ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 5 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza), promosso con ordinanza emessa il 16 settembre 2000 dal Tribunale di Milano, iscritta al n. 725 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, 1a serie speciale, dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto che il giudice tutelare del Tribunale di Milano, richiesto di autorizzare una minore a decidere l'interruzione della gravidanza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 19, 21, 31, secondo comma, e 32 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 5 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza); che il rimettente, dopo aver richiamato le pronunce con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato l'infondatezza o l'inammissibilita' di analoghe questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 5 e 12 della legge n. 194 del 1978, critica anzitutto l'affermazione contenuta nell'ordinanza n. 76 del 1996, secondo cui il compito del giudice tutelare ha carattere "non co-decisionale", sostenendo, in contrario, che il ruolo di tale organo non consisterebbe nella mera integrazione della volonta' della minore ancora priva della capacita', bensi' in una vera e propria attivita' decisoria, che si inserisce nella realizzazione del progetto di interruzione della gravidanza; che nell'emanazione del provvedimento previsto dall'art. 12 della legge in esame il giudice deve verificare se cio' che gli viene richiesto di autorizzare sia conforme o meno all'ordinamento giuridico; ma che tale valutazione, ad avviso del rimettente, non puo' a sua volta essere compiuta senza la preventiva verifica della legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5 della medesima legge, i quali costituiscono non gia' "l'antefatto" della procedura in questione, come affermato dalla Corte nei citati precedenti, ma il presupposto normativo del provvedimento stesso; che, secondo il giudice a quo gli artt. 4 e 5 della legge n. 194 del 1978 si porrebbero in contrasto anzitutto con l'art. 2 della Costituzione, in quanto non considerano che il diritto alla vita e' il piu' elementare dei diritti inviolabili; inoltre essi, non attuando alcuna valutazione comparativa dei diritti in potenziale conflitto fra loro, violerebbero per cio' solo anche l'art. 3 della Costituzione; che la mancata previsione di una verifica circa l'esistenza reale o meno di seri pericoli per la salute e il mancato raffronto di tale pericolo con quello che puo' derivare dall'aborto darebbero inoltre luogo alla violazione dell'art. 32 della Costituzione; che sarebbe infine leso il precetto costituzionale di protezione della maternita', intesa quale rapporto tra soggetti legati dal vincolo biologico dipendente dal concepimento e dalla gestazione; che il rimettente dubita altresi' della legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 194 del 1978, a causa della mancata previsione della possibilita' per il giudice di sollevare obiezione di coscienza; cio' che contrasterebbe con gli artt. 3, 2, 21 e 19 della Costituzione; che, in particolare, la previsione dell'obiezione di coscienza solo per il personale sanitario, come disposto dall'art. 9 della legge in esame, determinerebbe la violazione del principio di eguaglianza; che l'art. 2 della Costituzione sarebbe leso a causa del mancato rispetto della coscienza etica "di fronte ad un comportamento proprio (l'autorizzazione) da cui puo' derivare la morte di un essere umano innocente"; mentre gli artt. 19 e 21 assumerebbero del pari rilievo in quanto inerenti alla garanzia di diritti inviolabili; che il giudice a quo, pur ricordando come la Corte, con la sentenza n. 196 del 1987, abbia gia' dichiarato l'infondatezza della medesima questione di legittimita' costituzionale, ritiene tuttavia di doverla riproporre, chiedendo una nuova verifica circa la non estraneita' del giudice all'evento che egli deve autorizzare; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata, in quanto ripropone gli stessi temi piu' volte decisi dalla Corte nel senso appunto della inammissibilita' o della infondatezza. Considerato che il giudice tutelare del Tribunale di Milano censura gli artt. 4, 5 e 12 della legge n. 194 del 1978, in quanto, a suo avviso, lesivi di numerosi precetti costituzionali; che le doglianze del rimettente si sostanziano nel fatto che le norme impugnate consentirebbero l'attuazione di una condotta ritenuta sotto molteplici profili in conflitto con il diritto alla vita, senza che vi sia alcuna possibilita' per il giudice - chiamato ad autorizzare il detto comportamento - di sollevare obiezione di coscienza; che, quantunque entrambe le questioni siano gia' state piu' volte esaminate dalla Corte con pronunce che il rimettente stesso richiama e chiede di superare, esse sono oggi riproposte in termini sostanzialmente identici alle precedenti, pur essendo invocati nuovi parametri a sostegno delle censure, peraltro del tutto analoghe a quelle in precedenza riferite al solo art. 2 Cost; che, in particolare, con l'ordinanza n. 293 del 1993, si e' dichiarata la manifesta inammissibilita' della questione, per essere irrilevanti i prospettati vizi di incostituzionalita' relativi agli artt. 4 e 5 della legge, in quanto norme esterne al procedimento previsto dall'art. 12, che percio' risultava denunciato solo come tramite per introdurre le prime censure; che, con la successiva ordinanza n. 76 del 1996, si e' nuovamente dichiarata la inammissibilita' della questione, per difetto di rilevanza, sottolineandosi che il provvedimento del giudice tutelare risponde ad una funzione di verifica in ordine alla esistenza delle condizioni nelle quali la decisione della minore possa essere presa in piena liberta' morale; che deve ancora una volta affermarsi come la decisione di interrompere la gravidanza sia rimessa esclusivamente alla responsabilita' della donna, anche se minore di eta', si' che, in quest'ultima ipotesi, il provvedimento del giudice costituisce solo uno dei presupposti dell'articolato procedimento, che si inizia con la richiesta rivolta al consultorio familiare o alla struttura socio-sanitaria o a un medico di fiducia della donna stessa; che il detto presupposto puo' anche mancare, per esempio allorche' sia accertata l'urgenza dell'intervento, cui si procede ugualmente, anche in assenza dell'autorizzazione del giudice; che in ogni caso il giudice non potrebbe discostarsi dagli accertamenti compiuti ai sensi degli artt. 4 e 5, i quali si pongono percio' come antefatto specifico di carattere tecnico; che, non essendo consentito al giudice censurare norme di cui non deve fare concreta applicazione, non puo' egli impugnare gli artt. 4 e 5; onde resta priva di rilievo anche la questione riferita all'art. 12, sul quale palesemente non si appuntano le doglianze del rimettente; che, pertanto, deve pervenirsi alla stessa conclusione di inammissibilita', dichiarata con le citate ordinanze n. 293 del 1993 e n. 76 del 1996; che anche la questione relativa alla mancata previsione della possibilita' per il giudice di sollevare obiezione di coscienza e' stata affrontata da questa Corte, che con la sentenza n. 196 del 1987 ne ha dichiarato l'infondatezza e con l'ordinanza n. 445 del 1987 la manifesta infondatezza; che non sussistono ne' risultano dedotti motivi nuovi e diversi che possano indurre ad una decisione difforme da quelle adottate in precedenza; che infatti deve osservarsi ancora come la disomogeneita' nei differenti stadi della procedura determini la insussistenza della asserita disparita' di trattamento rispetto al personale sanitario; che la pretesa lesione degli artt. 2, 19 e 21 della Costituzione e' del pari insussistente, in considerazione della doverosita' dell'adempimento del "munus" pubblico, sancita dall'art. 54 Cost., e del rilievo costituzionale attribuito alla indeclinabile e primaria realizzazione della funzione di giudice; che la predetta questione deve percio' dichiararsi infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.