ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 116 del codice
civile  promosso  dal Tribunale di Roma con ordinanza del 3 settembre
2001  sui  ricorsi  riuniti  proposti da Bouaziz Nabiha Bent Ayech ed
altri  contro  il  comune  di  Roma  iscritta  al n. 283 del registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 24, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto l'atto di costituzione del comune di Roma nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  5 novembre  2002  il  giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  l'avvocato  Roberto  Tomasuolo  per  il  comune  di Roma e
l'avvocato  dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
    Ritenuto  che il Tribunale di Roma, con ordinanza del 3 settembre
2001,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale, in
riferimento  all'art. 2  della  Costituzione, dell'art 116 del codice
civile,  nella  parte  in  cui impone allo straniero, il quale voglia
contrarre  matrimonio in Italia, la presentazione all'ufficiale dello
stato  civile  di  una  dichiarazione  dell'autorita'  competente del
proprio  paese,  dalla  quale  risulti  che  nulla osta al matrimonio
secondo  le  leggi  alle  quali  egli  e'  assoggettato,  ovvero,  in
subordine,  nella  parte  in  cui  non prevede che, in mancanza della
predetta  dichiarazione,  possa  essere presentata al detto ufficiale
documentazione  idonea  ad  attestare  la  mancanza di impedimenti al
matrimonio,  secondo  la  legislazione  cui il cittadino straniero e'
sottoposto;
        che  il  giudice  a  quo  era  stato  adito, con due distinti
ricorsi ex art. 98, comma secondo, del codice civile, successivamente
riuniti,  avverso  il  rifiuto  dell'ufficiale  dello stato civile di
procedere  alle pubblicazioni di matrimonio in ragione della mancanza
del  certificato  richiesto  dall'art. 116  cod.  civ.  da due coppie
costituite,  rispettivamente,  da  una  cittadina  tunisina  e  da un
italiano  e  da un cittadino siriano a da un'italiana: nel primo caso
l'impedimento  al  matrimonio derivava dal divieto, posto dalla legge
tunisina,  al  matrimonio con un cittadino straniero di religione non
islamica,  mentre  nel secondo dei due giudizi, la certificazione non
era  stata  rilasciata  a  causa del mancato svolgimento del servizio
militare di leva da parte del cittadino siriano;
        che i nubendi avevano convenuto in giudizio il comune di Roma
e, premesso di possedere i requisiti richiesti dagli artt. 84, 85, 86
cod.  civ.  ed  altresi'  esclusi  gli  impedimenti  al matrimonio ex
artt. 87,  88,  89  cod.  civ.,  avevano  chiesto  che  il  Tribunale
autorizzasse   l'ufficiale   dello  stato  civile  ad  effettuare  le
pubblicazioni;
        che il remittente, sulla premessa della mancata previsione di
un provvedimento "autorizzativo al matrimonio", ritenuto legittimo il
rifiuto  dell'ufficiale dello stato civile, prospetta come risolutiva
la  declaratoria  d'illegittimita'  costituzionale dell'art. 116 cod.
civ.,  norma  considerata  ostativa ad un accoglimento delle domande,
sia  con  riguardo  alla  stessa previsione della presentazione della
dichiarazione,  sia, in subordine, nella parte in cui non consente ai
nubendi  di produrre, in sostituzione della medesima, un'attestazione
della mancanza di impedimenti al matrimonio;
        che,  a  parere del Tribunale, la norma censurata affiderebbe
la  capacita' matrimoniale dello straniero ad una mera autorizzazione
dell'autorita'  competente,  senza neppure ipotizzare una motivazione
del  rifiuto,  cosi' frapponendo un serio ostacolo alla realizzazione
del  diritto  fondamentale  a  contrarre  matrimonio:  ove infatti lo
straniero  non  possa  ottenere la dichiarazione per motivi politici,
razziali,  religiosi,  per  una  scelta  discrezionale dell'autorita'
competente,  a  causa  di  disposizioni  non  applicabili  nel nostro
ordinamento   perche'   produttive  di  effetti  contrari  all'ordine
pubblico   od   anche   soltanto  per  ragioni  contingenti,  sarebbe
impossibile  qualsiasi  controllo delle autorita' italiane sui motivi
dell'omessa presentazione;
        che,  osserva  il  giudice  a  quo, dovendo l'ufficiale dello
stato  civile limitarsi, attualmente, a rifiutare le pubblicazioni in
mancanza  della  dichiarazione,  in  assenza  del  potere di valutare
eventuale  documentazione  prodotta  dai  nubendi,  a  seguito  della
declaratoria   d'illegittimita'   costituzionale   invocata   in  via
principale,  questi sarebbe abilitato a procedere alle pubblicazioni,
ove  rilevasse  la  contrarieta'  all'ordine  pubblico  di  eventuali
impedimenti,   in   quanto   l'interessato  potrebbe  presentare,  in
alternativa  alla  dichiarazione,  la  documentazione  attestante  la
mancanza  d'impedimenti  sulla base della legge nazionale, secondo le
modalita' previste dall'art. 2 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394;
        che,   in  conseguenza  della  declaratoria  d'illegittimita'
prospettata   come   subordinata,  la  norma  in  questione  dovrebbe
consentire  allo  straniero la diretta presentazione all'ufficiale di
stato civile di una documentazione equipollente alla dichiarazione in
argomento  ed  al giudice, adito avverso il rifiuto di procedere alle
pubblicazioni,  la  possibilita' di riesaminare la documentazione, di
integrarla  con  i poteri previsti dall'art. 14 della legge 31 maggio
1995,  n. 218  e  di  procedere all'accertamento delle condizioni che
consentono il matrimonio;
        che,  nel  sollevare  la  questione, il giudice remittente ha
disposto  la  notifica  dell'ordinanza  al ministero dell'Interno (in
quanto  competente  alla tenuta dei registri dello stato civile) e ai
ministeri della Giustizia e degli Esteri, quali "controinteressati";
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo    per    la   declaratoria   d'inammissibilita'   ovvero
d'infondatezza    della   questione   e   rilevando   preliminarmente
l'opinabilita'  della  premessa  del  remittente  secondo la quale il
giudice  adito  ex  art. 98  cod.  civ.  non  potrebbe autorizzare le
celebrazione  del  matrimonio in assenza della dichiarazione prevista
dalla norma impugnata;
        che, nel merito, l'Autorita' intervenuta distingue il caso in
cui  la  dichiarazione di nulla-osta non sia stata rilasciata a causa
di   disfunzioni  organizzative  dell'autorita'  dello  Stato  estero
(circostanza  in  cui  il  nubendo  potrebbe  produrre documentazione
attestante  l'assenza  di  impedimenti)  dall'ipotesi  del rifiuto ad
emettere  il nulla-osta, in cui la presentazione della documentazione
predetta  sarebbe  esclusa,  ma che consentirebbe al giudice adito ex
art. 98  cod.  civ.  di  autorizzare  il  matrimonio  (in conformita'
all'art. 16 della legge n. 218 del 1995);
        che  nel  giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituito il
comune   di  Roma,  affermando  anzitutto  il  proprio  interesse  ad
un'applicazione  della legge non affidata alla discrezionalita' degli
ufficiali  dello  stato  civile,  e  concludendo  nel  merito  per la
declaratoria di non fondatezza della questione.
    Considerato  che il giudice a quo pone la questione articolandola
in due quesiti collegati da un rapporto di logica subordinazione, non
ostativa  all'ammissibilita'  dell'impugnativa  (sentenza  n. 188 del
1995),  in  quanto  egli  invoca  un'addizione normativa solo ove non
venga   accolta   la   richiesta   di  declaratoria  d'illegittimita'
costituzionale prospettata come prima soluzione;
        che  il  Tribunale  di  Roma  in  via  principale  dubita, in
riferimento   all'art. 2   della   Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 116 del cod. civ., in quanto la prescrizione
allo  straniero  dell'obbligo di presentare all'ufficiale dello stato
civile  la  dichiarazione dell'autorita' competente del proprio Paese
che  nulla  osta  al  matrimonio  secondo  la legge cui e' sottoposto
incide,   limitandola   gravemente,   sulla   liberta'  di  contrarre
matrimonio;
        che   la   questione,   formalmente   proposta  con  riguardo
all'intero  art. 116  cod.  civ.,  alla  luce  della  motivazione  va
circoscritta  al  solo  primo  comma  avente ad oggetto la suindicata
prescrizione;
        che  la  questione e' manifestamente inammissibile, in quanto
il  remittente, per consentire allo straniero il matrimonio anche nei
casi  in  cui  la presentazione del nulla-osta sia resa impossibile o
dalle  circostanze di fatto esistenti nel proprio Paese oppure da una
legislazione   prevedente  condizioni  per  il  matrimonio  contrarie
all'ordine   pubblico,   postula  che  sia  espunta  dall'ordinamento
l'intera disposizione concernente il nulla-osta, documento questo che
nella maggior parte dei casi non limita ma facilita l'esercizio della
liberta' matrimoniale;
        che  non  vi  e'  quindi corrispondenza tra la questione come
proposta e la motivazione che il Tribunale di Roma ha addotto;
        che  in subordine il giudice remittente, anche in questo caso
al  di  la'  della letterale formulazione del quesito, da individuare
nei  suoi  esatti  termini  alla  stregua della motivazione, sospetta
d'illegittimita'   costituzionale   l'art. 116   cod.   civ.  (recte:
l'art. 116,  primo  comma,  cod. civ.) nella parte in cui non prevede
che  lo  straniero  possa  provare con ogni mezzo la ricorrenza delle
condizioni  per  contrarre  matrimonio  secondo  le leggi del proprio
Paese  ad  eccezione,  eventualmente,  di  quelle che contrastano con
l'ordine pubblico;
        che  tale questione e' manifestamente infondata, anzitutto in
quanto   il   remittente   ha   erroneamente  valutato  l'ambito  dei
provvedimenti  adottabili  all'esito  del  procedimento  ex  art. 98,
secondo  comma,  cod.  civ.,  escludendo  la  configurabilita' di una
decisione   autorizzatoria   ed  omettendo  cosi'  di  verificare  la
differente  interpretazione  della  norma  censurata  derivante dalla
possibilita'  di  autorizzare le pubblicazioni, secondo una soluzione
gia' piu' volte seguita dalla giurisprudenza di merito;
        che,  inoltre,  il  giudice  a  quo considera isolatamente la
norma  impugnata, senza inquadrarla nel sistema, in particolare senza
riferirsi  al  contesto  normativo  in cui l'applicazione della legge
straniera  e'  esclusa  ove  i suoi effetti siano contrari all'ordine
pubblico.