ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 128 del regio
decreto-legge    4 ottobre    1935,    n. 1827   (Perfezionamento   e
coordinamento  legislativo della previdenza sociale), convertito, con
modificazioni,  nella  legge  6 aprile 1936, n. 1155, e dell'art. 69,
primo  comma,  della  legge  30 aprile  1969, n. 153 (Revisione degli
ordinamenti  pensionistici  e norme in materia di sicurezza sociale),
promosso  con  ordinanza  del 31 gennaio 2002 dal Tribunale di Ragusa
nel  procedimento  civile  vertente tra Caruso Rosario e la Legal Sud
S.r.l.,  iscritta  al n. 171 del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 17
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Romano Vaccarella.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel  corso  di un processo di opposizione all'espropriazione
forzata  presso terzi di una pensione di vecchiaia erogata dall'INPS,
avendo l'opponente invocato l'impignorabilita' assoluta, il Tribunale
di  Ragusa, con ordinanza del 31 gennaio 2002, ha sollevato questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 128 del regio decreto-legge
4 ottobre  1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo
della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge
6 aprile  1936,  n. 1155,  e  dell'art. 69,  primo comma, della legge
30 aprile  1969,  n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e
norme  in  materia di sicurezza sociale), per contrasto con l'art. 3,
primo  comma,  della  Costituzione  e,  comunque, con il principio di
ragionevolezza, nella parte in cui escludono - a differenza di quanto
disposto  dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile
con  riguardo alle retribuzioni - la pignorabilita', nei limiti di un
quinto,  della  pensione  di  vecchiaia erogata dall'INPS per crediti
diversi  da  quelli  vantati  dall'INPS  stesso e da quelli di natura
alimentare.
    2. - Con   riguardo   alla   non   manifesta  infondatezza  della
questione,  il  giudice  a  quo  mostra  di dissentire dal precedente
arresto  sul  punto  della  Corte  costituzionale,  costituito  dalla
sentenza  n. 55  del  1991,  sia  nella  parte  in cui tale pronuncia
valutava  la  limitazione  introdotta  dalle  norme  denunziate  come
meramente  incidente su di uno dei tanti mezzi di esecuzione civile -
l'espropriazione  presso  terzi  -  piuttosto  che  quale  deroga  al
principio    di   responsabilita'   patrimoniale   generica   sancito
dall'art. 2740   del  codice  civile,  sia  nella  parte  in  cui  il
differente  regime  della  pignorabilita'  delle retribuzioni e delle
pensioni era giudicato con "l'intrinseca diversita' di due situazioni
giuridiche che rispondono a principi e finalita' diversi quali quelli
espressi dagli artt. 36 e 38 della Costituzione".
    Quanto   alla   prima   questione,   il   rimettente   sottolinea
l'incongruenza della esclusione del mezzo espropriativo nella pratica
piu'  fruttuoso,  mentre,  con  riguardo  al secondo profilo, ritiene
irragionevole    la    differenza   tra   il   regime   generale   di
impignorabilita'  delle  pensioni e quello della pignorabilita' delle
retribuzioni  private,  ogni  qual volta il trattamento pensionistico
non  abbia  carattere  "speciale",  ma  integri  invece un'ipotesi di
salario  differito, con identita' di natura e funzione che postula di
necessita'  eguale  trattamento  in sede esecutiva. L'equivalenza tra
pensione  e  retribuzione renderebbe irragionevole una situazione per
cui,   nonostante   la  rilevanza  costituzionale  del  diritto  alla
retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), questa e' pignorabile nei
limiti  di  un  quinto,  laddove il principio di solidarieta', di cui
all'art. 38,  secondo  comma,  Cost., farebbe si' che la pensione sia
impignorabile  anche quando costituisca "prosecuzione" della medesima
capacita' reddituale.
    In  tale ottica il giudice a quo critica il presupposto implicito
della  sentenza  n. 55 del 1991 della Corte - rinvenuto nell'"opzione
teorica   dell'autonomia  del  sistema  delle  assicurazioni  sociali
rispetto  alle  assicurazioni  private  in  quanto riconducibili alla
cosiddetta sicurezza sociale, in ossequio al loro fondamento legale e
non   pattizio   nonche'   al   principio   dell'automaticita'  delle
prestazioni"  - richiamandosi ai dati normativi che invece accomunano
le  due  fattispecie,  e  segnatamente  all'art. 1886  cod. civ. (che
richiama,   per   la   disciplina  delle  assicurazioni  sociali,  la
disciplina  codicistica  per  colmare le eventuali lacune delle leggi
speciali)  e  all'art. 2116,  primo comma, cod. civ. (che sancisce il
principio   dell'automaticita'   delle   prestazioni  previdenziali).
Permarrebbe,  inoltre,  la  correlazione tra contributi e prestazioni
nella  misura  in  cui  l'erogazione  di queste ultime resta comunque
subordinata   all'accertamento  del  fatto  che  i  contributi  erano
effettivamente dovuti.
    Neppure il fine pubblicistico delle assicurazioni sociali sembra,
infine,  impedirne  l'assimilazione  a  quelle  private  in  punto di
pignorabilita',  tenuto  conto  della  natura  mista  dell'erogazione
(retributiva,  previdenziale,  assistenziale), cui ha fatto esplicito
riferimento  anche  la  Corte costituzionale nella sentenza n. 99 del
1993  (evolutiva  rispetto  alla  citata sentenza n. 55 del 1991), la
quale ha dichiarato incostituzionale l'art. 2, primo comma, numero 3,
del  d.P.R.  5 gennaio  1950, n. 180, nella parte in cui escludeva la
pignorabilita',  nei  limiti  di  un  quinto, dell'indennita' di fine
rapporto dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.
    3. - Evidente e', inoltre, ad avviso del rimettente, la rilevanza
della questione "atteso l'evidenziato thema decidendum".
    4. - E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri, a
mezzo   dell'Avvocatura   generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione  sia  dichiarata  infondata. A sostegno di tale conclusione
osserva  come,  gia'  con  la  sentenza  n. 22  del  1969,  la  Corte
costituzionale   abbia  chiarito  che  il  principio  generale  della
intangibilita'   delle   pensioni  erogate  dall'INPS  consente  solo
deroghe,  espressamente  stabilite,  che  siano  aderenti ai precetti
dell'art. 38,  secondo  comma, Cost., e che, in relazione alla natura
del credito vantato nei confronti dell'assicurato, precisino la quota
aggredibile  dell'emolumento.  Tale  sarebbe  la  linea  anche  della
sentenza  n. 1041  del 1988 che, nel consentire la pignorabilita' nei
limiti di un quinto (rectius, di un terzo) delle pensioni corrisposte
dall'INPS  per crediti alimentari, effettua una puntuale comparazione
tra i beni essenziali della vita e della dignita' dell'uomo, tutelati
dall'art. 38, secondo comma, Cost., e quello agli alimenti, garantito
dall'art. 29 Cost.
    Nel  richiamare, infine, la sentenza n. 55 del 1991 e l'ordinanza
n. 314  del  1991,  l'Avvocatura evidenzia come il giudice rimettente
non abbia neppure specificamente indicato e qualificato la natura del
credito azionato, con cio' impedendo ogni valutazione comparativa con
gli interessi tutelati dal menzionato art. 38 Cost.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  Tribunale  di  Ragusa  dubita, "in relazione all'art. 3,
comma  primo,  Cost.,  e,  comunque, al principio di ragionevolezza",
della    legittimita'    costituzionale   dell'art. 128   del   regio
decreto-legge    4 ottobre    1935,    n. 1827   (Perfezionamento   e
coordinamento  legislativo della previdenza sociale), convertito, con
modificazioni,  nella  legge  6 aprile 1936, n. 1155, e dell'art. 69,
primo  comma,  della  legge  30 aprile  1969, n. 153 (Revisione degli
ordinamenti  pensionistici  e norme in materia di sicurezza sociale),
nella parte in cui escludono in relazione all'art. 545, quarto comma,
cod.  proc.  civ.  la  pignorabilita'  nei  limiti di un quinto della
pensione di vecchiaia per crediti diversi da quelli inerenti all'INPS
e da quelli di natura alimentare.
    2. - La questione e' fondata nei limiti di seguito precisati.
    3. - Questa  Corte e' stata numerose volte, e sotto piu' profili,
investita  della  questione  della pignorabilita' delle pensioni, sia
degli   ex   dipendenti   da   pubbliche   amministrazioni,   sia  di
professionisti  assistiti  da  casse  di  previdenza, sia, ancora, di
titolari  di  trattamenti  pensionistici erogati dall'INPS; anche se,
nella giurisprudenza formatasi in oltre un quarantennio, la questione
posta  dall'ordinanza  di rimessione risulta essere stata trattata ex
professo solo una volta.
    La  copiosa  giurisprudenza  di  questa  Corte,  infatti,  si  e'
articolata  in  una  serie  di  pronunce che - quanto al regime della
pignorabilita'   e   sequestrabilita',   e   sovente   attraverso  la
rimeditazione di precedenti decisioni - hanno equiparato, da un lato,
le  pensioni  erogate  dall'INPS  a  quelle  erogate agli ex pubblici
dipendenti   e,   dall'altro   lato,  le  retribuzioni  dei  pubblici
dipendenti  a  quelle  dei lavoratori del settore privato; sicche' il
principio   della   "normale"   impignorabilita'  delle  pensioni  e'
risultato  piu'  presupposto  che  affermato  dalla giurisprudenza di
questa  Corte,  tutta  volta ad equiparare il trattamento del settore
privato a quello pubblico.
    3.1. - Con la sentenza n. 18 del 1960, la Corte ha dichiarato non
fondata     la     questione     di    legittimita'    costituzionale
dell'impignorabilita' delle pensioni (sancita, rispettivamente, dagli
artt. 128  del  regio  decreto-legge  n. 1827 del 1935 e 45 del regio
decreto  n. 1765 del 1935) erogate dall'INPS e dall'INAIL, osservando
che  il  "precetto costituzionale per cui devono essere assicurati al
lavoratore,  non  piu' in grado di provvedere al suo sostentamento in
caso  di  infortunio,  malattia,  invalidita'  o  vecchiaia,  i mezzi
indispensabili  alle sue esigenze di vita (art. 38 Cost.)" giustifica
-  senza  contrasto  "coi principi relativi all'assistenza familiare,
sanciti  negli  artt. 29  e  30  Cost." - l'impignorabilita' assoluta
anche in danno del "coniuge o dei figli minori che vantino un credito
per alimenti verso il beneficiario della pensione".
    Con  la  sentenza  n. 1041  del  1988,  viceversa,  la  Corte  ha
dichiarato  "l'illegittimita'  costituzionale,  per contrasto con gli
artt. 3  e  29 Cost., degli artt. 128 del regio decreto-legge n. 1827
del  1935  e  69  della legge n. 153 del 1969, nella parte in cui non
consentono,  entro  i  limiti  stabiliti  per  i  pubblici dipendenti
dall'art. 2, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950 (e cioe' "fino alla
concorrenza   di  un  terzo  valutato  al  netto  di  ritenute"),  la
pignorabilita'  delle  pensioni  corrisposte  dall'INPS  per  crediti
alimentari   (ai   quali   vanno  equiparati  quelli  di  assegno  di
mantenimento,  nei limiti in cui questo abbia carattere alimentare)";
e  cio'  in  quanto,  "dinanzi  alla  esigenza  di tutelare i crediti
alimentari,  non  vi  e'  alcuna  ragione di concedere ai titolari di
pensioni  INPS  un  trattamento  privilegiato  rispetto  a coloro che
fruiscono  di  pensioni dello Stato o di altri enti pubblici", ovvero
fruiscono   di   assegni   corrisposti  da  casse  di  previdenza  di
professionisti.
    3.2. - Con riguardo all'art. 12 del regio decreto-legge 27 maggio
1923,  n. 1324  (convertito  nella legge 17 aprile 1925, n. 473), che
prevedeva  l'assoluta  impignorabilita'  ed  insequestrabilita' delle
quote di integrazione, delle pensioni e degli assegni dovuti ai notai
dalla    relativa   cassa   (inclusa   l'indennita'   di   cessazione
dall'esercizio  delle  funzioni), questa Corte ne ha dapprima escluso
l'incostituzionalita'  perche'  "non possono porsi sullo stesso piano
dei  liberi  professionisti,  quali  i  notai,  i dipendenti privati"
(sentenza  n. 100  del  1974);  successivamente  (sentenza n. 105 del
1977),  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale della norma,
nella   parte  in  cui  sottraeva  alla  pignorabilita'  per  crediti
alimentari   l'assegno   di  integrazione  corrisposto  ai  notai  in
esercizio  che  non raggiungano nell'anno un minimo di onorari, e non
ne  consentiva  la  pignorabilita'  nei limiti stabiliti dall'art. 2,
primo  comma,  numero  1,  del d.P.R. n. 180 del 1950; infine, con la
sentenza  n. 155  del  1987,  la Corte ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  della  norma,  nella  parte  in  cui  non  prevede la
pignorabilita'  per crediti alimentari delle pensioni dei notai negli
stessi  limiti  stabiliti  dall'art. 2,  primo  comma,  numero 1, del
d.P.R. n. 180 del 1950.
    3.3. - Anche con riguardo alle pensioni ed indennita' corrisposte
ai  giornalisti  dall'INPGI,  la  Corte  ha  dapprima dichiarato (con
riguardo,  nella specie, ai crediti tributari) che l'impignorabilita'
assoluta  sancita  dall'art. 1  della legge 9 novembre 1955, n. 1122,
non  contrastava  con  il  principio  di  eguaglianza,  essendo  "una
disposizione estensiva della normativa prevista in materia per l'INPS
dall'art. 128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 ed essendo non
comparabile  la  situazione  dei  giornalisti con quella di avvocati,
commercialisti,  geometri,  ragionieri"  (sentenza  n. 214 del 1972);
successivamente,  con  la  sentenza  n. 209  del  1984,  la  Corte ha
individuato nell'art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del
1950,  una  "norma  di carattere generale" e, pertanto, ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale,  per violazione dell'art. 29 Cost.,
del ricordato art. 1 della legge n. 1122 del 1955, nella parte in cui
non  prevede la pignorabilita' per crediti alimentari delle pensioni,
assegni  e  altre indennita' dovute dall'INPGI negli stessi limiti di
cui all'art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950.
    3.4. - Espressamente  richiamando  la  gia' citata (3.1) sentenza
n. 1041  del  1988,  questa  Corte,  con sentenza n. 572 del 1989, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 110 del d.P.R.
30 giugno  1965,  n. 1124,  nella  parte in cui non consente, entro i
limiti  stabiliti  dall'art. 2,  primo  comma,  numero  1, del d.P.R.
n. 180  del  1950,  la  pignorabilita'  per  crediti alimentari delle
rendite erogate dall'INAIL.
    3.5. - Con  sentenza  n. 468 del 2002, questa Corte ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 128 del regio decreto-legge
n. 1827  del  1935,  nella  parte in cui non consente, entro i limiti
stabiliti  dall'art. 2,  primo comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del
1950, la pignorabilita' per crediti tributari di pensioni, indennita'
che ne tengano luogo ed assegni corrisposti dall'INPS.
    4. - Parallelamente,      e     pressoche'     contemporaneamente
all'evoluzione  della  giurisprudenza di questa Corte che ha assunto,
quanto  alle  pensioni,  quale  "norma  di  carattere  generale",  la
disciplina  della  pignorabilita'  prevista  per  i  dipendenti dalle
pubbliche amministrazioni dal d.P.R. n. 180 del 1950 (art. 2), questa
medesima disciplina e' stata ripetutamente sottoposta al vaglio della
Corte,    nella   parte   in   cui   sanciva   il   principio   della
impignorabilita',  insequestrabilita'  ed  incedibilita' di stipendi,
salari  ed  altri  emolumenti  (art. 1) e consentiva di derogarvi nei
medesimi limiti e nelle medesime ipotesi previsti, all'art. 2, per le
pensioni.
    4.1. - Dopo   aver  ripetutamente  negato  che  contrastasse  con
l'art. 3  Cost. la disposizione sulla generale impignorabilita' delle
retribuzioni    dei    dipendenti   da   pubbliche   amministrazioni,
"giustificata,  piu'  che  dalla natura del rapporto, dall'intento di
tutelare   il   buon   andamento   della   pubblica  amministrazione,
espressamente  considerato  nell'art. 97  Cost.,  che potrebbe essere
turbato  dalla  mancanza  di  tranquillita'  economica  del  pubblico
dipendente, conseguente alla decurtazione della sua retribuzione", ed
aver   ritenuto   che,   correttamente   esercitando  il  suo  potere
discrezionale,  il  legislatore  aveva limitato a tre tipi di crediti
(alimentari,     tributari,    danni    arrecati    alle    pubbliche
amministrazioni)   le   eccezioni   alla   generale  impignorabilita'
(sentenza  n. 88 del 1963; ordinanza n. 131 del 1967; ordinanza n. 37
del  1970;  ordinanza  n. 189  del  1973;  sentenza  n. 49  del 1976;
sentenza  n. 105  del  1977; sentenza n. 37 del 1985; sentenza n. 337
del  1985),  questa  Corte, con la sentenza n. 89 del 1987, ha invece
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  l'art. 2,  primo  comma,
numero   3,   del  d.P.R.  n. 180  del  1950,  nella  parte  in  cui,
diversamente  dall'art. 545,  quarto  comma,  cod.  proc.  civ.,  non
prevede  la  pignorabilita'  e  la  sequestrabilita'  degli stipendi,
salari  e  retribuzioni  corrisposti  da enti diversi dallo Stato, da
aziende  ed  imprese  di  cui  all'art. 1 fino alla concorrenza di un
quinto  per  ogni credito vantato nei confronti del personale; e, con
la  sentenza  n. 878  del  1988, ha esteso il medesimo principio alle
retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti dallo Stato e, poi, con
sentenza   n. 115  del  1990,  all'indennita'  integrativa  speciale,
dichiarata  impignorabile  dall'art. 1,  terzo  comma, lett. b) della
legge 27 maggio 1959, n. 324.
    4.2. - Analogamente,  dopo  aver  statuito che "ricorrono serie e
valide  ragioni  a giustificazione della speciale disciplina" dettata
dall'art. 369,  primo  comma,  del codice della navigazione, la' dove
consentiva  la  pignorabilita',  nella misura del quinto, delle somme
dovute   dall'armatore   all'arruolato   esclusivamente  per  crediti
alimentari e per debiti certi, liquidi ed esigibili verso l'armatore,
dipendenti dal servizio della nave (sentenza n. 101 del 1974), questa
Corte ha invece dichiarato costituzionalmente illegittima la medesima
norma,  nonche'  l'art. 930,  primo  comma, cod. nav., in ragione del
"processo  di  osmosi tra i settori dell'impiego pubblico e di quello
privato",  che  non  giustificava piu' il trattamento privilegiato di
pubblici dipendenti (sentenza n. 72 del 1996).
    5. - La  disamina  dell'evoluzione  giurisprudenziale mostra come
questa  Corte,  mentre ha assunto a tertium comparationis il rapporto
di lavoro privato quanto alla retribuzione, ha adottato quale modello
il  rapporto di pubblico impiego quanto alle pensioni; nell'un caso e
nell'altro,  tuttavia,  convergendo verso il risultato di comprimere,
con  l'area  dell'impignorabilita', le eccezioni al principio per cui
"il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri" (art. 2740 cod. civ.).
    Peraltro,   proprio   l'adozione   a  tertium  comparationis  ora
dell'art. 545  cod. proc. civ. (per le retribuzioni), ora dell'art. 2
del d.P.R. n. 180 del 1950 (per le pensioni) ha fatto si' che, mentre
per  tutte  le  retribuzioni  sia  stato  travolto il principio della
generale  impignorabilita',  per le pensioni tale principio essendosi
operato  esclusivamente sulle eccezioni ad esso apportate sia rimasto
in  vigore  (e, quindi, solo apparentemente assunto quale premessa di
ogni intervento della Corte in subiecta materia).
    In sostanza, la retribuzione e' stata integralmente restituita al
novero  dei  beni  sui  quali  - nei limiti previsti dalla legge - il
creditore, qualunque sia la natura del suo credito, puo' soddisfarsi,
mentre  la  pensione  (ed  i  suoi equivalenti) costituisce un "bene"
aggredibile  (sempre  nei  limiti  previsti  dalla legge) soltanto da
alcuni  creditori,  selezionati (dall'art. 2, primo comma, del d.P.R.
n. 180  del  1950)  in  ragione della causa del credito: in concreto,
soltanto da chi vanti un credito alimentare o tributario, nonche' per
gli  ex dipendenti pubblici un credito del datore di lavoro derivante
dal  rapporto  di  impiego  ovvero per i titolari di pensioni INPS un
credito  dell'Istituto  derivante  da  indebite prestazioni percepite
ovvero  da omissioni contributive (cosi' l'art. 69 della legge n. 153
del 1969, che ha sostituito - a seguito della sentenza n. 22 del 1969
-  l'art. 128,  secondo  comma,  del  regio decreto-legge n. 1827 del
1935).
    La  retribuzione,  da  qualsiasi  lavoratore percepita, e' stata,
dunque,  assoggettata  al  regime  della responsabilita' patrimoniale
quale "bene" sul quale qualsiasi creditore puo', nei limiti di legge,
soddisfarsi   attraverso   l'espropriazione   presso   terzi;   e  la
giurisprudenza  di  questa  Corte  ha sempre respinto la questione di
legittimita'   costituzionale,   in   relazione   all'art. 36  Cost.,
dell'art. 545,  quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non
prevede  l'impignorabilita' della quota di retribuzione necessaria al
mantenimento  del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del 1968;
sentenza  n. 38  del  1970; sentenza n. 102 del 1974; sentenza n. 209
del  1975;  ordinanza  n. 12  del  1977;  ordinanza  n. 260 del 1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997).
    6. - Se si escludono due pronunce (di rigetto, sentenza n. 231, e
d'inammissibilita',  sentenza n. 831 del 1988) su questioni sollevate
sulla base di un fraintendimento della portata delle sentenze n. 89 e
n. 878   del   1987,   questa   Corte   si  e'  occupata  del  regime
dell'impignorabilita'  in  se'  -  e  non  gia'  avendo quale tertium
comparationis  il  d.P.R.  n. 180  del  1950 - delle pensioni erogate
dall'INPS,  soltanto  con la sentenza n. 55 del 1991, alla quale sono
seguite quattro ordinanze d'inammissibilita' per manifesta erroneita'
nell'individuazione  del tertium comparationis (n. 314 del 1991), per
inidoneita'  della  motivazione (n. 305 del 1998 e n. 231 del 2000) e
per irrilevanza (n. 92 del 2001).
    La  sentenza  n. 55  del  1991  - premesso che "il diverso regime
della  pignorabilita'  delle  pensioni non incide sul contenuto della
responsabilita'  patrimoniale  del  debitore ...,  ma  soltanto su un
particolare  mezzo  di esecuzione civile" (e cioe' sull'unico mezzo -
pignoramento  presso  terzi  - idoneo a fare della pensione un "bene"
assoggettabile   alla  responsabilita'  patrimoniale)  si  limita  ad
osservare  che  "l'esclusione  delle  pensioni  dal  novero  dei beni
sequestrabili  o  pignorabili  per  il soddisfacimento di crediti non
qualificati   e'   da   ritenersi   espressione  della  facolta'  del
legislatore,  non  preclusa  dall'art. 24  Cost.,  di  subordinare in
alcuni  casi  l'esperimento  del  diritto  del privato alla tutela di
altri  interessi  generali  o di preminente valore pubblico come, nel
caso,  quelli  garantiti  dall'art. 38  Cost.", ed a rilevare come la
differenza   di   regime   tra   retribuzioni   e  pensioni  "non  e'
irragionevole poiche' trova fondamento nella intrinseca diversita' di
due  situazioni  giuridiche  che  rispondono  a  principi e finalita'
diversi,  quali quelli espressi, rispettivamente, dagli artt. 36 e 38
Cost.".
    7. - La  Corte  ha  avuto modo di precisare che la differenza tra
retribuzioni  e pensioni e' piu' strutturale che funzionale (sentenza
n. 1045  del 1988), ora traendone la conseguenza della illegittimita'
costituzionale  dell'art. 442 cod. proc. civ., nella parte in cui non
prevede  la  rivalutazione dei crediti pensionistici (sentenza n. 156
del  1991),  ora  (sentenza n. 361 del 1996) traendone "il corollario
della  non  applicabilita'  diretta  dell'art. 36 Cost. ai crediti di
pensione,  ai  quali tale norma e' riferibile solo indirettamente per
il tramite e nella misura dell'art. 38 Cost.".
    D'altra  parte,  in  presenza  di  crediti  aventi  natura  mista
(retributiva,  previdenziale  e  assistenziale), come l'indennita' di
fine rapporto, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
della  norma  (art. 2,  primo  comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del
1950) che ne consentiva la pignorabilita' solo per crediti alimentari
e  non  anche,  come per i lavoratori del comparto privato consentiva
l'art. 545,  quarto comma, cod. proc. civ., nella misura di un quinto
"anche per ogni altro credito" (sentenza n. 99 del 1993).
    8. - Il  complesso quadro della giurisprudenza costituzionale che
si  e'  tracciato  impone  di  riesaminare la questione sottoposta al
vaglio della Corte dal Tribunale di Ragusa.
    8.1. - L'art. 38,  secondo comma, Cost. e' certamente norma che -
sancendo  il diritto dei lavoratori, in caso di infortunio, malattia,
invalidita',  vecchiaia  e  disoccupazione  involontaria, a che siano
"preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" -
si  ispira a criteri di solidarieta' sociale e "di pubblico interesse
a  che  venga  garantita  la  corresponsione  di  un minimum", il cui
ammontare  e'  ovviamente riservato all'apprezzamento del legislatore
(cosi' la sentenza n. 22 del 1969).
    E'  ben  vero  che  il  pubblico interesse - in cui si traduce il
criterio  di  solidarieta'  sociale  - a che il pensionato goda di un
trattamento  "adeguato  alle  esigenze  di  vita" puo', ed anzi deve,
comportare  -  oltre  che  un  dovere dello Stato (da bilanciarsi, in
primis  con  le esigenze della finanza pubblica: ordinanza n. 342 del
2002)  - anche una compressione del diritto di terzi di soddisfare le
proprie  ragioni  creditorie  sul bene-pensione, ma e' anche vero che
tale  compressione  non  puo' essere totale ed indiscriminata, bensi'
deve  rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato,
ad  assicurare  in  ogni  caso (e, quindi, anche con sacrificio delle
ragioni  di  terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di
vita e, dall'altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il ragionevole
limite  appena indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando alla
intera pensione la qualita' di bene sul quale possano soddisfarsi.
    Il presidio costituzionale (art. 38) del diritto dei pensionati a
godere  di "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" non e' tale da
comportare,  quale suo ineludibile corollario, l'impignorabilita', in
linea  di  principio,  della pensione, ma soltanto l'impignorabilita'
assoluta  di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare al
pensionato  quei  "mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita"  che la
Costituzione  impone  gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio
di solidarieta' sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato,
sancisce  un  dovere dello Stato e, dall'altro, legittimamente impone
un  sacrificio  (ma  nei  limiti  funzionali  allo  scopo)  a tutti i
consociati (e segnatamente ai creditori).
    8.2. - Al   fine   di   valutare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   sollevata   relativamente  all'art. 69  della  legge
30 aprile 1969, n. 153, osserva questa Corte che le norme, attraverso
le  quali,  direttamente  (art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del
1950)  ovvero  tramite  i  ricordati  interventi  di questa Corte, e'
consentito  a  certi creditori qualificati di soddisfarsi, nei limiti
ivi  previsti,  sull'intero ammontare della pensione, non confliggono
con  il principio appena enunciato, in quanto ben puo' il legislatore
nella  sua  discrezionalita'  selezionare,  attraverso  un  razionale
bilanciamento  di  valori  garantiti  dalla  Costituzione, in ragione
della loro causa, i crediti rispetto ai quali la pensione anche nella
parte  in  cui e' volta ad assicurare al pensionato il minimum vitale
e'  (pro  quota dell'intero) pignorabile. La qualita' del credito, in
altre  parole,  giustifica  -  quando  e' espressione di altri valori
costituzionali   -  il  discrezionale  bilanciamento  con  il  valore
espresso  dall'art. 38,  secondo comma, Cost., ma tale valore, quando
l'ammontare  della  pensione eccede quanto necessario per le esigenze
di  vita del pensionato, certamente non puo' rendere impignorabile la
parte  eccedente,  di  modo che, soddisfatta integralmente l'esigenza
sottesa  al  disposto dell'art. 38, comma secondo, Cost., detta parte
eccedente  deve  ritenersi  (nei  limiti  e secondo le regole fissati
dall'art. 545  cod.  proc.  civ.)  assoggettabile  al regime generale
della responsabilita' patrimoniale (art. 2740 cod. civ.).
    8.3. - E' appena il caso di rilevare che, individuato il proprium
del  disposto  dell'art. 38,  secondo  comma,  Cost. nell'esigenza di
garantire nei confronti di chiunque (con le sole eccezioni di crediti
qualificati,     tassativamente     indicati     dal     legislatore)
l'intangibilita' della parte della pensione necessaria per assicurare
mezzi  adeguati alle esigenze di vita del pensionato, non ne discende
automaticamente  analoga  conseguenza riguardo alle retribuzioni, dal
momento che non ne risulta incisa la ragione per cui, a proposito del
regime  della  pignorabilita',  questa  Corte  ha  negato  sussistere
l'esigenza  di  una  soglia di impignorabilita' assoluta: da un lato,
infatti,  l'art. 38,  secondo  comma,  Cost. enuncia un precetto che,
quale  espressione  di  un principio di solidarieta' sociale, ha come
destinatari  anche  (nei  limiti  di  ragione)  tutti  i  consociati,
dall'altro, l'art. 36 Cost. - secondo quanto questa Corte ha statuito
nelle  ricordate decisioni (n. 5) - indica parametri ai quali, ma nei
rapporti  lavoratore-datore  di  lavoro,  deve  conformarsi l'entita'
della  retribuzione,  senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno
per  terzi  estranei  a  tale  rapporto,  oltre  quello  -  frutto di
razionale  "contemperamento  dell'interesse  del creditore con quello
del debitore che percepisca uno stipendio" (sentenze n. 20 del 1968 e
38  del  1970)  -  del  limite  del  quinto  della retribuzione quale
possibile oggetto di pignoramento.
    8.4. - La  consapevolezza,  da  un  lato,  del pubblico interesse
sotteso  alla  percezione del trattamento pensionistico e, dall'altro
lato,  dei  limiti  "quantitativi"  di  esso  emerge  anche da quella
giurisprudenza  ordinaria - recentemente avallata da una pronuncia di
legittimita' (Cass. 11 giugno 1999, n. 5761) - che ritiene rilevabile
d'ufficio,  e non soltanto attraverso l'opposizione all'esecuzione ex
art. 615  cod.  proc. civ., l'impignorabilita' di pensioni di modesto
importo (quale, nella specie, di invalidita).
    9. - Non  rientra  nel  potere  di  questa  Corte,  ma  in quello
discrezionale  del  legislatore,  individuare in concreto l'ammontare
della  (parte  di) pensione idoneo ad assicurare "mezzi adeguati alle
esigenze   di   vita"   del   pensionato,  come  tale  legittimamente
assoggettabile  al  regime  di assoluta impignorabilita' (con le sole
eccezioni, si ripete, tassativamente indicate di crediti qualificati,
in  quanto  espressione  di  altri  valori  costituzionali:  ad  es.,
artt. 29, 30, 53 Cost.).
    Se  e'  vero,  infatti,  che piu' volte il legislatore ha operato
interventi  che  sembrano  presupporre  una  valutazione della soglia
minima vitale (concettualmente non dissimile dai "mezzi adeguati alle
esigenze  di  vita",  di  cui  e' parola nell'art. 38, secondo comma,
Cost.),  e'  anche  vero  che  nessuna di tali valutazioni consente a
questa  Corte  di  adottarla  ai fini dell'individuazione della parte
assolutamente impignorabile della pensione: quelle valutazioni - come
conferma la loro stessa varieta' - sono ispirate dalla considerazione
anche  di  altri  valori,  quali  le  esigenze tributarie (soglia dei
redditi  totalmente  esenti  da IRPEF) o di finanza pubblica (livello
della  pensione  sociale; doppio di essa ai fini della corresponsione
dell'aumento  perequativo;  "soglia di poverta'" fissata, dal decreto
legislativo  18 giugno  1998,  n. 237,  per  l'accesso  al cosiddetto
reddito  minimo  di  inserimento; ecc.). Nemmeno il criterio posto in
una  materia  "neutra" per la finanza pubblica e destinato ad operare
inter  privatos  adottato dal decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857,
convertito,  con  modificazioni,  nella legge 26 febbraio 1977, n. 39
(del  triplo  della  pensione sociale, quale reddito presunto ai fini
del  risarcimento del danno provocato alla persona dalla circolazione
stradale)   puo'   essere   fatto   proprio   dalla   Corte,   attesa
l'episodicita'  della  determinazione legislativa e la necessita' che
sia  il  legislatore  bilanciando  le  esigenze di tutela del credito
(art. 24 Cost.) e di garanzia di mezzi adeguati alle esigenze di vita
(art. 38 Cost.) ad operare una scelta razionale ed equilibrata.
    10. - Deve,    pertanto,   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale   del  denunciato  art. 128  del  regio  decreto-legge
4 ottobre 1935, n. 1827, nella parte in cui esclude la pignorabilita'
per  ogni  credito  dell'intero  ammontare delle pensioni, assegni ed
indennita'    erogati    dall'INPS    e    non    prevede,    invece,
l'impignorabilita'  con le eccezioni previste dalla legge per crediti
qualificati  della  sola  parte  della pensione, assegno o indennita'
necessaria  per  assicurare  al  pensionato  i  mezzi  adeguati  alle
esigenze  di  vita e conseguentemente la pignorabilita' della residua
parte  a  norma  dell'art. 545 cod. proc. civ., nei limiti del quinto
della stessa.
    11. - Al   contrario,   deve   essere  dichiarata  manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale, sollevata
relativamente  all'art. 69  della  legge  30 aprile 1969, n. 153, dal
momento  che,  con  tale norma, il legislatore non altro ha fatto che
prevedere  limiti  e  modalita'  attraverso  le  quali  un  creditore
qualificato   (l'INPS,  per  indebite  prestazioni  ovvero  omissioni
contributive)  puo' assoggettare a pignoramento un quinto dell'intero
ammontare della pensione.
    12. - La  presente dichiarazione di illegittimita' costituzionale
deve  essere  estesa, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  agli  artt. 1  e  2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950,
nella  parte  in  cui  escludono  la  pignorabilita' per ogni credito
dell'intero ammontare delle pensioni, indennita' che ne tengono luogo
ed  altri  assegni  di  quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti
individuati dall'art. 1 e non prevedono, invece, l'impignorabilita' -
con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati - della
sola  parte  delle pensioni, indennita' o altri assegni di quiescenza
necessaria  per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze
di  vita  e  conseguentemente la pignorabilita' della residua parte a
norma  dell'art. 545  cod.  proc.  civ.,  nei limiti del quinto della
stessa.