Ricorso  per  la  Regione  Toscana, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, autorizzato con deliberazione n. 1092
del 14 ottobre 2002, rappresentato e difeso, come da mandato in calce
al  presente  atto,  dagli  avvocati  Lucia Bora, Vito Vacchi e Fabio
Lorenzoni,  presso  il  cui studio elegge domicilio, in Roma, via del
Viminale n. 43, ricorrente;
    contro:
        la  presidenza  del  consiglio  dei  ministri, in persona del
presidente pro tempore;
        il  Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio pro
tempore;
resistenti,  per l'annullamento del decreto ministeriale 19 settembre
2002  del  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del territorio,
pervenuto  alla  regione  Toscana in data 26 settembre 2002 (doc. 1),
con  cui  e'  stato  nominato  il commissario straordinario dell'Ente
parco nazionale dell'Arcipelago Toscano.

                              F a t t o

    con  il  d.m.  del 19 settembre 2002, il Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio  ha  provveduto (art. 1) a nominare il
commissario  straordinario  dell'Ente parco nazionale dell'Arcipelago
Toscano nella persona del dott. Ruggero Barbetti.
    Tale  decreto  fa  seguito  al  d.P.R. 22 luglio 1996, pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 290  dell'11  dicembre  1996, recante:
"Istituzione del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano".
    In particolare, l'art. 2, comma 2, del medesimo d.P.R. disciplina
la  nomina  degli  organi  dell'Ente parco, da effettuarsi secondo le
disposizioni  e le modalita' previste dall'art. 9, commi 3, 4, 5, 10,
della  legge  6  dicembre  1991, n. 394 e successive modificazioni ed
integrazioni.
    La procedura concernente la nomina del presidente dell'Ente parco
nazionale,   di  cui  al  menzionato  art. 9,  comma  3,  prevede  il
meccanismo  dell'intesa tra il Ministero dell'ambiente e i presidenti
delle regioni, nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco
nazionale.
    Cio'  premesso, va preliminarmente rilevato che con il d.m. del 6
marzo  1997  (doc. 2) e' stato nominato il presidente dell'Ente parco
nazionale  dell'Arcipelago  Toscano  nella persona del dott. Giuseppe
Tanelli.  A  norma dell'art. 9, comma 12, della legge n. 394 del 1991
gli organi del parco durano in carica cinque anni.
    In  data  6  marzo 2002, il mandato del dott. Tanelli e', quindi,
venuto a scadenza.
    Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, con nota
1  marzo  2002,  prot.  GAB/2002/2487/B07  (doc.  3), ha richiesto al
presidente  della Regione Toscana l'intesa alla nomina del presidente
dell'Ente  nella  persona,  peraltro unilateralmente individuata, del
dott. Ruggero Barbetti.
    Il  Ministro,  infatti,  si  e'  limitato ad indicare un nome sul
quale  ottenere  il  consenso  della  Regione, omettendo del tutto la
pregressa  e doverosa fase di individuazione dell'eventuale candidato
su  cui  potesse  formarsi  il  consenso  richiesto  per  la nomina a
presidente  del  parco.  Trattasi  di  circostanza,  per  cosi' dire,
sintomatica del comportamento in seguito tenuto dal Ministro.
    Successivamente,  in  data  15  marzo  2002  (doc. 4), la Regione
Toscana,  in  risposta  alla  nota  ministeriale del 1 marzo 2002, ha
trasmesso  al Ministro on. Altero Matteoli una nota per richiedere un
incontro  urgente,  allo scopo di ricercare l'intesa sulla nomina del
presidente  dell'Ente  in  questione,  per la quale non sussistevano,
allo  stato,  le  condizioni.  Il  presidente  della Regione Toscana,
nell'esprimere  il  diniego  all'intesa  richiesta, ha opportunamente
evidenziato  che  "il  procedimento di nomina, cosi' come avviato dal
Ministro,  non sembrava tener conto della delicatezza della questione
e  dell'attenta  valutazione  necessaria per i risvolti sia a livello
locale   sia  piu'  in  generale".  Nell'affermare  la  funzionalita'
dell'intesa  rispetto  ad  un'efficiente  amministrazione  dell'Ente,
basata  su  obiettivi condivisi, il presidente della Regione ha, poi,
giustamente  "ritenuto  necessario  procedere  preliminarmente ad una
verifica  congiunta  circa  la  situazione attuale e gli orientamenti
generali che guideranno l'attivita' della nuova amministrazione".
    Trattasi,  com'e' evidente, di fasi imprescindibili in ogni reale
procedimento di intesa.
    Per  contro,  gia'  dal tenore della nota 1 marzo 2002, e' emersa
una  chiara volonta' del Ministro di svuotare l'intesa de qua di ogni
effettivo contenuto.
    Il  Ministro,  infatti,  com'era  prevedibile,  atteso  l'analogo
comportamento  tenuto  in  altra  procedura, anch'essa attualmente al
vaglio  di  codesta  ecc.ma Corte costituzionale (nomina degli organi
del   Parco   "Appennino   Tosco-Emiliano"),   ric.   n. 25/2002,  ha
inspiegabilmente ignorato tale legittima richiesta di incontro.
    Venuti   a  scadenza  i  termini  per  la  proroga  degli  organi
amministrativi prescritti dal d.l. 16 maggio 1994, n. 293, convertito
in  legge  del  15  luglio  1994, n. 444, il Ministro ha provveduto a
nominare,  con  decreto del 14 agosto 2002, pervenuto alla Regione in
data  22 agosto  2002  (doc.  5),  il  dott.  Silvio  Vetrano,  quale
commissario  straordinario  dell'Ente  parco,  fino  a  tutto  il  21
settembre 2002.
    La Regione Toscana non ha condiviso tale provvedimento, stante la
sua  formale  illegittimita'. Nella fattispecie in oggetto difettano,
come   meglio  si  dira'  infra,  i  presupposti  giuridici  per  una
amministrazione commissariale.
    Tuttavia,  la  ricorrente  ha tollerato la decisione del Ministro
nella  convinzione  -  rivelatasi poi erronea - che tale misura fosse
stata   adottata   per   consentire  la  prosecuzione  dell'attivita'
amministrativa  durante il tempo necessario per addivenire all'intesa
con la Regione Toscana.
    In  altri  termini,  l'atteggiamento  tenuto  dalla ricorrente in
quella circostanza e' stato dettato dall'intenzione di instaurare tra
le parti un clima di distensione e di leale collaborazione.
    Il  Ministro,  invece,  ha  ricambiato  un  simile atteggiamento,
ispirato,  si  ripete,  alla  correttezza  e  all'apertura  verso  le
posizioni altrui, con un comportamento illegittimo.
    Non  solo,  infatti, ha lasciato trascorrere il mandato del dott.
Vetrano  senza  prendere alcuna iniziativa per addivenire all'intesa,
ma  ha  strumentalizzato  tale  prima  nomina,  trasformandola  in un
precedente   finalizzato   a   legittimare   successive  sostituzioni
commissariali.
    In  data  26  settembre  2002, e', infine, pervenuto alla Regione
Toscana  un ulteriore decreto con il quale il Ministro ha nominato un
secondo  commissario  straordinario,  questa  volta nella persona del
dott. Barbetti (la stessa persona sottoposta all'intesa non raggiunta
con la nota 1 marzo 2002) e senza un termine predefinito di durata.
    Al  riguardo,  va rilevato che la conferenza dei presidenti delle
Regioni  e  delle  Province autonome, con un ordine del giorno del 26
settembre  2002 (doc. 6), nell'esprimere grande preoccupazione per la
reiterata  violazione  del comma 3, art. 9 della legge n. 394/1991 da
parte  del  Ministro  dell'ambiente,  ha  espressamente  richiesto al
Governo di rivedere tutti gli atti emanati disattendendo la procedura
dell'intesa    "perche'    lesivi    dell'Intesa   interistituzionale
sottoscritta il 20 giugno u.s.".
    Il provvedimento in oggetto e' gravemente pregiudizievole per gli
interessi dell'Amministrazione regionale in quanto viola, come meglio
si  dira' in seguito, le competenze costituzionalmente garantite alla
Regione,  nelle  materie  del governo del territorio (ove rientra, la
difesa  del  suolo  e  quindi  l'attivita'  di  difesa  idrogeologica
prevista  all'art. 3  del d.P.R. istitutivo del parco 22 luglio 1996,
nonche'  la  disciplina  urbanistica  ed  edilizia  degli  interventi
all'interno  del parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia,
della  pesca,  della valorizzazione dei beni culturali e ambientali e
dell'industria alberghiera.
    La  Regione  intende,  quindi, proporre conflitto di attribuzione
avverso  tale  decreto.  A conforto della ammissibilita' del presente
ricorso, e' possibile svolgere le seguenti considerazioni.
    Secondo  il  costante orientamento di codesta corte, il conflitto
di  attribuzione  puo'  essere  proposto  non solo per rivendicare la
titolarita'  di  attribuzioni  costituzionalmente conferite, ma anche
per  la  difesa di proprie competenze di natura costituzionale che si
suppongono  menomate  o impedite in seguito all'esercizio illegittimo
di  poteri  altrui.  In  altri  termini,  e'  stato  ammesso anche il
conflitto  c.d.  da  menomazione, consentendo cioe' di ricorrere allo
strumento del conflitto anche quando si lamenta non l'appartenenza di
un potere o di una competenza, ma solo il cattivo uso dello stesso da
parte  del  suo  legittimo  titolare che viene ad incidere o a creare
turbativa  nei  confronti  di  poteri o competenze costituzionalmente
riconosciute al ricorrente.
    A  nulla  vale  eccepire,  quindi,  che  nel caso non si versa in
un'ipotesi  di vindicatio potestatis, avendo la corte costituzionale,
in  piu'  occasioni  e  in  termini assai precisi, affermato che: "la
figura  dei  conflitti  di  attribuzione  non  si restringe alla sola
ipotesi  di  contestazione  circa l'appartenenza del medesimo potere,
che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi a se', ma si estende
a  comprendere  ogni  ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un
potere  altrui  consegua  la menomazione di una sfera di attribuzioni
costituzionalmente   assegnate   all'altro   soggetto"  (Corte  cost.
n. 432/1994; si vedano, altresi', le sentenze nn. 444 e 126 del 1994,
132  del 1993, 473 e 245 del 1992, 204 del 1991). Situazione, questa,
che  ricorre  pienamente in relazione alla domanda prospettata con il
ricorso   in   esame,  dove  la  lesione  della  sfera  di  autonomia
costituzionalmente garantita alle Regioni nelle materie summenzionate
consegue  alla  nomina  di un commissario straordinario, disposta dal
Ministro  competente  all'evidente  scopo  di eludere la procedura di
legge  prescrivente  l'intesa  (art. 9, comma terzo, legge 6 dicembre
1991,  n. 394 - Legge quadro sulle aree protette), stante il difetto,
nella  fattispecie de qua, delle circostanze di fatto e delle ragioni
giuridiche  che  avrebbero  potuto  rendere  praticabile  una  simile
soluzione.
    Parimenti  dagli atti traspare con evidenza che nella fattispecie
manca  una reale richiesta di partecipazione della Regione Toscana al
procedimento di intesa.
    Il Ministro si e' limitato ad indicare un nome sul quale ottenere
il  consenso  della  Regione, con cio' dimostrando l'insussistenza di
una  effettiva  volonta'  di addivenire ad una definizione concordata
del contenuto dell'atto di nomina.
    Ne'  riscontro  alcuno,  come visto, e' stato dato alla legittima
richiesta  di  un  incontro  urgente  da  parte  del presidente della
Regione Toscana.
    L'intesa,  in  questa  materia,  e'  stata  chiaramente posta dal
legislatore     a     salvaguardia     di    prerogative    regionali
costituzionalmente   garantite   nelle   materie   del   governo  del
territorio,  dell'agricoltura,  turismo,  caccia, pesca, edilizia. La
sua violazione, quindi, non puo' non integrare una fattispecie idonea
a far sorgere un conflitto di attribuzioni. La stessa corte, difatti,
ha  espressamente  affermato  che  il  conflitto  di attribuzione "e'
ammissibile  non  soltanto  se  ricorra  l'invasione di competenza ma
anche   quando   l'ordinamento  richieda  la  collaborazione  di  una
pluralita' di enti e, per contro, uno di essi provveda autonomamente,
senza tener conto della potesta' altrui" (sent. n. 286 del 1985).
    Il  provvedimento,  pertanto,  lede  le competenze costituzionali
garantite alle Regioni per i seguenti motivi di:

                            D i r i t t o

    I.  Violazione  del  principio  di  leale  cooperazione  e  degli
artt. 5, 117 e 118 della costituzione.
    I.  a)  A  norma  dell'art. 9,  comma 1, della legge n. 394/1991,
l'Ente parco e' sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente.
    Tale  vigilanza,  come  noto,  si estrinseca nel potere-dovere di
controllare il regolare funzionamento degli organi di amministrazione
al fine dell'ordinato svolgimento dei compiti dell'ente.
    Non  rientra,  invece,  in  tal potere l'emanazione di decreti di
nomina  di  un  commissario  straordinario,  in ragione dell'avvenuta
scadenza dei termini di durata dell'organo ordinario.
    La  continuita' e la funzionalita' della gestione amministrativa,
infatti,  sono  affidate, in questa ipotesi, ad una diversa procedura
che rinviene nell'intesa Stato-Regione il suo caposaldo (cfr. art. 9,
comma terzo, legge n. 394/1991).
    Cio'  considerato,  risulta  difficile  negare  che  il  decreto,
oggetto  dell'odierno  gravame,  sia  stato  adottato  per eludere la
procedura di legge.
    La riprova di cio' si rinviene, per come gia' visto, nella totale
assenza  da  parte  del  Ministro  della ricerca di un accordo con la
Regione  Toscana  e  nella circostanza che la nomina in questione sia
stata  disposta  pur  in  mancanza  delle  circostanze di fatto e dei
presupposti  di  diritto  che  avrebbero potuto legittimare un simile
provvedimento.
    L'organo  straordinario  costituisce,  per definizione, eccezione
all'assetto organizzativo della P.A. in un dato ordinamento positivo.
    In  un ordinamento come quello italiano che affonda le sue radici
nei  principi di riserva di legge, buon andamento e imparzialita' dei
pubblici uffici, gli organi amministrativi straordinari devono essere
sempre istituiti e disciplinati per legge.
    Non   esiste   nel   nostro  ordinamento  alcuna  norma  cui  sia
riconducibile,   sia  pure  solo  indirettamente,  la  nomina  di  un
commissario straordinario in un caso come quello in esame.
    Gli  organi straordinari, infatti, possono essere nominati in tre
ipotesi:
        1) gravi violazioni di legge;
        2) gravi irregolarita' di gestione;
        3) catastrofi e calamita' naturali.
    E'   di   tutta   evidenza   che  la  nomina  di  un  commissario
straordinario  in  sostituzione di un organo ordinario, non rinnovato
volutamente  dall'autorita'  competente,  non  rientra in nessuno dei
casi menzionati.
    Il   decreto  impugnato  e'  stato,  quindi,  assunto  in  totale
violazione dell'art. 9, terzo comma, della legge n. 394/1991 il quale
statuisce:  "Il  presidente  e'  nominato  con  decreto  del Ministro
dell'ambiente, d'intesa con i presidenti delle regioni (...)".
    La  norma prevede una modalita' di codeterminazione del contenuto
dell'atto, a tutela delle competenze regionali.
    E'  indispensabile  svolgere  talune considerazioni sull'istituto
dell'intesa  e  sulle  ragioni che hanno indotto il legislatore a far
ricorso,  nella  materia  in  oggetto,  a  questa  primaria  forma di
concertazione Stato-Regioni.
    L'intesa,  come  risaputo,  e' istituto completamente diverso dal
parere.  Questo  discende  gia' dalla legge n. 394/1991 che distingue
chiaramente  i casi in cui e' necessaria l'intesa con le Regioni (per
gli  atti  fondamentali  quali,  oltre  alla  nomina  del presidente,
l'approvazione  del  regolamento del parco: art. 11, sesto comma) dai
casi  in  cui  e' sufficiente il solo parere delle Regioni stesse (ad
es.  per  la  nomina dei componenti del consiglio direttivo dell'ente
parco:  art. 9,  quarto  comma,  e  per  le  misure  di salvaguardia:
art. 34, commi 3 e 9). La legge n. 394/1991, ove prevede l'intesa con
le  Regioni, non stabilisce che in caso di suo mancato raggiungimento
lo Stato possa prescindere da questa e provvedere unilateralmente.
    Se  la  legge  utilizza  termini  diversi,  non e' giuridicamente
consentito attribuire agli stessi il medesimo significato.
    considerazione  questa  tanto piu' rilevante ove si consideri che
la Corte costituzionale ha si' riconosciuto piena discrezionalita' al
legislatore  "nella  determinazione  delle  forme  piu'  opportune di
collaborazione    in    relazione    all'esercizio   di   un   potere
indiscutibilmente  spettante allo Stato, purche', ovviamente, risulti
realmente soddisfatto l'interesse inerente alle materie di competenza
regionale  coinvolte,  che  ha  indotto a prevedere la partecipazione
delle Regioni al procedimento statale" (sent. n. 1031 del 1988).
    Ogni  interpretazione  del dato normativo considerato, diversa da
quella  prospettata,  pertanto,  dovrebbe  assurdamente  fondarsi sul
presupposto che quella del legislatore sia stata una scelta meramente
casuale.  E'  doveroso ritenere, invece, che il legislatore del 1991,
nel   richiamare  l'intesa  nella  procedura  de  qua,  abbia  inteso
rispettare quei criteri di ragionevolezza piu' volte richiamati dalla
Corte  costituzionale  al  fine  di  tutelare al meglio le competenze
regionali coinvolte (sent. citata n. 1031 del 1988).
    Ma  l'intesa  si  differenzia  dal parere, oltre che per il sopra
rilevato  aspetto  letterale,  soprattutto  sul  piano  sostanziale e
concettuale.
    In  merito  la  dottrina e' orientata a sussumere le intese nella
categoria  degli  accordi  preliminari al provvedimento, operando una
sostanziale  equiparazione  con  la  figura  del  concerto  (Roffi  -
Concerto    e    intesa    nell'attivita'    amministrativa:   spunti
ricostruttivi, in Giur. it. 1988, IV, 416).
    Com'e'  noto,  e' poi stata la Corte costituzionale a chiarire il
significato dell'intesa nei rapporti Stato-Regioni.
    In  particolare,  la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato
che  l'intesa  rappresenta  lo  strumento  essenziale  per assicurare
l'attuazione  del  principio  di  leale  cooperazione,  che  trova un
esplicito  fondamento  nell'art. 5  della  costituzione  e  che  deve
presiedere  e  regolare  l'esercizio delle competenze interferenti di
Stato  e Regioni, consentendo di conciliare gli interessi di cui sono
portatori tali enti dotati entrambi di rilevanza costituzionale.
    Cosi'  la  Corte  costituzionale  ha  definito  l'intesa  come lo
strumento  che  si  esplica  "in  una  paritaria codeterminazione del
contenuto  dell'atto  sottoposto  ad  intesa" (sent. n. 351/1991), e,
ancora,  come "una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto
comporta  che  i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano
in  relazione  alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima
deve  risultare  come  il  prodotto  di  un accordo e, quindi, di una
negoziazione   diretta   fra   il   soggetto   cui  la  decisione  e'
giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve concorrere alla
decisione  stessa"  (Corte  cost.  n. 337/1989 e, nello stesso senso,
sent. nn. 116/1994; 21/1991; 220/1990; 747/1988).
    Dunque,  la caratteristica fondamentale dell'istituto dell'intesa
e'  data  dal  fatto  che,  a  fronte  di  materie  interferenti e di
competenze   concorrenti,   e'   necessario  che  si  addivenga  alla
codeterminazione  paritaria del contenuto finale da parte dello Stato
e  delle  Regioni  e  cio'  perche',  altrimenti,  i  poteri  statali
comprimerebbero     eccessivamente     le     competenze    regionali
costituzionalmente garantite. La conseguenza del suddetto significato
dell'intesa  c.d.  "in senso forte" e' che la mancata intesa inibisce
il proseguimento del procedimento.
    La  suddetta giurisprudenza della Corte costituzionale, elaborata
durante  la  vigenza  del  previgente art. 117 della costituzione, e'
maggiormente  valida oggi, a seguito dell'avvenuta riforma del titolo
V  della  parte  seconda  della  costituzione,  operata  dalla  legge
costituzionale n. 3/2001.
    Com'e' noto tale riforma ha valorizzato l'autonomia regionale; ha
notevolmente  ampliato,  con  la nuova formulazione dell'art. 117, le
materie    attribuite    alla   potesta'   legislativa   concorrente,
riconoscendo  in tali materie allo Stato solo il compito di dettare i
principi   fondamentali;   ha  riservato  alla  potesta'  legislativa
esclusiva delle Regioni la disciplina delle materie non statali e non
ricomprese  nell'ambito  della  legislazione  concorrente (cosi' sono
oggi soggette alla legislazione esclusiva regionale rilevanti materie
quali  l'agricoltura, il turismo, l'industria alberghiera, la caccia,
la    pesca,    l'artigianato,   solo   per   citarne   alcune);   ha
costituzionalizzato all'art. 118 il principio di sussidiarieta' quale
regola di allocazione delle funzioni amministrative.
    L'accresciuta  autonomia regionale e la posizione di parita' e di
equiordinazione riconosciuta allo Stato e alle Regioni rendono quindi
ancora   piu'   necessario  rispetto  al  passato  che  l'intesa  sia
interpretata  ed  applicata  nel  significato  sopra  evidenziato  di
strumento per la codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto.
    Tali  argomentazioni  sono gia' sufficienti a rendere superfluo e
non  piu' pertinente l'eventuale rilievo volto ad evidenziare che, in
genere,  la  Corte  costituzionale  ha  usato la nozione di intesa in
senso  forte  in  ordine  alle  Regioni  a  statuto  speciale  e alle
Provincie  autonome,  supponendo, spesso, l'esistenza, in materia, di
competenze  legislative primarie. Trattasi di un rilievo che gia' per
il  passato e' stato smentito da alcune significative decisioni della
Corte.  Si  veda,  tra  le altre, la sent. n. 351 del 1991. In questa
decisione  la Corte ha ribadito (richiamando, tra l'altro, proprio la
sent.  n. 21  del  1991)  che  lo  strumento di leale cooperazione si
estrinseca  in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto
"da  realizzare  e  ricercare,  laddove occorra, attraverso reiterate
trattative   volte   a  superare  le  divergenze  che  ostacolino  il
raggiungimento   dell'accordo".   Tuttavia,  nonostante  la  parziale
analogia  di argomentazione sulla natura dello strumento di raccordo,
la sent. n. 351 del 1991 assume una valenza ben diversa ed assai piu'
ampia rispetto alla sent. n. 21 del 1991.
    Essa,  infatti,  estende  la  nozione  di intesa, come trattativa
flessibile e bilaterale, ai rapporti tra Stato e Regioni ordinarie in
relazione  ad  un  atto  statale  che si collega all'esercizio di una
competenza legislativa ripartita.
    Cio'  chiaramente significa che le Regioni, ivi comprese quelle a
statuto  ordinario,  non  possono  essere  costrette  ad  emettere un
semplice  parere,  quando  sia  invece  prevista un'intesa, ma devono
partecipare in modo effettivo alla determinazione dell'atto.
    Inoltre,  va  rilevato  che  il  mutato quadro costituzionale non
consente  piu' di operare una distinzione netta, come per il passato,
tra Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale.
    Oggi,  infatti,  le  Regioni a statuto ordinario sono titolari di
una  potesta' legislativa esclusiva in materie, rilevanti nel caso in
esame,  come l'agricoltura, la caccia, pesca, il turismo, ed anche la
potesta' legislativa concorrente e' configurata con maggiore ampiezza
e  piu'  autonomia, dovendo rispettare gli stessi limiti che incontra
il legislatore statale ed i soli principi della legge nazionale.
    Nelle  materie  di  competenza  regionale,  sia  concorrente  che
esclusiva,  ex art. 117, terzo e quarto comma, cost., spetta poi alle
regioni  -  nel  dettare  la  disciplina  legislativa  -  allocare le
funzioni  amministrative  in  capo  agli enti locali, individuando il
livello   di   governo   piu'   adeguato   in   base  ai  criteri  di
sussidiarieta',  adeguatezza e differenziazione dettati dall'art. 118
Cost.
    Cio'  premesso,  la  violazione  di tale intesa nel caso in esame
arreca una grave lesione alle competenze regionali.
    Il  presidente  infatti, e' l'organo fondamentale che rappresenta
il  parco e ne coordina l'attivita'; fa parte del consiglio direttivo
che  adotta  lo statuto dell'ente, delibera i bilanci, il regolamento
ed il piano del parco.
    In sostanza il presidente del parco determina in modo incisivo le
scelte  dell'ente  parco e tali scelte inevitabilmente interferiscono
sulle  competenze regionali. Infatti il parco dell'Arcipelago Toscano
e'  stato  istituito  (con  il  citato  d.P.R. 22 luglio 1996) per la
conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale, per la difesa
e  ricostituzione  degli equilibri idraulici ed idrogeologici, per la
promozione  sociale ed economica. E ancora, in base all'art. 11 della
legge  n. 394/1991,  il  regolamento del parco dovra' disciplinare le
attivita'  consentite  nel  parco, con riferimento, tra l'altro, alla
tipologia  e  alle  modalita' di costruzione di opere e di manufatti,
alle    attivita'    artigianali,    commerciali,    alle   attivita'
agro-silvo-pastorali, sportive e ricreative.
    Non puo' quindi dubitarsi che la regolamentazione dell'ente parco
(di cui, si ripete, il presidente e' l'organo fondamentale) verra' ad
interferire con le potesta' costituzionalmente garantite alle regioni
nelle  materie del governo del territorio (ove rientra, la difesa del
suolo   e   quindi   l'attivita'  di  difesa  idrogeologica  prevista
all'art. 2 del d.P.R. istitutivo del parco 22 luglio 1996, nonche' la
disciplina  urbanistica  ed edilizia degli interventi all'interno del
parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia, della pesca.
    Pertanto  l'interferenza  del  ruolo del presidente del parco con
molteplici  competenze  regionali costituzionalmente garantite impone
di  interpretare  l'intesa  richiesta dall'art. 9, terzo comma, della
legge  n. 394/1991  come  forma  di  codeterminazione  paritaria  del
contenuto dell'atto, come tale necessaria ed inibente la nomina di un
presidente che non sia individuato a seguito della prescritta intesa.
Tale  tesi  e' confermata dal fatto che, come gia' rilevato, la legge
n. 394/1991,  quando richiede l'intesa con le regioni, non stabilisce
che  in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa prescindere
da questa e provvedere unilateralmente, mentre il legislatore, quando
ha  voluto  assegnare  allo  Stato  il  potere di provvedere anche in
mancanza  di  intesa,  lo  ha  espressamente  previsto:  si  veda  in
proposito  l'art. 3  del  decreto  legislativo  n. 281/1997  ove, nel
disciplinare  le  intese  con  la  conferenza  Stato-Citta' autonomie
locali,  e'  stato stabilito che se l'intesa con la conferenza non e'
raggiunta  entro  trenta  giorni,  il  Consiglio  dei  ministri  puo'
provvedere in mancanza dell'intesa, previa adeguata motivazione.
    Pertanto,   va   ribadito   che   la   nomina   del   commissario
straordinario,  nel caso di specie, attesa la carenza dei presupposti
che avrebbero potuto rendere praticabile una tale soluzione, e' stata
disposta  all'evidente  scopo  di  disapplicare la norma prescrivente
l'intesa.
    Il  ministro,  del  resto,  come  gia'  detto,  si  e' limitato a
richiedere  l'intesa  per  la  nomina del dott. Barbetti relegando la
Regione Toscana ad un ruolo meramente secondario.
    Ne'  alcun  riscontro  e' stato poi dato alla legittima richiesta
del  presidente  Martini di procedere ad una verifica congiunta della
situazione attuale e degli orientamenti generali che dovranno guidare
l'attivita' della nuova amministrazione.
    In  altri  termini, il ministro non si e' minimamente preoccupato
di  instaurare  alcun  contatto  con  la regione, come invece sarebbe
stato  necessario al fine di raggiungere concretamente un'intesa; non
ha  dato  alcuna  risposta  alla richiesta regionale di effettuare un
incontro  per  raggiungere  un  accordo;  da cio' consegue che non e'
ascrivibile  al  Ministro  alcuna  reale  volonta'  di  rispettare il
dettato  normativo.  La nomina consecutiva di due commissari, dunque,
dimostra  chiaramente  la volonta' di prorogare sine die il regime de
quo,   la  qual  cosa  arreca  una  grave  lesione  delle  competenze
regionali.
    I.  b)  Potrebbe  essere obiettato che la Corte costituzionale ha
affermato talvolta che l'intesa puo' connotarsi in modo meno incisivo
a  fronte  di  un  pericolo  di pregiudizio per l'interesse nazionale
(c.d. intesa in senso debole).
    In  merito si contesta l'applicabilita' di tale principio al caso
in  esame sia perche' non e' ravvisabile un imminente pregiudizio per
un  prevalente  interesse  nazionale,  sia  perche'  quelle  pronunce
costituzionali   non   appaiono   piu'  conformi  al  mutato  sistema
costituzionale,  introdotto  con  la  modifica  del  titolo  V  della
costituzione.
    Come  sopra  rilevato  gli  accresciuti poteri regionali previsti
dall'art. 117 cost., la totale parita' Stato-Regioni introdotta dalla
legge  costituzionale  n. 3/2001,  con l'eliminazione nelle norme del
titolo  V  di ogni riferimento all'interesse nazionale come possibile
limite  alle potesta' regionali non giustificano piu' le c.d. "intese
in  senso  debole"  che  si  fondavano,  si  ripete,  su riconosciuti
preminenti  interessi  nazionali.  considerato che le c.d. "intese in
senso  debole"  si  risolvono  in  un  mero  aggravio procedurale, di
intensita'  solo  di  poco superiore al parere obbligatorio, e' ovvio
che  questa  figura non puo' piu' costituire una garanzia sufficiente
per l'autonomia regionale.
    Comunque,  in denegata ipotesi, va rilevato che anche nei casi in
cui  l'intesa  e'  stata interpretata nella sua veste piu' debole, la
corte  costituzionale  ha,  comunque,  ravvisato la necessita' di una
"trattativa  che superi, per la sua flessibilita' e bilateralita', il
rigido  schema  della  sequenza  non  coordinata di atti unilaterali"
(sent. n. 21/1991) (cioe' la semplice emissione di un parere o di una
proposta).
    In  altri termini, la Corte pur sottolineando che "l'intesa (...)
deve  intendersi come paradigma di concertazione, cui tuttavia non e'
possibile  attribuire  un  contenuto  di  uguale spessore nelle varie
ipotesi"  (Corte  cost.,  sent.  n. 302  del 1994) ha sempre ritenuto
necessari,  quale che sia la formalita' o la modalita' di espressione
osservata,   una   negoziazione  e  un  contatto  tra  le  parti;  la
concordanza   della   volonta'   delle   parti   interessate   (sent.
n. 514/1988);   un   atteggiamento   ispirato   alla   correttezza  e
all'apertura  verso  le  posizioni  altrui  (sent.  n. 379/1992); una
lealta'   del   comportamento  tenuto  (sent.  n. 116/1994),  perche'
"l'intesa  non  puo'  consistere  in un mero onere di informazione da
parte dello Stato" (sent. citata n. 116/1994).
    In  definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase di
dialogo  fra le due parti e che si realizzi un contatto tra i diversi
interessi  ed  una  dialettica  leale  e costruttiva fra i differenti
soggetti di rilevanza costituzionale.
    E'  evidente  che, nel caso in esame, i suddetti criteri non sono
stati  rispettati  perche',  come visto, nella condotta del Ministero
non e' dato riscontrare alcuna apertura verso la controparte e le sue
istanze, come invece sarebbe stato necessario.
    Appare,  quindi,  davvero arduo sostenere che l'autorita' statale
abbia  rispettato la leale cooperazione ed abbia attuato una efficace
trattativa   e   un   costruttivo   confronto  con  l'amministrazione
regionale, visto che non ha neppure risposto ad una precisa richiesta
di incontro.
    II.  Violazione  dei principi di riserva di legge, buon andamento
ed imparzialita' dei pubblici uffici, art. 97 della costituzione.
    Il Ministro ha nominato, con decreto del 14 agosto 2002, il dott.
Silvio Vetrano, quale commissario straordinario dell'Ente parco, fino
a tutto il 21 settembre 2002.
    Sui  motivi che hanno indotto la regione a tollerare tale decreto
si e' gia' detto.
    Con  la  nomina  del  dott. Barbetti, intervenuta il 19 settembre
2002,  l'amministrazione commissariale e' stata, pero', ulteriormente
prorogata,  questa  volta  "fino alla nomina del presidente dell'ente
medesimo".
    Si  tratta  di  un  termine  rimesso  all'esclusiva  volonta' del
ministro.  Infatti, la nomina del presidente, come noto, nell'attuale
sistema normativo, spetta all'amministrazione statale.
    Le  regioni  possono solo attivarsi per sollecitare un'intesa, ma
l'atto finale spetta al ministro.
    Non  si  puo'  fare, quindi, a meno di censurare l'incerta durata
della  gestione  commissariale, che puo' durare all'infinito, perche'
il ministro potrebbe - come sta facendo - non ricercare alcuna intesa
con  la  Regione e cosi' non nominare mai il presidente; in tal modo,
la  gestione  commissariale  si  dilata sino al punto da far apparire
come ordinario un sistema eccezionale e limitato nel tempo.
    Alla    "indeterminatezza   di   durata   stabilita   nell'ultimo
provvedimento ancorche' certa nel quando" va aggiunta "la precarieta'
dell'istituto  dell'amministrazione  straordinaria  che  (...) incide
sull'attuazione  di programmi a medio e lungo termine, comporta ex se
una  gestione  precaria  e  (...)  non assicura la rappresentativita'
degli  interessi  degli enti locali coinvolti (...)" (C. conti, sent.
n. 11/2000).
    La  temporaneita'  e'  una  caratteristica ricorrente anche negli
organi  ordinari,  ma  senz'altro  particolarmente evidente in quelli
straordinari,  dato  il collegamento con una situazione eccezionale e
transeunte, presupposto della loro costituzione e attivazione.
    Pertanto,  il protrarsi della gestione commissariale, nel caso de
quo,  e' indice dell'anomala quanto illegittima situazione creata dal
decreto impugnato.
    Parimenti  il decreto impugnato viola i principi di imparzialita'
e buon andamento dell'amministrazione nonche' della riserva di legge,
sanciti dall'art. 97 Cost.
    Al riguardo, e' indispensabile richiamare l'ormai famosa sentenza
della Corte costituzionale del 4 maggio 1992 n. 208.
    Tale  pronuncia,  sia  pure  con  riferimento  all'ipotesi  della
prorogatio  tacita  sine  die  degli organi amministrativi, e' chiara
nell'evidenziare  i  principi  dell'ordinamento a fronte del fenomeno
della  scadenza  del  mandato  o incarico degli organi ordinari e del
loro  rinnovo. In essa sostanzialmente si afferma che il ricorso alla
prorogatio  contrasta  non  solo con il primo comma dell'art. 97 - in
quanto  influisce  negativamente  sull'imparzialita'  del funzionario
che,  scaduto  il termine di validita' della nomina, resta revocabile
ad  nutum (ed e' quindi in qualche modo soggetto a condizionamenti) -
ma  anche  con  il secondo comma di tale disposizione perche' finisce
per  alterare la sfera di competenza e le attribuzioni dei funzionari
stabilite dalla legge.
    In  particolare,  la  Corte  ha  rilevato che "se e' previsto per
legge  che  gli  organi amministrativi abbiano una certa durata e che
quindi  la loro competenza sia circoscritta, una eventuale prorogatio
sine  die  violerebbe  il principio di riserva di legge in materia di
organi amministrativi".
    Non  si  puo'  fare a meno di costatare che il sistema escogitato
dal  ministro  con il decreto de quo lede gli stessi principi evocati
dalla corte in quanto crea una situazione di fatto identica.
    Nella  fattispecie  oggetto dell'odierno gravame viene in rilievo
un  sostituto  commissariale  di  incerta durata e proprio per questo
incapace  di  gestire  secondo gli usuali canoni di efficienza l'ente
cui  e'  preposto,  atteso  il carattere provvisorio dei suoi atti ed
eccezionale  della  sua  attivita'  e  di  garantire,  per  le stesse
ragioni, l'assoluta imparzialita' delle sue decisioni.
    Con  motivazione pretestuosa, quanto quella che ne ha determinato
la  nomina,  il ministro potrebbe legittimamente disporne la revoca o
la sostituzione.
    Pertanto,   il   regime  commissariale,  cosi'  instaurato,  lede
gravemente le numerose competenze regionali coinvolte; la precarieta'
e   la   parzialita'   che  lo  connotano  sono  tali  da  precludere
l'attuazione  delle  finalita'  del parco e cio' incide negativamente
sulle  competenze  regionali  che  sono  collegate  con  le  medesime
finalita'  (come  gia' rilevato: governo del territorio, agricoltura,
turismo,   caccia,   pesca,   valorizzazione  dei  beni  culturali  e
ambientali e industria alberghiera).
    Del  resto, il presidente della regione ha evidenziato, sin dalla
nota,  summenzionata,  del  15  marzo  2002,  i rischi di paralisi ed
inefficienza  cui  si stava andando incontro, per il modo, tutt'altro
che  condivisibile,  con il quale il procedimento di nomina era stato
avviato   dal   ministro.   Infatti,   nella  nota  si  afferma:  "Il
raggiungimento  dell'intesa (...) costituisce un irrinunciabile punto
di   partenza   per   avviare   un'amministrazione  dell'ente  basata
sull'efficienza,  orientata  verso  obiettivi  condivisi, e capace di
affrontare  in modo adeguato le complesse questioni che si presentano
sull'Arcipelago. Esse richiedono una fattiva collaborazione tra tutti
gli  enti  le  cui  competenze  di  programmazione,  pianificazione e
gestione   hanno   incidenza   sul  suo  territorio  e  sulle  marine
circostanti   (ente  parco,  comuni,  comunita'  montana,  provincia,
regione, amministrazioni nazionali)".
    Sussiste,  pertanto,  la  lamentata violazione dell'art. 97 Cost.
che  la  ricorrente  e'  legittimata  a  far valere perche' la stessa
determina     una     menomazione    delle    competenze    regionali
costituzionalmente garantite.