IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale iscritto nel registro
delle  notizie  di  reato  in  data  3 aprile  2000  ed  esaminata la
richiesta del pubblico ministero in data 11 ottobre 2001 con la quale
si  chiede  l'emissione  di  decreto  di  condanna  nei  confronti di
Lombardelli  Paolo  nato  il  25 maggio  1934  a Sorano, residente in
Orbetello,   frazione  Albinia  loc.  Barncazzi,  via  Toscana  n. 1;
Lombardelli  Fabio  nato  il  2 luglio 1965 a Orbetello, residente in
Orbetello,   frazione  Albinia  loc.  Barncazzi,  via  Toscana  n. 1;
Lombardelli   Massimiliano   nato  il  17 aprile  1968  a  Orbetello,
residente in Orbetello, frazione Albinia, loc. Barncazzi, via Toscana
n. 1;  imputati  del  reato  p.  e  p.  dall'art. 110 codice penale e
1-sexies  legge  n. 431/1985,  come modificato dall'art. 163, decreto
legislativo  n. 490/1999,  perche', in concorso tra loro, in qualita'
di  committenti,  in  assenza  del  N.O.  paesistico,  alteravano  le
bellezze  paesistiche  dei  luoghi  soggetti  a  speciale  protezione
dell'autorita',   mediante   la  realizzazione  di  una  tettoia  con
travatura  in  legno,  per  una  superficie  complessiva  di mq 66 in
Orbetello, il 14 marzo 2000.
    In  seguito a sopralluogo nella proprieta' Lombardelli la Polizia
municipale  di  Orbetello  constatava la realizzazione di una tettoia
con  funzione di copertura di due posti auto, a servizio della vicina
abitazione.  Dagli  accertamenti  condotti  presso  l'ufficio tecnico
comunale  e'  emerso  che  il Lombardelli non si era munito di nessun
titolo  autorizzativo,  nonostante  il  fatto  che l'area sulla quale
l'opera   e'  stata  eseguita  e'  vincolata  ai  sensi  della  legge
n. 1497/1939 con decreto ministeriale 14 aprile 1989.
    Di  conseguenza  il  pubblico ministero ha chiesto l'emissione di
decreto   penale   di   condanna,   ritenendo   l'integrazione  della
contravvenzione ex art. 163 decreto legislativo n. 490/1999.
    L'esegesi   della   disposizione   contestata   sembrerebbe   non
consentire   l'accoglimento   della  richiesta,  atteso  che  i  beni
sottoposti  a  protezione paesistica dai decreti ministeriali ex lege
n. 1497/1939  non  sono  compresi  tra  quelli  in relazione ai quali
l'art. 151  del  decreto  citato - con norma sanzionata dall'art. 163
stesso decreto - richiede l'autorizzazione paesistica.
    Dubita,  pero',  questo giudice della legittimita' costituzionale
del  combinato disposto degli articoli 163 e 151, decreto legislativo
29 ottobre  1999,  n. 490  nella parte in cui non prevedono l'obbligo
per  i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni
ambientali  inclusi  negli elenchi approvati con decreti ministeriali
adottati ai sensi dell'art. 4, della legge 29 giugno 1939, n. 1497 di
sottoporre  alla  regione  i progetti delle opere di qualunque genere
che   intendano   eseguire,   al   fine  di  ottenere  la  preventiva
autorizzazione, in relazione all'art. 76 della Costituzione.

                              Ritenuto

Quanto alla fondatezza della questione:
    La  tutela  del  paesaggio e' stata recentemente disciplinata dal
decreto  legislativo  29 ottobre  1999,  n. 490 (Testo Unico sui beni
culturali  ed  ambientali, in seguito indicato come T.U.B.C.A.),. con
il quale si e' proceduto ad un intervento di riunione e coordinamento
di  tutte  le  disposizioni  legislative  vigenti  in materia di beni
culturali e ambientali.
    L'art. 163  del  decreto, per quanto qui interessa, ha sostituito
la norma dell'art. 1-sexies, legge 8 agosto 1985 n. 431 inserendo una
disposizione  sanzionatoria  che, se da un lato si pone in termini di
continuita'  con la legge "Galasso", dall'altro specifica il precetto
in  termini  piu'  puntuali, che, tuttavia, creano un vuoto di tutela
rispetto all'ambito delineato dalla normativa preesistente.
    La  S.C.  di cassazione ha precisato che "tra le due disposizioni
sussiste continuita' normativa,sia per l'oggetto della tutela sia per
il  regime sanzionatorio, rimasto immutato stante il riferimento alle
pene  previste  dall'art. 20  della  legge  28 febbraio  1985, n. 47"
(Cassazione,  sezione  terza,  sentenza n. 10863 del 23 ottobre 2000,
Raguccia  e  n. 8359  del 28 febbraio 2001) ed ha visto nell'art. 151
del T.U.B.C.A. "una testuale conferma normativa" dell'interpretazione
giurisprudenziale    con    la    quale   il   regime   sanzionatorio
dell'art. 1-sexies  era  stato  esteso  ai  beni  tutelati  ai  sensi
dell'art. 1497/39    (Cassazione,    sezione   terza   n. 34385   del
21 settembre 2001).
    Invero,   la   giurisprudenza   di   legittimita(1)   ha   sempre
interpretato  l'art. 1-sexies  della legge n. 431/1985 [che recitava:
"ferme  restando  le  sanzioni  di  cui  alla  legge  29 giugno 1939,
n. 1497,  per  le  violazioni  delle  disposizioni di cui al presente
decreto  si  applicano  altresi'  quelle  previste dall'art. 20 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47"] nel senso che integra il reato "anche
la  violazione  del  vincolo  paesaggistico imposto con provvedimento
amministrativo  a  norma della legge 29 giugno 1939, n. 1497: cio' in
quanto   la   suddetta  norma  si  riferisce  alle  violazioni  delle
disposizioni  di  cui  agli articoli precedenti, tra i quali l'art. 1
recepisce  e  fa  proprio  il regime del vincolo paesaggistico di cui
alla  citata  legge  e  gli articoli ter e quinquies prevedono regime
unitario  sia  per  i beni sottoposti a vincolo derivante dalla legge
sia  per  quelli  il  cui  vincolo  sia  disposto  con  provvedimento
amministrativo;    a    cio'   aggiungasi   la   considerazione   che
l'art. 1-sexies,   precisando   che   restano   ferme   le   sanzioni
amministrative  di  cui  alla  legge  29 giugno  1939, n. 1497, rende
evidente  la  propria  applicabilita'  alle  violazioni  dei  vincoli
imposti con provvedimenti amministrativi poiche' solo con riferimento
alle medesime possono trovare applicazione tali sanzioni".
    E'  pertanto  evidente  che  l'estensione  della tutela penale ai
vincoli  imposti  anteriormente  alla data di entrata in vigore della
"Galasso"  e'  stata  possibile proprio in ragione della formulazione
letterale  della  norma  e  dal  suo  inserimento  in  un dato corpus
normativo,  attraverso  il  rinvio  alle  disposizioni  del quale era
possibile delimitare l'ambito dei fatti penalmente rilevanti.
    Il  novellato  testo  della  disposizione sanzionatoria [art. 163
T.U.B.C.A.   "Chiunque,  senza  la  prescritta  autorizzazione  o  in
difformita'  di  essa,  esegue  lavori  di  qualsiasi  genere su beni
ambientali  e'  punito  con  le  pene previste dall'articolo 20 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47"], anche se maggiormente rispondente al
principio  di  tassativita', per effetto della riformulazione e della
frammentazione,  in  un piu' ampio testo di legge, delle norme cui il
reato  gia'  previsto  dall'art. 1-sexies  legge  n. 431/1985  faceva
rinvio, non consente piu' tale operazione ermeneutica.
    (1)   (cfr.  Cassazione,  sezione  terza,  sentenze  n. 4136  del
31 marzo  1999; n. 3957 del 5 aprile 1994; n. 5343 del 7 maggio 1994;
n. 5627  del 12 maggio 1994; n. 11352 del 4 ottobre 1999; n. 5865 del
23 maggio 1994).
    La descrizione della condotta illecita ruota oggi su due concetti
normativi: quello di autorizzazione e quello (strettamente correlato)
di bene ambientale.
    Ne  consegue  che  il  cardine del sistema della tutela penale e'
costituito  dall'art. 151  del  T.U.B.C.A., che contiene gli elementi
necessari a esplicitare le due nozioni. L'articolo 151 stabilisce che
"i  proprietari,  possessori  o  detentori a qualsiasi titolo di beni
ambientali inclusi negli elenchi pubblicati a norma dell'articolo 140
o dell'articolo 144 o nelle categorie elencate all'articolo 146 (...)
hanno  l'obbligo di sottoporre alla regione i progetti delle opere di
qualunque  genere  che  intendano  eseguire,  al  fine di ottenere la
preventiva autorizzazione".
    Dall'integrazione di questa disposizione con quella dell'art. 163
risulta  che  per determinare quando sia necessaria l'autorizzazione,
e,  di  conseguenza, quando - mancando l'autorizzazione - sussista il
reato,  occorre  fare  riferimento  agli  elenchi  pubblicati a norma
dell'articolo  140  o  dell'articolo  144  o  alle categorie elencate
all'articolo   146,  onde  verificare  se  il  bene  sia  o  meno  da
qualificare  come  ambientale  e, quindi, scatti per il proprietario,
che  intenda eseguire interventi su tale bene l'obbligo di sottoporre
i   progetti  delle  opere  all'esame  dell'autorita'  preposta  alla
gestione del vincolo.
    Attraverso  il  rinvio  (diretto) all'art. 151 e (indiretto) agli
artt. 140,   144  e  146,  pertanto,  il  precetto  dell'art. 163  si
specifica  nel senso di assoggettare a sanzione chiunque esegue senza
autorizzazione  lavori  su  uno  dei  beni  compresi negli elenchi ex
artt. 140 e 144 o nelle categorie ex art. 146.
    Il  risultato conseguito a tale tecnica normativa di tipizzazione
delle  condotte e' la sottrazione dall'ambito della tutela penale dei
beni  sottoposti  a  protezione,  in  base alla normativa della legge
n. 1497/1939,  con  i  decreti  ministeriali. Infatti, l'articolo 140
prevede  che  le  regioni  compilino su base provinciale due distinti
elenchi  dei  beni  indicati  alle  lettere a) e b) e delle localita'
indicate  alle  lettere  c)  e  d)  dell'articolo 139(2) ; l'art. 144
attribuisce al Ministro competente il potere di integrare gli elenchi
dei  beni  e  delle  localita' indicati all'articolo 139; l'art. 146,
invece,  trasfonde  nel  testo unico le categorie di beni individuate
dall'art. 1  del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con
modificazioni  nella  legge  8 agosto 1985, n. 431 (che ha aggiunto i
commi 5, 6 e 7 all'art. 82 al decreto del Presidente della Repubblica
24 luglio  1977,  n. 616):  in  nessuna  di  queste disposizioni (che
contengono   l'elencazione   dei  casi  in  cui  l'autorizzazione  e'
necessaria), ne' in altra del testo unico, si fa alcun riferimento ai
decreti ministeriali adottati in base alla legge n. 1497/1939(3).
    Per  le  opere da eseguire sui beni contemplati in detti decreti,
pertanto,  non  sembra  essere piu' necessario alcun assenso da parte
della  regione,  con la conseguenza che la mancata autorizzazione dei
lavori e' un fatto penalmente irrilevante.
    Invero,  nel  sistema  originario  della  legge  n. 1497/1939  la
sottoposizione  di  un  bene  a  protezione  era  realizzata mediante
l'inserimento  dello  stesso  in  elenchi,  compilati  "provincia per
provincia"  da  una  "Commissione"  che  agiva  in  sede  locale,  ed
approvati con decreto del Ministro dei beni culturali ed ambientali.
    L'art. 141 ha sostituito (in tal modo coordinando la normativa de
qua  con  l'art. 82, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica
n. 616/1977  cit.)  le  competenze ministeriali in materia con quelle
della regione, che provvede all'approvazione degli elenchi.
    L'effetto   che   ne   e'   scaturito  e'  stato  di  sostanziale
depenalizzazione  delle  condotte aggressive dei beni individuati dai
decreti  ministeriali  ex  art. 4  legge  n. 1497/1939. Poiche', come
osservato,   nelle   norme   che   valgono  a  definire  il  precetto
(articoli 151,  140,  144  e 146 cit.) non si fa menzione dei decreti
ministeriali, i beni in essi individuati non si possono piu' ritenere
presidiati  dalla  tutela penale, salvo due casi: che sia intervenuto
un  provvedimento  della  regione  che classifichi quei medesimi beni
come  ambientali;  che  detti  beni  appartengano  anche ad una delle
categorie ex art. 146.
    Cio'  in  violazione  della legge delega, che aveva ad oggetto il
solo  riordino  della  normativa  e  non attribuiva al Governo alcuna
facolta' di eliminazione degli illeciti.
    (2).  Si tratta dei beni gia' individuati dall'art. 1 della legge
n. 1497/1939:  le  cose  immobili  che  hanno  cospicui  caratteri di
bellezza naturale o di singolarita' geologica; le ville, i giardini e
i  parchi,  non tutelati a norma delle disposizioni del Titolo 1, che
si  distinguono  per la loro non comune bellezza; i complessi di cose
immobili  che  compongono  un  caratteristico  aspetto  avente valore
estetico  e  tradizionale;  le  bellezze panoramiche considerate come
quadri  e  cosi' pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili
al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
    (3). Unico accenno ai decreti ministeriali, peraltro inconferente
rispetto  alla  materia, e' contenuto nell'art. 145: "Gli elenchi dei
beni  e  delle  localita'  indicati  all'articolo  139  approvati dal
Ministero  prima  dell'entrata  in  vigore del decreto del Presidente
della  Repubblica  24  luglio  1977,  n. 616, nonche' le integrazioni
previste  dall'articolo 144, non possono essere revocati o modificati
se non previo parere del competente comitato di settore del Consiglio
nazionale  per  i  beni  culturali  e ambientali che si pronuncia nel
termine di quarantacinque giorni dalla data della richiesta".
    La  legge  8  ottobre 1997, n. 352 recante "Disposizioni sui beni
culturali"  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre
1997  -  Supplemento ordinario n. 212, all'art. 1 prevede che: "1. Il
Governo  della Repubblica e' delegato ad emanare, entro un anno dalla
data   di   entrata  in  vigore  della  presente  legge,  un  decreto
legislativo  recante  un  testo  unico  nel  quale  siano  riunite  e
coordinate  tutte  le  disposizioni legislative vigenti in materia di
beni  culturali e ambientali. Con l'entrata in vigore del testo unico
sono  abrogate  tutte  le  previgenti  disposizioni in materia che il
Governo  indica  in  allegato  al  medesimo  testo  unico.  2.  Nella
predisposizione  del  testo  unico  di  cui al comma 1, il Governo si
attiene  ai  seguenti principi e criteri direttivi: a) possono essere
inserite  nel  testo  unico  le disposizioni legislative vigenti alla
data  di  entrata  in vigore della presente legge, nonche' quelle che
entreranno  in  vigore  nei sei mesi successivi; b) alle disposizioni
devono  essere  apportate  esclusivamente le modificazioni necessarie
per   il  loro  coordinamento  formale  e  sostanziale,  nonche'  per
assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti".
    Questo   giudice   dubita,  di  conseguenza,  della  legittimita'
costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 163 e 151 - nella
parte  in cui richiedono la preventiva autorizzazione paesistica solo
per  i  beni  elencati negli artt. 140, 144 e 146 - poiche', operando
una  depenalizzazione  delle  condotte  sopra  descritte,  violano  i
criteri  e  principi  direttivi  della delega sulla cui base e' stato
emanato il T.U.B.C.A.
    In  primo  luogo occorre porre in evidenza che la legge 8 ottobre
1997,  n. 352  contiene  una  vera  e  propria delega legislativa, in
quanto  ha  attribuito al Governo il potere di modificare le norme in
vista del loro coordinamento. Ne consegue che il testo licenziato non
ha  natura amministrativa, ma legislativa, e la sua legittimita' puo'
essere valutata alla luce dell'art. 76 Cost.(4).
    Secondo  la  giurisprudenza  di  codesta  Corte  "il  giudizio di
conformita'  della norma delegata alla norma delegante, condotto alla
stregua  dell'art. 76  Cost.,  si esplica attraverso il confronto tra
gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle
norme  che  determinano  l'oggetto,  i principi e i criteri direttivi
indicati  dalla  delega,  tenendo  conto  del complessivo contesto di
norme  in  cui  si collocano e individuando le ragioni e le finalita'
poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle
norme   poste   dal   legislatore   delegato,  da  interpretarsi  nel
significato  compatibile  con  i  principi  e criteri direttivi della
delega"(5).
    Procedendo  in  questa  valutazione salta agli occhi il fatto che
non   era  stato  attribuito  alcun  potere  di  innovare  l'apparato
sanzionatorio esistente(6). Infatti, la delega legislativa consentiva
solo  la  modificazione  delle disposizioni vigenti che si fosse resa
necessaria  per  il loro coordinamento formale e sostanziale, nonche'
per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti. Che
non fosse attribuito alcun potere in ambito penale si evidenzia anche
attraverso  il  raffronto  con  altre  leggi delega che, invece, tale
potere  prevedevano.  Un caso paradigmatico (senza andare a scomodare
come  termine  di  paragone  le  leggi  con  cui  il governo e' stato
delegato  alla  depenalizzazione degli illeciti minori, evidentemente
non  significativo)  e'  fornito  dall'art. 2  della legge n. 146 del
1994.  Analogamente al caso in esame, la delega aveva la finalita' di
consentire  il  coordinamento  di una pluralita' di testi legislativi
(direttive  comunitarie  in  materia  di  rifiuti).  La  lettera  "d"
dell'articolo,  pero', dettava specifici criteri in ordine alle norme
sanzionatorie  accessorie  alla  disciplina sostanziale di attuazione
delle diverse direttive; criteri invece mancanti nel caso di specie.
    Non  pare a questo giudice che l'erosione della tutela penale del
paesaggio, in effetti attuata, risponda all'esigenza di coordinamento
delle disposizioni ovvero ad una semplificazione dei procedimenti.
    La depenalizzazione delle condotte sembra piuttosto frutto di una
dimenticanza  del  legislatore, non emendabile in via interpretativa.
Come  detto,  l'individuazione  delle  condotte  rilevanti  ai  sensi
dell'art. 163  e'  il  risultato  di  una  operazione ermeneutica che
coinvolge,  per il tramite dell'art. 151, gli articoli 140, 144 e 146
del  testo  unico. In nessuna di queste norme, ne' in altra del testo
unico,  si  fa il benche' minimo riferimento ai beni qualificati come
ambientali da decreti ministeriali emessi ai sensi dell'art. 4, legge
n. 1497/1939.  In particolare, tale categoria di provvedimenti non e'
rapportabile   al  decreto  ministeriale  di  cui  all'art. 144,  che
presuppone l'esistenza di un elenco regionale e che, dovendo svolgere
una  funzione  sussidiaria,  non  puo'  essere  che  cronologicamente
successivo  alla  pubblicazione  degli  elenchi della regione. Con la
conseguenza  che non possono considerarsi tali i decreti emessi prima
ancora della pubblicazione di detti elenchi o, addirittura, prima del
trasferimento delle funzioni alla regione.
    (4).  v.  C.  cost.  numeri 54/1957,  24/1961,  32/1962, 57/1964,
145/1971 e 226/1974.
    (5).  Sentenza  n. 425 del 2000 e, negli stessi termini, sentenze
numeri 276, 163 e 126 del 2000; numeri 15 e 7 del 1999.
    (6). In questi termini, v. Cassazione sezione terza, n. 08359 del
28 febbraio  2001 (UD.16 gennaio 2001): "In tema di costruzione senza
autorizzazione   paesaggistica   in   zona  soggetta  a  vincolo,  la
violazione  dell'art. 1-sexies, legge 8 agosto 1985, n. 431 e' punita
con  la  sanzione prevista dall'art. 20 lettera c), legge 28 febbraio
1985,  n. 47,  anche  dopo  l'entrata  in vigore dell'art. 163 d.lgs.
n. 490   del   1999,  atteso  che  tale  ultima  fonte  ha  carattere
compilativo  e  non  e'  idonea  a  introdurre  una  nuova disciplina
sanzionatoria  in  materia  penale,  vuoi  perche' manca una espressa
delega  legislativa  (art. 1, legge n. 352 del 1997) vuoi perche' una
diversa  interpretazione  sarebbe  contraria  a  quella fornita dalla
Corte costituzionale sulla valenza del vincolo paesistico".
    Neppure   si   puo'   interpretare   l'art. 163   nel  senso  che
autorizzazione  rilevante  al  fine  dell'integrazione  del reato sia
quella   ex   art. 7   legge   n. 1497/1939,  poiche'  l'art. 166  ha
espressamente abrogato tale legge.
    L'esclusione  delle condotte aggressive di tali beni dalla tutela
penale  inoltre  sembra  incrinare  l'intrinseca ragionevolezza della
legge,  introducendo  un  trattamento  differenziato di situazioni in
effetti   identiche.   Identiche,   infatti,  sono  le  finalita'  di
protezione  sottostanti  tanto  agli  elenchi  regionali,  quanto  ai
decreti  ministeriali ex legge n. 1497/1939. Invero, le regioni hanno
soltanto  preso  il  posto  dello  Stato  nell'esercizio della tutela
paesistica.  Le  modalita' con le quali tale tutela si attua, invece,
sono  rimaste  immutate, cosi' come lo strumento normativo in base al
quale si concretizza: nell'articolato normativo si e' solo sostituito
la   parola   "Ministero"  con  "Regione".  Non  si  puo',  pertanto,
differenziare  l'efficacia  dei  provvedimenti di tutela in relazione
all'autorita'   emanante   e,   cosi',   giustificare   il  diseguale
trattamento  normativo.  Ne',  di  conseguenza, si puo' attribuire un
differente rilievo alle condotte offensive, sanzionando come illecito
penale  le  violazioni  attinenti  ai  beni ambientali protetti dalle
regioni e non sanzionando quelle relative ai beni gia' tutelati dallo
Stato.

                              Ritenuto

Quanto alla rilevanza della questione:
    La  questione  e'  rilevante nel giudizio a quo, atteso che dalla
soluzione  della  stessa  dipende  l'emissione  del decreto penale di
condanna richiesto.
    L'intervento  rilevato, qualora l'art. 163 fosse applicabile alla
fattispecie,  sarebbe  penalmente  rilevante  sotto  il profilo della
tutela paesistica.
    La  Corte  di  cassazione  -  sulla  linea  tracciata  da codesta
Corte(7)   -   ha  gia'  avuto  modo  di  chiarire  che  "in  materia
paesaggistica,   anche   dopo   la  entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo  29 ottobre 1999, n. 490, che ha sostituito le previgenti
disposizioni   di   cui  al  decreto-legge  27 giugno  1985,  n. 312,
convertito  in  legge  8 agosto 1985, n. 431, le ipotesi di reato ivi
previste  mantengono  la  natura di reati di pericolo, sicche' rimane
esclusa  la sanzionabilita' soltanto di interventi non autorizzati di
entita'  talmente  minima  da  non  potere  dare  luogo,  neppure  in
astratto,  al  pericolo  di  un  pregiudizio  ai  beni  protetti" (v.
Cassazione,  sezione  terza, sentenza n. 40862 del 16 novembre 2001).
Invero,  "l'integrita'  ambientale  e'  un  bene  unitario,  che puo'
risultare  compromesso  anche  da interventi minori e che pertanto va
salvaguardato  nella  sua  interezza" (Corte costituzionale n. 67 del
1992).
    Nel  caso di specie, la consistenza degli interventi e' tale, per
dimensioni  (interessando  un'area  di  ben  66 mq.), da escludere la
possibilita' di qualificazione delle opere in quella "minima entita'"
che esclude la necessita' dell'autorizzazione paesistica.
    Non solo. Vi e' anche un preciso indice normativo della rilevanza
paesistica delle opere del tipo posto in essere dall'indagato.
    Il  risultato  dell'intervento  edilizio rilevato costituisce una
pertinenza.  Sotto  il  profilo penale, tale opera e' irrilevante per
l'aspetto  urbanistico;  e'  invece  rilevante  per quello paesistico
ambientale.   Cio'   risulta   in   via   positiva   dall'art. 7  del
decreto-legge  23 gennaio  1982,  n. 9,  convertito con modificazioni
nella  legge  25 marzo  1982, n. 94, dove il regime di autorizzazione
gratuita  degli  interventi  di  edificazione  di pertinenze trova un
limite nel fatto che le opere riguardino beni tutelati ai sensi della
legge 29 giugno 1939, n. 1497. Il che dimostra che, in presenza di un
diverso  interesse  da  comparare  (quello paesistico) non si possono
piu'  applicare  le  procedure semplificate ed il silenzio assenso e'
sostituito  da  un  provvedimento espresso, la cui necessita' dipende
dall'esigenza  di  acquisire la valutazione dell'interesse paesistico
da parte dell'autorita' preposta alla sua cura.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che precedono, quindi, si deve
concludere  che  non  e'  possibile superare in via interpretativa la
prospettata illegittimita' costituzionale delle norme esaminate e che
il   giudizio   non  puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla
soluzione della questione devoluta all'esame di codesta Corte.
    (7). V. Corte costituzionale numeri 360/1995; 133/1992; 333/1991;
296/1996; 247/1997.