IL TRIBUNALE


                            O s s e r v a

    Sutherland  Alan  veniva  citato  in  giudizio per rispondere del
reato  di  cui  agli  artt. 21,  comma  secondo, e 23, comma secondo,
d.lgs.  n. 46/1997,  come  specificato nel capo di imputazione che si
allega  in  copia.  Preliminarmente,  questo giudice ritiene di dover
sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 23,
comma secondo, d.lgs. n. 46/1997, come modificato dall'art. 13 d.lgs.
n. 95/1998  in  relazione  all'art. 3  Cost.;  la  stessa  questione,
peraltro, era stata sollevata da questo giudice (su istanza di parte)
in  altro  procedimento che vedeva imputato Sutherland, con altre due
persone, per diverso episodio dello stesso reato.
    La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante.
    Ritiene  questo  giudice  che  la  questione  sia  rilevante  per
l'imputato,  in quanto deve rispondere del reato previsto dalla norma
della cui legittimita' costituzionale si dubita.
    Se,  infatti,  il  comma secondo,  dell'art. 23 d.lgs. n. 46/1997
dovesse   essere   dichiarato   costituzionalmente  illegittimo,  non
rimarrebbe alcuna imputazione per il Sutherland.
    La questione non sarebbe rilevante se questo giudice ritenesse di
poter  considerare  tacitamente  abrogato  l'articolo  denunciato. Ma
cosi' non e', per i seguenti motivi.
    Attualmente,  nel  nostro  ordinamento  esistono  due  norme  che
disciplinano  la pubblicizzazione senza autorizzazione di dispositivi
medici (diversi da quelli di cui al comma 1, dell'art. 21, del d.lgs.
n. 46/1997):  una  e'  la  norma  di  cui all'art. 23, comma secondo,
d.lgs. n. 46/1997 e l'altra e' l'art. 201 T.U.L.S.
    Il  terzo comma dell'art. 201 cit. infatti, prevede la necessita'
di  licenza  (ora  autorizzazione)  del  Ministero per l'interno (ora
Ministro  della  sanita)  per  la  pubblicita'  a  mezzo  stampa o in
qualsiasi  altro  modo,  concernente,  tra l'altro, i presidii medico
chirurgici.
    Ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 13 marzo 1986 n. 128 (Regolamento
di  esecuzione  delle norme di cui all'art. 189 del testo unico leggi
sanitarie;  il  d.P.R.  e'  stato  abrogato dal d.P.R. 6 ottobre 1998
n. 392,  ma  la definizione dei presidi medico chirurgici puo' essere
utilizzata,  non essendo stata modificata da regolamenti successivi),
i  presidii  medico  chirurgici si dividono in tre gruppi: a) presidi
chimici; b) dispositivi medici; c) diagnostici in vitro.
    Pertanto,  i  dispositivi  medici sono una delle tre categorie di
presidii   medici;  l'art. 201  T.U.L.S.,  dunque,  disciplinando  la
pubblicizzazione   dei   presidii   medici,   disciplina   anche   la
pubblicizzazione dei dispositivi medici.
    Ai   sensi  dell'art. 201  T.U.L.S.,  depenalizzato  dall'art. 68
d.lgs.   31 dicembre   1999   n. 507,   la   pubblicizzazione   senza
autorizzazione  dei  dispositivi  medici  costituisce  mero  illecito
amministrativo,  mentre  a  norma  dell'art. 23  d.lgs. n. 46/1997 la
stessa condotta e' sanzionata penalmente.
    Il  T.U.L.S.  e' una legge generale rispetto al d.lgs. n. 46/1997
in  materia di dispositivi medici e rispetto al d.lgs. n. 541/1992 in
tema di pubblicita' dei medicinali ad uso umano.
    I  due  decreti  legislativi  attuativi  di altrettante direttive
comunitarie  (direttiva  n. 93/42/CEE  per  i  dispositivi  medici  e
direttiva  92/28/CEE  per  i medicinali ad uso umano), infatti, hanno
regolato  in  parte  diversamente la materia dei dispositivi medici e
dei  medicinali  ad  uso umano rispetto al T.U.L.S. e si pongono come
leggi speciali rispetto ad esso.
    Fino     all'emanazione    del    decreto    legislativo    sulla
depenalizzazione,   pero',  non  si  era  creato  alcun  problema  di
coordinamento  della  materia che ci interessa, in quanto la sanzione
penale prevista nel caso di pubblicizzazione illecita di prodotti era
identica  in tutti i casi, ossia nei casi gia' disciplinati dal Testo
Unico e nei casi disciplinati dalla normativa piu' specifica.
    Ora  che,  invece,  il  problema  si  pone, deve esaminarsi se lo
stesso puo' essere risolto applicando i principi generali del diritto
e  del  diritto  penale  in tema di abrogazione implicita o tacita di
norme.
    Una   disposizione   di   legge   puo'  ritenersi  implicitamente
abrogativa  di  una  disposizione  precedente se e' incompatibile con
quella,   in   modo   da   rendere   impossibile   o  contraddittoria
l'applicazione  contemporanea delle due norme considerate in rapporto
tra loro.
    Attualmente  vi  e'  una indubbia incompatibilita' tra l'art. 201
T.U.L.S  e  l'art. 23  d.lgs.  n. 46/1997,  che  rende  impossibile e
contraddittoria  l'applicazione  contemporanea delle due norme, ma, a
parere  di  chi  scrive,  il  conflitto  non  puo' essere risolto dal
giudice  ordinario  mediante  l'istituto  dell'abrogazione  tacita di
norme,  perche'  il  d.lgs.  n. 46/1997  si  pone  in  una  posizione
privilegiata   nell'ambito  della  gerarchia  delle  fonti  normative
rispetto  all'art. 201  T.U.L.S., per essere una legge speciale ed un
decreto legislativo attuativo di una direttiva comunitaria.
    Ad  esempio,  il  decreto  in  parola  pone  anche  un divieto di
pubblicita' per alcuni tipi di dispositivi medici (che possono essere
venduti   solo   su   prescrizione  medica  o  essere  impiegati  con
l'assistenza  di  un  medico  o  di  altro  professionista sanitario,
art. 21  d.lgs.  cit.),  divieto  che non e' previsto dalla normativa
generale,  risalente, peraltro, nella sua originaria formulazione, ad
un Testo Unico del 1934 (e la materia dei presidii medici in generale
ha subito evoluzioni tecniche notevoli da quell'epoca).
    La  questione,  quindi,  non  puo'  essere  risolta  dal  giudice
ordinario e deve essere rimessa alla Corte costituzionale.
    La questione di legittimita' costituzionale non e' manifestamente
infondata.
    La  norma  di  cui  sopra  sanziona penalmente la condotta di chi
effettua pubblicita' di dispositivi medici ... senza l'autorizzazione
di  cui all'art. 21, comma 2 (dello stesso d.lgs.), mentre, a seguito
dell'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  31  dicembre  1999  n. 507, la
fattispecie  penale  originariamente prevista per la pubblicizzazione
di  medicinali ad uso umano senza autorizzazione e' stata trasformata
in   violazione   amministrativa   (artt. 90   e   68   d.lgs.  sulla
depenalizzazione).
    La  pubblicizzazione di dispositivi medici senza autorizzazione e
la  pubblicizzazione  di medicinali ad uso umano senza autorizzazione
sono  due  condotte  di  eguale disvalore, lesive dello stesso bene o
interesse  giuridico  e  sempre  trattate  dal  legislatore  in  modo
identico,   tanto   che  originariamente  erano  entrambe  sanzionate
penalmente  con  l'arresto  fino  a  tre mesi e con l'ammenda da lire
duecentomila a lire un milione.
    Le sanzioni penali, originariamente stabilite per entrambi i casi
dall'art. 201,  quinto comma T.U.L.S., sono state per entrambi i casi
ribadite  da  decreti  legislativi attuativi di normative comunitarie
(d.lgs.  n. 541/1992  attuativo  della  direttiva  CEE n. 92/98 per i
medicinali ad uso umano e d.lgs. n. 46/1997 attuativo della direttiva
CEE n. 93/42 per i dispositivi medici).
    La   procedura   prevista   per   la  richiesta  ed  il  rilascio
dell'autorizzazione in questione e' identica nei due casi.
    Pertanto, fino al momento dell'emanazione del decreto legislativo
attuativo  della  legge delega sulla depenalizzazione, il legislatore
ha  mantenuto  una  uniformita' di scelte in tema di protezione della
collettivita'  e  del  bene della salute in materia di pubblicita' di
medicinali e di dispositivi medici.
    Invece,  improvvisamente,  con l'emanazione della legge delega e,
poi,   del   decreto   legislativo  sulla  depenalizzazione,  le  due
discipline  si  sono discostate in modo netto, nel senso che e' stata
depenalizzata  la pubblicizzazione di medicinali senza autorizzazione
ed e' stato mantenuto il reato per la pubblicizzazione di dispositivi
medici senza autorizzazione, con introduzione nell'ordinamento di una
disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  riservato  a  fattispecie
lesive in egual misura di uno stesso bene o interesse giuridico.
    Il  verificarsi  di tale disparita' non appare ragionevole, anche
tenuto conto della "storia parallela" delle due ipotesi.
    Si  e'  operato un approfondito esame dei lavori preparatori alla
legge delega 25 giugno 1999 n. 205 (di cui il d.lgs. 31 dicembre 1999
n. 507  e'  attuazione), che, all'art. 7, lett. f delega il Governo a
trasformare in illeciti amministrativi i reati previsti dagli artt. 6
e 15 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 541 e dall'art. 201 T.U.L.S.
    In  nessun  punto delle relazioni alla legge (del sen. Follieri e
dell'on. Carotti)  ed  in  nessun  punto  delle  discussioni svoltesi
presso la 2a Commissione (Giustizia) e nelle aule delle due Camere e'
spiegata l'eventuale ratio della introdotta disparita' di trattamento
tra  le due ipotesi di cui sopra, non essendovi stato, evidentemente,
in  argomento,  alcun  contrasto  ed alcuna discussione nel corso dei
lavori preparatori alla legge.
    Pertanto,  l'introdotta  disparita'  di  trattamento  rimane  non
ragionevole  e  non spiegata dal legislatore. Ci troviamo, quindi, in
uno  di  quei  casi  in  cui  la  Corte  costituzionale ha piu' volte
ritenuto  di  intervenire,  censurando  il  potere  discrezionale del
legislatore  sotto  il  profilo  della  legittimita'  costituzionale,
qualora lo stesso venga esercitato senza il rispetto del limite della
ragionevolezza,  (tra le altre, Corte costituzionale, sentenza n. 409
del 1989, ordinanza 5 febbraio 1999 n. 21).
    Si  e'  ravvisata  in tali casi, e si ritiene che sia ravvisabile
nel   presente   caso,   una  arbitraria  disparita'  di  trattamento
sanzionatorio, conseguente alla sopravvenuta produzione normativa, di
disposizioni   aventi   identica   obbiettivita'  giuridica,  con  la
conseguente violazione del dettato dell'art. 3 Costituzione.
    Quindi, la sollevata questione non e' manifestamente infondata.
    La ritenuta non manifesta infondatezza appare con evidenza ancora
maggiore  se si rileva che, come sopra gia' esposto, attualmente, nel
nostro   ordinamento   esistono   due   norme   che  disciplinano  la
pubblicizzazione   senza   autorizzazione   di   dispositivi  medici:
l'art. 23,  comma secondo, d.lgs. n. 46/1997, che sanziona penalmente
la  condotta e l'art. 201 T.U.L.S. che sanziona la condotta come mero
illecito  amministrativo.  E si e' osservato come il conflitto tra le
due norme non possa essere risolto dal giudice ordinario.
    In  base  a  tali  osservazioni,  va  ritenuta  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 23  del  d.lgs.  n. 46/1997, in relazione all'art. 3 Cost.,
nella  parte  in  cui  prevede la pena dell'arresto fino a tre mesi e
dell'ammenda  da  L.  200.000  a  L.  1.000.000 in caso di violazione
dell'art. 21 dello stesso d.lgs.