IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale iscritto nel registro delle notizie di reato in data 3 aprile 2000 ed esaminata la richiesta del pubblico ministero in data 11 ottobre 2001 con la quale si chiede l'emissione di decreto di condanna nei confronti di Lombardelli Paolo nato il 25 maggio 1934 a Sorano, residente in Orbetello, frazione Albinia loc. Barncazzi, via Toscana n. 1; Lombardelli Fabio nato il 2 luglio 1965 a Orbetello, residente in Orbetello, frazione Albinia loc. Barncazzi, via Toscana n. 1; Lombardelli Massimiliano nato il 17 aprile 1968 a Orbetello, residente in Orbetello, frazione Albinia, loc. Barncazzi, via Toscana n. 1; imputati del reato p. e p. dall'art. 110 codice penale e 1-sexies legge n. 431/1985, come modificato dall'art. 163, decreto legislativo n. 490/1999, perche', in concorso tra loro, in qualita' di committenti, in assenza del N.O. paesistico, alteravano le bellezze paesistiche dei luoghi soggetti a speciale protezione dell'autorita', mediante la realizzazione di una tettoia con travatura in legno, per una superficie complessiva di mq 66 in Orbetello, il 14 marzo 2000. In seguito a sopralluogo nella proprieta' Lombardelli la Polizia municipale di Orbetello constatava la realizzazione di una tettoia con funzione di copertura di due posti auto, a servizio della vicina abitazione. Dagli accertamenti condotti presso l'ufficio tecnico comunale e' emerso che il Lombardelli non si era munito di nessun titolo autorizzativo, nonostante il fatto che l'area sulla quale l'opera e' stata eseguita e' vincolata ai sensi della legge n. 1497/1939 con decreto ministeriale 14 aprile 1989. Di conseguenza il pubblico ministero ha chiesto l'emissione di decreto penale di condanna, ritenendo l'integrazione della contravvenzione ex art. 163 decreto legislativo n. 490/1999. L'esegesi della disposizione contestata sembrerebbe non consentire l'accoglimento della richiesta, atteso che i beni sottoposti a protezione paesistica dai decreti ministeriali ex lege n. 1497/1939 non sono compresi tra quelli in relazione ai quali l'art. 151 del decreto citato - con norma sanzionata dall'art. 163 stesso decreto - richiede l'autorizzazione paesistica. Dubita, pero', questo giudice della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli 163 e 151, decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 nella parte in cui non prevedono l'obbligo per i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi negli elenchi approvati con decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 4, della legge 29 giugno 1939, n. 1497 di sottoporre alla regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione, in relazione all'art. 76 della Costituzione. Ritenuto Quanto alla fondatezza della questione: La tutela del paesaggio e' stata recentemente disciplinata dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo Unico sui beni culturali ed ambientali, in seguito indicato come T.U.B.C.A.),. con il quale si e' proceduto ad un intervento di riunione e coordinamento di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali. L'art. 163 del decreto, per quanto qui interessa, ha sostituito la norma dell'art. 1-sexies, legge 8 agosto 1985 n. 431 inserendo una disposizione sanzionatoria che, se da un lato si pone in termini di continuita' con la legge "Galasso", dall'altro specifica il precetto in termini piu' puntuali, che, tuttavia, creano un vuoto di tutela rispetto all'ambito delineato dalla normativa preesistente. La S.C. di cassazione ha precisato che "tra le due disposizioni sussiste continuita' normativa,sia per l'oggetto della tutela sia per il regime sanzionatorio, rimasto immutato stante il riferimento alle pene previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47" (Cassazione, sezione terza, sentenza n. 10863 del 23 ottobre 2000, Raguccia e n. 8359 del 28 febbraio 2001) ed ha visto nell'art. 151 del T.U.B.C.A. "una testuale conferma normativa" dell'interpretazione giurisprudenziale con la quale il regime sanzionatorio dell'art. 1-sexies era stato esteso ai beni tutelati ai sensi dell'art. 1497/39 (Cassazione, sezione terza n. 34385 del 21 settembre 2001). Invero, la giurisprudenza di legittimita(1) ha sempre interpretato l'art. 1-sexies della legge n. 431/1985 [che recitava: "ferme restando le sanzioni di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, per le violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto si applicano altresi' quelle previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47"] nel senso che integra il reato "anche la violazione del vincolo paesaggistico imposto con provvedimento amministrativo a norma della legge 29 giugno 1939, n. 1497: cio' in quanto la suddetta norma si riferisce alle violazioni delle disposizioni di cui agli articoli precedenti, tra i quali l'art. 1 recepisce e fa proprio il regime del vincolo paesaggistico di cui alla citata legge e gli articoli ter e quinquies prevedono regime unitario sia per i beni sottoposti a vincolo derivante dalla legge sia per quelli il cui vincolo sia disposto con provvedimento amministrativo; a cio' aggiungasi la considerazione che l'art. 1-sexies, precisando che restano ferme le sanzioni amministrative di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, rende evidente la propria applicabilita' alle violazioni dei vincoli imposti con provvedimenti amministrativi poiche' solo con riferimento alle medesime possono trovare applicazione tali sanzioni". E' pertanto evidente che l'estensione della tutela penale ai vincoli imposti anteriormente alla data di entrata in vigore della "Galasso" e' stata possibile proprio in ragione della formulazione letterale della norma e dal suo inserimento in un dato corpus normativo, attraverso il rinvio alle disposizioni del quale era possibile delimitare l'ambito dei fatti penalmente rilevanti. Il novellato testo della disposizione sanzionatoria [art. 163 T.U.B.C.A. "Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformita' di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni ambientali e' punito con le pene previste dall'articolo 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47"], anche se maggiormente rispondente al principio di tassativita', per effetto della riformulazione e della frammentazione, in un piu' ampio testo di legge, delle norme cui il reato gia' previsto dall'art. 1-sexies legge n. 431/1985 faceva rinvio, non consente piu' tale operazione ermeneutica. (1) (cfr. Cassazione, sezione terza, sentenze n. 4136 del 31 marzo 1999; n. 3957 del 5 aprile 1994; n. 5343 del 7 maggio 1994; n. 5627 del 12 maggio 1994; n. 11352 del 4 ottobre 1999; n. 5865 del 23 maggio 1994). La descrizione della condotta illecita ruota oggi su due concetti normativi: quello di autorizzazione e quello (strettamente correlato) di bene ambientale. Ne consegue che il cardine del sistema della tutela penale e' costituito dall'art. 151 del T.U.B.C.A., che contiene gli elementi necessari a esplicitare le due nozioni. L'articolo 151 stabilisce che "i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi negli elenchi pubblicati a norma dell'articolo 140 o dell'articolo 144 o nelle categorie elencate all'articolo 146 (...) hanno l'obbligo di sottoporre alla regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione". Dall'integrazione di questa disposizione con quella dell'art. 163 risulta che per determinare quando sia necessaria l'autorizzazione, e, di conseguenza, quando - mancando l'autorizzazione - sussista il reato, occorre fare riferimento agli elenchi pubblicati a norma dell'articolo 140 o dell'articolo 144 o alle categorie elencate all'articolo 146, onde verificare se il bene sia o meno da qualificare come ambientale e, quindi, scatti per il proprietario, che intenda eseguire interventi su tale bene l'obbligo di sottoporre i progetti delle opere all'esame dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo. Attraverso il rinvio (diretto) all'art. 151 e (indiretto) agli artt. 140, 144 e 146, pertanto, il precetto dell'art. 163 si specifica nel senso di assoggettare a sanzione chiunque esegue senza autorizzazione lavori su uno dei beni compresi negli elenchi ex artt. 140 e 144 o nelle categorie ex art. 146. Il risultato conseguito a tale tecnica normativa di tipizzazione delle condotte e' la sottrazione dall'ambito della tutela penale dei beni sottoposti a protezione, in base alla normativa della legge n. 1497/1939, con i decreti ministeriali. Infatti, l'articolo 140 prevede che le regioni compilino su base provinciale due distinti elenchi dei beni indicati alle lettere a) e b) e delle localita' indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139(2) ; l'art. 144 attribuisce al Ministro competente il potere di integrare gli elenchi dei beni e delle localita' indicati all'articolo 139; l'art. 146, invece, trasfonde nel testo unico le categorie di beni individuate dall'art. 1 del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (che ha aggiunto i commi 5, 6 e 7 all'art. 82 al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616): in nessuna di queste disposizioni (che contengono l'elencazione dei casi in cui l'autorizzazione e' necessaria), ne' in altra del testo unico, si fa alcun riferimento ai decreti ministeriali adottati in base alla legge n. 1497/1939(3). Per le opere da eseguire sui beni contemplati in detti decreti, pertanto, non sembra essere piu' necessario alcun assenso da parte della regione, con la conseguenza che la mancata autorizzazione dei lavori e' un fatto penalmente irrilevante. Invero, nel sistema originario della legge n. 1497/1939 la sottoposizione di un bene a protezione era realizzata mediante l'inserimento dello stesso in elenchi, compilati "provincia per provincia" da una "Commissione" che agiva in sede locale, ed approvati con decreto del Ministro dei beni culturali ed ambientali. L'art. 141 ha sostituito (in tal modo coordinando la normativa de qua con l'art. 82, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 cit.) le competenze ministeriali in materia con quelle della regione, che provvede all'approvazione degli elenchi. L'effetto che ne e' scaturito e' stato di sostanziale depenalizzazione delle condotte aggressive dei beni individuati dai decreti ministeriali ex art. 4 legge n. 1497/1939. Poiche', come osservato, nelle norme che valgono a definire il precetto (articoli 151, 140, 144 e 146 cit.) non si fa menzione dei decreti ministeriali, i beni in essi individuati non si possono piu' ritenere presidiati dalla tutela penale, salvo due casi: che sia intervenuto un provvedimento della regione che classifichi quei medesimi beni come ambientali; che detti beni appartengano anche ad una delle categorie ex art. 146. Cio' in violazione della legge delega, che aveva ad oggetto il solo riordino della normativa e non attribuiva al Governo alcuna facolta' di eliminazione degli illeciti. (2). Si tratta dei beni gia' individuati dall'art. 1 della legge n. 1497/1939: le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarita' geologica; le ville, i giardini e i parchi, non tutelati a norma delle disposizioni del Titolo 1, che si distinguono per la loro non comune bellezza; i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; le bellezze panoramiche considerate come quadri e cosi' pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze. (3). Unico accenno ai decreti ministeriali, peraltro inconferente rispetto alla materia, e' contenuto nell'art. 145: "Gli elenchi dei beni e delle localita' indicati all'articolo 139 approvati dal Ministero prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, nonche' le integrazioni previste dall'articolo 144, non possono essere revocati o modificati se non previo parere del competente comitato di settore del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali che si pronuncia nel termine di quarantacinque giorni dalla data della richiesta". La legge 8 ottobre 1997, n. 352 recante "Disposizioni sui beni culturali" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 1997 - Supplemento ordinario n. 212, all'art. 1 prevede che: "1. Il Governo della Repubblica e' delegato ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali. Con l'entrata in vigore del testo unico sono abrogate tutte le previgenti disposizioni in materia che il Governo indica in allegato al medesimo testo unico. 2. Nella predisposizione del testo unico di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi: a) possono essere inserite nel testo unico le disposizioni legislative vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, nonche' quelle che entreranno in vigore nei sei mesi successivi; b) alle disposizioni devono essere apportate esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonche' per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti". Questo giudice dubita, di conseguenza, della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 163 e 151 - nella parte in cui richiedono la preventiva autorizzazione paesistica solo per i beni elencati negli artt. 140, 144 e 146 - poiche', operando una depenalizzazione delle condotte sopra descritte, violano i criteri e principi direttivi della delega sulla cui base e' stato emanato il T.U.B.C.A. In primo luogo occorre porre in evidenza che la legge 8 ottobre 1997, n. 352 contiene una vera e propria delega legislativa, in quanto ha attribuito al Governo il potere di modificare le norme in vista del loro coordinamento. Ne consegue che il testo licenziato non ha natura amministrativa, ma legislativa, e la sua legittimita' puo' essere valutata alla luce dell'art. 76 Cost.(4). Secondo la giurisprudenza di codesta Corte "il giudizio di conformita' della norma delegata alla norma delegante, condotto alla stregua dell'art. 76 Cost., si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e individuando le ragioni e le finalita' poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e criteri direttivi della delega"(5). Procedendo in questa valutazione salta agli occhi il fatto che non era stato attribuito alcun potere di innovare l'apparato sanzionatorio esistente(6). Infatti, la delega legislativa consentiva solo la modificazione delle disposizioni vigenti che si fosse resa necessaria per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonche' per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti. Che non fosse attribuito alcun potere in ambito penale si evidenzia anche attraverso il raffronto con altre leggi delega che, invece, tale potere prevedevano. Un caso paradigmatico (senza andare a scomodare come termine di paragone le leggi con cui il governo e' stato delegato alla depenalizzazione degli illeciti minori, evidentemente non significativo) e' fornito dall'art. 2 della legge n. 146 del 1994. Analogamente al caso in esame, la delega aveva la finalita' di consentire il coordinamento di una pluralita' di testi legislativi (direttive comunitarie in materia di rifiuti). La lettera "d" dell'articolo, pero', dettava specifici criteri in ordine alle norme sanzionatorie accessorie alla disciplina sostanziale di attuazione delle diverse direttive; criteri invece mancanti nel caso di specie. Non pare a questo giudice che l'erosione della tutela penale del paesaggio, in effetti attuata, risponda all'esigenza di coordinamento delle disposizioni ovvero ad una semplificazione dei procedimenti. La depenalizzazione delle condotte sembra piuttosto frutto di una dimenticanza del legislatore, non emendabile in via interpretativa. Come detto, l'individuazione delle condotte rilevanti ai sensi dell'art. 163 e' il risultato di una operazione ermeneutica che coinvolge, per il tramite dell'art. 151, gli articoli 140, 144 e 146 del testo unico. In nessuna di queste norme, ne' in altra del testo unico, si fa il benche' minimo riferimento ai beni qualificati come ambientali da decreti ministeriali emessi ai sensi dell'art. 4, legge n. 1497/1939. In particolare, tale categoria di provvedimenti non e' rapportabile al decreto ministeriale di cui all'art. 144, che presuppone l'esistenza di un elenco regionale e che, dovendo svolgere una funzione sussidiaria, non puo' essere che cronologicamente successivo alla pubblicazione degli elenchi della regione. Con la conseguenza che non possono considerarsi tali i decreti emessi prima ancora della pubblicazione di detti elenchi o, addirittura, prima del trasferimento delle funzioni alla regione. (4). v. C. cost. numeri 54/1957, 24/1961, 32/1962, 57/1964, 145/1971 e 226/1974. (5). Sentenza n. 425 del 2000 e, negli stessi termini, sentenze numeri 276, 163 e 126 del 2000; numeri 15 e 7 del 1999. (6). In questi termini, v. Cassazione sezione terza, n. 08359 del 28 febbraio 2001 (UD.16 gennaio 2001): "In tema di costruzione senza autorizzazione paesaggistica in zona soggetta a vincolo, la violazione dell'art. 1-sexies, legge 8 agosto 1985, n. 431 e' punita con la sanzione prevista dall'art. 20 lettera c), legge 28 febbraio 1985, n. 47, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 163 d.lgs. n. 490 del 1999, atteso che tale ultima fonte ha carattere compilativo e non e' idonea a introdurre una nuova disciplina sanzionatoria in materia penale, vuoi perche' manca una espressa delega legislativa (art. 1, legge n. 352 del 1997) vuoi perche' una diversa interpretazione sarebbe contraria a quella fornita dalla Corte costituzionale sulla valenza del vincolo paesistico". Neppure si puo' interpretare l'art. 163 nel senso che autorizzazione rilevante al fine dell'integrazione del reato sia quella ex art. 7 legge n. 1497/1939, poiche' l'art. 166 ha espressamente abrogato tale legge. L'esclusione delle condotte aggressive di tali beni dalla tutela penale inoltre sembra incrinare l'intrinseca ragionevolezza della legge, introducendo un trattamento differenziato di situazioni in effetti identiche. Identiche, infatti, sono le finalita' di protezione sottostanti tanto agli elenchi regionali, quanto ai decreti ministeriali ex legge n. 1497/1939. Invero, le regioni hanno soltanto preso il posto dello Stato nell'esercizio della tutela paesistica. Le modalita' con le quali tale tutela si attua, invece, sono rimaste immutate, cosi' come lo strumento normativo in base al quale si concretizza: nell'articolato normativo si e' solo sostituito la parola "Ministero" con "Regione". Non si puo', pertanto, differenziare l'efficacia dei provvedimenti di tutela in relazione all'autorita' emanante e, cosi', giustificare il diseguale trattamento normativo. Ne', di conseguenza, si puo' attribuire un differente rilievo alle condotte offensive, sanzionando come illecito penale le violazioni attinenti ai beni ambientali protetti dalle regioni e non sanzionando quelle relative ai beni gia' tutelati dallo Stato. Ritenuto Quanto alla rilevanza della questione: La questione e' rilevante nel giudizio a quo, atteso che dalla soluzione della stessa dipende l'emissione del decreto penale di condanna richiesto. L'intervento rilevato, qualora l'art. 163 fosse applicabile alla fattispecie, sarebbe penalmente rilevante sotto il profilo della tutela paesistica. La Corte di cassazione - sulla linea tracciata da codesta Corte(7) - ha gia' avuto modo di chiarire che "in materia paesaggistica, anche dopo la entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, che ha sostituito le previgenti disposizioni di cui al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431, le ipotesi di reato ivi previste mantengono la natura di reati di pericolo, sicche' rimane esclusa la sanzionabilita' soltanto di interventi non autorizzati di entita' talmente minima da non potere dare luogo, neppure in astratto, al pericolo di un pregiudizio ai beni protetti" (v. Cassazione, sezione terza, sentenza n. 40862 del 16 novembre 2001). Invero, "l'integrita' ambientale e' un bene unitario, che puo' risultare compromesso anche da interventi minori e che pertanto va salvaguardato nella sua interezza" (Corte costituzionale n. 67 del 1992). Nel caso di specie, la consistenza degli interventi e' tale, per dimensioni (interessando un'area di ben 66 mq.), da escludere la possibilita' di qualificazione delle opere in quella "minima entita'" che esclude la necessita' dell'autorizzazione paesistica. Non solo. Vi e' anche un preciso indice normativo della rilevanza paesistica delle opere del tipo posto in essere dall'indagato. Il risultato dell'intervento edilizio rilevato costituisce una pertinenza. Sotto il profilo penale, tale opera e' irrilevante per l'aspetto urbanistico; e' invece rilevante per quello paesistico ambientale. Cio' risulta in via positiva dall'art. 7 del decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1982, n. 94, dove il regime di autorizzazione gratuita degli interventi di edificazione di pertinenze trova un limite nel fatto che le opere riguardino beni tutelati ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497. Il che dimostra che, in presenza di un diverso interesse da comparare (quello paesistico) non si possono piu' applicare le procedure semplificate ed il silenzio assenso e' sostituito da un provvedimento espresso, la cui necessita' dipende dall'esigenza di acquisire la valutazione dell'interesse paesistico da parte dell'autorita' preposta alla sua cura. Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, si deve concludere che non e' possibile superare in via interpretativa la prospettata illegittimita' costituzionale delle norme esaminate e che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione devoluta all'esame di codesta Corte. (7). V. Corte costituzionale numeri 360/1995; 133/1992; 333/1991; 296/1996; 247/1997.