LA CORTE DI ASSISE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letta la richiesta, depositata in data odierna, nella cancelleria
di  questa  Corte  di  assise  dall'imputato  Chirillo  Francesco, di
rimessione  del  processo  ad altro giudice ai sensi degli artt. 45 e
segg.  c.p.p.,  cosi'  come  novellati  dalla  legge 7 novembre 2002,
n. 248;
    Sentiti i difensori degli imputati ed il pubblico ministero;

                            O s s e r v a

    I difensori degli imputati Chirillo Francesco, Chirillo Carmine e
Chirillo Romano hanno chiesto la sospensione del presente processo ai
sensi  del  secondo  comma  dell'art. 47 c.p.p., cosi' come novellato
dalla  legge 7 novembre 2002, n. 248 facendo rilevare che il processo
stesso  era  stato  rinviato  all'odierna  udienza per lo svolgimento
della discussione da parte del pubblico ministero.
    Il  pubblico  ministero ha sostenuto la non obbligatorieta' della
sospensione del processo, argomentando sul tenore letterale del comma
secondo  dell'articolo  citato  e  sottolieando che detta sospensione
sarebbe  doverosa nella sola ipotesi di comunicazione, da parte della
Corte di cassazione, della assegnazione della richiesta di rimessione
alle sezioni unite ovvero a sezione diversa da quella apposita di cui
all'art. 610, primo comma, c.p.p.
    Va  innanzitutto  rilevato  che  l'art.  5 della legge 7 novembre
2002,  n. 248  dispone espressamente che detta legge si applica anche
ai processi in corso.
    Orbene,  nell'ipotesi  di  accoglimento  della tesi sostenuta dal
pubblico  ministero,  dovrebbe  ritenersi  come  inutilmente espresso
l'avverbio  "comunque"  apposto  dal  legislatore  nel  secondo comma
dell'art.   47  c.p.p.,  cosi'  come  novellato  dalla  citata  legge
n. 248/2002,  laddove  si  fa cenno alla obbligatoria sospensione del
processo   prima   dello   svolgimento   della  discussione  e  delle
conclusioni; tuttavia, il primo canone interpretativo di una norma e'
senz'altro  quello letterale, anche in ossequio al noto principio ubi
lex  voluit,  dixit:  di  conseguenza,  il  tenore della disposizione
appare chiaramente indicare l'obbligatorieta' della sospensione prima
dello   svolgimento   della  discussione  finale  qualora  sia  stata
presentata  istanza  di remissione del processo ai sensi dell'art. 45
c.p.p.
    Peraltro,  detta  argomentazione  del  pubblico ministero avrebbe
l'ulteriore  conseguenza della necessaria emissione della sentenza da
parte  di questa Corte, atteso che e' ragionevolmente prevedibile che
-  nei  tempi  brevi  fissati  in calendario per la discussione delle
parti  (25  novembre,  28 novembre e 2 dicembre 2002, cfr. verbale di
udienza  del  21  ottobre  2002) - la Corte di cassazione non sarebbe
posta  nella condizione di emettere e comunicare le determinazioni di
propria  competenza, con la conseguenza che, nel processo in corso ed
in casi analoghi, detta norme rimarrebbe inefficace.
    Anche  questa  conseguenza  appare  essere  in  contrasto  con la
volonta' normativa racchiusa nella novella n. 248/2002.
    Questi   corollari,   sostenuti   dalle  difese  degli  imputati,
determinano,  pero',  la diversa conseguenza della impossibilita' del
giudice  di  proseguire  il  processo  e  di  pronunziare sentenza in
presenza di una strumentale reiterazione di istanze di remissione del
processo   soltanto  lievemente  differenti  l'una  dall'altra  negli
istanti,   nelle   motivazioni  o  nella  documentazione  allegata  a
sostegno,  con  il  concreto pericolo di una paralisi delle attivita'
processuali.
    A quest'ultimo riguardo, ritiene la Corte che si possono rilevare
profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 47, secondo comma,
c.p.p.,  cosi'  come  novellato  dalla legge 7 novembre 2002, n. 248,
nella  parte  in  cui prevede l'obbligatoria sospensione del processo
prima  dello  svolgimento  della discussione e delle conclusioni e, a
fortiori, prima della pronunzia della sentenza.
    Detti  profili  di  illegittimita'  costituzionale  attengono  al
contrasto  con  gli  artt. 3, 111 e 112 della Costituzione (per come,
invero,  la  Corte costituzionale aveva gia' rilevato con riferimento
al  previgente  testo dell'art. 47 c.p.p., con sentenza n. 353 del 22
ottobre 1996).
    Ed  invero,  l'art.  111  della  Costituzione  esige che la legge
assicuri la ragionevole durata del processo, rispetto alla quale sono
volti  anche  i  principi  informatori del codice di procedura penale
(oralita', concentrazione e speditezza).
    Infatti, l'equilibrio fra i principi di economia processuale e di
terzieta'   del   giudice   e'   solo  apparente  nella  ponderazione
codicistica,  posto  che  il possibile abuso processuale determina la
paralisi   del   procedimento,   tanto   da   compromettere  il  bene
costituzionale  dell'efficienza del processo, qual e' enucleabile dai
principi  costituzionali  che  regolano  l'esercizio  della  funzione
giurisdizionale,  ed  il canone fondamentale della razionalita' delle
norme  processuali.  Se  e'  vero,  in effetti, che il legislatore e'
pienamente  libero  nella costruzione delle scansioni processuali, e'
anche  vero  che  egli  non  puo' tuttavia scegliere, fra i possibili
percorsi,  quello  che  comporti  -  sia  pure  in  casi estremi - la
paralisi     dell'attivita'     processuale,    perche',    impedendo
sistematicamente    tale   attivita'   mediante   la   riproposizione
dell'istanza  di  rimessione,  si  finirebbe  con il negare la stessa
nozione del processo e si contribuirebbe a recare danni evidenti alla
amministrazione della giustizia.
    Ritenuto,  quindi,  che  il  giudizio  non  puo'  essere definito
indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale  sollevata d'ufficio, a mente dei termini e dei motivi
sopra  esposti,  va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale,  con  la  conseguente sospensione del giudizio
sino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale.