IL CONSIGLIO DI STATO

    In   sede  giurisdizionale  (sezione  sesta)  ha  pronunciato  la
seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 10283/1996 proposto dalla S.r.l.
Radio  Nordtirol 1, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti  Ludovico  Villani  e  Gernot
Rossier,  presso il primo elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale
Clodio n. 12;
    Contro  il Ministero delle comunicazioni (subentrato al Ministero
delle  poste  e delle telecomunicazioni), in persona del Ministro pro
tempore,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato
presso la quale e' legalmente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi
n. 12;   e  nei  confronti  del  garante  per  la  radiodiffusione  e
l'editoria  ed il direttore del Circolo Costruzioni T.T. di Bolzano -
Amministrazione P.T., non costituiti in giudizio;
    Per  l'annullamento  della  sentenza  del  tribunale Regionale di
giustizia amministrativa di Bolzano 24 settembre 1996, n. 247;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Alla  pubblica udienza del 21 maggio 2002 relatore il consigliere
Francesco Caringella;
    Uditi, l'avv. Villani e l'avv. dello Stato Spina;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

                           Fatto e diritto

    1.  - Con la sentenza appellata i primi giudici hanno respinto il
ricorso proposto dalla Nordtirol S.r.l. avverso:
      a)  il  decreto n. 7149/R/19906011 del 15 settembre 1994 con il
quale  il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni ha respinto
la   domanda  presentata  dalla  societa'  al  fine  di  ottenere  la
concessione per la radiodiffusione sonora privata, stante il disposto
dell'art. 1 del decreto-legge n. 407/1992 e l'art. 17, comma 1, della
legge  n. 223/1990,  che fanno divieto del rilascio della concessione
in  favore di societa' controllate da persone fisiche o giuridiche di
nazionalita' straniera;
      b)  la  successiva  ordinanza  prot. 15142,  notificata in data
23 novembre 1994, con la quale il direttore delle Circolo Costruzioni
T.T.   di   Bolzano   ha   ordinato,   su  delega  del  Ministro,  la
disattivazione,  mediante  sigillo, degli impianti di radiodiffusione
dell'emittente Radio M l.
    La  societa' contesta con l'atto di appello gli argomenti posti a
fondamento del decisum. Resiste il Ministero delle comunicazioni, che
affida  al  deposito  di  memoria l'illustrazione delle proprie tesi.
All'udienza  del  21 maggio  2002 la causa e' stata trattenuta per la
decisione.
    2. - Il  collegio  deve in via preliminare esaminare il motivo di
appello   con   il   quale  si  sostiene  che  l'art. 1  della  legge
n. 422/1993,  di  conversione  del decreto-legge n. 323/1993, avrebbe
espunto  dal testo dell'art. 1, comma 3, del decreto-legge 19 ottobre
1992,  n. 407,  convertito  dalla  legge 17 dicembre 1992, n. 482, il
richiamo  all'art. 17, commi 1 e 2, della legge n. 223/1990, con cio'
sancendo  l'abrogazione  del  divieto  del possesso di maggioranze di
azioni  da  parte di soggetti di nazionalita' straniera ai fini della
prosecuzione nell'esercizio di impianti di radiodiffusione sonora.
    La censura non e' fondata.
    L'appellante  trascura  di considerare che, anche a seguito delle
modifiche  apportate  dal decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323, conv.
dalla   legge   n. 323/1993,   l'art. 1   del   citato  decreto-legge
n. 407/1992,  nel  testo  vigente ratione temporis, richiede, ai fini
del  rilascio  della  concessione,  il  possesso dei requisiti di cui
all'art. 16, comma 10, della legge n. 223/1990, norma che a sua volta
rinvia  proprio  all'art. 17,  che  dispone  il  suddetto divieto del
rilascio  del titolo in favore di societa' nelle quali la maggioranza
del pacchetto azionario sia di pertinenza di soggetti di nazionalita'
straniera.
    3. - Il  collegio  reputa  peraltro  che  i dubbi di legittimita'
costituzionale  della  disciplina di cui al citato art.  17 sollevati
dall'appellante  siano,  oltre  che  rilevanti  (il  provvedimento di
diniego   e'   infatti   motivato  con  riguardo  al  possesso  della
maggioranza delle quote da parte di cittadino straniero, nella specie
austriaco), anche non manifestamente infondati.
    Giova  in via preliminare rimarcare che l'art. 17, comma 1, della
legge n. 223/1990 detta le seguenti prescrizioni:
        a)  la  maggioranza  delle azioni e delle quote e comunque un
numero  di  azioni  e  quote  idonee  a consentire il controllo delle
societa'  concessionarie  private - ovvero di societa' che esercitino
in  via  diretta  o  indiretta  il  controllo  su di esse, - non puo'
appartenere  od in qualunque modo essere intestata a persone, fisiche
o giuridiche, di cittadinanza o nazionalita' estera (comma 1, primo e
secondo periodo);
        b)  il divieto non opera per le societa' estere costituite in
Stati  appartenenti  alla  comunita' economica europea o in Stati che
pratichino  nei  confronti dell'Italia un trattamento di reciprocita'
(terzo periodo).
    La  formulazione  letterale  della  norma  non sembra autorizzare
alcuna  interpretazione  diversa  da quella secondo cui mentre per le
societa'  costituite  in  Italia  e  caratterizzate  dalla  posizione
predominante  di  un  socio  straniero,  viene  in rilievo il divieto
assoluto  di  rilasciare  il  titolo  concessorio; per converso detta
preclusione  non  opera  con  riguardo  ad  una  fetta consistente di
societa'  straniere,  ossia tutte le societa' operanti in altri stati
dell'Unione  europea  e  quelle  costituite in altri Stati esteri ove
vige  un  regime  di  reciprocita'.  L'opposta  soluzione ermeneutica
offerta  dalla  difesa  erariale,  a tenore della quale il divieto di
appartenenza  della maggioranza delle azioni da parte di soggetti non
italiani ne' comunitari varrebbe anche per le citate societa' estere,
pur se capace di restituire razionalita' al tessuto normativo, non e'
confortata  da un dato positivo, che, al contrario, in modo esplicito
(terzo  periodo)  esclude  che  per  le  societa'  in esame operino i
divieti  di cui ai periodi precedenti, ossia per l'appunto il divieto
di  controllo  del  pacchetto azionario o delle quote di controllo da
parte  di  soggetti  stranieri, con cio' in positivo ammettendo senza
limitazione   alcuna  dette  societa'  al  conseguimento  del  titolo
concessorio.
    Tale  essendo l'esegesi del dato positivo, la disposizione, nella
parte  in  cui  vieta  in  modo  assoluto alle societa' costituite in
Italia  e  controllate  da  soggetti  di  nazionalita'  straniera  il
conseguimento  di  un  titolo  concessorio per converso accessibile a
beneficio  di  societa' straniere versanti nelle medesime condizioni,
presta  il  fianco  a  dubbi  di  incostituzionalita' in relazione ai
parametri di cui agli artt. 3, 21, 41 e 97 della Costituzione:
        a)   quanto  al  vulnus  ai  principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza  di  cui  all'art. 3  Cost.,  si deve osservare che la
norma  in  parola sancisce una non motivata diversita' di trattamento
tra  societa'  italiane  ed estere versanti nelle medesime condizioni
(controllo  del  pacchetto  azionario  o  delle  quote  da  parte  di
cittadini  stranieri), inibendo alle prime e consentendo alle seconde
il conseguimento della concessione per la radiodiffusione sonora;
        b)  sempre con riferimento al parametri di cui al punto a) si
deve  rimarcare,  per  un verso, che la vulnerazione del principio di
eguaglianza   si   appalesa   in   particolare  se  si  considera  la
disomogeneita'  di  trattamento  tra  societa'  italiane  e  societa'
appartenenti  ad  altri  paesi della comunita', che si traduce in una
discriminazione  alla  rovescia  ai  danni degli operatori nazionali,
come  tali  anch'essi comunitari, nell'ambito di uno spazio economico
comune;  per  altro  verso che, sul versante della ragionevolezza, la
diversita'  di  trattamento  mal  si  concilia  con la ricorrenza, in
entrambe   le   fattispecie   oggetto   di   differente   trattamento
legislativo,  della  medesima ratio di evitare un controllo straniero
su attivita' considerate di preminente interesse nazionale;
        c)  l'irragionevolezza  della disparita' di trattamento rende
per    conseguenza    evidente   l'incisone   negativa   dei   valori
costituzionali  protetti dagli artt. 21, 41, 97 Cost. nella misura in
cui   limita   in  modo  discriminatorio  l'esercizio  del'iniziativa
economica   nel   campo   della   comunicazione   e,  quindi,  incide
negativamente      sull'imparzialita'      sul     buon     andamento
dell'amministrazione  in  sede  di  valutazione  della  domande  e di
adozione dei provvedimenti conseguenziali.
    Si   deve  soggiungere  che  il  vulnus  ai  richiamati  principi
costituzionali va valutato anche alla luce dei principi comunitari in
materia  di  liberta'  di  circolazione  e  di  concorrenza,  che non
consentono forme di discriminazione alla rovescia nei confronti degli
imprenditori  nazionali,  costituenti  anch'essi operatori comunitari
destinatari   delle  norme  di  tutela  cristallizzate  nel  Trattato
istitutivo   della   comunita'   Europea.   Va  infine  rimarcato,  a
confutazione delle argomentazioni sul punto svolte dai primi giudici,
che  la discriminazione oggetto di stigmatizzazione, sia sul versante
costituzionale  che  sul  piano  comunitario,  e' quella che viene in
rilievo  tra  le  societa'  operanti  in  Italia  nel  settore  delle
comunicazioni  -  e  quindi  soggetti  comunitari - destinatari di un
diverso  trattamento  legislativo  su base di nazionalita', senza che
risulti pertanto conferente l'appartenenza o meno dei singoli soci ad
uno  degli  Stati  della  comunita'  al pari della circostanza che la
disciplina  nazionale  sia  identica  per  le  societa' costituite in
Italia.
    4. - Per  le  ragioni  fin qui esposte, relative ad un profilo di
censura  preliminare ed assorbente rispetto alle ulteriori doglianze,
il   collegio   ritiene   di  dovere  sollevare  davanti  alla  Corte
costituzionale    la   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 17,   comma   1,   della  legge  6 agosto  1990,  n. 223  e
dell'art. 1,  comma  3,  del  decreto-legge  19 ottobre  1992, n. 407
(conv.  dalla  legge  n. 482/1996), che alla prima norma fa rinvio ai
fini   della   fissazione   dei   requisiti   per   la   prosecuzione
nell'esercizio  degli  impianti  di radiodiffusione sonora, questione
che  appare  rilevante e non manifestamente infondata in relazione ai
rammentati  parametri di cui agli articoli 3, 21, 41 e 97 della Carta
Fondamentale.
    Il  giudizio  e' sospeso a termini di legge mentre la statuizione
sulle spese e' rimessa alla definizione del giudizio.