ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 16 del decreto
legislativo  24 marzo  1993,  n. 117  (Istituzione dei ruoli normale,
speciale  e  tecnico degli ufficiali in servizio permanente dell'Arma
dei  carabinieri),  promosso  con  ordinanza  del  7 maggio 2001, dal
Tribunale  amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da
De  Fulvio  Gianfranco  contro il Ministero della difesa, iscritta al
n. 953  del  registro  ordinanze  2001  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 49, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto l'atto di costituzione di De Fulvio Gianfranco.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 6 novembre 2002 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  nel corso di un giudizio di impugnazione, proposto
da  un  capitano  dell'Arma  dei  carabinieri,  in servizio presso il
Centro   investigazioni  scientifiche,  avverso  il  silenzio-rigetto
formatosi  sul  ricorso  gerarchico,  nonche'  avverso  la  nota  del
22 gennaio  1998  -  con  la  quale  si  era  "risposto negativamente
all'istanza  del  ricorrente  tendente  ad  ottenere una perequazione
della  propria  posizione  giuridica  ed  economica"  -  il Tribunale
amministrativo  regionale  del Lazio, con ordinanza del 7 maggio 2001
(pervenuta  alla Corte il 3 dicembre 2001), ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 16  del  decreto  legislativo
24 marzo  1993,  n. 117  (Istituzione  dei  ruoli normale, speciale e
tecnico   degli   ufficiali  in  servizio  permanente  dell'Arma  dei
carabinieri), per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione;
        che il giudice rimettente premette che nel ricorso depositato
il  ricorrente  lamentava  di essere acceduto al ruolo tecnico con il
grado   iniziale   di  sottotenente,  mentre  i  nuovi  arruolati  vi
accederebbero  con  il  grado  iniziale  di  capitano,  nonostante il
medesimo  ricorrente  fosse  in  possesso  del  diploma  di laurea in
ingegneria,  dell'abilitazione  all'esercizio  della  professione  ed
avesse sempre lodevolmente espletato i compiti assegnatigli, oltre ad
aver  frequentato  e  superato  il  corso di specializzazione interno
dell'Arma;
        che,  secondo  il  giudice  a  quo, risulterebbe una evidente
discriminazione sia nei confronti dei candidati esterni laureati sia,
soprattutto, nei confronti dei marescialli dell'Arma, muniti del solo
titolo di studio di scuola media secondaria;
        che  la  rilevanza della questione, secondo il giudice a quo,
sarebbe   evidente  in  quanto:  "senza  un  intervento  della  Corte
costituzionale  che  interpreti  la  norma  in  parola  sub specie di
aderenza  o  meno  alla  Costituzione,  non residua a questo Collegio
alcuno  spazio  per  accogliere la tesi del ricorrente, contro cui si
erge, in tutta la sua solennita', la norma in parola";
        che, per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della
questione,  il Tribunale rimettente osserva, in relazione all'art. 97
della  Costituzione,  che  qualsiasi  innovazione  legislativa che si
proponga  il fine di modificare il quadro organizzatorio preesistente
non  possa  normalmente  sovrapporre  "senza  ragione una ad un'altra
organizzazione"   in   mancanza   di   misure   di   coordinamento  e
"determinando  cosi'  una coesistenza per linee parallele, ampiamente
premiale per la seconda rispetto alla prima";
        che  nel  caso  specifico  -  continua  il  giudice  a  quo -
sostituire  ad  un sistema di accesso con il grado di sottotenente un
nuovo  sistema  di accesso al medesimo ruolo con il grado di capitano
"andando  peraltro  addirittura  a  diminuire  il  titolo  di  studio
richiesto  (dalla  laurea  al  diploma  di  istruzione  secondaria di
secondo   grado),   senza   salvaguardare   la   posizione   di   chi
progressivamente  era entrato nel ruolo tecnico" sarebbe contrario al
principio di buon andamento della pubblica amministrazione;
        che  in relazione all'art. 3 della Costituzione il rimettente
sottolinea  che  sarebbe "effettivamente disparitario pensare che, in
mancanza  di ragioni superiori, un soggetto debba impiegare il triplo
del tempo di un altro per raggiungere lo stesso grado, nonche' che un
sottufficiale  inserito  nello  stesso  ruolo,  improvvisamente possa
addirittura  superare  nel  ruolo  medesimo  ...  un  ufficiale, solo
perche' questo e' entrato nel ruolo in parola precedentemente";
        che   il   giudice   a  quo  sottolinea,  inoltre,  come  non
assumerebbe  rilevanza  la normativa sopravvenuta di cui all'art. 28,
comma 1, del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 298 (Riordino del
reclutamento,   dello   stato   giuridico  e  dell'avanzamento  degli
ufficiali  dell'Arma dei carabinieri, a norma dell'art. 1 della legge
31 marzo  2000, n. 78), atteso che la prevista rideterminazione delle
anzianita'  degli ufficiali gia' iscritti nel ruolo tecnico dell'Arma
dei  carabinieri  "anche  ad  una  data antecedente alla costituzione
iniziale  del  ruolo  stesso"  sarebbe,  secondo  il Tar, da un lato,
troppo   generica,  dall'altro  apparirebbe  "meramente  eventuale  e
comunque  collegata ad una lata discrezionalita' dell'Amministrazione
senza alcuna precisa garanzia della salvaguardia dell'anzianita'";
        che,  rileva sempre il giudice a quo, il comma 2 dello stesso
art. 28 del citato decreto legislativo non riguarderebbe la posizione
del ricorrente;
        che  il Tribunale rimettente conclude sospendendo il giudizio
"per   la  soluzione  della  questione  concernente  la  legittimita'
costituzionale  dell'art. 16 del decreto legislativo n. 117 del 1993,
nella parte di esso in cui non ha provveduto a regolamentare la nuova
organizzazione  del  ruolo  tecnico  dell'Arma  dei  carabinieri  con
riferimento alla situazione preesistente";
        che  si e' costituito tardivamente il ricorrente nel giudizio
a  quo  riprendendo  sostanzialmente  l'ordine  delle  argomentazioni
contenute nell'ordinanza di rimessione;
        che,  in particolare, la parte rileva la mancanza di concreti
interventi  di  "rideterminazione  di  anzianita' (a discrezione)" ex
art. 28  del  d.lgs  n. 298  del 2000, mettendo in evidenza che anche
qualora  detti  interventi  dovessero  intervenire  "si  creerebbe un
ulteriore  grave  vulnus temporaneo ed ambientale per cui in un certo
periodo  di  carriera  il  meno  anziano e' di fatto preposto al piu'
anziano,  il  quale  potrebbe  poi improvvisamente scavalcarlo, cosi'
implicando una presupposizione gerarchica instabile".
    Considerato  che  l'ordinanza  di  rimessione  non contiene alcun
elemento  ne'  valutazione circa il concreto percorso e situazione di
carriera  del ricorrente (relative alla data della sua immissione nel
ruolo  tecnico  dell'Arma  dei  carabinieri;  alla  provenienza, alla
procedura   per   l'ingresso  in  ruolo  e  alla  relativa  normativa
applicata; alla posizione rivestita al momento dell'entrata in vigore
della  norma  denunciata; al concreto verificarsi di scavalcamenti da
parte dei nuovi immessi in ruolo sulla base della norma denunciata);
        che la stessa ordinanza si e' limitata ad una affermazione di
"evidente"   rilevanza,  affermando  contestualmente  che  "senza  un
intervento  della  Corte  costituzionale  che  interpreti la norma in
parola   sub  specie  di  aderenza  o  meno  alla  Costituzione"  non
residuerebbe  spazio per accogliere la tesi del ricorrente (richiesta
di perequazione della propria posizione), contro cui si ergerebbe "in
tutta la sua solennita' la norma in questione";
        che  il  giudice a quo, mentre apoditticamente afferma che la
sopravvenuta   disposizione   di   assestamento   dell'attuale  ruolo
tecnico-logistico  dell'Arma  dei carabinieri, contenuta nell'art. 28
del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 298, non sarebbe rilevante
ai fini della definizione del giudizio, in quanto generica, non certa
e     "comunque    collegata    ad    una    lata    discrezionalita'
dell'amministrazione",   nulla   dice  in  ordine  ad  una  eventuale
intervenuta "rideterminazione delle anzianita'" da parte della stessa
amministrazione,  che  vi sarebbe, peraltro, tenuta indipendentemente
da apposita domanda;
        che lo stesso giudice non si pone, neppure, il problema degli
effetti dell'abrogazione della norma denunciata ad opera dell'art. 39
del  richiamato d.lgs. n. 298 del 2000 e non prende in considerazione
il  modo  con cui il ricorrente sia pervenuto nel ruolo tecnico e, in
particolare,  se  cio'  sia avvenuto per effetto di transito ai sensi
dell'art. 18  del  decreto  legislativo  n. 117 del 1993, contemplato
nell'art. 28, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 298 del 2000;
        che,   pertanto,   di   fronte   alle  anzidette  carenze  di
motivazione  sulla  rilevanza,  deve  essere  dichiarata la manifesta
inammissibilita' della questione sollevata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale;