ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
23 maggio 2000 relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse
dall'onorevole  Pietro  Armani  nei confronti del prof. Romano Prodi,
promosso  con  ricorso  del  Tribunale di Roma, prima sezione civile,
notificato  il 13 luglio 2001, depositato in cancelleria il 20 luglio
2001 ed iscritto al n. 22 del registro conflitti 2001.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nella  udienza  pubblica  del  21 maggio  2002  il giudice
relatore Franco Bile;
    Udito l'avvocato Sergio Panunzio per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    Con  ricorso  in  data  27 dicembre 2000, il Tribunale di Roma ha
sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato nei
confronti  della  Camera  dei  deputati, in relazione alla delibera -
adottata  nella seduta del 23 maggio 2000, su conforme proposta della
Giunta  per le autorizzazioni a procedere - con la quale la Camera ha
dichiarato  che  le  dichiarazioni  oggetto  del  giudizio  civile di
risarcimento   del  danno  instaurato  dal  prof.  Romano  Prodi  nei
confronti  del  deputato  Pietro  Armani  concernono  opinioni da lui
espresse  nell'esercizio  delle  sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
    Il  tribunale riferisce che con atto notificato nel marzo 2000 il
prof.  Prodi  aveva  convenuto  in  giudizio  avanti  al tribunale il
deputato Armani, la Europa di Edizioni S.p.a. e il dott. Mario Cervi,
direttore  responsabile  del  quotidiano  "Il Giornale", per sentirli
condannare  in  solido  -  previo  accertamento della commissione del
reato  di  diffamazione  -  al  risarcimento dei danni derivati dalla
pubblicazione  sul  medesimo quotidiano, in data 30 novembre 1999, di
un'intervista  in  cui  il  suddetto  deputato,  gia' vice presidente
dell'IRI, aveva pronunciato, a proposito del cosiddetto "affare SME",
affermazioni  ritenute  gravemente  diffamatorie secondo cui il prof.
Prodi:  aveva  voluto  vendere  la  SME  all'ing. De Benedetti; aveva
accettato  un  prezzo curiosamente basso; aveva trattato segretamente
con  De  Benedetti,  fin  dal marzo  1985;  era  stato molto vago nei
particolari  forniti  in  data 24 aprile 1985 al Consiglio dell'IRI e
aveva  taciuto  la circostanza che acquirente era De Benedetti; aveva
informato  i  consiglieri  dell'IRI  solo  per  via telefonica; aveva
convocato   una   conferenza   stampa   per  porre  il  Consiglio  di
amministrazione davanti al fatto compiuto; aveva di fatto coartato il
medesimo Consiglio ad approvare la vendita.
    Il tribunale riferisce ancora che la Giunta per le autorizzazioni
a  procedere, nel proporre la valutazione di insindacabilita' di tali
dichiarazioni, aveva dato rilievo:
        1)  ad  una  precedente  intervista  rilasciata  dal deputato
Armani  al Corriere della Sera il 7 febbraio 1995, per manifestare le
medesime  opinioni, cui non era seguita alcuna iniziativa giudiziaria
del prof. Prodi;
        2)  a  precedenti  dichiarazioni  critiche  del  deputato nei
confronti del prof. Prodi, con riferimento alla tentata vendita della
SME,  in  occasione  di  un  suo  intervento  in  aula  nel corso del
dibattito sulle comunicazioni del Governo (in data 21 luglio 1998);
        3)  a  numerosi  interventi  di altri deputati in discussioni
alla  Camera  sul tema della vendita della SME ed in particolare agli
interventi  del deputato Bruno nella seduta del 15 maggio 1998, e dei
deputati   Becchetti   e  Garra,  rispettivamente  nelle  sedute  del
30 novembre  1999  e nella seduta della commissione permanente Affari
Costituzionali  del  1  dicembre  1999,  che  avevano fatto specifico
riferimento al contenuto dell'intervista in questione.
    Secondo  il  tribunale,  l'insindacabilita'  di  cui all'art. 68,
primo   comma,   della   Costituzione,   non   copre,   per  costante
giurisprudenza   della   Corte,   tutte   le  opinioni  espresse  dal
parlamentare  nello svolgimento della sua attivita' politica, ma solo
quelle  legate  da nesso funzionale con le attivita' svolte nella sua
qualita'  di  membro  della Camera, onde oggetto di protezione non e'
l'attivita'  politica  del  parlamentare,  genericamente considerata,
"ne'   il  contesto  politico"  bensi'  "l'esercizio  della  funzione
parlamentare  e  delle attivita' consequenziali e presupposte, con la
precisazione  che  tali  funzioni  devono  riguardare  ambiti  e modi
giuridicamente definiti".
    Ne  discende  "che  la  semplice  comunanza  di  argomento tra la
dichiarazione  lesiva e le opinioni espresse in sede parlamentare non
puo'  bastare  ad  estendere  alla  prima  l'immunita'  che  copre la
seconda"   in   quanto   il  significato  del  nesso  funzionale  tra
dichiarazione  ed  attivita'  parlamentare  si  deve  cogliere  nella
"identificabilita'  della  dichiarazione  stessa quale espressione di
attivita'   parlamentare"   onde   "il   problema   specifico   della
riproduzione, all'esterno degli organi parlamentari, di dichiarazioni
gia'  rese nell'esercizio di funzioni parlamentari" puo' dar luogo ad
insindacabilita'  "solo  ove  sia  riscontrabile  una  corrispondenza
sostanziale   di  contenuti  con  l'atto  parlamentare,  non  essendo
sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche".
    Sulla  base  di questi principi, il tribunale censura la delibera
di  insindacabilita', sostenendo in particolare che nessuna rilevanza
puo' riconoscersi alle circostanze prima ricordate, in quanto:
        a) la precedente intervista, di analogo contenuto, rilasciata
dal  deputato  Armani il 7 febbraio 1995, contiene una manifestazione
di pensiero non inerente alla funzione parlamentare;
        b)  l'intervento  in  aula del deputato Armani, nel corso del
dibattito  sulle  comunicazioni  del  Governo  (il  21 luglio  1998),
seppure  svolto  in ambito e modi propri della funzione parlamentare,
manca  del  requisito  dell'identita'  sostanziale  di  contenuto con
l'opinione  manifestata  nella sede esterna, con la quale ha soltanto
una mera comunanza di tema;
        c)  gli  altri  interventi,  nelle  discussioni  alla Camera,
peraltro  di deputati diversi dal deputato Armani e talora successivi
all'intervista, hanno contenuto generico ed approssimativo.
    Il  ricorrente ritiene pertanto che le dichiarazioni dal deputato
Armani   non   siano   state   rese   nell'esercizio  delle  funzioni
parlamentari,  onde  - non essendo per esse invocabile l'immunita' di
cui  all'art. 68,  primo comma, della Costituzione - la deliberazione
di insindacabilita' deve essere annullata.
    La    Camera    dei   deputati   si   e'   costituita   eccependo
l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza del ricorso.
    Il  conflitto e' stato dichiarato ammissibile da questa Corte con
l'ordinanza n. 250 del 2001.
    Nell'imminenza  dell'udienza, la Camera ha depositato una memoria
illustrativa  in  cui  specifica  che  l'inammissibilita' del ricorso
discenderebbe  dal  mancato  deposito, da parte del ricorrente, della
delibera  di  insindacabilita'  e  dalla  mancata  richiesta  di  una
pronunzia  di  non  spettanza alla Camera della valutazione contenuta
nella delibera stessa e del suo conseguente annullamento.
    Nel  merito  la memoria enuncia le ragioni per le quali sarebbero
rilevanti   sia   il   complessivo  "contesto  parlamentare"  sia  in
particolare  l'attivita'  svolta  da altri deputati appartenenti allo
stesso gruppo cui e' iscritto il deputato Armani.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  conflitto  di  attribuzione,  sul  quale questa Corte e'
chiamata  a  decidere,  e'  stato  promosso dal Tribunale di Roma nei
confronti  della  Camera dei deputati ed investe la deliberazione con
cui  l'Assemblea,  nella seduta del 23 maggio 2000, ha dichiarato che
le  dichiarazioni  oggetto  del  giudizio  civile di risarcimento del
danno  instaurato  dal  prof. Romano Prodi nei confronti del deputato
Pietro  Armani  concernono opinioni da questi espresse nell'esercizio
delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione.
    Dal  ricorso  risulta  che  le  espressioni ritenute diffamatorie
erano  contenute  in  un'intervista  pubblicata  dal  quotidiano  "Il
Giornale"   il  30 novembre  1999,  nella  quale  il  deputato,  gia'
vice-presidente  dell'IRI,  aveva affermato che il prof. Prodi, nella
qualita'  di  presidente  dell'Istituto,  aveva voluto vendere la SME
all'ing.  De Benedetti; aveva accettato un prezzo curiosamente basso;
aveva trattato segretamente con De Benedetti, fin dal marzo 1985; era
stato  molto  vago  nei particolari forniti in data 24 aprile 1985 al
Consiglio  di Amministrazione dell'IRI e aveva taciuto la circostanza
che  acquirente  era  De  Benedetti;  aveva  informato  i consiglieri
dell'IRI  solo  per  via  telefonica;  aveva convocato una conferenza
stampa  per  porre  il  Consiglio di Amministrazione davanti al fatto
compiuto;  aveva  di  fatto  coartato  il  Consiglio  ad approvare la
vendita.
    2. - Secondo  la  Camera, il ricorso sarebbe inammissibile per il
mancato   deposito,  da  parte  del  tribunale,  della  deliberazione
impugnata.
    L'eccezione non e' fondata.
    In  tema  di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, il
ricorso,  con  l'ordinanza  che  lo  ha  dichiarato ammissibile, deve
essere  notificato  agli  organi  interessati  (art. 37, commi 3 e 4,
della  legge  11 marzo  1953,  n. 87, "Norme sulla costituzione e sul
funzionamento  della  Corte costituzionale") e poi (art. 26, comma 3,
delle   "Norme   integrative   per   i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale")  depositato  nella  cancelleria  della  Corte, entro
venti   giorni   dall'ultima   notificazione,  "con  la  prova  delle
notificazioni eseguite".
    Tale  deposito,  fatto dal ricorrente, apre - secondo la costante
giurisprudenza  della Corte - la seconda fase del procedimento, senza
ulteriori oneri di attivita' a suo carico.
    Del  resto,  il  ricorso del Tribunale ha ampiamente riportato il
contenuto della delibera impugnata, ed altrettanto ha fatto la Camera
nelle  proprie  memorie,  con le quali sono stati depositati gli atti
parlamentari in esse richiamati.
    3. - Secondo   la   Camera,   il  ricorso  sarebbe  ulteriormente
inammissibile  perche'  in  esso  mancherebbe  la  richiesta  di  una
pronunzia della Corte che dichiari la non spettanza alla Camera della
"valutazione  contenuta  nella  deliberazione impugnata e che annulli
quest'ultima".
    L'eccezione  non  e'  fondata, in quanto nel ricorso il Tribunale
afferma  che  la  Corte "e' chiamata a controllare la correttezza sul
piano  costituzionale  della  pronunzia di insindacabilita'" e chiede
che la Corte "annulli la deliberazione".
    4. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Questa  Corte  ha  piu' volte affermato che il "nesso funzionale"
tra   la  dichiarazione  resa  extra  moenia  da  un  parlamentare  e
l'espletamento  delle sue funzioni di membro del Parlamento esiste se
ed   in  quanto  la  dichiarazione  possa  essere  identificata  come
"divulgativa  all'esterno  di  attivita' parlamentari" ossia se ed in
quanto  esista  una  sostanziale  corrispondenza  di  significato con
opinioni gia' espresse, o contestualmente espresse, nell'esercizio di
funzioni  parlamentari  tipiche,  non  essendo  sufficiente  una mera
comunanza di argomenti (da ultimo, sentenza n. 294 del 2002).
    Nella  specie,  la  Camera  dei  deputati - a sostegno della tesi
secondo  cui le dichiarazioni del deputato Armani presenterebbero una
sostanziale  corrispondenza  di  significato  con  opinioni  espresse
nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche - richiama precedenti
dichiarazioni  con  cui  il  deputato  aveva  espresso  critiche  nei
confronti del prof. Prodi, con riferimento alla tentata vendita della
SME,  nonche'  numerosi interventi di altri parlamentari sul medesimo
tema.
    Nessuno  di tali atti e' idoneo a conferire alle dichiarazioni in
esame l'insindacabilita' garantita dal primo comma dell'art. 68 della
Costituzione.
    5. - Quanto  agli  atti  compiuti  dal  medesimo deputato Armani,
l'intervista  pubblicata  dal  quotidiano "Il Corriere della sera" il
7 febbraio  1995  (oltre  quattro  anni  prima  di quella oggetto del
giudizio  pendente  dinanzi al Tribunale) sicuramente non costituisce
"attivita' parlamentare tipica".
    Dal canto loro, le dichiarazioni pronunziate in Aula il 21 luglio
1998,  in  sede  di  dibattito  sulle  comunicazioni del Governo, pur
presentando tale carattere, hanno con quelle rese nell'intervista del
1999  una  mera  comunanza  di  argomento,  non certo una sostanziale
corrispondenza di significato.
    In esse infatti il deputato Armani si riferisce al prof. Prodi ed
alla  tentata vendita della SME, dichiarando che "in fatto di diritto
il  presidente Prodi ha dei precedenti all'IRI: ricordo il caso della
dismissione della SME, che certamente non rappresenta una medaglia al
valore  della  sua  gestione".  Questa  dichiarazione ha un contenuto
generico,  perche'  non  menziona  nessuna  delle  molte  circostanze
specificate nell'intervista, concernenti non solo il risultato finale
cui  l'operazione  relativa  alla  SME  tendeva,  ma  soprattutto  il
comportamento  che  sarebbe stato concretamente tenuto dal presidente
dell'IRI  per incidere sul Consiglio di amministrazione, in vista del
raggiungimento di quel risultato.
    Infine   l'interrogazione   presentata  dal  deputato  Armani  il
3 ottobre  1996  concerne  non  la  SME,  ma la societa' Nomisma, che
avrebbe  dato  luogo  a "forme di distorsione della concorrenza (...)
grazie all'influenza del nome del suo fondatore, Prodi".
    6. - I  rimanenti  atti  parlamentari richiamati dalla Camera non
sono stati compiuti dal deputato Armani, ma da altri deputati.
    A prescindere dal problema se, ai fini dell'art. 68, primo comma,
della   Costituzione,  le  dichiarazioni  rese  extra  moenia  da  un
parlamentare  possano  essere ritenute insindacabili sotto il profilo
della  loro  sostanziale  corrispondenza  di significato con opinioni
espresse  da altri parlamentari, appartenenti allo stesso o a diverso
gruppo, nessuna delle dichiarazioni evocate dalla Camera dei deputati
(quali  risultano  dalla  documentazione  in  atti) presenta siffatta
corrispondenza.
    Alcuni parlamentari hanno bensi' manifestato valutazioni negative
circa  la convenienza economica dell'operazione relativa alla SME, ma
in  termini  generici  e senza enunciare nessuna delle circostanziate
affermazioni contenute nell'intervista.
    Altri  deputati  si  sono  limitati  a  richiamare  il  contenuto
dell'intervista  gia'  resa,  la  quale, quindi, non puo' avere avuto
carattere divulgativo delle loro dichiarazioni.
    Solo  il  deputato  Cardiello,  in  una  serie  di interrogazioni
presentate  tra  il  3 ed il 26 febbraio 1997, si e' soffermato sulle
stesse circostanze poi enunciate nell'intervista dal deputato Armani.
Pero',  il  cospicuo  intervallo  temporale fra tali interrogazioni e
l'intervista,  nonche'  il  silenzio  sulle  interrogazioni,  serbato
dall'intervistato,  inducono  a ritenere che egli non abbia divulgato
opinioni  gia'  espresse  in  Parlamento  oltre  due  anni  prima, ma
riferito  fatti  da  lui  appresi  come vice-presidente dell'IRI, non
senza  doversi  comunque considerare che tali interrogazioni non sono
state richiamate dalla Camera nella delibera di insindacabilita'.
    7. - Deve  quindi concludersi che la Camera dei deputati, votando
l'insindacabilita'  delle  dichiarazioni di cui si tratta, ha violato
l'art. 68,   primo   comma,   della   Costituzione,  ed  ha  leso  le
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente.