IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha   pronunciato   la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi  riuniti
nn. 2705/1996   e   4504/1996  R.G.,  proposti  dai  dott.  Guastalla
Gabriella,  Vinci  Sebastiano,  Pensabene  Lionti Nunzia, De Gregorio
Teresa,  Zammito  Maria, Biamonte Carmela Eliana, Di Buono Gabriella,
Cardella  Stefano,  Di  Cristina  Anna, Passalacqua Maria Antonietta,
tutti  rappresentati  e  difesi  dall'avv.  prof. Salvatore Pensabene
Lionti,  presso lo studio del quale sono elettivamente domiciliati in
Palermo, via G. Giusti n. 45;
    Contro  l'azienda  Unita'  sanitaria  locale  n. 6 di Palermo, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
in    giudizio   dall'avv. Francesco   Mistretta   ed   elettivamente
domiciliata  presso  lo studio dello stesso, in Palermo, via Liberta'
n. 171, limitatamente al ricorso rg. n. 2705/1996;
    Per l'annullamento:
        A)  quanto  al ricorso rg. n. 2705/1996, del silenzio rifiuto
formatosi  sull'istanza del 16 dicembre 1994 e sull'atto di diffida e
messa  in mora del 3 aprile 1996, e per il riconoscimento del diritto
al   trattamento   economico   e  giuridico  spettante  ai  psicologi
coadiutori   addetti  ai  servizi  psichiatrici  assunti  secondo  la
normativa precedente a quella prevista dal d.P.R. n. 761/1979;
        B)  quanto  al  ricorso  rg. n. 4504/1996, per l'annullamento
delle  note  del 26 luglio 1996 dell'azienda USL n. 6 di Palermo, con
le quali e' stata respinta la richiesta di riconoscimento del diritto
al   trattamento   economico   e  giuridico  spettante  ai  psicologi
coadiutori   addetti  ai  servizi  psichiatrici  assunti  secondo  la
normativa precedente a quella prevista dal d.P.R. n. 761/1979.
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'Amministrazione
depositato  in  data  12  giugno  2001,  relativamente al ricorso rg.
n. 4704/1996;
    Viste le memorie prodotte dai ricorrenti in data 27 giugno 2001;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore il referendario Maria Cristina Quiligotti;
    Uditi,  alla  pubblica  udienza  dell'11  luglio  2001, l'avv. S.
Pensabene  Lionti  per  le  ricorrenti  e  l'avv. Fulvio  Sinagra, in
sostituzione  dell'avv. Francesco  Mistretta,  per  l'Amministrazione
resistente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto:

                              F a t t o

    1. -   Con  il  ricorso  sub  A),  notificato il 28 giugno 1996 e
depositato il 3 luglio 1996 e con il ricorso sub B), notificato il 12
novembre  1996  e  depositato il giorno 28 seguente i dott. Guastalla
Gabriella,  Vinci  Sebastiano,  Pensabene  Lionti Nunzia, De Gregorio
Teresa,  Zammito  Maria, Biamonte Carmela Eliana, Di Buono Gabriella,
Cardella  Stefano,  Di  Cristina  Anna, Passalacqua Maria Antonietta,
premesso di essere "psicologi dirigenti di primo livello" in servizio
presso  il  dipartimento  di  salute mentale dell'azienda USL n. 6 di
Palermo,   di  svolgere,  sin  dalla  data  di  assunzione,  funzioni
psicoterapiche  e di avere richiesto all'Amministrazione (con istanze
del  dicembre  1994  ed  atto  di  diffida  del  3  aprile  1996)  il
riconoscimento  del  trattamento  economico  e giuridico spettante ai
psicologi  coadiutori addetti ai servizi psichiatrici assunti secondo
la  normativa  precedente  a  quella prevista dal d.P.R. n. 761/1979,
impugnano rispettivamente silenzio rifiuto formatosi sull'istanza del
16  dicembre 1994 e sull'atto di diffida e messa in mora del 3 aprile
1996,  nonche'  le  note  del 26 luglio 1996 dell'azienda USL n. 6 di
Palermo, con cui l'Amministrazione ha respinto tale richiesta.
    2. - Con  unico  articolato  motivo,  i  ricorrenti  deducono  in
entrambi  i  ricorsi  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 14,
legge  20  maggio  1985, n. 207, eccesso di potere per erroneita' dei
presupposti, violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
    3. - L'Amministrazione  si  e' costituita in giudizio depositando
memoria   in  data  12 giugno  2001,  limitatamente  al  ricorso  rg.
n. 2705/1996  con  la  quale ne ha dedotto l'infondatezza nel merito,
chiedendone il rigetto, con vittoria delle spese del giudizio.
    4. - Con  memorie  d'identico  contenuto  depositate il 27 giugno
2001,  i  ricorrenti  hanno insistito per l'accoglimento del gravame,
soffermandosi  in particolare sul fatto che l'art. 14, comma 3, della
legge 20 maggio 1985, n. 207;
        non sarebbe norma di interpretazione autentica;
        non sarebbe norma transitoria;
        sarebbe applicabile anche a coloro che non hanno acquisito il
diritto    alla    equiparazione    (tra   psicologi   con   funzioni
psicoterapeutiche e medici psichiatrici) a norma delle leggi 18 marzo
1969, n. 431, e 21 giugno 1971, n. 515.
    Osservano, inoltre, che:
        a)  "l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, con
la  nota  n. 32305 del 7 novembre 1997, ... ha espressamente ritenuto
che  l'equiparazione  tra  la figura di psicoterapeuta-psicologo e la
figura  di  psicoterapeuta-medico  risulta  in termini inequivoci dal
tenore  letterale dell'art. 3, comma 1, della legge n. 56/1989 e che,
i  decreti  del  Ministro della sanita' del 28 febbraio 1997 e del 31
luglio    1997,    che    hanno    previsto   che   soltanto   alcuni
psicoterapeuti-psicologi         siano         equiparati        agli
pscicoterapeuti-medici,   viola(no)   la   predetta  fonte  di  grado
primario";
        b) "qualora l'art. 14, comma 3, legge 20 maggio 1985, n. 207,
venisse  interpretato  in  senso  difforme  da  quello propugnato dai
ricorrenti,  la disposizione ... si porrebbe ... in contrasto con gli
artt. 3   e   36   Cost.",  dato  che,  per  "copiosa  giurisprudenza
costituzionale  ..., la discrezionalita' del legislatore incontra pur
sempre  il  limite  della  ragionevolezza,  con la conseguenza che la
norma non puo' in ogni caso avere un contenuto arbitrario e prevedere
una ingiustificata diversita' di trattamento rispetto alle situazioni
poste a raffronto ... a parita' di condizioni soggettive ed oggettive
di lavoro".
    5. - Alla  pubblica  udienza  dell'11  luglio  2001,  presenti  i
difensori  delle parti - che si sono riportati agli scritti difensivi
insistendo  nelle rispettive conclusioni - la causa e' stata posta in
decisione.

                            D i r i t t o

    1. - Va  preliminarmente  disposta  la  riunione dei due ricorsi,
stante la connessione oggettiva e soggettiva.
    2. -  I  ricorrenti,  psicologi  con  funzioni psicoterapiche, in
servizio  dalla  data  di  assunzione  con rapporto di dipendenza dal
Servizio   sanitario   nazionale,   assumono  di  avere  diritto,  in
applicazione  dell'art. 14,  comma  3,  della  legge  20 maggio 1985,
n. 207,    alla    equiparazione    giuridica    ed    economica   al
medico-psichiatrico;  cio'  in  quanto  l'articolo citato non sarebbe
norma  di interpretazione autentica, non avrebbe natura transitoria e
pertanto  sarebbe applicabile anche a coloro che - come le ricorrenti
- non hanno potuto beneficiare, a suo tempo, della equiparazione (tra
psicologi  con  funzioni  psicoterapeutiche  e  medici  psichiatrici)
stabilita  nella legge 18 marzo 1969, n. 431, e nella legge 21 giugno
1971, n. 515.
    L'assunto  di  parte  ricorrente  non puo' essere condiviso, alla
stregua  della  costante  ed uniforme giurisprudenza secondo la quale
l'art. 14,  comma 3, legge 20 maggio 1985, n. 207 (in forza del quale
"gli  psicologi  psichiatri, equiparati agli psichiatri a norma delle
leggi  18  marzo  1968,  n. 431,  e 21 giugno 1971, n. 515, in quanto
svolgenti  funzioni  psicoterapiche,  hanno  il trattamento giuridico
normativo di equiparazione anche ai fini dell'inquadramento nei ruoli
nominativi  regionali"),  ha natura interpretativa e transitoria, nel
senso   che   l'equiparazione   agli   psichiatri   degli   psicologi
psichiatrici  dipendenti  dalle  USL, ai fini dello svolgimento delle
funzioni  psicoterapiche  presso  ospedali  psichiatrici  o servizi e
centri  di  igiene mentale, spetta soltanto a coloro che alla data di
entrata  in  vigore del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, avevano gia'
acquisito il diritto a tale equiparazione sulla base della previgente
legislazione  (cfr.  da  ultimo,  Cons.  St.,  sez. V, 27 marzo 2000,
n. 1764).
    In  sostanza,  applicandosi  l'equiparazione ex art. 14, comma 3,
legge  n. 207/1985  soltanto in sede di primo inquadramento nei ruoli
nominativi  regionali, i relativi presupposti debbono sussistere alla
data prevista dal d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, che - come e' noto
-  da  tale  data  ha  attuato  il  nuovo  ordinamento  del personale
sanitario (ex legge n. 833/1978), nell'ambito del quale ha nettamente
separato  la  posizione  dei  medici  (tabella  A)  da  quella  degli
psicologi  (tabella  G)  (cfr.  in tal senso Tribunale amministrativo
regionale Lombardia sez. Brescia, 18 aprile 1998, n. 315).
    Ad  analoghe  conclusioni  e' pervenuto il Consiglio di giustizia
amministrativa, secondo il quale la ratio della equiparazione sancita
dall'art. 14,   comma  3,  cit.,  va  individuata  nella  sostanziale
omogeneita'  delle funzioni psicoterapeutiche svolte dal personale in
argomento  (psicologo  e medico) (C.g.a., Sez. giurisd., 28 settembre
1998, n. 537).
    Nella  stessa  ottica  argomentativa,  infine, si e' collocata la
suprema  Corte  di  cassazione, la quale (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav.,
13 luglio 2000, n. 9287) ha avuto modo di precisare:
        che  l'equiparazione degli psicologi psicoterapeuti ai medici
e'  stata prevista per un periodo limitato dalle leggi 18 marzo 1968,
n. 431  e  21  giugno  1971, n. 515, venendo poi meno a seguito della
riforma  sanitaria  attuata  con  la  legge  n. 833  del  1978  e  in
particolare  a  seguito  del  d.P.R.  20 dicembre 1979, n. 761, sullo
stato giuridico dei dipendenti delle USL;
        che  la  salvaguardia  delle  posizioni  pregresse,  prevista
dall'art. 14,  legge  20  maggio  1985,  n. 207,  riguarda  solo  gli
psicologi  che  abbiano  maturato il diritto alla equiparazione prima
dell'entrata  in  vigore  del  richiamato  d.P.R. n. 761 del 1979 (v.
anche:  Cons.  St.,  Sez.  IV,  10  luglio  1999,  n. 1206; Sez. V, 3
febbraio  1999,  n. 97;  C.g.a.,  Sez.  giurisd.,  26  febbraio 1998,
n. 105).
    Dunque,  puo' ritenersi "diritto vivente" il principio secondo il
quale         l'equiparazione        giuridico-economica        degli
psicologi-psicoterapisti al personale medico ha costituito, per cosi'
dire,  una parentesi temporalmente segnata dalle leggi 18 marzo 1968,
n. 431  e  21 giugno 1971, n. 515, ed in ultimo dalla data di entrata
in  vigore  delle nuove qualifiche di cui al d.P.R. 20 dicembre 1979,
n. 761;  una parentesi rispetto alla quale il ricorrente non puo' che
restare escluso per il solo fatto di essere stato assunto in servizio
in epoca successiva.
    2. - Cio'   posto,   il   collegio   ritiene   rilevante   e  non
manifestamente  infondata  la  dedotta questione di costituzionalita'
dell'art. 14,  comma  3,  della  legge  20 maggio 1985, n. 207, nella
parte  in  cui, a prescindere dalla immutata posizione lavorativa del
personale  in  argomento  (relativamente ai ricorrenti l'esercizio di
funzioni  psicoterapeutiche  risulta  da  vari  attestati prodotti in
causa),      prevede      un      diverso     inquadramento     degli
psicologi-psicoterapeuti  solo  per  effetto  del  tempo  della  loro
assunzione:  se prima o dopo la data del 20 dicembre 1979, di entrata
in vigore del d.P.R. n. 761 cit.
    Non  ignora  il  collegio  che  la Corte costituzionale ha sempre
sancito che:
        in  materia  di inquadramento ed articolazione delle carriere
nel  pubblico impiego, il legislatore gode di ampia discrezionalita',
censurabile  soltanto  per  arbitrarieta' o irragionevolezza, tali da
ledere  il principio di buon andamento della pubblica amministrazione
ovvero  determinare  discriminazioni  tra soggetti interessati (Corte
cost., 22 luglio 1999, n. 344; 30 aprile 1999, n. 151);
        la  discrezionalita'  del  legislatore  nella  determinazione
della  perequazione  del trattamento economico di diversi settori dei
pubblici  dipendenti  entro il limite della ragionevolezza comprende:
a)  la  differenziazione del trattamento economico di categorie prima
egualmente  retribuite,  che  di per se' non incorre nella violazione
degli  artt. 3  e  36  Cost.; b) la possibilita' che siano attribuite
voci  retributive  o  indennita'  particolari in maniera uniforme per
personale appartenente a figure e livelli differenti, purche', in tal
caso,   non   vi   siano  appiattimenti  retributivi  o  altre  forme
sintomatiche  di  palese  arbitrarieta';  c)  la  modificabilita'  in
aumento   o   in   diminuzione   dei   livelli   retributivi;  d)  la
riunificazione  di trattamenti economici (Corte cost. 30 aprile 1999,
n. 151).
    Ma non puo' trascurarsi di considerare anche come la stessa Corte
abbia    puntualmente    individuato   parametri   ben   precisi   di
ragionevolezza, circa le scelte legislative in materia, come:
        la   necessita'   che   la  qualifica  di  inquadramento  sia
rapportata  alle  funzioni  realmente  espletate (quindi senza tenere
conto   di   criteri  meramente  nominalistici  -  cfr.  Corte  cost.
29 settembre 1983, n. 278);
        la  necessita'  che  le  differenziazioni degli inquadramenti
trovino   riscontro  nelle  esigenze  proprie  del  "riassetto  degli
ordinamenti",  allorche'  si perseguano obiettivi di omogeneizzazione
di  carriere,  attribuzioni  e trattamenti economici e di sostanziale
equiordinazione dei compiti, raggiungibili, appunto, anche attraverso
modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le opportune disposizioni
transitorie relative agli inquadramenti (25 maggio 1999, n. 189).
    Nella  specie,  tali limiti non sembrano rispettati, in quanto il
confine   temporale   segnato   dal   20   dicembre   1979,  ai  fini
dell'applicazione  dell'art. art. 14, comma 3, legge n. 207/1985, non
appare      collegabile      ad     alcun     effettivo     mutamento
organizzativo-funzionale-professionale  del  personale  in argomento;
ne'  ad  un effettivo cambiamento di mansioni (si vedano in tal senso
le  attestazioni di servizio prodotte dai ricorrenti, tutte indicanti
lo svolgimento di specifiche attivita' psicoterapeutiche).
    Anzi, la perdurante omogeneita' delle posizioni lavorative svolte
dagli psicologi-psicoterapeuti (e quindi il perdurare dei presupposti
dell'equiparazione  funzionale  col personale medico psicoterapeuta),
risulta  ulteriormente  evidenziata  dal  quadro normativo successivo
alla  data di entrata in vigore del d.P.R. 20 dicembre 1976, n. 761 e
della stessa legge 20 maggio 1985, n. 207.
    In particolare rilevano:
        l'art. 3,  legge  18  febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della
professione  di  psicologo)  che, dettando, al comma 1, la disciplina
per  "l'esercizio  dell'attivita'  psicoterapeutica", a) individua un
unico  quadro  formativo  sia  per  i  laureati  in psicologia che in
medicina e chirurgia; b) sancisce, al comma 3, che entrambe le figure
professionali,   lo  psicoterapeuta  e  il  medico  curante,  "previo
consenso  del paziente ..., sono tenuti alla reciproca informazione",
ognuno nel proprio ambito professionale (comma 2);
        l'art. 35   della   stessa   legge   n. 56  (come  modificato
dall'art. 1,  comma  2,  legge  n. 4/1999)  che  consente l'esercizio
dell'attivita'  psicoterapeutica a coloro i quali, medici o psicologi
siano  iscritti  al  relativo  ordine  e  siano  in  possesso di "una
specifica  formazione professionale in psicoterapia"; articolo, a sua
volta, richiamato dall'art. 2, comma 3, della legge 29 dicembre 2000,
n. 401 di cui infra;
        la   unitarieta'   del   regime   delle   incompatibilita'  e
dell'attivita'   libero-professionale   intramuraria  originariamente
disposta  per  il solo personale medico del S.S.N. dall'art, 4, comma
7,  legge  30  dicembre  1991,  n. 412,  e  quindi  estesa a tutto il
personale  del  S.S.N.  dall'art. 1, comma 5, legge 23 dicembre 1996,
n. 662;  cui  ha  fatto  seguito  l'art. 3 del d.P.C.M. 27 marzo 2000
("Atto   di   indirizzo   e   coordinamento  concernente  l'attivita'
liberoprofessionale   intramuraria   del  personale  della  dirigenza
sanitaria  del  Servizio  sanitario  nazionale"  -  nella G.U.R.I. 26
maggio  2000,  n. 121  -) che espressamente accomuna gli psicologi al
personale  medico: ("Le disposizioni del presente atto di indirizzo e
coordinamento,     relative     all'attivita'    libero-professionale
intramuraria ed alle modalita' per garantire la progressiva riduzione
delle  liste  d'attesa per le attivita' istituzionali, si applicano a
tutto  il  personale medico chirurgo odontoiatra, veterinario e delle
altre   professionalita'   della  dirigenza  del  ruolo  sanitario  -
farmacisti,  biologi,  chimici, fisici e psicologi - nonche', ai soli
fini   dell'attribuzione   degli  incentivi  economici,  al  restante
personale  sanitario  dell'equipe  ed  al personale che collabora per
assicurare l'esercizio dell'attivita' libero-professionale");
        l'art.  2,  comma  3,  della  legge  29 dicembre 2000, n. 401
("Norme  sull'organizzazione e sul personale del settore sanitario"),
che - occupandosi di personale del S.S.N. - cosi' dispone: "il titolo
di  specializzazione  in  psicoterapia,  riconosciuto, ai sensi degli
articoli   3   e  35  della  legge  18  febbraio  1989,  n. 56,  come
equipollente  al  diploma  rilasciato  dalle corrispondenti scuole di
specializzazione  universitaria, deve intendersi valido anche ai fini
dell'inquadramento  nei posti organici di psicologo per la disciplina
di   psicologia  e  di  medico  o  psicologo  per  la  disciplina  di
psicoterapia,  fermi  restando gli altri requisiti previsti per i due
profili professionali".
    Effettivamente,  pertanto, anche il piu' recente quadro normativo
(ed  in particolare tale ultima disposizione) evidenzia la perdurante
ed  invariata  peculiarita'  della posizione lavorativa-professionale
degli   psicologi  con  funzioni  psicoterapeutiche,  sicche'  appare
oggettivamente     difficile     cogliere    una    qualche    ratio,
costituzionalmente  valida,  tale  da giustificare la discriminazione
"temporale"   operata,   ai  fini  dell'inquadramento,  dall'art. 14,
comma 3,   legge   n. 207/1985,   cosi'   come   interpretato   dalla
giurisprudenza sopra richiamata.
    Si  aggiunga  che  la  questione relativa all'unitaria disciplina
dell'attivita'  libero-professionale intramuraria di psicoterapia fu,
a suo tempo, sollevata dall'Autorita' garante della concorrenza e del
mercato,  con  apposita  segnalazione  (v. in atti la nota 7 novembre
1997,   n. 32305),  nella  quale,  richiamata  la  equiparazione  tra
psicoterapeutapsicologo     e     psicoterapeuta-medico    risultante
dall'art. 3,   comma   1,  della  citata  legge  n. 56/1989,  ritenne
illegittimi i decreti del Ministro della sanita' del 28 febbraio 1997
e  del  31  luglio  1997  nella  parte  in  cui  limitavano  la detta
equiparazione  soltanto ad alcuni psicoterapeuti-psicologi, alterando
la  concorrenza professionale tra psicologi e medici. In particolare,
secondo quanto risulta dalla nota in atti del 7 novembre 1997 a firma
del  segr.  gen. della detta Autorita', nella adunanza del 30 ottobre
1997,  fu  testualmente segnalato al Ministro della sanita', ai sensi
dell'art. 21 della legge n. 287/1990:
        a)    "...    che    l'equiparazione   tra   la   figura   di
psicoterapeuta-psicologo e la figura di psicoterapeuta-medico risulta
in  termini inequivoci dal tenore letterale dell'art. 3, primo comma,
della  legge  n. 56/1989  e che, pertanto, qualsiasi fonte secondaria
che  non  si  uniformi  alla scelta operata dal legislatore in quella
sede  appare - oltre che in palese contrasto con il principio dettato
dalla  legge  - suscettibile di introdurre ingiustificate distorsioni
nella   concorrenza  tra  le  predette  due  figure,  in  particolare
attraverso  la  creazione  di  barriere  all'esercizio dell'attivita'
professionale in danno degli psicoterapeuti-psicologi";
        b)   "...   che,  sebbene  le  problematiche  attinenti  alle
limitazioni  imposte  agli  psicoterapeuti-psicologi  dipendenti  del
S.S.N.   nell'esercizio  di  attivita'  libero-professionale  privata
sembrassero   superate   dall'art. 1,   quinto   comma,  della  legge
n. 662/1996,  nell'ambito  del quale il legislatore ha eliminato ogni
riferimento  ai  "medici"  -  contenuto  nella  legge  n. 412/1991 -,
adottando   una  definizione  piu'  generica,  quella  di  "personale
dipendente  del Servizio sanitario nazionale", come tale suscettibile
di  riguardare  anche  gli  psicoterapeuti-psicologi, i decreti sopra
ricordati hanno previsto che soltanto alcuni psicoterapeuti-psicologi
siano   equiparati  agli  psicoterapeuti-medici,  in  violazione  del
principio  sancito  dal  predetto  art.  3,  primo comma, della legge
n. 56/1989".
    Da  tale  segnalazione  scaturi'  il  d.m.  28  novembre 1997 del
Ministero  della  sanita' (recante: "estensione della possibilita' di
esercizio  di  libera  attivita'  professionale  agli  psicologi  che
svolgono  funzioni  psicoterapeutiche", pubblicato nella G.U.R.I. del
24 febbraio 1998, n. 45) nelle cui premesse e' dato leggere:
        che  "... fra i destinatari delle disposizioni sull'attivita'
libero-professionale  extramuraria, di cui al ... d.m. 31 luglio 1997
del  Ministro  della  sanita'"  vanno  ricompresi  anche  "tutti  gli
psicologi che svolgono funzioni psicoterapeutiche";
        che   (e   cio'   rileva  significativamente  nella  presente
fattispecie)   "la   eliminazione   di   non   giustificati   vincoli
all'esercizio   dell'attivita'  psicoterapeutica,  anche  quando  sia
svolta   nell'ambito  di  un  rapporto  di  dipendenza  dal  Servizio
sanitario  nazionale ...", costituisce "... un obiettivo di interesse
generale  alla  luce  del  quale  e' doveroso rimuovere ogni forma di
discriminazione fra la figura di psicoterapeuta-psicologo e la figura
di psicoterapeuta-medico".
    E  gli  esatti profili della rilevata discriminazione (come anche
la  pertinenza  degli  stessi  con la controversia in esame) emergono
chiaramente dalla parte dispositiva del citato d.m. 28 novembre 1997,
consistente nella elisione (dall'art. 2, comma 2, del precedente d.m.
31  luglio  1997,  concernente  la  stessa materia) della limitazione
dell'attivita'  di  psicoterapia  ai  soli  psicologi: "equiparati ai
medici  psichiatri a norma della legge 18 marzo 1968, n. 431, e della
legge  21  giugno  1971,  n. 515";  ossia  proprio la limitazione che
emerge  dall'art. 14,  comma  4,  della  legge  n. 207/1985 della cui
legittimita' costituzionale il collegio dubita.
    In  sostanza, dal complesso contesto normativo e regolamentare di
cui  sopra,  successivo  alla  stessa legge n. 207/1985, sembra possa
agevolmente  desumersi  che  gli  psicologi-psicoterapeuti del S.S.N.
erano    e    sono    tuttora    impegnati    sul    medesimo   piano
operativo-professionale   dei  medici-psicoterapeuti,  che  nulla  e'
cambiato, sotto tale aspetto, dopo il 20 dicembre 1979 (di entrata in
vigore del d.P.R. n. 761/1979), onde - ancora una volta - non e' dato
cogliere alcuna ragione costituzionalmente accettabile in forza della
quale  potere  affermare  la  razionalita'  della scelta legislativa,
(operata con l'art. 14, comma 3, della legge 20 maggio 1985, n. 207),
di      limitare     l'eguale     inquadramento     col     personale
medico-psicoterapeuta  ai soli psicologi in servizio alla data del 20
dicembre del 1979, gia' fruitore delle disposizioni di cui alle leggi
nn. 431/1968 e 515/1971.
    Anzi,   proprio   il  susseguirsi  di  disposizioni  normative  e
regolamentari   tutte  univocamente  nel  senso  della  perdurante  e
costante  equiparazione del personale in parola finisce col rimarcare
ulteriormente la non manifesta razionalita' di una scelta legislativa
che  in  tutto  e  per  tutto  accomuna le dette figure professionali
tranne  che  ai  fini  dell'inquadramento nei ruoli del S.S.N., fatta
salva  la  inspiegabile  "finestra  temporale"  (di  cui  alla  norma
denunciata)  segnata,  a  monte,  dalle  citate  leggi nn. 431/1968 e
515/1971  e,  a  valle,  dalla  data  di entrata in vigore del d.P.R.
n. 761/1979.
    Cio'     posto,     il     collegio,     rilevato     che     gli
psicoterapeuti-psicologi   assunti  -  come  nel  caso  di  specie  -
successivamente  alla data del 20 dicembre 1979 svolgono, nell'ambito
del  S.S.N.,  la  stessa  identica attivita' di quelli assunti prima,
soggiacendo  alla  stessa  disciplina  giuridica,  sia  per  cio' che
concerne  i  diritti,  sia  per  cio'  che  riguarda  gli obblighi di
servizio,  sussistono  tutti  gli  elementi di fatto e di diritto per
sospettare che l'art. 14, comma 3, della legge 20 maggio 1985, n. 207
(cosi'   come   fino   ad   oggi   costantemente  interpretato  dalla
giurisprudenza)  sia  inficiato  da eccesso di potere legislativo per
irragionevolezza e quindi in contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost.
    Non  manifestamente  infondata appare, poi, la dedotta violazione
dell'art. 97  della  Costituzione,  dato  che  secondo l'insegnamento
della   stessa  Corte  costituzionale  (cfr.  sent.  n. 301/1985)  un
naturale  rapporto  di  corrispondenza  tra  qualifiche,  mansioni  e
trattamenti  economici  costituisce  elemento essenziale dello stesso
principio di imparzialita' e di buon andamento della P.A.