ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1-bis 6-bis
6-ter  del  decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279 (Interventi urgenti
per  le  aree  a  rischio idrogeologico molto elevato e in materia di
protezione civile, nonche' a favore delle zone della Regione Calabria
danneggiate  dalle  calamita'  idrogeologiche di settembre ed ottobre
2000),   con-vertito   nella   legge   11 dicembre  2000,  n. 365,  e
dell'art. 2  della  stessa  legge, promossi con ricorsi delle Regioni
Toscana,  Veneto,  Emilia-Romagna,  Friuli-Venezia Giulia, Lombardia,
Piemonte  e  Liguria,  notificati  il  5,  il 9 e il 10 gennaio 2001,
depositati  in  cancelleria  l'11, il 16, il 17 e il 18 successivi ed
iscritti ai nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 del registro ricorsi 2001.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri.
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22 ottobre  2002  il  giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Uditi  gli  avvocati Massimo Luciani per la Regione Toscana e per
la Regione Lombardia, Luigi Manzi per la Regione Veneto, Giandomenico
Falcon  e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi
e  Luigi  Manzi  per la Regione Friuli-Venezia Giulia, Anita Ciavarra
per  la  Regione Piemonte, Gustavo Romanelli per la Regione Liguria e
l'Avvocato  dello  Stato  Maurizio  Fiorilli  per  il  Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato il 5 gennaio 2001 e depositato il
successivo   11 gennaio   2001,  la  Regione  Toscana  ha  denunciato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2 della legge 11 dicembre
2000,   n. 365   (Conversione   in   legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge  12 ottobre  2000,  n. 279, recante "Interventi urgenti
per  le  aree  a  rischio idrogeologico molto elevato e in materia di
protezione civile, nonche' a favore delle zone della Regione Calabria
danneggiate  dalle  calamita'  idrogeologiche di settembre ed ottobre
2000"),  nella  parte in cui prevede che nelle Regioni danneggiate da
calamita'  naturali (tra le quali rientrerebbe la Regione ricorrente)
il taglio dei boschi, in zone con vincolo idrogeologico, debba essere
autorizzato  dal  Sindaco, previo parere della competente commissione
del comune, dell'autorita' di bacino, del Corpo forestale dello Stato
competente per territorio, della sovrintendenza competente in materia
di  beni  ambientali,  e  della  Regione. Secondo la ricorrente detta
disposizione  si  porrebbe  in contrasto con gli artt. 3, 5, 97, 117,
118, primo comma, e 128 della Costituzione.
    Nel  ricorso  si  osserva  che  le  funzioni relative alla tutela
idrogeologica   del   territorio   comprensive  degli  interventi  di
trasformazione e taglio dei boschi sono state trasferite alle Regioni
per   effetto   dell'art. 69   del   d.P.R.  24 luglio  1977,  n. 616
(Attuazione  della  delega  di  cui  all'art. 1 della legge 22 luglio
1975,  n. 382);  il  piu'  recente decreto legislativo 4 giugno 1997,
n. 143  (Conferimento  alle  regioni delle funzioni amministrative in
materia     di     agricoltura    e    pesca    e    riorganizzazione
dell'Amministrazione  centrale),  in  attuazione della legge 15 marzo
1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per il conferimento di funzioni e
compiti  alle  regioni  ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione  e  per  la  semplificazione amministrativa), avrebbe
attribuito  alla  competenza  delle  regioni  anche  le  funzioni e i
compiti inerenti alla materia dell'agricoltura.
    In  attuazione  del mutato quadro legislativo, la Regione Toscana
con  leggi  23 gennaio  1989,  n. 10  (Norme generali per l'esercizio
delle  funzioni  amministrative  in  materia di agricoltura, foreste,
caccia  e  pesca),  18 gennaio  1990,  n. 1 (Norme transitorie per la
tutela  dei  boschi),  e  21 marzo 2000, n. 39 (Legge forestale della
Toscana),  avrebbe  interamente disciplinato la materia relativa alla
tutela  idrogeologica del territorio, individuando nella provincia il
soggetto istituzionalmente competente a svolgere le relative funzioni
amministrative  con  una  disciplina  organica ed articolata volta ad
assicurare   il   controllo   puntuale   anche  del  taglio  e  della
trasformazione dei boschi.
    1.1. - Da  questa  premessa ricostruttiva del quadro normativo di
riferimento  la  Regione  fa  discendere  il  contrasto  della  norma
impugnata con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    In  particolare,  la  ricorrente  osserva  che  la  norma statale
impugnata  - attribuendo ai comuni la funzione di rilasciare il nulla
osta  per il taglio dei boschi - violerebbe "la competenza attribuita
alle  Regioni  di  allocare  le  funzioni  degli  enti locali, previa
individuazione  degli  interessi sottesi all'esercizio della funzione
medesima". Questa competenza regionale sarebbe "conforme all'art. 128
della  Costituzione,  in  base  al quale le province ed i comuni sono
enti  autonomi  nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali
della  Repubblica, che ricomprenderebbero anche quelle regionali. Ne'
l'invasione  di  competenze  sarebbe  giustificata, sempre secondo la
Regione,  dall'emergenza indotta dalle forti piogge che hanno colpito
alcune  regioni  nell'autunno  del 2000, atteso che, come emergerebbe
dai   lavori  parlamentari,  la  disposizione,  mirando  a  prevenire
ulteriori  rischi idrogeologici, sarebbe destinata ad operare anche a
regime.
    Con riferimento all'art. 118, primo comma, della Costituzione, la
ricorrente rileva come detta norma consentirebbe l'attribuzione dallo
Stato   agli   enti  locali  soltanto  delle  funzioni  di  interesse
esclusivamente   locale   adducendo,   inoltre,  l'illogicita'  e  il
contrasto  con  il  principio  di buon andamento e di uguaglianza del
radicale  e  repentino  mutamento  delle scelte effettuate sia con il
d.P.R.  n. 616  del  1977  e  poi  con il d.lgs. n. 143 del 1997, tra
l'altro solo per quelle Regioni colpite dalle alluvioni nel 2000.
    Sulla   base  di  queste  argomentazioni  la  Regione  assume  la
violazione,   oltre  che  dell'art. 118,  primo  comma,  anche  degli
artt. 3, 5 e 97 della Costituzione.
    1.2. - Nell'ultima  parte del ricorso, la difesa della Regione si
sofferma sul contrasto della norma censurata con il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione, affermando l'incongruenza e
l'irrazionalita'  della  disposizione  rispetto al fine perseguito: i
comuni,  infatti,  non  svolgendo  funzioni  in  materia  di  assetto
idrogeologico del territorio, non potrebbero utilmente intervenire su
un  "segmento  isolato"  per  garantire  quella tutela preventiva che
dovrebbe costituire la ratio della norma impugnata.
    Sarebbe,  inoltre,  contraria  al  principio di razionalita' e di
buona  amministrazione  la previsione di taluni pareri che il Sindaco
deve acquisire prima di poter concedere il nulla osta.
    La   ricorrente   conclude   sottolineando  che  la  disposizione
impugnata,   cosi'   come   strutturata,  risulterebbe  di  difficile
applicazione,  con la conseguenza di paralizzare di fatto il rilascio
del  nulla  osta  e di rendere difficoltosa l'effettuazione di quegli
interventi  silvicolturali  necessari  per evitare l'ostruzione delle
sezioni idrauliche da parte di piante divenute instabili.
    1.3. - E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
premettendo  che il decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279 (Interventi
urgenti  per  le  aree  a  rischio  idrogeologico  molto elevato e in
materia  di  protezione  civile,  nonche'  a  favore delle zone della
Regione   Calabria  danneggiate  dalle  calamita'  idrogeologiche  di
settembre ed ottobre 2000), ha costituto la "risposta unitaria ad una
grave  emergenza  idrogeologica  determinata  e evidenziata da severe
turbazioni atmosferiche";
    In  ordine  al lamentato contrasto dell'art. 2 della legge n. 365
del 2000 con gli artt. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione, la difesa
erariale  ha  osservato  che  le  censure sono prive di fondamento se
rapportate "alle ragioni di fatto" che hanno determinato le modifiche
legislative  in  materia  di  tutela  del  suolo.  In particolare, si
ritiene  che:  1)  la limitazione di applicazione delle previsioni in
esame  soltanto  alle  regioni  nelle  quali  si  sono  verificate le
calamita'   nell'anno   2000,   lungi   dal   violare   il   precetto
costituzionale  di  cui all'art. 3, dimostrerebbe la stretta inerenza
dell'intervento   legislativo   alle   necessita'   sopravvenute;  2)
l'attribuzione  al  Sindaco  di  specifiche  competenze in materia di
taglio degli alberi risulterebbe necessaria per garantire omogeneita'
agli interventi di deforestazione del territorio ed un controllo piu'
puntuale  in funzione di prevenzione di eventuali ed ulteriori eventi
calamitosi;   3)   il   "rafforzamento"   della   procedura  mediante
l'intervento  di  piu'  soggetti  sarebbe  "funzionale  da un lato al
rispetto  delle  competenze  di  ciascun  ente  o  organo  coinvolto,
dall'altro  alla  ponderazione nella emissione di un provvedimento il
cui effetto e' in ogni caso un impoverimento delle difese del suolo".
    2. - Con  ricorso  notificato  il  9 gennaio 2001 e depositato il
successivo  16 gennaio,  la  Regione  Veneto impugna lo stesso art. 2
della  legge 11 dicembre 2000, n. 365, per contrasto con gli artt. 3,
5,  97, 117, 118 della Costituzione e con il principio costituzionale
di  leale  collaborazione;  nonche'  l'art. 6-bis  del  decreto-legge
n. 279  del  2000,  nel  testo  modificato dalla legge di conversione
n. 365  del  2000 nella parte in cui autorizza le autorita' di bacino
di  rilievo  nazionale,  e  non  anche  le  Regioni,  a trasformare i
rapporti  di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo
indeterminato,  per  violazione  degli  artt. 3,  35,  97 e 117 della
Costituzione.
    2.1. - Con  riferimento  al  primo ordine di censure - per quanto
attiene   alla   Costituzione  -  si  riprendono  sostanzialmente  le
argomentazioni  contenute  nel  ricorso  della  Regione Toscana sopra
riportate.
    La  ricorrente  sottolinea  di  aver  emanato  apposite leggi per
disciplinare  il  settore:  legge  13 settembre  1978,  n. 52  (Legge
forestale  regionale);  legge 15 gennaio 1985, n. 8 (Riorganizzazione
delle funzioni forestali); art. 20 della legge regionale 14 settembre
1994,  n. 58 (Provvedimento generale di rifinanziamento e di modifica
di  leggi  regionali in corrispondenza dell'assestamento del bilancio
di previsione per l'anno finanziario 1994).
    Il  descritto assetto normativo regionale sarebbe stato, continua
la  ricorrente,  violato  dall'art. 2  della  legge statale impugnata
senza che l'espropriazione delle attribuzioni regionali possa trovare
una  giustificazione nella sussistenza di un interesse nazionale alla
disciplina del settore.
    Tuttavia  -  prosegue  la ricorrente - "anche a voler per assurdo
ammettere  che  il  legislatore  statale  abbia  voluto  ravvisare la
sussistenza   di   un  interesse  nazionale  nella  norma,  una  tale
qualificazione  della  norma  si  pone in violazione del principio di
leale   collaborazione   tra  Stato  e  Regioni,  essendone  evidente
l'irragionevolezza nel caso di specie".
    2.2. - L'art. 2 della legge n. 365 del 2000 si porrebbe, inoltre,
in  contrasto,  nella  prospettiva della ricorrente, con gli artt. 3,
97, 117 e 118 della Costituzione.
    Anzitutto,  perche'  i comuni di piccole dimensioni - in cui sono
prevalentemente  localizzati  i  boschi  - spesso non sono dotati dei
necessari mezzi strumentali e delle risorse umane.
    In  secondo luogo, la complessa articolazione del procedimento di
rilascio  del  nulla  osta rischierebbe di determinarne, di fatto, la
paralisi,  con le negative conseguenze gia' evidenziate dalla Regione
Toscana.
    Infine, si osserva come la norma censurata "appaia manifestamente
irragionevole e lesiva delle norme di cui agli artt. 3, 97, 117 e 118
della  Costituzione  anche  per  avere  attribuito  una  funzione  di
primaria  rilevanza  per la salvaguardia del territorio ad un ente il
comune  le  cui  dimensioni  sono  del  tutto  inidonee a valutare in
un'ottica d'insieme le esigenze di tutela idrogeologica".
    2.3. - Con   riferimento   al   secondo  ordine  di  censure,  la
ricorrente assume l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6-bis del
decreto-legge n. 279 del 2000 per contrasto con gli artt. 3, 35, 97 e
117 della Costituzione.
    La  norma  impugnata  attribuisce  alle  Autorita'  di  bacino di
rilievo  nazionale  il  potere  di  trasformare,  in  via immediata e
diretta, i rapporti di lavoro a tempo determinato instaurati ai sensi
del  decreto-legge  11 giugno  1998,  n. 180  (Misure  urgenti per la
prevenzione  del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite
da  disastri  franosi  nella  regione  Campania)  in rapporti a tempo
indeterminato.
    Tale potere non sarebbe stato concesso anche alle Regioni come si
desumerebbe   dal  successivo  art. 6-ter  che  prevede  una  analoga
facolta'  di  stabilizzazione  dei  rapporti  a  termine soltanto per
quelli  instaurati  dalle Regioni interessate dalla crisi sismica del
27 settembre 1997.
    Da  qui  l'assunta  violazione  dell'autonomia costituzionalmente
garantita  in  materia  di personale dall'art. 117 della Costituzione
alle Regioni.
    2.4. - Si    ritiene,    altresi',   che   la   norma   censurata
contrasterebbe  con  gli artt. 3, 9 e 117 della Costituzione, nonche'
con  il  principio  di leale collaborazione, in quanto la stessa, pur
avendo posto a carico delle regioni nuovi adempimenti ed anticipato i
termini per la loro esecuzione, le avrebbe, al contempo, private (non
consentendo  la  conversione dei rapporti di lavoro) delle necessarie
professionalita'  per lo svolgimento di tali attivita'. Se sussistono
esigenze  di  continuita'  dell'azione  amministrativa  - prosegue la
difesa della ricorrente - "tali da far ritenere necessario introdurre
una  deroga  relativamente  alle assunzioni delle autorita' di bacino
nazionale,  le  stesse  esigenze non possono non sussistere in uguale
misura anche per le Regioni".
    Sotto  altro  profilo,  si  osserva,  infine, che le disposizioni
denunciate sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 35, 97 e 117 della
Costituzione,   perche'   introdurrebbero   una  differenziazione  di
disciplina   rispetto  ai  rapporti  di  lavoro  regolamentati  dalla
medesima  fonte normativa (decreto-legge n. 180 del 1998) e aventi la
medesima  natura.  Da  qui  la  violazione,  oltre che dell'autonomia
regionale   e   del   principio   di   buon   andamento   dell'azione
amministrativa,  del  principio di uguaglianza tra lavoratori assunti
da enti diversi.
    2.5. - E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ribadisce   le   premesse  gia'  svolte  nel  precedente  atto  e  le
considerazioni  sopra  riportate in ordine all'assunta illegittimita'
costituzionale dell'art. 2 della legge n. 365 del 2000.
    Per  quanto  attiene  all'art. 6-bis del decreto-legge n. 279 del
2000,  la  difesa  erariale  sottolinea  che, nel valutare la portata
della disposizione, occorre tenere conto delle straordinarie esigenze
di   personale   derivanti   dalle   nuove   attribuzioni   assegnate
all'Autorita'  di  bacino di rilievo nazionale. La razionalita' della
soluzione  adottata  troverebbe conferma nella disposizione contenuta
nell'art. 6-ter   del   citato  decreto-legge,  che  prevede  analoga
facolta' di assunzione per le Regioni e gli enti locali colpiti dalla
crisi sismica del 27 settembre 1997.
    3. - Con  ricorso  notificato  il 10 gennaio 2001 e depositato il
successivo   16 gennaio   la  Regione  Emilia-Romagna  ha  impugnato:
l'art. 1-bis  commi  2,  3, 4 e 5, del decreto-legge 12 ottobre 2000,
n. 279,  inserito,  in  sede  di conversione, dalla legge 11 dicembre
2000,  n. 365,  per  contrasto con gli artt. 5, 9, 44, secondo comma,
117, 118 della Costituzione, e 3 e 97 della Costituzione, nonche' con
il  principio  di  leale collaborazione; l'art. 2, commi 1 e 2, della
predetta  legge,  per  contrasto  con  gli  artt. 5, 117, 118, 3, 44,
secondo  comma,  e 97 della Costituzione; gli artt. 6-bis e 6-ter del
decreto-legge  citato,  per  contrasto  con  gli  artt. 3  e 97 della
Costituzione.
    3.1. - In  relazione  al  primo  ordine  di censure la ricorrente
premette  che i piani di bacino - disciplinati dalla legge n. 183 del
1989  possono  essere realizzati anche per stralci relativi a settori
funzionali  (art. 17,  comma  6-ter)  che,  a  norma  dell'art. 1 del
decreto-legge  n. 180  del  1998,  le  autorita' di bacino di rilievo
nazionale,  interregionale  e  regionale  devono  adottare  entro  il
30 giugno 2001.
    Sulla  base  di  queste  disposizioni  e'  stato adottato in data
11 luglio   1999   il   progetto  di  piano  stralcio  per  l'assetto
idrogeologico  - relativo al bacino di rilievo nazionale del fiume Po
-   dalla   preposta   autorita'   di   bacino.  Aperta  la  fase  di
partecipazione  di  cui  all'art. 18, commi 3, 4, 5, 6, 7, e 8, della
legge  n. 183  del  1989  sarebbero  all'esame  dei competenti uffici
regionali  -  continua  la  ricorrente - le osservazioni pervenute ai
fini  delle controdeduzioni sulle stesse e del parere sul progetto di
piano (art. 18, comma 9, della legge n. 183 del 1989).
    3.2. - In   tale   situazione  di  diritto  e  di  fatto  sarebbe
intervenuta  la  norma  impugnata che avrebbe, secondo la ricorrente,
innovato   la   disciplina  prevista  dalla  legge  n. 183  del  1989
stabilendo quanto segue:
        a)  l'adozione" dei piani di stralcio deve essere effettuata,
sulla  base degli atti e dei pareri disponibili, non oltre il termine
perentorio  del  30 aprile  2001  per  i  progetti  di piano adottati
antecedentemente  alla  legge  di  conversione del decreto n. 279 del
2000  (comma  2), situazione in cui si troverebbe il piano del bacino
del  Po. Dalla formulazione letterale della riportata disposizione si
desumerebbe,   secondo   la  ricorrente,  la  possibilita'  di  poter
prescindere  dal preventivo parere delle competenti regioni anche per
la complessita' del contenuto del parere stesso e la ristrettezza dei
termini previsti;
        b)   le   Regioni   convocano  una  conferenza  programmatica
(articolata  per sezioni provinciali o per altro ambito territoriale)
ai  fini  dell'adozione  e  attuazione  dei piani di stralcio e della
necessaria  coerenza  tra  pianificazione  di bacino e pianificazione
territoriale,  alla  quale  partecipano,  oltre  alla regione e ad un
rappresentante  dell'autorita'  di  bacino,  le  province  e i comuni
interessati (comma 3). Detta conferenza esprime un parere - che tiene
luogo  di  quello di cui all'art. 18, comma 9, della legge n. 183 del
1989  -  sul  progetto  di  piano  con  particolare  riferimento alla
integrazione  a scala provinciale e comunale dei contenuti del piano,
prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche;
delle  determinazioni  della conferenza deve tenere conto l'autorita'
di  bacino  in  sede  di  adozione del piano (comma 4). La ricorrente
ritiene,  da  un  lato, che il parere della conferenza programmatica,
alla  luce  del chiaro dettato normativo, sostituisce il parere della
regione  di  cui  all'art. 18,  comma 9, della legge n. 183 del 1989;
dall'altro che il predetto parere e' "ugualmente eventuale".
    In  conclusione,  secondo la Regione Emilia-Romagna, le riportate
disposizioni    normative   determinerebbero   un   esautoramento   o
restringimento  delle  attribuzioni  regionali  in  materia di tutela
dell'assetto  idrogeologico  del  territorio  in un sistema normativo
(legge  n. 59  del  1997 e d.lgs. n. 112 del 1998), che avrebbe visto
recentemente    conferite    alle   regioni   ulteriori   consistenti
attribuzioni   anche   nel   settore  della  difesa  del  suolo,  con
consequenziale violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    La  violazione  sarebbe aggravata, sempre secondo la Regione, dal
fatto  che  la  procedura  di  adozione  dei  piani di stralcio - che
produrrebbero  gli  stessi  effetti dei piani di bacino - non avrebbe
una   valenza   meramente   transitoria   dettata  dalla  contingente
situazione  di  urgenza,  ma  sarebbe  destinata ad operare a regime;
anche  se  cosi'  non  fosse - si prosegue - neppure la necessita' di
addivenire   rapidamente  all'adozione  dei  piani  di  stralcio  per
l'assetto   idrogeologico  potrebbe  giustificare  la  lesione  delle
prerogative regionali in materia.
    3.3. - La   composizione   e   i   compiti   che   la  conferenza
programmatica  e'  chiamata  ad  assolvere  determinerebbero  poi "la
commistione  di  interessi e valori diversi, insuscettibili di essere
adeguatamente  apprezzati e graduati", con conseguente violazione dei
principi  di  ragionevolezza e di buon andamento. L'"irragionevolezza
sostanziale"   deriverebbe,   altresi',  dalla  "indeterminatezza"  e
"indefinibilita' giuridica" dello stesso organismo chiamato a rendere
il   parere.   Da   qui   l'assunta   violazione  dell'art. 97  della
Costituzione.
    3.4. - Ulteriore  profilo di incostituzionalita' presenterebbe il
comma  5  dell'art. 1-bis  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  le
determinazioni   assunte   "a   seguito  di  esame  della  conferenza
programmatica,  costituiscono  variante  agli strumenti urbanistici".
Detta   previsione   normativa   eliderebbe,   infatti,   secondo  la
ricorrente,  le  competenze  regionali  in  materia di adozione degli
strumenti  urbanistici  incidendo  sulla  materia urbanistica rimessa
alla  potesta' legislativa ed amministrativa regionale ai sensi degli
artt. 117  e 118 della Costituzione. La legge avrebbe dovuto, invece,
prevedere  un dovere di adeguamento dei piani e programmi regionali e
dei   piani  urbanistici  locali  alla  pianificazione  idrogeologica
compatibilmente  con  le caratteristiche degli stessi piani di bacino
che, come sottolineato nella sentenza n. 85 del 1990 di questa Corte,
afferma   la  ricorrente,  non  potrebbe  incidere  sulle  competenze
urbanistiche.
    3.5. - Il  secondo  ordine di censure investe l'art. 2, commi 1 e
2,  della  legge  n. 365 del 2000, per violazione degli artt. 5, 117,
118, nonche' 3, 44, secondo comma, e 97 della Costituzione.
    La  ricorrente  osserva  che  la  materia relativa al "taglio dei
boschi"  in  zone  con vincolo idrogeologico e' stata trasferita alle
Regioni  con  d.P.R.  n. 11  del  1972  [art. 1, lettera n)] e d.P.R.
n. 616  del  1977  (art. 69,  comma  5) e sarebbe stata disciplinata,
nello   specifico,  con  legge  regionale  4 settembre  1981,  n. 10;
quest'ultima, in particolare, avrebbe delegato le relative competenze
alle  comunita'  montane e alle province. Da qui il contrasto con gli
artt. 117 e 118 della Costituzione.
    La   complessita'   della   procedura  amministrativa  -  la  cui
osservanza  sarebbe  imposta anche per le usuali operazioni di cura e
di  manutenzione  degli  alberi  - costituirebbe, inoltre, osserva la
regione,  "un  disincentivo alle attivita' di manutenzione delle aree
boschive,  con  l'effetto di produrre un risultato contrario a quello
costituzionalmente  previsto  a  favore  delle  zone montane, a norma
dell'art. 44,  secondo  comma, e con violazione del principio di buon
andamento".
    Infine,   la  ricorrente  sottolinea  la  mancanza  di  razionale
giustificazione   all'assoggettamento   allo   speciale  procedimento
disciplinato  dalla  norma  impugnata  soltanto  dei  cittadini delle
regioni  colpite  dalle  calamita' idrogeologiche cui si riferisce il
decreto legge n. 279 del 2000.
    3.6. - Il   terzo   ordine   di  censure  riguarda,  infine,  gli
artt. 6-bis  e  6-ter  del decreto-legge n. 279 del 2000, inseriti in
sede di conversione, con la legge n. 365 del 2000.
    Dette  disposizioni, non essendo applicabili anche ad altri enti,
determinerebbero,   secondo   la  regione  ricorrente,  una  evidente
disparita'   di   trattamento   e  una  violazione  dei  principi  di
ragionevolezza  e  di  buon  andamento,  in  quanto non rinverrebbero
alcuno  "specifico  e  puntuale fondamento nelle finalita' poste alla
base  dell'intervento d'urgenza del Governo". Da qui il contrasto con
gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    3.7. - E' intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato ribadendo
le   argomentazioni   difensive   gia'  esposte,  in  relazione  alle
prospettate  censure relative all'art. 2 della legge n. 365 del 2000,
nonche' all'art. 6-bis del decreto-legge n. 279 del 2000.
    In  ordine all'assunta illegittimita' dell'art. 1-bis comma 5, la
difesa   erariale   sottolinea   che  il  procedimento  previsto,  in
particolare,  dal comma 3 dello stesso art. 1-bis "per la presenza di
tutti gli interessi coinvolti nelle scelte programmatorie, da un lato
garantisce  la  leale  collaborazione tra tutti gli enti esponenziali
coinvolti  e  dall'altro  assicura  che tale leale collaborazione sia
effettiva e trasparente".
    4. - Con  ricorso  notificato  il  9 gennaio 2001 e depositato il
successivo  16 gennaio, la Regione Friuli-Venezia Giulia, premesso di
aver provveduto a disciplinare la "materia forestale" (legge 8 aprile
1982   n. 22  recante  "Norme  in  materia  di  forestazione";  legge
30 settembre   1996,   n. 38  recante  "Disposizioni  sul  patrimonio
immobiliare regionale"; legge 24 gennaio 1997, n. 6 recante "Proroghe
di  termini,  modifiche  ed  integrazioni  di leggi regionali"; legge
13 novembre 2000, n. 20 recante "Norme urgenti per la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi,  per  l'adeguamento delle leggi in
materia  forestale,  nonche' per favorire la gestione dei boschi e le
attivita'   forestali"),   denuncia,   anzitutto,  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 1-bis comma 5, - che disciplina "la variante
agli  strumenti urbanistici" - per contrasto con l'art. 4, numero 12,
dello   statuto   regionale,   approvato   con  legge  costituzionale
31 gennaio  1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia),  che  attribuisce  alla  Regione  una  potesta'  legislativa
primaria in materia urbanistica. In proposito, si sottolinea come non
puo'  lo  Stato  effettuare  direttamente  il  "coordinamento" con le
scelte  del  piano  regionale  di  sviluppo,  del  piano  urbanistico
regionale  e  della  difesa  ambientale  idrogeologica;  spetterebbe,
infatti,  alle Regioni "stabilire se talune determinazioni assunte da
dati  organi  con  date procedure, debbano costituire o meno variante
agli strumenti urbanistici".
    4.1.  -  Si  denuncia,  inoltre,  nel  ricorso,  l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 2 della legge n. 365 del 2000 per contrasto
con:  a)  l'art. 4,  numero  1,  dello statuto, in quanto inciderebbe
sull'ordine di competenze degli uffici regionali; b) l'art. 4, numero
1-bis,  dello  statuto,  il  quale  assegna  alla Regione la potesta'
legislativa  primaria in materia di ordinamento degli enti locali; c)
l'art. 4,  numero  2,  dello  statuto,  che  riserva alla regione una
potesta' legislativa primaria nel campo delle foreste.
    4.2.  -  La  predetta  invasione  della sfera di competenze della
Regione   sarebbe,   altresi',   in  contrasto  con  l'art. 97  della
Costituzione,  "in quanto suscettibile di incidere sul buon andamento
dell'azione amministrativa: il che concorre a produrre una violazione
pure   dell'art. 8   dello   Statuto   regionale,   relativo  appunto
all'autonomia amministrativa".
    4.3.   -   E'  intervenuta  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,
riprendendo  il  contenuto  degli  atti  difensivi gia' riportati con
riferimento  alle  singole  censure  di illegittimita' costituzionale
prospettate dalla Regione ricorrente.
    5. - Con  ricorso  notificato  il 19 gennaio 2001 e depositato il
successivo   17 gennaio,   la  Regione  Lombardia  chiede  che  venga
dichiarata    l'illegittimita'    costituzionale    dell'1-bis    del
decreto-legge  n. 279 del 2000, introdotto dalla legge di conversione
n. 365   del  2000,  nonche'  dell'art. 2  della  medesima  legge  di
conversione per contrasto con gli artt. 3, 5, 41, 97, 117 e 118 della
Costituzione   "anche   con  riferimento  al  riparto  di  competenze
determinato dal d.P.R. n. 616 del 1977 e dal d.lgs n. 112 del 1998".
    5.1.  -  Con riguardo all'art. 2 della legge censurata la Regione
lamenta  che  il  legislatore  statale  avrebbe ignorato la normativa
dettata  a  livello  regionale,  in  particolare  la  legge regionale
21 giugno 1988, n. 33 (Disciplina delle zone del territorio regionale
a rischio geologico e a rischio sismico).
    5.2.  -  La  ricorrente  ritiene,  inoltre,  che  la disposizione
contestata    presenterebbe    profili   di   contraddittorieta'   ed
irragionevolezza  intrinseca  sul  piano  contenutistico.  Sarebbero,
infatti,  previsti  una  serie  di  pareri  "quanto  meno singolari",
compreso il parere della regione, obbligatorio ma non vincolante, che
non   potrebbe,   in   quanto  tale,  "recuperare"  l'avvenuta  grave
sottrazione di competenze a garanzia costituzionale.
    In   secondo   luogo,   si   osserva  come  la  stessa  attivita'
assoggettata  a  nulla  osta  risulterebbe "indefinita, o definita in
termini  assai  generici",  potendo  includere  anche  il mero taglio
manutentivo,   ordinario  e  straordinario.  La  conseguenza  sarebbe
rappresentata  da  una  proliferazione di pratiche, con il rischio di
rendere  difficoltosi  gli  ordinari  interventi di silvicoltura e di
"appropriato  taglio"  essenziali  "per  la  stessa conservazione del
bosco  e  quindi per la tutela dell'interesse che la stessa legge qui
impugnata pretende di perseguire".
    5.3.  -  In  ordine  alla  disposizione contenuta nell'art. 1-bis
comma  5,  si  osserva  che  l'effetto  di  automatica variante degli
strumenti   urbanistici   -   non   adeguatamente   compensato  dalla
partecipazione  procedimentale riconosciuta sia alla regione che agli
enti    locali    -   inciderebbe   "pesantemente"   sulle   potesta'
programmatorie dell'uso del territorio spettanti alla regione in base
agli  artt. 117  e  118  della Costituzione, con riferimento sia alla
materia "agricoltura e foreste" sia alla materia "urbanistica".
    5.4.  -  La  difesa erariale, nell'atto di intervento depositato,
riporta  quanto gia' esposto in precedenza relativamente alle censure
di    illegittimita'   costituzionale   prospettate   dalla   Regione
ricorrente.
    6. - Con  ricorso  notificato  il  9 gennaio 2001 e depositato il
successivo  17 gennaio, la Regione Piemonte denuncia l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1-bis  commi  2,  3, 4 e 5, "per violazione
degli   artt. 5,  9,  117  e  118  della  Costituzione,  nonche'  per
violazione    degli    artt. 3   e   97   della   Costituzione,   per
irragionevolezza  e  violazione del principio di buon andamento e del
principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni".
    Le  censure  riprendono  sostanzialmente  quelle gia' esposte con
ricorso della Regione Emilia-Romagna sopra riportate.
    6.1. - Con riferimento all'art. 2 della legge n. 365 del 2000, si
osserva  che  lo  stesso si pone in contrasto con: a) gli artt. 117 e
118  della  Costituzione,  in  quanto  sarebbe  stata  introdotta una
disciplina  di  dettaglio  nella  materia dell'agricoltura, foreste e
vincolo   idrogeologico   spettante   alla   competenza   legislativa
concorrente  statale  e  regionale;  b)  l'art. 3 della Costituzione,
atteso che il nulla osta del sindaco per il taglio dei boschi sarebbe
stato  previsto  soltanto  per  i cittadini delle regioni danneggiate
dalle  calamita'  idrogeologiche  di  cui al decreto-legge n. 279 del
2000; cio', si aggiunge, senza alcuna razionale giustificazione [...]
potendo  le  stesse  calamita'  investire regioni non precedentemente
colpite  e  per  le quali non trovano invece applicazione le medesime
disposizioni;  c)  l'art. 44,  secondo  comma, della Costituzione, in
quanto  "l'aggravamento  burocratico  all'esplicazione  di interventi
quotidianamente   occorrenti   sul   territorio"   costituirebbe   un
disincentivo  all'attivita'  di  manutenzione delle aree boschive; la
disciplina   regionale  della  materia  sarebbe  avvenuta  con  legge
5 dicembre,  1977,  n. 56  (art. 30),  e  con legge 4 settembre 1979,
n. 57  (art. 10  e  ss.);  d) l'art. 97 della Costituzione, in quanto
detto  aggravamento burocratico sarebbe in contrasto con il principio
di  buon  andamento,  che vorrebbe, invece, l'adozione di criteri che
tengano   conto  delle  differenziate  dimensioni  comunali  e  delle
esigenze effettive dei singoli territori.
    6.2.  -  E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
ribadendo  ancora  una  volta quanto gia' esposto negli altri atti di
intervento  in  relazione  alle  specifiche censure di illegittimita'
costituzionale prospettate.
    7. - La  Regione  Liguria,  con ricorso notificato il 9 gennaio e
depositato   il   successivo  18 gennaio,  denuncia  l'illegittimita'
costituzionale:  dell'art. 1-bis  del  decreto-legge n. 279 del 2000,
introdotto dalla legge di conversione n. 365 del 2000, per violazione
degli  artt. 5,  97,  117 e 118 della Costituzione; dell'art. 2 della
legge  n. 365  del  2000 per violazione degli artt. 5, 97, 117, 118 e
128 della Costituzione.
    7.1.  -  Per quanto attiene al primo ordine di censure la Regione
ricorrente  premette  che, in attuazione della legge n. 183 del 1989,
il settore della difesa del suolo e della pianificazione di bacino e'
stato  oggetto  di  disciplina organica da parte della Regione stessa
(legge  regionale  28 gennaio  1993,  n. 9,  recante  "Organizzazione
regionale   della  difesa  del  suolo  in  applicazione  della  legge
18 maggio  1989,  n. 183";  e  legge regionale 21 giugno 1999, n. 18,
recante  "Adeguamento  delle discipline e conferimento delle funzioni
agli  enti  locali  in  materia  di  ambiente,  difesa  del  suolo ed
energia").
    Nel  ricorso  si  assume  che l'art. 1-bis del decreto impugnato,
disciplinando  in  maniera  analitica ed esaustiva il procedimento di
formazione  dei piani stralcio a tutela del rischio idrogeologico per
i  bacini  di  rilievo  nazionale  e  regionale,  avrebbe violato gli
artt. 5,   117   e  118  della  Costituzione,  che  attribuiscono  la
competenza  legislativa  e amministrativa in materia alle Regioni (si
ribadiscono  sostanzialmente  le  argomentazioni  svolte  nel ricorso
della Regione Emilia-Romagna).
    7.2.  -  Si  assume,  altresi',  il  contrasto della disposizione
normativa  in  esame  con  l'art. 97 della Costituzione, per avere la
stessa  disposto  una  "contrazione  dell'istruttoria procedimentale"
(con   esclusione  del  ruolo  primario  che  avrebbe  dovuto  essere
riconosciuto alla Regione) "che non consente una adeguata valutazione
degli  interessi  in  gioco",  oltre a non permettere di "graduare le
scelte in maniera adeguata alle esigenze concrete".
    7.3.  -  Per quanto attiene, infine, alla previsione normativa di
"variante agli strumenti urbanistici" contenuta nell'art. 1-bis comma
5,  si  rileva che la stessa - assegnando, tra l'altro, "un valore di
prevalenza  immediata  ed automatica sui piani territoriali, compreso
il   piano   provinciale   che   dovrebbe   costituire   la  sede  di
coordinamento"  -  violerebbe:  l'art. 117  della  Costituzione,  che
attribuisce   alle  regioni  la  competenza  nella  materia  de  qua;
l'art. 97 della Costituzione, in quanto verrebbe attribuito l'effetto
di  variante  ad  un  piano di stralcio soltanto adottato e non anche
approvato, sulla base, si aggiunge, di un "procedimento sommario" che
sacrificherebbe il ruolo delle Regioni.
    7.4. - Quanto alla norma di cui all'art. 2 della legge n. 365 del
2000,  si  premette  che  la  Regione  Liguria  avrebbe  disciplinato
specificamente  il settore relativo alla materia dei tagli boschivi e
dei  vincoli  idrogeologici  (legge  regionale 16 aprile 1984, n. 22,
recante "Legge forestale regionale"; legge regionale 22 gennaio 1999,
n. 4,   recante   "Norme   in   materia   di  foreste  e  di  assetto
idrogeologico").
    La   disposizione   impugnata  sarebbe,  secondo  la  ricorrente,
costituzionalmente illegittima per violazione: a) degli artt. 5 e 117
della  Costituzione, per essere la materia disciplinata di competenza
della  regione;  b)  dell'art. 118 della Costituzione, disponendo una
assegnazione   diretta   ai   comuni   di   funzioni   a  prescindere
dall'accertamento  del  carattere  esclusivamente locale delle stesse
(con  riserva, tra l'altro, di competenze amministrative, sia pure di
natura  consultiva,  ad organi statali, quali le autorita' di bacino,
il  corpo  forestale dello Stato, le soprintendenze); c) dell'art. 97
della Costituzione, in quanto sarebbe irragionevole ed ingiustificato
prevedere,  secondo la ricorrente, una disciplina non generale valida
soltanto  nelle  Regioni interessate dagli eventi calamitosi del 2000
con  misure  non collegate alla fase dell'emergenza, aventi carattere
stabile  e  "presumibilmente  definitivo";  inoltre, si sottolinea la
incongruita'  della  norma  sotto  il  profilo  contenutistico per la
complessita'   del   procedimento  previsto  secondo  l'ordine  delle
considerazioni  gia' svolte dalla Regione Toscana; d) degli artt. 5 e
128   della   Costituzione,   attesa   l'attribuzione  di  competenze
gestionali (quali quelle in esame) al sindaco e non ai dirigenti, non
rispettandosi,  cosi',  il principio della separazione tra politica e
gestione amministrativa.
    7.5.  -  E'  intervento il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto
che  riprende  le  medesime argomentazioni gia' contenute negli altri
scritti   difensivi  in  relazione  alle  censure  di  illegittimita'
costituzionale specificamente fatte valere dalla Regione Liguria.
    7.6. - Nell'imminenza della data fissata per la pubblica udienza,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato ha presentato una memoria con la
quale   insiste   per  la  infondatezza  delle  questioni  sollevate,
precisando,  quanto  all'art. 2  della  legge n. 365 del 2000, che la
norma  e'  il  frutto  di  una  stagione  di  emergenze ambientali di
rilevantissima  entita';  comunque,  a  fronte della diversificazione
normativa, resta compito imprescindibile dello Stato il coordinamento
generale  delle politiche ambientali e forestali al fine di garantire
uno  standard  minimo  di  tutela del territorio, e di affiancare gli
organi  regionali  in  caso  di  inerzia  e  di inidoneita', in certe
situazioni   come   le   calamita',   ad   affrontare  la  situazione
separatamente.  Del  resto, osserva l'Avvocatura, l'art. 117, secondo
comma,  lettera  s),  della  Costituzione  affida  allo  Stato in via
esclusiva   la  tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali. In tale quadro, i cinque pareri preventivi richiesti dalla
normativa   impugnata   per   l'autorizzazione   al  taglio  boschivo
consentirebbero   una  valutazione  tecnica  di  piu'  parti  atta  a
garantire  la  massima sicurezza e il massimo coordinamento operativo
in zone colpite da calamita'.
    Quanto  all'art. 1-bis  del  decreto-legge  n. 279  del  2000, si
osserva  che  anche  in questo caso la norma, inserita in un processo
atto  ad  affrontare  una  grave  emergenza idrogeologica, sarebbe da
considerare    norma    straordinaria    rispetto    alla   ordinaria
programmazione   del  territorio,  idonea,  tra  l'altro,  a  dettare
prescrizioni minimali di sicurezza idrogeologica.
    Infine,   con   riferimento   agli   artt. 6-bis   e   6-ter  del
decreto-legge  n. 279  del  2000, l'Avvocatura rileva che dette norme
scaturiscono  da  un  accertamento  di  fatto, relativo all'aumentato
carico  di  lavoro delle autorita' di bacino di rilievo nazionale. La
previsione   non   sarebbe  irrazionale,  ne'  determinerebbe  alcuna
disparita'  di  trattamento,  trattandosi  di situazioni diverse. Con
tali   disposizioni,   lo   Stato   provvederebbe   al  personale  ed
all'organizzazione  piu'  vicina e collegata ad esso, mentre all'ente
regionale  spetterebbe  la cura di politiche ed esigenze di uffici di
propria pertinenza.
    Ha  depositato  memoria  la  Regione  Veneto,  chiedendo  che sia
dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione al
ricorso  dalla  stessa  proposto,  rilevando, quanto all'art. 2 della
legge  n. 365 del 2000, che esso e' stato abrogato dall'art. 2-sexies
del  decreto-legge  27 dicembre 2000, n. 392 (Disposizioni urgenti in
materia  di  enti  locali),  convertito  in legge, con modificazioni,
dall'art. 1   della   legge   28 febbraio   2001,   n. 26;  e  quanto
all'art. 6-bis   del   decreto-legge   n. 279   del  2000,  anch'esso
impugnato,  che  l'art. 5-bis  comma 3, del decreto-legge 7 settembre
2001,  n. 343  (Disposizioni  urgenti per assicurare il coordinamento
operativo  delle  strutture  preposte  alle  attivita'  di protezione
civile  e  per  migliorare  le strutture logistiche nel settore della
difesa  civile),  convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1
della  legge  9 novembre  2001, n. 401, prevede che le Regioni che si
avvalgono  di  personale  con  rapporto di lavoro a tempo determinato
assunto   (ai   sensi   del  decreto-legge  11 giugno  1998,  n. 180,
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 3 agosto 1998, n. 267,
nonche' ai sensi del decreto-legge 30 gennaio 1998, n. 6, convertito,
con   modificazioni,   nella  legge  30 marzo  1998,  n. 61)  tramite
procedure   selettive,  possono  procedere  alla  trasformazione  del
predetto  rapporto  di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo
indeterminato,  nel  rispetto  delle disposizioni di cui all'art. 35,
comma  1,  lettera  a),  del  d.lgs.  30 marzo  2001,  n. 165, per la
copertura dei corrispondenti posti vacanti nelle dotazioni organiche.
    Una   memoria   e'   stata   presentata   anche   dalla   Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  la quale - premesso che il giudizio e' stato
instaurato   precedentemente  alla  entrata  in  vigore  della  legge
costituzionale  n. 3 del 2001, la quale, all'art. 10, prevede che, in
via  transitoria,  le  disposizioni  della stessa si applichino anche
alle  Regioni  a statuto speciale per le parti in cui prevedono forme
di  autonomia  piu'  ampie  rispetto  a  quelle  gia' attribuite - ha
espresso  l'avviso  che  il  giudizio debba proseguire assumendo come
parametro   le   norme   costituzionali   vigenti  al  momento  della
instaurazione  di esso. Nel merito, la ricorrente ha insistito per la
declaratoria  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis comma
5,  del  decreto-legge  n. 279  del  2000,  che  incide nella materia
dell'urbanistica,  attribuita  dallo  statuto  speciale della Regione
Friuli-Venezia  Giulia  alla  competenza  primaria  di detta Regione,
senza  che  siano rinvenibili elementi giustificativi dell'intervento
statale  e  senza  che  abbia  alcuna influenza la sopravvenuta legge
31 luglio  2002,  n. 179  (Disposizioni  in  materia ambientale), che
modifica  alcuni  punti della legge n. 183 del 1989. Non sussiste, ad
avviso  della  ricorrente,  un  interesse  nazionale  alla disciplina
uniforme   dei  piani  stralcio,  come  dimostrerebbe  il  fatto  che
l'art. 7-ter del decreto-legge n. 279 del 2000 fa salve le competenze
della  Regione  Valle  d'Aosta  e delle Province autonome di Trento e
Bolzano,   e   cio'  nonostante  la  Valle  d'Aosta  fosse  stata  la
Regione maggiormente  colpita  dalle calamita' dell'autunno del 2000,
cui si e' inteso far fronte con il decreto-legge n. 279.
    In  via  subordinata,  la  ricorrente  chiede che il giudizio sia
condotto  alla  stregua  del  nuovo  parametro,  onde accertare se il
limite  alla propria competenza legislativa degli interessi nazionali
o  delle grandi riforme economico-sociali sia da ritenere sussistente
anche alla luce delle modifiche risultanti dalla legge costituzionale
n. 3  del  2001.  In proposito, osserva la ricorrente che la sentenza
della  Corte  n. 376  del  2002  aveva ritenuto di dover giudicare su
leggi  statali  impugnate  dalle Regioni solo alla luce del parametro
esistente  al  momento della impugnazione, argomentando che quando si
tratta  di  norma statale attributiva di un potere amministrativo, la
Regione,  a  seguito  della  legge n. 3 del 2001, puo' sempre reagire
contro  i  nuovi  atti  di esercizio di quel potere e, che, quando la
norma  anteriore  e'  espressione di una competenza ora attribuita ad
altro  ente,  la  norma  rimane  efficace  in virtu' del principio di
continuita',  ma  puo'  essere  rimossa  dal  soggetto  cui  e' stata
trasferita  la  competenza.  Il  caso  di  specie  non sarebbe invece
assimilabile ad alcuna delle due ipotesi. Del resto, militerebbero in
favore  della  pronuncia della Corte in base al nuovo parametro anche
le  seguenti  circostanze:  a)  la  Regione era e rimane titolare del
diritto di impugnare in via principale una legge statale lesiva delle
proprie  attribuzioni;  b)  la  disposizione  e'  stata impugnata nei
termini  previsti,  mentre un ulteriore ricorso, sulla base del nuovo
testo  dell'art. 127  della  Costituzione  era precluso dall'avvenuto
decorso  del  tempo;  c) il parametro invocato rimane sostanzialmente
identico   (attribuzione  costituzionale  di  competenza  in  materia
urbanistica);  d) sussiste la possibilita' del contraddittorio con lo
Stato.
    La Regione rileva che, secondo il nuovo testo dell'art. 117 della
Costituzione,   la   potesta'   legislativa   regionale  e'  soggetta
unicamente  al  rispetto  della  Costituzione e dei vincoli derivanti
dall'ordinamento   comunitario   e   dagli  obblighi  internazionali.
Conseguentemente,  il  limite  dell'interesse  nazionale, come quello
delle  grandi  riforme  economico-sociali,  non  potrebbe piu' essere
considerato titolo giustificativo di interventi statali nelle materie
regionali.
    Quanto all'art. 2 della legge n. 365 del 2000, la ricorrente, nel
confermare il proprio sospetto di vulnus recato dalla norma impugnata
all'autonomia  regionale con riferimento alla sua competenza primaria
in  materia  di agricoltura e foreste, comprensiva anche della difesa
idrogeologica,  ed  in  materia  di  ordinamento  degli  enti locali,
esclude  la  configurabilita'  di  una  esigenza  di regolamentazione
uniforme  in ordine all'autorita' competente ad autorizzare il taglio
dei boschi ed al relativo procedimento. In subordine, viene richiesto
che  la  illegittimita'  sia  dichiarata  con  riferimento  al  nuovo
parametro, e cio' sulla base delle argomentazioni gia' riferite.
    Anche  la  Regione  Lombardia  ha  depositato  una memoria, nella
quale,  dopo  aver  sottolineato  che il nuovo assetto costituzionale
scaturente  dalla  legge  n. 3 del 2001 mantiene saldo il ruolo delle
regioni  nella politica del governo e in modo particolare nel settore
urbanistico della pianificazione e programmazione degli interventi, e
la  sua  non  estraneita'  alla  materia  dell'ambiente,  e dopo aver
ricordato  che,  nel  nuovo quadro costituzionale, deve escludersi la
legittimita'  di  meccanismi  consistenti nella individuazione in via
interpretativa di ulteriori poteri statali che non siano strettamente
riconducibili  alle  competenze  riservate  allo Stato dall'art. 117,
secondo  comma,  della  Costituzione,  ha fatto presente, quanto alla
censura  riferita  all'art. 2  della legge n. 365 del 2000, che detta
norma  e'  stata abrogata dall'art. 2-sexies del decreto-legge n. 392
del   2000,   la  cui  influenza  nel  giudizio  viene  rimessa  alla
valutazione della Corte.
    Per  quanto  riguarda  l'art. 1-bis  del decreto-legge n. 279 del
2000,  la  Regione  ricorrente  censura  in particolare l'effetto, da
detta  norma  introdotto,  di  automatica  variante  degli  strumenti
urbanistici,  effetto  attribuito alla determinazione assunta in sede
di  comitato  istituzionale  a  seguito  di  esame  nella  conferenza
programmatica,  e  sottolinea  che  la  automatica operativita' delle
prescrizioni  del  piano  di  bacino  e  della  loro prevalenza sulla
strumentazione  urbanistica  non  comporta obbligo di indennizzo, non
avendo natura espropriativa.
    Altra  memoria  e' stata depositata dalla Regione Liguria, che ha
ribadito  le  proprie  conclusioni,  rilevando,  in  via generale, la
impossibilita' di alterare in modo stabile il quadro delle competenze
regionali  in  nome  dell'emergenza  o  della  necessita' di superare
ipotetiche  inadempienze  delle  Regioni. In particolare, quanto alla
censura  rivolta all'art. 1-bis del decreto-legge n. 279 del 2000, la
ricorrente  ha  posto in evidenza che la materia della disciplina del
territorio,    anche   a   fini   di   tutela   idrogeologica,   gia'
indubitabilmente  attribuita  alla competenza regionale dall'art. 117
della  Costituzione  nella  sua  formulazione originaria, risulta con
ancora maggiore  certezza  demandata  alle  Regioni con la entrata in
vigore  della legge costituzionale n. 3 del 2001, che fa riferimento,
tra  le  materie  assegnate  alla  competenza legislativa concorrente
delle  Regioni, alla "gestione del territorio". In tali materie, alla
legge dello Stato spetta solo la fissazione di principi generali e la
disciplina  delle  modalita' di esercizio delle competenze rimaste ad
organi  statali,  mentre l'art. 1-bis del citato decreto-legge n. 279
del  2000 avrebbe preteso di disciplinare una fase fondamentale della
procedura  di pianificazione idrogeologica, quale quella propedeutica
all'adozione  dei  piani  stralcio.  Ed  anche sotto il profilo della
previsione   di   una   automatica   variazione  degli  strumenti  di
pianificazione  territoriale per effetto dell'adozione di un piano di
stralcio,    vi   sarebbe   lesione   delle   competenze   regionali,
attribuendosi  il  potere modificativo ad un'autorita' amministrativa
diversa  dalla  Regione ed obliterando il ruolo del comune in materia
urbanistica.  Infine,  il  procedimento delineato dall'art. 1-bis non
sarebbe   coerente  con  la  regola  dell'imparzialita'  e  del  buon
andamento,  prevedendosi  che  i  piani stralcio siano adottati sulla
base  degli  atti e pareri disponibili alla data di entrata in vigore
della   legge,   sopprimendo  passaggi  procedimentali  istruttori  e
consultivi contemplati dalla disciplina ordinaria, attribuendosi alla
delibera  di  adozione  dei piani la idoneita' a modificare i vigenti
strumenti  urbanistici,  pur  trattandosi  di  atto  a  valenza  solo
provvisoria  ed assunto al termine di un procedimento in cui manca la
garanzia   di  una  completa  acquisizione  di  tutti  gli  interessi
coinvolti.
    Infine, quanto alla censura nei confronti dell'art. 2 della legge
n. 365 del 2000, la ricorrente, nel rimettersi alla valutazione della
Corte  in ordine agli effetti sul giudizio in corso della abrogazione
di  tale norma, idonea a suo avviso a determinare la cessazione della
materia   del   contendere,   ribadisce   comunque   il   dubbio   di
illegittimita' costituzionale della norma stessa.
    Anche   la  Regione  Emilia-Romagna  ha  depositato  una  memoria
insistendo  per  l'accoglimento  del  ricorso. Essa ha in particolare
osservato,  quanto  all'art. 1-bis del decreto-legge n. 279 del 2000,
che  la sostituzione del parere regionale con quello della conferenza
determina  uno svuotamento del ruolo specifico che deve spettare alle
Regioni  in materia di difesa del suolo. Per quanto riguarda l'art. 2
della  legge n. 365 del 2000, la sua intervenuta abrogazione non vale
ad     escludere    l'interesse    della    Regione    Emilia-Romagna
all'accoglimento  del  ricorso,  in  quanto,  come  si  osserva nella
memoria,  la  lesione  della sfera di competenza regionale si produce
con  la  semplice esistenza della legge invasiva, a prescindere dalle
conseguenze  concrete  da  essa  prodotte.  Nel merito, la ricorrente
osserva   che   non   sarebbe  giustificabile  una  violazione  delle
competenze  regionali  sulla  base di una presunta maggiore idoneita'
del sindaco ad autorizzare il taglio dei boschi. Infine, con riguardo
alle  censure mosse agli artt. 6-bis e 6-ter del decreto-legge n. 279
del 2000, la ricorrente rileva che non ci sarebbe ragione di limitare
agli  enti  gia'  colpiti  da  una  certa emergenza una procedura per
coprire i posti vacanti.

                       Considerato in diritto

    1. - I  ricorsi  proposti  pongono  una  serie  di  questioni  di
legittimita' costituzionale in via principale riguardanti:
        A)   l'art. 1-bis   commi  2,  3,  4,  5,  del  decreto-legge
12 ottobre  2000,  n. 279  (Interventi  urgenti per le aree a rischio
idrogeologico  molto  elevato  e  in  materia  di  protezione civile,
nonche'  a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle
calamita'  idrogeologiche  di settembre ed ottobre 2000), convertito,
con  modificazioni, nella legge 11 dicembre 2000, n. 365, nella parte
in cui prevede che:
            l'adozione  dei piani di stralcio deve essere effettuata,
sulla  base degli atti e dei pareri disponibili, entro e non oltre il
termine perentorio del 30 aprile 2001 (comma 2);
            le  regioni  convocano  una conferenza programmatica alla
quale   partecipano,  oltre  alla  regione  e  ad  un  rappresentante
dell'autorita'  di  bacino, le province e i comuni interessati (comma
3);  conferenza che esprime un parere, il quale tiene luogo di quello
di  cui  all'art. 18,  comma  9,  della  legge 18 maggio 1989, n. 183
(Norme  per  il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del
suolo) sul progetto di piano, di cui deve tenere conto l'autorita' di
bacino in sede di adozione del piano stesso (comma 4);
            "le   determinazioni   assunte   in   sede   di  comitato
istituzionale,  a  seguito  di  esame della conferenza programmatica,
costituiscono variante agli strumenti urbanistici" (comma 5).
    Dette    questioni    sono    state   sollevate   dalla   Regione
Emilia-Romagna,  in  riferimento  agli  artt. 5,  9, 117, 118, 3 e 97
della  Costituzione,  nonche'  al  principio di leale collaborazione;
dalla Regione Piemonte, in riferimento agli artt. 5, 9, 117 e 118, 3,
97  della  Costituzione;  dalla  Regione Liguria, in riferimento agli
artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione.
        A1)  l'art. 1-bis  comma 5, dello stesso decreto-legge n. 279
del  2000,  nella  parte in cui prevede che le determinazioni assunte
all'esito  della conferenza programmatica costituiscono variante agli
strumenti  urbanistici.  Tale  questione  e'  stata  sollevata  dalla
Regione   Lombardia   in  riferimento  agli  artt. 117  e  118  della
Costituzione;  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia, in riferimento
all'art. 4,  numero  12, dello statuto regionale, approvato con legge
costituzionale   31 gennaio   1963,   n. 1   (Statuto  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia);
        B) gli artt. 6-bis e 6-ter del decreto-legge n. 279 del 2000,
introdotti dalla legge di conversione n. 365 del 2000, nella parte in
cui consentono soltanto all'autorita' di bacino di rilievo nazionale,
nonche'  alle  regioni e agli enti locali colpiti dalla crisi sismica
del  27 settembre  1997,  di trasformare i rapporti di lavoro a tempo
determinato  in  rapporti  di lavoro a tempo indeterminato: questione
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla
Regione Emilia-Romagna;
        B1)  lo  stesso art. 6-bis del decreto-legge n. 279 del 2000,
nella  parte  in  cui  autorizza  le  autorita'  di bacino di rilievo
nazionale, e non anche la regione, a trasformare i rapporti di lavoro
a  tempo  determinato  in  rapporti  di lavoro a tempo indeterminato:
questione  sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 35, 97, 117 della
Costituzione,  nonche'  al  principio  di leale collaborazione, dalla
Regione Veneto;
        C) l'art. 2 della legge 11 dicembre 2000, n. 365 (Conversione
in   legge   del   decreto-legge  12 ottobre  2000,  n. 279,  recante
"Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato
e  in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della
Regione   Calabria   danneggiate   dalle   calamita'   idrogeologiche
di settembre  ed ottobre  2000") - in relazione al quale alcune delle
ricorrenti  espressamente  riferiscono  le  censure ai commi 1 e 2 -,
nella  parte  in  cui  prevede  che,  nelle  regioni  danneggiate  da
calamita'  naturali,  il  taglio  dei  boschi,  in  zone  con vincolo
idrogeologico,  debba  essere  autorizzato dal sindaco, previo parere
della  competente  commissione  del comune, dell'autorita' di bacino,
del  corpo  forestale  dello  Stato  competente per territorio, della
sovrintendenza  competente  in  materia  di  beni ambientali, nonche'
della  regione.  Detta  questione  e'  stata  sollevata dalla Regione
Toscana  in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 117, 118, comma primo, e
128  della  Costituzione;  dalla  Regione Veneto, in riferimento agli
artt. 3,  5,  97, 117, 118 della Costituzione e al principio di leale
collaborazione;  dalla  Regione  Emilia-Romagna,  in riferimento agli
artt. 5,  117  e  118,  nonche'  3,  44,  ultimo  comma,  e  97 della
Costituzione;  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia, in riferimento
all'art. 4,  numeri  1,  1-bis 2 e all'art. 8 dello statuto regionale
(legge costituzionale 31 gennaio 1963, recante "Statuto della Regione
Friuli-Venezia  Giulia"),  nonche'  all'art. 97  della  Costituzione;
dalla  Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 3, 5, 41, 97, 117
e 118 della Costituzione; dalla Regione Piemonte, in riferimento agli
artt. 3, 44, 97, 117 e 118 della Costituzione; dalla Regione Liguria,
in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 128 della Costituzione.
    2.  - I ricorsi riguardano questioni in parte identiche, in parte
relative a disposizioni connesse, e possono, quindi, essere riuniti e
decisi con unica sentenza.
    3.  -  Preliminarmente, deve essere precisato che, trattandosi di
ricorsi  proposti  anteriormente  alla  entrata in vigore della legge
costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3, recante "Modifiche al Titolo V
della Parte seconda della Costituzione", con i quali vengono dedotti,
nei  confronti  di atti legislativi, vizi attinenti alla ripartizione
delle  competenze  tra  Stato e Regioni, il giudizio va compiuto alla
stregua  dei  relativi  parametri costituzionali vigenti alla data di
approvazione   degli   stessi   atti  legislativi  e,  quindi,  nella
formulazione   anteriore  alla  riforma  di  cui  alla  citata  legge
costituzionale (v. sentenze n. 422 e n. 376 del 2002).
    4.   -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  relativa
all'art. 1-bis  commi  2,  3  e 4, del decreto-legge 12 ottobre 2000,
n. 279, e' priva di fondamento.
    Innanzitutto,  per questa parte (rispondente ad esigenze unitarie
ed interessi che superano l'ambito regionale), la norma denunciata ha
carattere  eccezionale  ed  acceleratorio (data l'urgenza determinata
dai  rischi  delle calamita' naturali interessanti piu' regioni, che,
pertanto,  esige  un  indirizzo unitario: per riferimenti v. sentenza
n. 10 del 1986), nonche' temporaneo e provvisorio (v. sentenza n. 201
del  1987),  contenendo  disposizioni  relative  ad  una procedura di
adozione  di  progetti  di  piani  stralcio  da  completarsi entro un
termine perentorio.
    L'urgenza  giustifica  l'imposizione di un termine per l'adozione
della  relativa  pianificazione  e,  allo  stesso  modo,  consente di
disporre che la procedura prosegua sulla base degli atti e dei pareri
disponibili entro sei mesi dalla data del relativo progetto di piano,
ovvero  entro un termine perentorio e congruo per i progetti di piano
gia' adottati.
    Viene  cosi'  scelto  un  metodo  acceleratorio - non isolato nel
sistema   legislativo   relativo  al  settore  amministrativo  -  che
consente,  in  presenza  di specifica norma, di fare a meno di taluni
pareri  previsti,  quando  vi  sia  ritardo  nel  rendere il parere o
nell'acquisire  determinati atti: ovviamente vi deve essere stata una
tempestiva  richiesta  in  tal  senso,  non  seguita  dalla  relativa
acquisizione.
    Nello  stesso  tempo  il  parere,  che  deve  emettere la Regione
(titolare di specifici interessi nella materia), ancorche' in sede di
conferenza  programmatica  (organismo  con finalita' di accelerare la
partecipazione dei diversi enti interessati ad acquisire, considerata
l'urgenza,  i diversi punti di vista in tempi brevi), non e' cambiato
nella natura, nel valore e negli effetti ai fini delle determinazioni
finali  del  comitato istituzionale delle Autorita' di bacino (bacini
idrografici di rilievo nazionale).
    Il  parere  regionale  conserva  la  sua individualita' ed il suo
peso,  poiche',  quando  non  sia  conforme, non rimane assorbito nel
parere   espresso   dalla   conferenza  programmatica.  Quest'ultima,
infatti,   non   e'   organo   collegiale  che  esprima  la  volonta'
a maggioranza,   e  non  emette  una  determinazione  necessariamente
unitaria,  che  si  sovrapponga  alle  determinazioni  proprie  della
Regione.
    5.  -  L'art. 1-bis  comma  5,  dello  stesso  decreto-legge, che
attribuisce   alle   determinazioni   assunte  in  sede  di  Comitato
istituzionale  delle  Autorita'  di  bacino  (bacini  idrografici  di
rilievo nazionale) il valore di "variante agli strumenti urbanistici"
viene, invece, a porsi in netto contrasto con le competenze regionali
in  materia  di  pianificazione  urbanistica. Ne' puo' rinvenirsi una
qualsiasi  giustificazione  sul  piano  costituzionale  per dare alle
amplissime  determinazioni  di  pianificazione  del predetto Comitato
istituzionale,     relative     all'assetto    idrogeologico,    alla
conservazione,  difesa  e  valorizzazione  del  suolo e utilizzazione
delle  acque,  una  incidenza diretta ed automatica di modifica degli
strumenti  di  pianificazione  urbanistica,  tanto piu' con carattere
permanente.
    D'altro   canto,   gia'   esiste,   a   livello  legislativo,  la
possibilita'  di  introdurre  divieti,  o  disposizioni con carattere
immediatamente vincolante per amministrazioni, enti pubblici, nonche'
per soggetti privati, purche' si tratti di prescrizioni espressamente
dichiarate  tali  in sede di pianificazione (v. art. 17, commi da 1 a
5, della legge 18 maggio 1989, n. 183).
    Allo  stesso  modo, il legislatore aveva previsto la possibilita'
di  introdurre  misure  di  salvaguardia  o  inibitorie e cautelative
(art. 17, commi 6-bis e 6-ter della citata legge n. 183 del 1989), ed
un  obbligo  generale per le autorita' competenti di adeguare i piani
territoriali  e i programmi regionali nei vari settori. Inoltre, gia'
sussisteva   un   obbligo  specifico  delle  regioni  di  emanare  le
necessarie  disposizioni  per  l'attuazione  del  piano di bacino nel
settore  urbanistico  entro  un  termine  assai contenuto, decorso il
quale  scattava  il dovere degli enti territorialmente interessati di
rispettare  le  prescrizioni  nel  settore  urbanistico,  con  poteri
sostitutivi  regionali  (art. 17, commi 4 e 6, della legge n. 183 del
1989).
    Pertanto,  la  previsione di indiscriminata efficacia di variante
agli  strumenti  urbanistici  per tutte le determinazioni assunte, in
relazione  al  piano stralcio per l'assetto idrogeologico, in sede di
comitato  istituzionale dell'Autorita' di bacino, ancorche' a seguito
di  esame della conferenza programmatica con partecipazione regionale
e   dei   comuni   interessati  (semplice  parere),  rappresenta  una
violazione  della  sfera  di autonomia regionale (per riferimenti, v.
sentenza  n. 206  del 2001) in materia di pianificazione urbanistica.
Di    conseguenza,   deve   essere   dichiarata   la   illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1-bis comma 5, del decreto-legge 12 ottobre
2000,  n. 279,  aggiunto dalla legge di conversione 11 dicembre 2000,
n. 365.
    6. - Per quanto riguarda la questione relativa agli artt. 6-bis e
6-ter  del citato decreto-legge n. 279 del 2000 (aggiunti dalla legge
di  conversione  n. 365  del  2000),  proposta sotto il profilo della
mancata  concessione  alle  regioni del potere di trasformare a tempo
indeterminato  i rapporti di lavoro a tempo determinato instaurati ai
sensi  delle  disposizioni  per  prevenire rischi idrogeologici, deve
essere  dichiarata  la  cessazione  della materia del contendere. E',
infatti,  sopravvenuto  l'art. 5-bis  del  decreto-legge  7 settembre
2001,  n. 343  (Disposizioni  urgenti per assicurare il coordinamento
operativo  delle  strutture  preposte  alle  attivita'  di protezione
civile  e  per  migliorare  le strutture logistiche nel settore della
difesa  civile),  aggiunto dalla legge di conversione 9 novembre 2001
n. 401,  che  ha  esteso  indiscriminatamente  anche  alle regioni il
potere  di trasformazione a tempo indeterminato dei predetti rapporti
di lavoro.
    7.  - In relazione alla questione relativa all'art. 2 della legge
11 dicembre  2000,  n. 365,  nella  parte  in  cui  e'  attribuito al
sindaco,  nelle  regioni danneggiate da calamita' naturali, il potere
di   autorizzare   il   taglio   dei  boschi,  in  zone  con  vincolo
idrogeologico,  va  rilevato  che,  come  eccepito  da alcune Regioni
ricorrenti,   e'   sopravvenuto   l'art. 2-sexies  del  decreto-legge
27 dicembre  2000,  n. 392  (Disposizioni  urgenti in materia di enti
locali),  aggiunto,  in  sede di conversione, dalla legge 28 febbraio
2001,  n. 26.  Detto  art. 2-sexies  ha  disposto l'abrogazione della
norma impugnata, senza, tuttavia, prevedere alcun effetto retroattivo
rispetto  alle  situazioni  pregresse  alla data di entrata in vigore
della stessa disposizione impugnata.
    D'altro canto - anche in sede di discussione dei ricorsi - non e'
emerso  alcun  elemento  che  potesse  fare  escludere,  per tutte le
Regioni  che  hanno proposto il ricorso, che la norma denunciata, nel
periodo   della   vigenza   (dalla  entrata  in  vigore  della  legge
11 dicembre  2000, n. 365, nella Gazzetta Ufficiale 11 dicembre 2000,
n. 288,  a quella della legge 28 febbraio 2001, n. 26, nella Gazzetta
Ufficiale 1 marzo 2001, n. 50) abbia avuto attuazione con rilascio di
autorizzazioni.  Pertanto  deve  escludersi  la  possibilita'  di una
definizione  del giudizio costituzionale attraverso una dichiarazione
di cessazione della materia del contendere, o di sopravvenuto difetto
di interesse.
    La norma denunciata, per quanto attiene al semplice inoltro della
richiesta  al sindaco (art. 2, comma 1, della legge n. 365 del 2000),
non  comporta alcuna incidenza sul riparto delle competenze tra Stato
e Regioni relativamente all'organo che deve rilasciare il nulla osta.
    Con  riguardo  al  comma  2  dello stesso art. 2, la questione e'
invece  fondata,  per un duplice ordine di considerazioni. La materia
del  taglio  dei  boschi  rientrava  espressamente  nella  competenza
regionale dell'agricoltura e foreste (art. 117 della Costituzione nel
testo  anteriore  alla riforma del titolo V della parte seconda della
Costituzione); l'attribuzione ai comuni di funzioni diverse da quelle
esclusivamente  locali  nella  materia non poteva essere disposta con
legge statale, occorrendo un intervento legislativo della Regione.
    Deve    essere    dichiarata    l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 2,  comma  2,  della  legge  11 dicembre  2000, n. 365, che
attribuiva  al  sindaco  del  comune,  nelle  regioni  danneggiate da
calamita' naturali, il potere di autorizzare il taglio dei boschi, in
zone con vincolo idrogeologico.