IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA A scioglimento della riserva espressa nell'udienza svoltasi l'11 luglio 2002, emette la seguente ordinanza ex art. 666, comma sette, c.p.p., decidendo in merito alla sospensione provvisoria dell'esecutivita' dell'ordinanza emessa il 30 maggio 2002 da questo tribunale e presentata da Sacco Vincenzo, nato a Porto Empedocle il 20 gennaio 1967, residente in Porto Empedocle, alla via Crispi n. 49; Premesso che questo tribunale, con Ordinanza emessa il 30 maggio 2002, dichiarava non estinta la pena residua di quella di mesi tre di reclusione derivante dalla sentenza del 6 aprile 1999, irrevocabile l'8 maggio 1999, dal pretore di Agrigento per il reato di ricettazione (commesso il 10 maggio 1993) a seguito del ritenuto esito negativo dell'affidamento in prova al servizio sociale, ai sensi dell'art. 47, ultimo comma, legge n. 354/1975, al quale Sacco Vincenzo, nato a Porto Empedocle il 20 gennaio 1967, era stato ammesso con ordinanza di questo tribunale del giorno 1 marzo 2001; che, avverso detta declaratoria di non estinzione della pena ai sensi dell'articolo 47, ultimo comma, legge n. 354/1975, il condannato proponeva ricorso per cassazione, e avanzava anche istanza di sospensione dell'esecutivita' del medesimo; O s s e r v a Il ricorso per cassazione presentato dal condannato si fonda su due motivi. In relazione al primo (presunta violazione del principio del ne bis in idem), questo tribunale non ritiene sussistente il fumus di accoglibilita' della doglianza. Infatti la ratio dell'invocato articolo 649 c.p.p., e' quello di impedire una nuova valutazione nel merito del medesimo fatto storico. Nel caso di specie, l'ordinanza di non luogo a provvedere per integrale espiazione della pena, emessa da questo Tribunale il 27 settembre 2002, a seguito del provvedimento di sospensione provvisoria dell'affidamento e con testuale richiesta di revoca del medesimo formulata dal magistrato di sorveglianzadi Agrigento ai sensi dell'art. 51-ter legge n. 354/1975 - fondata sui medesimi fatti che hanno poi condotto il tribunale a dichiarare non estinta la pena a seguito dell'esito negativo dell'affidamento - non contiene una valutazione nel merito dei fatti addebitati al condannato, ma soltanto, una pronuncia di improcedibilita' sulla richiesta del magistrato di sorveglianza. In relazione al secondo, il condannato si duole del fatto che, pur avendo presentato istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 2, legge n. 217/1990, il tribunale di sorveglianza non ha deciso su di essa nel termine di dieci giorni dal suo deposito. Cio' comporta, ai sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 217/1990, la nullita' assoluta, ai sensi dell'art. 179, comma 2 c.p.p., del procedimento di sorveglianza "principale" che ha condotto alla declaratoria della non estinzione della pena a causa dell'esito negativo dell'affidamento. Questo tribunale eccepisce il dubbio di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3, comma uno Cost., dell'art. 6, comma 1, legge 30 luglio 1990, n. 217, cosi' come modificato dall'art. 6, comma 1, legge n. 29 marzo 2001, n. 134, nella parte in cui sanziona con la nullita' assoluta ed insanabile la mancata decisione, da parte del giudice adito, sull'istanza di ammissione al gratuito patrocinio entro i dieci giorni sua presentazione fuori udienza. Si tratta di una questione rilevante ai fini della decisione rimessa a questo tribunale. Infatti ove l'inosservanza del termine previsto dall'art. 6, comma 1, legge n. 217/1990, non fosse sanzionato con la nullita', non vi sarebbe spazio per ritenere accoglibile il ricorso per cassazione presentato dal condannato e, dunque, non vi sarebbero i presupposti per la sospensione provvisoria dell'esecutivita' dell'ordinanza. In relazione a tali presupposta giovera' ribadire che la decisione demandata al giudice dall'art. 666, comma settimo, c.p.p., si fonda su due elementi: il fumus di accoglibilita' dell'istanza ed il periculum in mora. Posto che, in relazione al primo presupposto, gia' si e' detto, in relazione al secondo, va ritenuta la sua sussistenza, in quanto, ove il provvedimento impugnato non venisse sospeso il condannato, con ogni probabilita', nelle more del procedimento dinanzi la Corte di cassazione, verrebbe chiamato ad espiare la pena detentiva non dichiarata estinta. Evidenziata la sussistenza anche del presupposto del periculum in mora e ancora piu' evidente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che si solleva. Questo tribunale ritiene che non sia manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3, comma 1, Cost., dell'art. 6, comma 1, legge 30 luglio 1990, n. 217 - modificato dall'art. 6, comma 1, legge 29 marzo 2001, n. 134 - nella parte in cui sanziona con la nullita' assoluta ed insanabile la mancata decisione del giudice adito sull'istanza di ammissione al gratuito patrocinio entro i dieci giorni dalla sua presentazione fuori udienza. Invero, nell'impianto del codice di procedura penale, la sanzione della nullita' assoluta ed insanabile mira a colpire quelle difformita' dell'atto o del rapporto processuale dallo schema tipico, difformita' talmente gravi, da incidere in maniera consistente ed irreparabile sulla struttura del rapporto processuale o sui diritti delle parti Tanto gravi non possono non essere considerate le ipotesi di nullita' previste dall'art. 179, comma uno, c.p.p., le quali si riferiscono ad ipotesi che rappresentano gravi lesioni di diritti costituzionalmente garantiti (artt. 24 e 112 Cost.). Ma altrettanto gravi vanno considerate le ipotesi di nullita' di cui all'art. 179, comma due c.p.p.; l'art. 604, comma uno, c.p.p., prevede ipotesi di nullita' causate da altrettanto gravi violazioni del diritto di difesa dell'imputato; l'art. 525 c.p.p. pone un principio fondamentale del processo penale la cui assoluta rilevanza non puo' non giustificare la sanzione della nullita' assoluta ed insanabile. Si vuole evidenziare, dunque, che la sanzione della nullita' assoluta ed insanabile si riferisce a quelle ipotesi la cui verificazione lede in maniera grave la struttura fondamentale del processo. Tali caratteristiche non si rinvengono nell'ipotesi di cui all'art. 6, comma 1, legge n. 217/1990. La mancata decisione nel termine di dieci giorni, per vero, non comporta alcuna lesione della struttura fondamentale del processo e nemmeno alcuna lesione dei diritti del condannato: a quest'ultimo non viene negata o limitata in alcun modo la difesa, non gli viene impedito di farsi assistere da un difensore o di compiere atti del procedimento. Ne' puo' dirsi che la nullita' sia posta a tutela dell'interesse del difensore alla retribuzione per l'opera prestata, atteso che, ove pure si volesse considerare tale situazione costituzionalmente rilevante - e tale da prevalere su altri diritti di rilievo costituzionale, quale la ragionevole durata del procedimento - l'ammissione al gratuito patrocinio ha comunque effetto a partire dalla data in cui l'istanza e' stata presentata o e' pervenuta alla cancelleria (art. 4, comma cinque, legge n. 217/1990). Nella fattispecie normativa de qua appaiono non immediatamente riferibili i principi dettati dall'art. 185 c.p.p., in quanto il legislatore ha previsto una sanzione cosi' grave come una nullita' assoluta per un "non atto": l'effetto patologico colpisce il non aver provveduto anziche' l'aver mal provveduto e l'art. 185 c.p.p. potra' essere applicato soltanto in via analogica e non certo per la riconducibilita' automatica dell'omissione alle ipotesi sussumibili nell'ambito circoscritto dall'art. 185 c.p.p. Orbene, non puo' non considerarsi che la nullita' di un'omissione non accompagnata dall'espressa indicazione di cio' su cui si riversa la sanzione prevista e' destinata a produrre effetti non sempre riconducibili in modo preclaro ai principi fondamentali del rito. La nullita' di che trattasi, ove non si intenda come destinata a operare nel solo procedimento relativo all'ammissione al patrocinio a spese dello stato (connesso solo incidentalmente con quello principale), potrebbe estendere i propri effetti su ogni attivita' processuale successiva alla maturata scadenza del termine e conseguentemente ogni atto dovra' essere rinnovato, se possibile, quando, invece basterebbe prevedere che l'interessato riproponga l'istanza con efficacia retroattiva al momento della prima presentazione. La norma della quale si discute la legittimita' costituzionale, quindi, appare assolutamente irragionevole perche' equipara, sotto l'aspetto sanzionatorio, quella che puo' essere definita, al piu', come un'irregolarita' del processo, a ipotesi comportanti ben piu' gravi anomalie nel rapporto processuale. L'irragionevolezza del legislatore nell'avere equiparato situazioni assolutamente diverse tra di loro e per nulla accomunabili, impone a questo tribunale di ritenere che la norma di cui all'art. 6, legge n. 217/1990, sia costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 3, comma 1 Cost., il quale preclude al legislatore arbitrarie discriminazioni fra situazioni identiche o affini, come pure le arbitrarie assimilazioni fra situazioni diverse. La presente questione di legittimita', quindi, ha per tema la coerenza dell'assimilazione operata dal legislatore nell'applicare la sanzione della nullita' assoluta ed insanabile anche all'ipotesi di cui si discute,