ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo 16 del
decreto   legislativo   22 maggio   1999,  n. 196  (Attuazione  della
direttiva  97/12/CE  che  modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE
relativa  ai  problemi  di  polizia  sanitaria  in  materia di scambi
intracomunitari di animali delle specie bovina e suina), promosso con
ordinanza  del  29 gennaio  2002 dal Tribunale di Milano, iscritta al
n. 143  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 14, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 9 ottobre 2002 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel   corso   di   un   giudizio   di   opposizione  ad  una
ordinanza-ingiunzione  avente  ad oggetto il pagamento della sanzione
amministrativa   pecuniaria  prevista  dall'articolo  358  del  regio
decreto  27 luglio  1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle
leggi  sanitarie),  irrogata a seguito della inosservanza dell'art. 1
della   legge   3 aprile   1961,  n. 286  (Disciplina  delle  bevande
analcoliche  vendute con denominazioni di fantasia), il quale dispone
che  le bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia, il
cui  gusto ed aroma fondamentale deriva dal loro contenuto di essenze
di  agrumi,  o  di  paste aromatizzanti di agrumi, non possono essere
colorate  se  non  contengono  anche  succo  di  agrumi in misura non
inferiore  al  12  per cento, il Tribunale di Milano ha sollevato, in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 16  del decreto legislativo 22 maggio 1999,
n. 196  (Attuazione  della direttiva 97/12/CE che modifica e aggiorna
la  direttiva 64/432/CEE relativa ai problemi di polizia sanitaria in
materia  di  scambi  intracomunitari di animali delle specie bovina e
suina),  nella  parte  in  cui,  aumentando  i  limiti delle sanzioni
previste  dal  citato  art. 358,  estende una sanzione amministrativa
destinata  alla  violazione  di  norme  comunitarie  anche a norme di
natura e portata esclusivamente nazionale.
    In  attuazione  della  delega  prevista  nell'art. 8  della legge
24 aprile  1998,  n. 128  [Disposizioni per l'adempimento di obblighi
derivanti  dalla  appartenenza  dell'Italia  alle  comunita' europee.
(Legge  comunitaria  1995-1997)],  il quale autorizzava il Governo ad
emanare  entro  due  anni,  fatte  salve  le  norme  penali  vigenti,
"disposizioni   recanti  sanzioni  penali  o  amministrative  per  le
violazioni  di  direttive  delle  comunita'  europee  attuate  in via
regolamentare o amministrativa ai sensi della legge 22 febbraio 1994,
n. 146,  della  legge  6 febbraio 1996, n. 52, nonche' della presente
legge e per le violazioni di regolamenti comunitari vigenti alla data
di  entrata  in vigore della presente legge", la disposizione oggetto
di  censura  ha modificato l'articolo 358 del testo unico delle leggi
sanitarie  (TULS)  elevando  la  sanzione  amministrativa  pecuniaria
originariamente   prevista   ("fino   a   lire  quattrocentomila")  e
portandola  "da  lire tremilioni e lire diciottomilioni, salvo che il
fatto  costituisca  reato".  Secondo  il  giudice a quo, in base alla
delega  il Governo era autorizzato a sanzionare le violazioni di sole
norme  di  fonte  comunitaria,  non  anche di norme interne, qual e',
nella   specie,   l'art. 1  della  legge  n. 286  del  1961,  la  cui
inosservanza  ha  determinato  l'applicazione delle sanzioni previste
dal  citato art. 358, oggetto di opposizione nel giudizio principale.
L'art. 16  del  d.lgs.  n. 196  del  1999 avrebbe pertanto finito per
estendere una sanzione destinata alla violazione di norme comunitarie
anche a norme di matrice esclusivamente nazionale, e per tale profilo
sarebbe viziato per eccesso di delega.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile e comunque manifestamente infondata.
    Con  una  successiva memoria, la difesa erariale, chiarito che la
disposizione censurata delegava il Governo a sanzionare le violazioni
di  direttive  cui  dava  attuazione  e  di  regolamenti  e direttive
precedenti,   sostiene  che  i  requisiti  posti  nell'art. 76  della
Costituzione per l'esercizio della delega legislativa sarebbero stati
rispettati,  essendo  stati  esattamente  determinati  i  principi  e
criteri  direttivi  e definiti l'oggetto e il tempo entro il quale la
delega  doveva essere esercitata. Di talche', argomenta l'Avvocatura,
"non essendo menzionato alcun divieto ed essendo una norma posteriore
e  di  pari  grado nel sistema gerarchico delle fonti", la delega ben
poteva essere attuata mediante un decreto legislativo "che prevede la
modifica  di  una  sanzione,  per la commissione di uno stesso fatto,
compresa  in  un  articolo di una legge precedente, anche a rilevanza
esclusivamente  nazionale, senza oltrepassare il confine della delega
concessa".  Sarebbe  infatti  contraddittorio,  secondo la difesa del
Presidente  del  Consiglio,  ritenere  che nell'ordinamento nazionale
possano   coesistere   due  norme,  una  di  recepimento  di  diritto
comunitario  e  l'altra gia' presente nell'ordinamento, che comminino
sanzioni  diverse per uno stesso fatto. Dovrebbe infine considerarsi,
ad   ulteriore   dimostrazione  della  infondatezza  della  questione
sollevata,  che  l'art. 2, comma 1, lettera c), della legge di delega
n. 128  del  1998 prevedeva, al fine di assicurare l'osservanza delle
disposizioni  contenute  nei  decreti legislativi, la possibilita' di
stabilire  sanzioni  amministrative  e  penali per le infrazioni alle
disposizioni dei decreti stessi.

                       Considerato in diritto

    1. - Il   Tribunale   di   Milano   dubita   della   legittimita'
costituzionale  dell'articolo  16  del  decreto legislativo 22 maggio
1999,  n. 196  (Attuazione  della  direttiva  97/12/CE che modifica e
aggiorna  la  direttiva  64/432/CEE  relativa  ai problemi di polizia
sanitaria  in  materia  di  scambi  intracomunitari  di animali delle
specie  bovina  e  suina),  sull'assunto  che  esso, nell'aumentare i
limiti  delle  sanzioni  previste  dall'art. 358  del  regio  decreto
27 luglio  1934,  n. 1265  (Approvazione  del testo unico delle leggi
sanitarie),  non  distinguerebbe fra norme di fonte nazionale e norme
di  fonte comunitaria, eccedendo con cio' i limiti della delega posta
dall'art. 8  della  legge  24 aprile  1998,  n. 128 [Disposizioni per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti dalla appartenenza dell'Italia
alle  comunita'  europee.  (Legge  comunitaria  1995-1997)], il quale
autorizzava  il  Governo  ad  emanare  disposizioni  recanti sanzioni
penali o amministrative per le sole violazioni di fonti comunitarie.
    2. - La questione, nei termini in cui e' posta, non e' fondata.
    Il remittente muove dalla premessa che dagli articoli 1 e 8 della
legge  24 aprile  1998, n. 128, sarebbe desumibile il conferimento di
una  delega  al Governo a introdurre e modificare sanzioni pecuniarie
per  le  violazioni  di  regolamenti  o direttive comunitarie, ma non
anche  l'autorizzazione  a  modificare  la  legislazione  a carattere
esclusivamente  nazionale,  nella quale sarebbe da includere la legge
3 aprile  1961,  n. 286 (Disciplina delle bevande analcoliche vendute
con  denominazione di fantasia). L'aver scelto di sanzionare precetti
di  derivazione  comunitaria attraverso la modifica dell'art. 358 del
testo unico delle leggi sanitarie (TULS), cui ha provveduto l'art. 16
del  d.lgs.  22 maggio 1999, n. 196, avrebbe avuto come effetto anche
l'aggravamento  delle  sanzioni  irrogabili  per  la violazione degli
autonomi  precetti della legge nazionale. Di qui la richiesta che sia
dichiarata  l'illegittimita' costituzionale del predetto articolo 16,
nella  parte  in  cui  estende  alla  violazione  di norme di portata
esclusivamente  interna  una  previsione sanzionatoria destinata alle
sole violazioni di norme di matrice comunitaria.
    Il  Tribunale  di Milano sollecita, in altre parole, una sentenza
di  accoglimento  parziale, in conseguenza della quale il trattamento
sanzionatorio  per  la  violazione dei divieti afferenti alla materia
delle  bevande  analcoliche,  fino  ad  oggi  unitariamente  raccolto
nell'art. 358  del  TULS,  verrebbe  scisso  in previsioni diverse, a
seconda    dell'origine    "comunitaria"    o   meramente   nazionale
dell'infrazione.
    Una  simile  soluzione  tuttavia  contrasta  con  la ratio che ha
ispirato  la  legge  di  delegazione,  nella  quale  e'  evidente  il
proposito  di  addivenire  ad un sistema sanzionatorio complessivo in
cui  le norme comunitarie, secondo la dizione dell'art. 8 della legge
n. 128  del  1998,  si integrassero in maniera piena nell'ordinamento
nazionale;  proposito  che  costituiva  ulteriore  esplicitazione  di
un'istanza che, d'altronde, gia' animava il legislatore delegante fin
dalla elaborazione dei criteri e principi direttivi generali ai quali
si  sarebbe  dovuto  attenere  il legislatore delegato, cui era posto
dall'art. 2,  comma  1, lettera a), il vincolo di "evitare disarmonie
con  le  discipline  vigenti  per i singoli settori interessati dalla
normativa  da  attuare". Pertanto, la pretesa avanzata dal remittente
che   con   una   sentenza   di   questa   Corte  si  giunga  ad  una
disarticolazione  del  sistema  sanzionatorio  in  materia di bevande
analcoliche  e'  priva  di  fondamento,  posto  che tale sistema deve
essere,  secondo  la  scelta  del  legislatore  delegante, pienamente
integrato con le disposizioni vigenti nell'ordinamento interno.
    3. - La visione unitaria del sistema delle sanzioni interne, alla
quale  si  e'  attenuta la legge di delegazione, risponde del resto a
esigenze  di  chiarezza e di immediata e precisa conoscibilita' delle
conseguenze  che  le  violazioni delle norme sulla composizione delle
bevande   comportano.   La   soluzione   prospettata  dal  remittente
genererebbe  una  tale  confusione  nel settore che gli operatori, le
autorita'  amministrative  addette  alla vigilanza e in definitiva la
stessa  autorita'  giudiziaria  incontrerebbero difficolta' non lievi
nel  discernere,  tra  le  sanzioni  che afferiscono a una pluralita'
indefinita  di  precetti, quelle che traggono origine dall'attuazione
di  una  direttiva o di un regolamento comunitario da altre, le quali
siano   il  frutto  di  un'autonoma  determinazione  del  legislatore
nazionale.  Senza  dire  che possono ben darsi ipotesi nelle quali la
normativa   interna  ha  autonomamente  intrapreso  linee  di maggior
garanzia  per  la  salute  pubblica  e  per i consumatori. E' il caso
dell'art. 1  della  legge  n. 286  del  1961,  il quale ha fissato la
percentuale  minima  di  succo che consente l'uso dei coloranti nella
preparazione delle bevande analcoliche con denominazione di fantasia;
disposizione  questa  certo  non  coincidente,  come rileva lo stesso
remittente,  ma quantomeno complementare rispetto a quella, attuativa
della   normativa   comunitaria,   di  cui  al  decreto  ministeriale
27 febbraio 1996, n. 209 (Regolamento concernente la disciplina degli
additivi   alimentari   consentiti   nella   preparazione  e  per  la
conservazione delle sostanze alimentari in attuazione delle direttive
n. 94/34/CE,  n. 94/35/CE,  n. 94/36/CE,  n. 95/2/CE  e n. 95/31/CE).
Questo,  infatti,  adottato  ai  sensi  della  legge 6 febbraio 1996,
n. 52,  il cui articolo 31 ha abrogato alcune disposizioni del d.P.R.
19 maggio  1958, n. 719 (Regolamento per la disciplina igienica della
produzione  e  del  commercio  delle  acque  gassate  e delle bevande
analcoliche gassate e non gassate confezionate in recipienti chiusi),
ha  esteso  la  disciplina  di  derivazione comunitaria dei coloranti
anche  alle bevande analcoliche, senza pero' curarsi di stabilire per
esse  alcun  limite  minimo  di  succo  di frutta, diversamente dalla
disciplina   nazionale  che,  per  gli  agrumi,  lo  ha  posto  quale
condizione indefettibile per l'impiego di coloranti.