ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli articoli 15 e 66,
comma  1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986,
n. 131  (Approvazione  del testo unico delle disposizioni concernenti
l'imposta  di  registro),  promosso con ordinanza emessa il 13 giugno
2001  dal  Tribunale  di  Roma  sul ricorso proposto da Olga D'Aiello
contro  il  cancelliere del Tribunale di Roma, iscritta al n. 716 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 38, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  l'atto di costituzione di Olga D'Aiello, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 settembre  2002 il giudice
relatore Franco Bile;
    Uditi  l'avvocato Nicolo' Paoletti per Olga D'Aiello e l'avvocato
dello  Stato  Gianni  De  Bellis  per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. -  Con  ordinanza  del 13 giugno 2001, iscritta al n. 716 r.o.
del  2001,  il  Presidente  del  Tribunale  di  Roma, nel corso di un
procedimento  introdotto avverso il rifiuto, da parte del cancelliere
dello stesso tribunale, di rilasciare copia autentica di una sentenza
pronunciata  in una controversia civile, ha sollevato, in riferimento
agli  articoli  3  e 24 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  degli  articoli  15  e  66 del decreto del Presidente
della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico
delle  disposizioni  concernenti l'imposta di registro), "nella parte
in  cui  non consentono il rilascio della copia esecutiva se non dopo
il pagamento dell'imposta di registro".
    Riferisce  il rimettente che il procedimento e' stato instaurato,
ai  sensi  dell'art. 745  del  codice  di  procedura  civile, da Olga
D'Aiello,  vedova  del  regista  Pietro Germi, avverso il rifiuto del
cancelliere   del  tribunale  di  rilasciare  copia  autentica  della
sentenza  n. 33737  del  2000, munita della formula esecutiva, con la
quale  era  stata  accolta  (con  il  favore delle spese per lire 12.
300.000  ed  il  riconoscimento  degli interessi legali dal 30 luglio
1997)  la  domanda  da  lei  proposta  contro  l'avvocato  Galli, per
ottenere  la  restituzione  della  somma di lire 2.424.480.000, a suo
tempo   affidata   al  medesimo  per  l'amministrazione  del  proprio
patrimonio, alla quale non poteva provvedere per la propria complessa
situazione familiare.
    Il  rilascio  della  copia  della sentenza e' stato chiesto dalla
D'Aiello  per  procedere  ad  un'azione  esecutiva  nei confronti del
debitore  ed  il cancelliere ha dichiarato di non poter rilasciare la
copia,  adducendo che l'art. 66, comma 1, del citato d.P.R. impedisce
il rilascio di copia esecutiva di una sentenza senza previo pagamento
al  fisco  dell'imposta  di  registro, ammontante nella specie a lire
81.870.000.
    Nel  proporre  il  ricorso  ex  art. 745  del codice di procedura
civile,  la  D'Aiello, adducendo di non disporre della somma dovuta a
titolo di imposta, ha prospettato la questione di costituzionalita'.
    Tanto  premesso  sulla  vicenda processuale, il rimettente rileva
preliminarmente  di  essere  legittimato  a sollevare la questione di
legittimita'  costituzionale,  giacche' la Corte costituzionale nella
sentenza  n. 414  del  1989,  e la Corte di cassazione nella sentenza
20 marzo  1986, n. 1973, hanno riconosciuto natura giurisdizionale al
procedimento  ex  art. 745  citato  quando  sia instaurato avverso il
rifiuto   del  cancelliere  di  rilasciare  copia  esecutiva  di  una
sentenza.
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione, il
rimettente,  dopo  avere rilevato che il disposto dell'art. 66 citato
e' in contrasto "con il principio di eguaglianza, con il principio di
ragionevolezza  nonche'  con il diritto alla tutela giurisdizionale",
osserva  che,  pur essendo prevista dall'art. 15 del d.P.R. citato la
possibilita'   della  registrazione  d'ufficio  in  caso  di  mancata
richiesta  da  parte dei soggetti indicati nell'art. 10 del d.P.R. (e
contestuale  deposito  della  somma),  essa  e'  comunque subordinata
espressamente  alla  "previa  riscossione  dell'imposta dovuta", onde
resterebbe  fermo  che il mancato pagamento dell'imposta impedisce la
registrazione  e, quindi, la possibilita' del rilascio della copia da
parte del cancelliere.
    Il  contrasto  del  citato  art. 66, comma 1, con il principio di
eguaglianza   ex  art. 3  Cost.  emergerebbe  per  la  differenza  di
trattamento  che  vi  sarebbe  fra  il  cittadino che sia in grado di
pagare   immediatamente  l'imposta  di  registro  (al  quale  sarebbe
consentito,  proprio  in conseguenza delle sue condizioni economiche,
di  intraprendere  un'azione  giudiziaria esecutiva) e quello che non
abbia  i mezzi sufficienti per fare tale pagamento (al quale, invece,
la possibilita' di intraprendere tale azione sarebbe resa difficile e
talvolta impossibile in forza di un presupposto stabilito dalla legge
e consistente nell'onere di versare una somma eventualmente, come nel
caso di specie, assai ingente).
    Questi rilievi sono dal rimettente ritenuti idonei a giustificare
anche  la censura ex art. 24 Cost., posto che in tale norma - come la
Corte  costituzionale  avrebbe  riconosciuto nella sentenza n. 21 del
1961  nel  dichiarare  l'incostituzionalita' del solve et repete - il
diritto  di  agire  in  giudizio  e'  garantito a tutti allo scopo di
assicurare  l'uguaglianza  di  diritto  e  di  fatto dei cittadini in
ordine  alla  possibilita'  di  ottenere  tutela  giurisdizionale. Il
fondamentale diritto alla difesa, secondo il rimettente, non potrebbe
essere  condizionato al pagamento di un'imposta ed a conferma di tale
convincimento il rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 8
del  1993 nel punto in cui ha ritenuto che, non essendo il mancato od
insufficiente   pagamento   dell'imposta   di   bollo  ostativo  alla
produzione  in  giudizio di documenti e di difese scritte, resterebbe
escluso che tale forma di imposizione possa precludere o pregiudicare
il  diritto  di  agire  in  giudizio riconosciuto dall'art. 24, primo
comma, della Costituzione.
    In  ordine  alla  violazione  del principio di ragionevolezza, il
rimettente rileva che sarebbe dimostrata dal fatto che la ricorrente,
"dopo  avere  consegnato  tutto  il  denaro  che possedeva al proprio
avvocato,  si  trova  nell'impossibilita'  di  ottenerne la materiale
restituzione,  in  quanto  ...  non  possiede  l'ulteriore  somma per
provvedere  alla registrazione della sentenza di condanna" emessa nei
confronti di detto avvocato.
    2. -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,   tramite   l'Avvocatura   generale  dello  Stato,  che  ha
depositato  memoria,  nella  quale  ha  sostenuto  che  la  sollevata
questione  sarebbe  infondata,  in  base  ai principi affermati dalla
Corte  in  ordine  "al  problema  degli oneri fiscali in relazione al
diritto di agire in giudizio". Al riguardo, viene riprodotto un ampio
passo della motivazione della sentenza di questa Corte n. 7 del 1999,
nel quale, facendo riferimento alle sentenze della stessa Corte n. 45
del  1963  e  n. 157  del  1969,  si  e' fra l'altro precisato che la
Costituzione  non  vieta  di imporre prestazioni fiscali in stretta e
razionale  correlazione  con  il processo, sia che configurino vere e
proprie  tasse  giudiziarie,  sia  che  abbiano  riguardo  all'uso di
documenti   necessari   alla   pronuncia  del  giudice,  nonche'  che
l'interesse  alla riscossione dei tributi e' dall'art. 53 Cost. posto
sullo   stesso   piano   di  ogni  diritto  individuale.  Proprio  la
costituzionalizzazione    di    tale    ultimo   interesse,   secondo
l'interveniente,  giustificherebbe  una  disposizione come l'art. 66,
comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986.
    D'altro  canto,  il  rimettente  non avrebbe considerato che tale
d.P.R.  prevede  delle  deroghe al principio espresso da detta norma,
"consentendo  in  alcuni  eccezionali  casi  di  evitare il pagamento
dell'imposta di registro", come nell'ipotesi - prevista dall'art. 59,
comma  1,  del d.P.R. di registrazione a debito delle sentenze emesse
nei  confronti  di  soggetti ammessi al gratuito patrocinio, ai sensi
del  regio  decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 (Approvazione del testo
di  legge  sul  gratuito patrocinio), nonche' ai sensi degli articoli
15-bis e seguenti della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del
patrocinio  a  spese  dello  Stato  per  i  non  abbienti), nel testo
introdotto  dall'art. 13 della legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche
alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio
a  spese dello Stato per i non abbienti), nonche' in quella di cui al
punto d) del medesimo art. 59, concernente le sentenze che condannano
al  risarcimento  del  danno  prodotto da fatti costituenti reato. In
questi   due   casi   il   legislatore,   nell'esercizio   della  sua
discrezionalita',  avrebbe  individuato  due  fattispecie nelle quali
l'interesse  alla  riscossione  delle  imposte  non puo' prevalere di
fronte   a   situazioni  particolari,  in  cui,  rispettivamente,  la
situazione  di  indigenza  del soggetto sia tale per cui il pagamento
del  tributo  si rivelerebbe un ostacolo insormontabile all'esercizio
dell'azione,  e  l'esercizio dell'azione e' finalizzato al ripristino
di  una  situazione  patrimoniale  lesa  da un illecito penale. Altre
deroghe,  "pero'  al  solo rilascio di copia autentica della sentenza
previo  pagamento  dell'imposta", sarebbero contenute, inoltre, nello
stesso comma 2 dell'art. 66.
    Al  di  fuori  dei  casi  previsti,  l'interesse alla riscossione
dovrebbe, invece, prevalere e, del resto, non potrebbe ammettersi che
la  Corte possa introdurne altri. La lesione dell'art. 3 Cost., sotto
il  profilo  della  disparita' di trattamento, sarebbe insussistente,
essendosene  il  legislatore  fatto  carico  con  la  disciplina  del
gratuito  patrocinio.  Quella  dell'art. 24 Cost. a sua volta sarebbe
insussistente,  alla  stregua  di  quanto  affermato  da questa Corte
nell'ord.  n. 215  del  2000, osservando che "il rischio per l'attore
vittorioso  di  dover  pagare  l'imposta  di registro, se rientra nel
generale    calcolo   di   convenienza   sull'esercizio   dell'azione
giudiziaria,  non  si  traduce, per cio' solo, in un impedimento alla
tutela giurisdizionale dei propri diritti".
    3. - Si e' costituita la parte privata Olga D'Aiello, depositando
memoria,  nella  quale,  preliminarmente,  specifica ulteriormente la
vicenda  oggetto  del  giudizio  a quo precisando: a) di essere stata
costretta  a  convenire in giudizio l'avvocato Galli a fronte del suo
rifiuto  di  restituirle  la  somma  affidatagli  perche'  ne curasse
l'amministrazione  e  provvedesse ad investirla; b) di avere ottenuto
sequestro   conservativo  dallo  stesso  Tribunale  di  Roma  fino  a
concorrenza  della  somma di lire 2. 600.000.000 e di averlo eseguito
mediante trascrizione del provvedimento cautelare su beni immobili di
proprieta'  del  suddetto  avvocato;  c) che, tuttavia, nel corso del
giudizio  di  merito erano state eseguite sui beni sequestrati alcune
procedure   esecutive   immobiliari  nelle  quali  erano  intervenuti
numerosi  creditori  dell'avvocato  Galli,  con la conseguenza che in
sede  di  ripartizione  del  ricavo  della  vendita dei beni verrebbe
assegnata  ad  essa  deducente  "una  somma  molto inferiore rispetto
all'importo  del suo credito"; d) che per tale ragione si era indotta
a  richiedere  il  rilascio  della  copia esecutiva della sentenza di
merito  "al  fine  di  intraprendere  ulteriori  azioni esecutive nei
confronti   dell'avvocato  Galli".  Nel  merito  della  questione  si
riprendono   gli  argomenti  dell'ordinanza  di  rimessione,  con  il
richiamo di un passo della sentenza di questa Corte n. 21 del 1961.
    Nell'imminenza   dell'udienza   pubblica,  la  parte  privata  ha
depositato  una  memoria  illustrativa, nella quale richiama il passo
della  sentenza di questa Corte n. 80 del 1966, in cui, per risolvere
il  problema  della compatibilita' degli oneri fiscali con il diritto
di  azione,  si  era  distinto fra gli oneri ricollegati alla pretesa
dedotta  in  giudizio  allo  scopo  di assicurare uno svolgimento del
processo  conforme  alla  sua  funzione,  da  ritenersi consentiti, e
quelli  che  tendono a soddisfare interessi del tutto estranei a tale
finalita',  che  invece  incorrerebbero in incostituzionalita'. Sulla
base   di   tale   principio,   si   sostiene  che  la  questione  di
costituzionalita'  sollevata  dal  Presidente  del  Tribunale di Roma
sarebbe  fondata,  in  quanto  il  divieto  di  rilascio  della copia
esecutiva  sarebbe  funzionale  ad  un  onere  fiscale  "estraneo  al
giudizio  in  se stesso", poiche' l'unico onere fiscale razionalmente
collegato  al  giudizio  da  promuovere  sarebbe  quello  relativo al
pagamento  del  c.d.  contributo  unificato  per  le spese degli atti
giudiziari, di cui all'art. 9 della legge 23 dicembre 1999, n. 488.
    Vengono  citati,  quindi,  passi  delle sentenze n. 61 del 1970 e
n. 157 del 1969, nei quali si sottolineo' che il diritto di azione va
contemperato con l'interesse generale alla riscossione dei tributi, e
si  osserva  che  nel  caso  di  specie  non  e'  in contestazione la
costituzionalita'  dell'imposta  di  registro sulle sentenze, ma solo
quella  della  norma  impositiva  del divieto di rilascio della copia
esecutiva.   Si   rileva,   quindi,  che  l'interesse  pubblico  alla
riscossione  dei  tributi, ove la questione fosse accolta, resterebbe
impregiudicato,  "potendo l'amministrazione in ogni momento procedere
contro il contribuente moroso, intervenendo, se del caso, anche nella
stessa procedura esecutiva instaurata in base alla sentenza di cui il
creditore  avra'  ottenuto  la  copia  senza  procedere al preventivo
pagamento dell'imposta".
    Si richiama ancora un passo della sentenza di questa Corte n. 111
del  1971,  rilevando  che  in  essa  si  ritenne  di  restringere la
sospensione del giudizio in attesa della presentazione della denuncia
di  successione  entro  limiti  che  non comportassero difficolta' od
incompatibilita' dell'esplicazione del diritto.

                       Considerato in diritto

    1. -  Nel  corso di un procedimento ex articolo 745 del codice di
procedura  civile,  avente  ad  oggetto il rifiuto del cancelliere di
rilasciare  copia  esecutiva  di  una  sentenza,  il  Presidente  del
Tribunale  di  Roma  ha proposto, in riferimento agli articoli 3 e 24
della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli
articoli  15  e  66  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
26 aprile   1986,   n. 131   (Approvazione   del  testo  unico  delle
disposizioni  concernenti  l'imposta di registro), nella parte in cui
non  consentono  al  cancelliere  il  rilascio della copia esecutiva,
richiesta  dalla parte vittoriosa al fine di procedere all'esecuzione
forzata  nei  confronti  della  parte  soccombente,  se  non  dopo il
pagamento dell'imposta di registro.
    Secondo  il  giudice rimettente, l'articolo 66 viola l'articolo 3
della  Costituzione,  sia  per  difetto  di  ragionevolezza,  sia per
disparita'  di  trattamento  fra  il  cittadino  in  grado  di pagare
immediatamente l'imposta di registro (al quale sarebbe consentito, in
conseguenza   delle   sue  condizioni  economiche,  di  intraprendere
un'azione  giudiziaria  esecutiva) e quello privo dei mezzi necessari
per  tale  pagamento  (al  quale,  invece,  l'onere  di versare somme
eventualmente  ingenti  rende  la  proposizione dell'azione esecutiva
difficile e talora impossibile).
    Lo   stesso  articolo  66  violerebbe  poi  l'articolo  24  della
Costituzione,  in  quanto  il  diritto  di agire in giudizio non puo'
essere condizionato al pagamento di un'imposta.
    2. - Questa Corte ha gia' ritenuto che in sede di procedimento ex
articolo  745  cod.  proc. civ. il giudice e' legittimato a sollevare
questioni di legittimita' costituzionale (sentenza n. 414 del 1989).
    3. - La questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 15
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n. 131  del 1986 e'
manifestamente  inammissibile,  perche'  il  rimettente non motiva in
alcun  modo  la  ragione  per  la  quale questa norma (concernente la
cosiddetta  registrazione d'ufficio) possa - sia pure, eventualmente,
in  combinato  disposto  con  l'articolo  66 - precludere il rilascio
della copia della sentenza in forma esecutiva.
    4. - La questione relativa all'articolo 66 del citato decreto del
Presidente della Repubblica e' invece fondata.
    La norma - dopo avere al comma 1 stabilito che i cancellieri ed i
segretari  degli organi giurisdizionali e gli altri soggetti indicati
nell'articolo 10, lettere b) e c) possono rilasciare originali, copie
ed  estratti  degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da
loro  formati  o  autenticati  solo  dopo  che  gli stessi sono stati
registrati  - prevede al comma 2 che tale disposizione non si applica
agli  originali,  copie ed estratti di sentenze e altri provvedimenti
giurisdizionali, o di atti formati dagli ufficiali giudiziari e dagli
uscieri, che siano rilasciati per la prosecuzione del giudizio.
    In ragione dei limiti di tale previsione derogatoria, chi intenda
procedere  ad  esecuzione  forzata - la quale, ai sensi dell'articolo
479  cod.  proc.  civ., deve essere preceduta dalla notificazione del
titolo  in  forma  esecutiva - ha l'onere del preventivo assolvimento
della  relativa imposta di registro, quale condizione per ottenere il
rilascio   dell'atto  da  notificare,  non  potendo  -  del  resto  -
l'esecuzione forzata considerarsi prosecuzione del giudizio.
    La  questione  di  legittimita' costituzionale di tale norma deve
essere  valutata  alla  luce della giurisprudenza di questa Corte sul
tema  degli  oneri  fiscali  incidenti  sul  processo civile, nonche'
dell'assetto  dei  rapporti  fra  imposta  di  registro  e  processo,
conseguente  alla  riforma tributaria attuata sulla base della delega
di  cui  alla  legge  9 ottobre  1971,  n. 825 (Delega legislativa al
Governo della Repubblica per la riforma tributaria).
    5. - Questa  Corte ha affermato - in epoca anteriore alla riforma
-  che  la  Costituzione "non vieta di imporre prestazioni fiscali in
stretta  e  razionale  correlazione  con  il  processo,  sia che esse
configurino vere e proprie tasse giudiziarie sia che abbiano riguardo
all'uso  di  documenti  necessari  alla pronunzia finale dei giudici"
(sentenza  n. 45  del  1963, e poi sentenze n. 91 e n. 100 del 1964);
che  occorre distinguere fra "oneri che siano razionalmente collegati
alla  pretesa  dedotta  in  giudizio,  allo  scopo  di  assicurare al
processo  uno  svolgimento  meglio  conforme  alla  sua funzione", da
ritenersi  consentiti, e oneri che invece tendano "alla soddisfazione
di   interessi   del  tutto  estranei  alle  finalita'  predette,  e,
conducendo   al  risultato  di  precludere  o  ostacolare  gravemente
l'esperimento  della tutela giurisdizionale, incorrono nella sanzione
dell'incostituzionalita'"      (sentenza      n. 80     del     1966,
sull'illegittimita'   costituzionale   della  norma  che  vietava  di
rilasciare  copie  di sentenze non ancora registrate, il cui deposito
in  giudizio  condizionasse  la procedibilita' dell'impugnazione); ed
ancora  che  l'interesse  del cittadino alla tutela giurisdizionale e
quello  generale  della  comunita' alla riscossione dei tributi "sono
armonicamente  coordinati"  (sentenze  n. 157  del  1969  e n. 61 del
1970).
    In   altre   decisioni  questa  Corte  ha  invece  affermato  che
"condizionare  l'esercizio  del  diritto  del  cittadino  alla tutela
giurisdizionale,  all'adempimento del suo dovere di contribuente" non
contrasta  con la Costituzione, salvo il caso dell'azione giudiziaria
diretta a contestare la legittimita' del tributo (sentenze n. 157 del
1969 e n. 111 del 1971).
    Il principio secondo cui l'onere fiscale non lede il diritto alla
tutela  giurisdizionale  ove  tenda  ad  assicurare  al  processo uno
svolgimento  conforme  alla  sua funzione ed alle sue esigenze (e non
miri, invece, al soddisfacimento di interessi del tutto estranei alle
finalita'  processuali) e' stato infine ripreso dalla sentenza n. 333
del 2001, dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale della norma
che  condizionava  al  pagamento di alcune imposte, fra cui quella di
registro, l'esercizio dell'azione esecutiva di rilascio dell'immobile
locato.
    6. - La legge n. 825 del 1971 ha imposto al legislatore delegato,
come  principio  di delega, di eliminare "ogni impedimento fiscale al
diritto  dei  cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi legittimi" (articolo 7, n. 7).
    In  attuazione  di  tale  principio,  l'articolo  63  del  d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell'imposta di registro), il cui
contenuto  e'  poi  sostanzialmente  confluito  nell'articolo  65 del
d.P.R.  n. 131  del 1986, ha soppresso il divieto di utilizzazione in
giudizio   di   atti   non   registrati  (previsto  dalla  disciplina
precedente,  la  cui  incostituzionalita' era stata esclusa da questa
Corte, con le citate sentenze n. 45 del 1963 e n. 157 del 1969) ed al
suo   posto   ha  previsto  l'obbligo  del  cancelliere  di  inviarli
all'ufficio del registro.
    Il   legislatore  della  riforma  ha  pertanto  ritenuto  che  la
situazione di inadempimento dell'obbligazione relativa all'imposta di
registro, emergente in occasione del processo di cognizione, non puo'
avere l'effetto di precluderne lo svolgimento e la conclusione.
    E'  chiaro  il  giudizio  di  valore cosi' espresso, per cui, nel
bilanciamento tra l'interesse fiscale alla riscossione dell'imposta e
quello  all'attuazione  della  tutela  giurisdizionale,  il  primo e'
ritenuto   sufficientemente   garantito   dall'obbligo   imposto   al
cancelliere   di   informare   l'ufficio  finanziario  dell'esistenza
dell'atto  non registrato, ponendolo cosi' in grado di procedere alla
riscossione.  Discipline  di  contenuto sostanzialmente identico sono
state  introdotte  -  sia  pure  in tempi diversi - per le imposte di
successione, di bollo e sul valore aggiunto.
    7. -   Considerando  questo  tipo  di  bilanciamento  fra  i  due
interessi  alla  luce  del  principio  secondo  cui la garanzia della
tutela  giurisdizionale  posta  dall'articolo  24, primo comma, della
Costituzione  comprende  anche  la fase dell'esecuzione forzata - "la
quale  e'  diretta a rendere effettiva l'attuazione del provvedimento
giurisdizionale" (sentenza n. 321 del 1998) - appare evidente come la
scelta  compiuta dalla norma impugnata sia irragionevole e si risolva
anche in lesione dell'articolo 24 della Costituzione.
    Essa  infatti  comporta  che  la valutazione di bilanciamento fra
l'interesse  all'effettivita'  della  tutela giurisdizionale e quello
alla  riscossione  dei  tributi  sia  effettuata,  per  i due tipi di
processo,   in   modo   irragionevolmente   diverso:  l'inadempimento
dell'obbligazione   tributaria   -   che  pure  non  ha  precluso  lo
svolgimento  del  processo  di  cognizione  fino all'emanazione della
sentenza  (o di altro provvedimento esecutivo) ed ha determinato solo
la  comunicazione  da  parte del cancelliere all'ufficio del registro
degli  atti  non  registrati  - impedisce poi che alla sentenza (o al
provvedimento  esecutivo)  sia  data  attuazione mediante l'esercizio
della tutela giurisdizionale in via esecutiva.
    8. - Conclusivamente   deve  essere  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'articolo 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986,
nella  parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1
non  si  applica  al  rilascio  dell'originale  o  della  copia della
sentenza  o  di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere
utilizzato per procedere all'esecuzione forzata.
    Rimangono assorbiti gli altri profili di censura.