita' e di equiordinazione riconosciuta allo Stato e alle Regioni rendono quindi ancora piu' necessario rispetto al passato che l'intesa sia interpretata ed applicata nel significato sopra evidenziato di strumento per la codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto. Tali argomentazioni sono gia' sufficienti a rendere superfluo e non piu' pertinente l'eventuale rilievo volto ad evidenziare che, in genere, la Corte costituzionale ha usato la nozione di intesa in senso forte in ordine alle Regioni a statuto speciale e alle Provincie autonome, supponendo, spesso, l'esistenza, in materia, di competenze legislative primarie. Trattasi di un rilievo che gia' per il passato e' stato smentito da alcune significative decisioni della Corte. Si veda, tra le altre, la sent. n. 351 del 1991. In questa decisione la Corte ha ribadito (richiamando, tra l'altro, proprio la sent. n. 21 del 1991) che lo strumento di leale cooperazione si estrinseca in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto "da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento dell'accordo". Tuttavia, nonostante la parziale analogia di argomentazione sulla natura dello strumento di raccordo, la sent. n. 351 del 1991 assume una valenza ben diversa ed assai piu' ampia rispetto alla sent. n. 21 del 1991. Essa, infatti, estende la nozione di intesa, come trattativa flessibile e bilaterale, ai rapporti tra Stato e Regioni ordinarie in relazione ad un atto statale che si collega all'esercizio di una competenza legislativa ripartita. Cio' chiaramente significa che le Regioni, ivi comprese quelle a statuto ordinario, non possono essere costrette ad emettere un semplice parere, quando sia invece prevista un'intesa, ma devono partecipare in modo effettivo alla determinazione dell'atto. Inoltre, va rilevato che il mutato quadro costituzionale non consente piu' di operare una distinzione netta, come per il passato, tra Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale. Oggi, infatti, le Regioni a statuto ordinario sono titolari di una potesta' legislativa esclusiva in materie, rilevanti nel caso in esame, come l'agricoltura, la caccia, pesca, il turismo, ed anche la potesta' legislativa concorrente e' configurata con maggiore ampiezza e piu' autonomia, dovendo rispettare gli stessi limiti che incontra il legislatore statale ed i soli principi della legge nazionale. Nelle materie di competenza regionale, sia concorrente che esclusiva, ex art. 117, terzo e quarto comma, cost., spetta poi alle regioni - nel dettare la disciplina legislativa - allocare le funzioni amministrative in capo agli enti locali, individuando il livello di governo piu' adeguato in base ai criteri di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione dettati dall'art. 118 Cost. Cio' premesso, la violazione di tale intesa nel caso in esame arreca una grave lesione alle competenze regionali. Il presidente infatti, e' l'organo fondamentale che rappresenta il parco e ne coordina l'attivita'; fa parte del consiglio direttivo che adotta lo statuto dell'ente, delibera i bilanci, il regolamento ed il piano del parco. In sostanza il presidente del parco determina in modo incisivo le scelte dell'ente parco e tali scelte inevitabilmente interferiscono sulle competenze regionali. Infatti il parco dell'Arcipelago Toscano e' stato istituito (con il citato d.P.R. 22 luglio 1996) per la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale, per la difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici ed idrogeologici, per la promozione sociale ed economica. E ancora, in base all'art. 11 della legge n. 394/1991, il regolamento del parco dovra' disciplinare le attivita' consentite nel parco, con riferimento, tra l'altro, alla tipologia e alle modalita' di costruzione di opere e di manufatti, alle attivita' artigianali, commerciali, alle attivita' agro-silvo-pastorali, sportive e ricreative. Non puo' quindi dubitarsi che la regolamentazione dell'ente parco (di cui, si ripete, il presidente e' l'organo fondamentale) verra' ad interferire con le potesta' costituzionalmente garantite alle regioni nelle materie del governo del territorio (ove rientra, la difesa del suolo e quindi l'attivita' di difesa idrogeologica prevista all'art. 2 del d.P.R. istitutivo del parco 22 luglio 1996, nonche' la disciplina urbanistica ed edilizia degli interventi all'interno del parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia, della pesca. Pertanto l'interferenza del ruolo del presidente del parco con molteplici competenze regionali costituzionalmente garantite impone di interpretare l'intesa richiesta dall'art. 9, terzo comma, della legge n. 394/1991 come forma di codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto, come tale necessaria ed inibente la nomina di un presidente che non sia individuato a seguito della prescritta intesa. Tale tesi e' confermata dal fatto che, come gia' rilevato, la legge n. 394/1991, quando richiede l'intesa con le regioni, non stabilisce che in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa prescindere da questa e provvedere unilateralmente, mentre il legislatore, quando ha voluto assegnare allo Stato il potere di provvedere anche in mancanza di intesa, lo ha espressamente previsto: si veda in proposito l'art. 3 del decreto legislativo n. 281/1997 ove, nel disciplinare le intese con la conferenza Stato-Citta' autonomie locali, e' stato stabilito che se l'intesa con la conferenza non e' raggiunta entro trenta giorni, il Consiglio dei ministri puo' provvedere in mancanza dell'intesa, previa adeguata motivazione. Pertanto, va ribadito che la nomina del commissario straordinario, nel caso di specie, attesa la carenza dei presupposti che avrebbero potuto rendere praticabile una tale soluzione, e' stata disposta all'evidente scopo di disapplicare la norma prescrivente l'intesa. Il ministro, del resto, come gia' detto, si e' limitato a richiedere l'intesa per la nomina del dott. Barbetti relegando la Regione Toscana ad un ruolo meramente secondario. Ne' alcun riscontro e' stato poi dato alla legittima richiesta del presidente Martini di procedere ad una verifica congiunta della situazione attuale e degli orientamenti generali che dovranno guidare l'attivita' della nuova amministrazione. In altri termini, il ministro non si e' minimamente preoccupato di instaurare alcun contatto con la regione, come invece sarebbe stato necessario al fine di raggiungere concretamente un'intesa; non ha dato alcuna risposta alla richiesta regionale di effettuare un incontro per raggiungere un accordo; da cio' consegue che non e' ascrivibile al Ministro alcuna reale volonta' di rispettare il dettato normativo. La nomina consecutiva di due commissari, dunque, dimostra chiaramente la volonta' di prorogare sine die il regime de quo, la qual cosa arreca una grave lesione delle competenze regionali. I. b) Potrebbe essere obiettato che la Corte costituzionale ha affermato talvolta che l'intesa puo' connotarsi in modo meno incisivo a fronte di un pericolo di pregiudizio per l'interesse nazionale (c.d. intesa in senso debole). In merito si contesta l'applicabilita' di tale principio al caso in esame sia perche' non e' ravvisabile un imminente pregiudizio per un prevalente interesse nazionale, sia perche' quelle pronunce costituzionali non appaiono piu' conformi al mutato sistema costituzionale, introdotto con la modifica del titolo V della costituzione. Come sopra rilevato gli accresciuti poteri regionali previsti dall'art. 117 cost., la totale parita' Stato-Regioni introdotta dalla legge costituzionale n. 3/2001, con l'eliminazione nelle norme del titolo V di ogni riferimento all'interesse nazionale come possibile limite alle potesta' regionali non giustificano piu' le c.d. "intese in senso debole" che si fondavano, si ripete, su riconosciuti preminenti interessi nazionali. considerato che le c.d. "intese in senso debole" si risolvono in un mero aggravio procedurale, di intensita' solo di poco superiore al parere obbligatorio, e' ovvio che questa figura non puo' piu' costituire una garanzia sufficiente per l'autonomia regionale. Comunque, in denegata ipotesi, va rilevato che anche nei casi in cui l'intesa e' stata interpretata nella sua veste piu' debole, la corte costituzionale ha, comunque, ravvisato la necessita' di una "trattativa che superi, per la sua flessibilita' e bilateralita', il rigido schema della sequenza non coordinata di atti unilaterali" (sent. n. 21/1991) (cioe' la semplice emissione di un parere o di una proposta). In altri termini, la Corte pur sottolineando che "l'intesa (...) deve intendersi come paradigma di concertazione, cui tuttavia non e' possibile attribuire un contenuto di uguale spessore nelle varie ipotesi" (Corte cost., sent. n. 302 del 1994) ha sempre ritenuto necessari, quale che sia la formalita' o la modalita' di espressione osservata, una negoziazione e un contatto tra le parti; la concordanza della volonta' delle parti interessate (sent. n. 514/1988); un atteggiamento ispirato alla correttezza e all'apertura verso le posizioni altrui (sent. n. 379/1992); una lealta' del comportamento tenuto (sent. n. 116/1994), perche' "l'intesa non puo' consistere in un mero onere di informazione da parte dello Stato" (sent. citata n. 116/1994). In definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase di dialogo fra le due parti e che si realizzi un contatto tra i diversi interessi ed una dialettica leale e costruttiva fra i differenti soggetti di rilevanza costituzionale. E' evidente che, nel caso in esame, i suddetti criteri non sono stati rispettati perche', come visto, nella condotta del Ministero non e' dato riscontrare alcuna apertura verso la controparte e le sue istanze, come invece sarebbe stato necessario. Appare, quindi, davvero arduo sostenere che l'autorita' statale abbia rispettato la leale cooperazione ed abbia attuato una efficace trattativa e un costruttivo confronto con l'amministrazione regionale, visto che non ha neppure risposto ad una precisa richiesta di incontro. II. Violazione dei principi di riserva di legge, buon andamento ed imparzialita' dei pubblici uffici, art. 97 della costituzione. Il Ministro ha nominato, con decreto del 14 agosto 2002, il dott. Silvio Vetrano, quale commissario straordinario dell'Ente parco, fino a tutto il 21 settembre 2002. Sui motivi che hanno indotto la regione a tollerare tale decreto si e' gia' detto. Con la nomina del dott. Barbetti, intervenuta il 19 settembre 2002, l'amministrazione commissariale e' stata, pero', ulteriormente prorogata, questa volta "fino alla nomina del presidente dell'ente medesimo". Si tratta di un termine rimesso all'esclusiva volonta' del ministro. Infatti, la nomina del presidente, come noto, nell'attuale sistema normativo, spetta all'amministrazione statale. Le regioni possono solo attivarsi per sollecitare un'intesa, ma l'atto finale spetta al ministro. Non si puo' fare, quindi, a meno di censurare l'incerta durata della gestione commissariale, che puo' durare all'infinito, perche' il ministro potrebbe - come sta facendo - non ricercare alcuna intesa con la Regione e cosi' non nominare mai il presidente; in tal modo, la gestione commissariale si dilata sino al punto da far apparire come ordinario un sistema eccezionale e limitato nel tempo. Alla "indeterminatezza di durata stabilita nell'ultimo provvedimento ancorche' certa nel quando" va aggiunta "la precarieta' dell'istituto dell'amministrazione straordinaria che (...) incide sull'attuazione di programmi a medio e lungo termine, comporta ex se una gestione precaria e (...) non assicura la rappresentativita' degli interessi degli enti locali coinvolti (...)" (C. conti, sent. n. 11/2000). La temporaneita' e' una caratteristica ricorrente anche negli organi ordinari, ma senz'altro particolarmente evidente in quelli straordinari, dato il collegamento con una situazione eccezionale e transeunte, presupposto della loro costituzione e attivazione. Pertanto, il protrarsi della gestione commissariale, nel caso de quo, e' indice dell'anomala quanto illegittima situazione creata dal decreto impugnato. Parimenti il decreto impugnato viola i principi di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione nonche' della riserva di legge, sanciti dall'art. 97 Cost. Al riguardo, e' indispensabile richiamare l'ormai famosa sentenza della Corte costituzionale del 4 maggio 1992 n. 208. Tale pronuncia, sia pure con riferimento all'ipotesi della prorogatio tacita sine die degli organi amministrativi, e' chiara nell'evidenziare i principi dell'ordinamento a fronte del fenomeno della scadenza del mandato o incarico degli organi ordinari e del loro rinnovo. In essa sostanzialmente si afferma che il ricorso alla prorogatio contrasta non solo con il primo comma dell'art. 97 - in quanto influisce negativamente sull'imparzialita' del funzionario che, scaduto il termine di validita' della nomina, resta revocabile ad nutum (ed e' quindi in qualche modo soggetto a condizionamenti) - ma anche con il secondo comma di tale disposizione perche' finisce per alterare la sfera di competenza e le attribuzioni dei funzionari stabilite dalla legge. In particolare, la Corte ha rilevato che "se e' previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia circoscritta, una eventuale prorogatio sine die violerebbe il principio di riserva di legge in materia di organi amministrativi". Non si puo' fare a meno di costatare che il sistema escogitato dal ministro con il decreto de quo lede gli stessi principi evocati dalla corte in quanto crea una situazione di fatto identica. Nella fattispecie oggetto dell'odierno gravame viene in rilievo un sostituto commissariale di incerta durata e proprio per questo incapace di gestire secondo gli usuali canoni di efficienza l'ente cui e' preposto, atteso il carattere provvisorio dei suoi atti ed eccezionale della sua attivita' e di garantire, per le stesse ragioni, l'assoluta imparzialita' delle sue decisioni. Con motivazione pretestuosa, quanto quella che ne ha determinato la nomina, il ministro potrebbe legittimamente disporne la revoca o la sostituzione. Pertanto, il regime commissariale, cosi' instaurato, lede gravemente le numerose competenze regionali coinvolte; la precarieta' e la parzialita' che lo connotano sono tali da precludere l'attuazione delle finalita' del parco e cio' incide negativamente sulle competenze regionali che sono collegate con le medesime finalita' (come gia' rilevato: governo del territorio, agricoltura, turismo, caccia, pesca, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e industria alberghiera). Del resto, il presidente della regione ha evidenziato, sin dalla nota, summenzionata, del 15 marzo 2002, i rischi di paralisi ed inefficienza cui si stava andando incontro, per il modo, tutt'altro che condivisibile, con il quale il procedimento di nomina era stato avviato dal ministro. Infatti, nella nota si afferma: "Il raggiungimento dell'intesa (...) costituisce un irrinunciabile punto di partenza per avviare un'amministrazione dell'ente basata sull'efficienza, orientata verso obiettivi condivisi, e capace di affrontare in modo adeguato le complesse questioni che si presentano sull'Arcipelago. Esse richiedono una fattiva collaborazione tra tutti gli enti le cui competenze di programmazione, pianificazione e gestione hanno incidenza sul suo territorio e sulle marine circostanti (ente parco, comuni, comunita' montana, provincia, regione, amministrazioni nazionali)". Sussiste, pertanto, la lamentata violazione dell'art. 97 Cost. che la ricorrente e' legittimata a far valere perche' la stessa determina una menomazione delle competenze regionali costituzionalmente garantite.