ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del
decreto-legge  15 novembre  1993,  n. 453 (Disposizioni in materia di
giurisdizione  e  controllo  della Corte dei conti), convertito nella
legge   14 gennaio   1994,   n. 19   (Conversione   in   legge,   con
modificazioni,  del  decreto-legge  15 dicembre 1993, n. 453, recante
disposizioni  in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti),  come  sostituito dall'art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge
23 ottobre   1996   n. 543   (Disposizioni   urgenti  in  materia  di
ordinamento   della   Corte   dei   conti),  convertito  nella  legge
20 dicembre  1996,  n. 639  (Conversione in legge, con modificazioni,
del  decreto-legge  23 ottobre  1996,  n. 543,  recante  disposizioni
urgenti  in  materia  di ordinamento della Corte dei conti), promosso
con  ordinanza emessa il 4 marzo 2002 dalla Corte dei conti - sezione
giurisdizionale    per   la   Regione   Puglia,   nel   giudizio   di
responsabilita'  a  carico  di  Antonio Lonigro ed altri, iscritta al
n. 285  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 24, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Paolo Maddalena.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La  Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione
Puglia,  con  ordinanza  del  4 marzo 2002, ha sollevato questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 5,  comma  1,  della  legge
14 gennaio  1994,  n. 19,  come  sostituito dall'art. 1, comma 3-bis,
della  legge  20 dicembre  1996, n. 639 (recte: dell'art. 5, comma 1,
del  decreto-legge  15 novembre  1993, n. 453, convertito nella legge
14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall'art. 1, comma 3-bis, del
decreto-legge   23 ottobre   1996,  n. 543,  convertito  nella  legge
20 dicembre  1996,  n. 639),  nella  parte  in  cui  non  prevede che
l'istanza  di  proroga  per  l'emissione dell'atto di citazione debba
essere   notificata  al  presunto  responsabile,  per  contrasto  con
l'art. 111  della  Costituzione,  nel  testo  novellato  dalla  legge
costituzionale  23 novembre  1999, n. 2 (Inserimento dei principi del
giusto  processo  nell'art. 111 della Costituzione), sotto il profilo
della violazione del principio del contraddittorio.
    1.2. - Il  giudice a quo riferisce di essere stato investito, nel
corso  di  un  giudizio  di  responsabilita'  a  carico  di taluni ex
amministratori   del   comune   di   Valenzano,   dell'eccezione   di
inammissibilita'   dell'atto  di  citazione,  formulata  da  uno  dei
convenuti,  per omessa notifica dell'istanza di proroga - poi accolta
dalla  Sezione  - per l'emissione dell'atto di citazione avanzata dal
Procuratore   regionale   ai   sensi   dell'art. 5,   comma   1,  del
decreto-legge   15 novembre  1993,  n. 453,  convertito  nella  legge
14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall'art. 1, comma 3-bis, del
decreto-legge   23 ottobre   1996,  n. 543,  convertito  nella  legge
20 dicembre 1996, n. 639.
    Tale   eccezione   di  inammissibilita'  non  e'  stata  ritenuta
accoglibile  dal  remittente,  stante  "l'insormontabilita'  del dato
normativo",  che  "non  prevede  alcun  onere  o  obbligo per il P.M.
contabile  di notificare l'istanza di proroga al convenuto", e tenuto
conto  dell'orientamento  in  tal  senso  maturato  dalla  prevalente
giurisprudenza   sia   delle   Sezioni   riunite  che  delle  Sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei conti.
    1.3. - Sennonche',  la disposizione normativa in questione non e'
apparsa   al   giudice   a   quo  compatibile  con  l'art. 111  della
Costituzione  sotto  il  profilo  della garanzia del contraddittorio,
nella  considerazione che la fase introdotta dall'istanza di proroga,
a differenza di quella cui da' luogo l'invito a dedurre, ha "indubbia
natura processuale"; considerato che il medesimo art. 5, comma 1, del
decreto-legge   15 novembre  1993,  n. 453,  convertito  nella  legge
14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall'art. 1, comma 3-bis, del
decreto-legge   23 ottobre   1996,  n. 543,  convertito  nella  legge
20 dicembre 1996, n. 639, "prevede il controllo del giudice contabile
sull'istanza   di   proroga,   il   quale   puo'   avere  due  esiti:
autorizzazione o mancata autorizzazione alla proroga".
    Da  tale premessa deriverebbe - secondo il remittente - che anche
nella fase processuale originata dall'istanza di proroga debba essere
realizzato  il  contraddittorio, assicurando ai convenuti le garanzie
minime  necessarie  perche' si possa definire "giusto" il processo, e
cioe'   la   conoscenza   dell'atto   introduttivo   del  giudizio  e
"l'eguaglianza delle armi", nonche' la pari possibilita' di influire,
con   argomentazioni,   deduzioni   e  prove,  sulla  formazione  del
convincimento del giudice.
    1.4. - Sulla  base  di tali argomentazioni, e' stata ritenuta non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 5,  comma  1,  del  decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453,
convertito  nella  legge  14 gennaio  1994,  n. 19,  come  sostituito
dall'art. 1,  comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543,
convertito   nella  legge  20 dicembre  1996,  n. 639,  in  relazione
all'art. 111  della  Costituzione,  sotto il profilo della violazione
del  principio  del contraddittorio, non valendo in contrario la tesi
che,   comunque,   nessun   nocumento   puo'   derivare  al  presunto
responsabile,  dal momento che soltanto con la vocatio in judicium si
realizza  la  chiamata  a  difendersi da parte del destinatario della
citazione;   cio'   in   quanto,   alla   luce   dell'art. 111  della
Costituzione,  il  contraddittorio  va  inquadrato  fra  le  garanzie
oggettive  e  strutturali  concernenti la giurisdizione, a differenza
del   diritto   di   difesa,   che   e'   garanzia  soggettiva,  "pur
rappresentando  la  "difesa un insopprimibile strumento di attuazione
del contraddittorio".
    1.5. - La  prospettata  questione di costituzionalita' e' apparsa
altresi'  rilevante  nel  giudizio  a quo, in quanto pregiudiziale ai
fini  di decidere l'eccezione di inammissibilita' avanzata da uno dei
convenuti;  infatti,  la carenza di contraddittorio riscontrabile nel
segmento  procedimentale  all'esame  potrebbe implicare l'inefficacia
dell'assentita  proroga  del  termine  per  l'emissione  dell'atto di
citazione,  con  riflessi  sulla tempestivita' dell'atto introduttivo
del giudizio di responsabilita'.
    2. - Il  Presidente  del  Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con memoria del 9 luglio
2002,  e'  intervenuto  nel giudizio cosi' promosso, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza della
questione  nel  giudizio  a  quo o infondata nel merito, in quanto la
fase  originata  dall'istanza  di proroga del termine per l'emissione
dell'atto  di  citazione  avrebbe natura pre-processuale, non essendo
resa  nell'ambito del giudizio di responsabilita' che inizia solo con
la citazione.

                       Considerato in diritto

    1. - Come  agevolmente  si evince da quanto esposto in narrativa,
la questione di legittimita' costituzionale prospettata dal giudice a
quo   poggia   sull'affermazione  che  quel  segmento  procedimentale
antecedente  all'emanazione  dell'atto  di  citazione,  che  va dalla
presentazione dell'istanza di proroga da parte del pubblico ministero
fino  all'autorizzazione  o alla mancata autorizzazione della proroga
stessa  da  parte  della  Sezione,  ha  natura processuale: di qui la
necessita' del contraddittorio nell'ambito di questo sub-procedimento
e  di  qui  la conseguenza necessaria di una notifica dell'istanza di
proroga  da  parte  del pubblico ministero alle parti interessate. La
mancata  previsione  legislativa di un obbligo di notifica, impedendo
il   contraddittorio  delle  parti,  si  porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 111  della  Costituzione,  nel  testo  novellato  dalla  legge
costituzionale 23 novembre 1999, n. 2.
    2. - La questione non e' fondata.
    Questa  Corte,  con la sentenza n. 163 del 1997, ha avuto modo di
precisare che l'invito a dedurre - in quanto diretto all'acquisizione
di  ulteriori  elementi  in  vista  delle determinazioni del pubblico
ministero  -  attiene  ad  una  fase  del  procedimento avente natura
pre-processuale,  sicche'  l'effettiva  proposizione  dell'azione  di
responsabilita' e' del tutto eventuale e solo con l'atto di citazione
il giudice e' investito della causa ed ha inizio il relativo giudizio
(analogamente, sentenza n. 415 del 1995).
    Nel  ritenere la natura pre-processuale della fase che precede la
notifica dell'atto di citazione, questa Corte ha preso le mosse dalla
giurisprudenza  contabile,  la  quale  ne  trae  la  conseguenza  che
l'invito a dedurre non valga a conferire al presunto responsabile del
danno  la  qualita'  di  parte  e,  quindi,  a  rendere necessaria la
notifica  ad  esso  dell'istanza  di  proroga  proposta  dal pubblico
ministero.
    Ora,  se si segue la giurisprudenza della Corte dei conti secondo
cui  la decisione sull'istanza di proroga e' reclamabile al collegio,
ai  sensi  dell'art. 739 cod. proc. civ., nel termine di dieci giorni
dalla  avvenuta  conoscenza del decreto, il presunto responsabile del
danno  dispone  di uno strumento processuale utilizzabile per dolersi
della   concessa   proroga;   e  la  possibilita'  di  instaurare  il
contraddittorio su questa esclude il denunciato vizio di legittimita'
costituzionale,    ben    potendo   il   legislatore   differire   il
contraddittorio ad un momento successivo al provvedimento di adozione
della proroga.
    Qualora,  poi,  si  ritenesse  estraneo alla fase pre-processuale
l'istituto   del   reclamo,   introdotto   in   via   pretoria  dalla
giurisprudenza   contabile,   dovrebbe  concludersi  che  l'eventuale
illegittimita'  del  provvedimento  concessivo della proroga potrebbe
essere  dedotta nella fase pienamente processuale iniziata con l'atto
di citazione.
    Nell'un caso e nell'altro, la posizione del presunto responsabile
del  danno  non  risulterebbe  compromessa,  nemmeno sotto il profilo
della   certezza  rispetto  all'iniziativa  del  pubblico  ministero,
poiche', ove non riceva l'atto di citazione entro centosessantacinque
giorni  dall'invito  a  dedurre,  egli potra' verificare se sia stata
disposta  l'archiviazione,  ovvero  concessa  la proroga. Il presunto
responsabile  del  danno  verrebbe  cosi'  gravato  di  un  onere  di
attivita' non eccedente il limite della ragionevolezza e che pertanto
non incide negativamente sul suo diritto di difesa.