IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 6528/2002
proposto   dalla   Pubblikappa   s.n.c.,   in   persona   del  legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dagli avv.ti
Patrizio   Gagliotti   e   Claudio  Chiola  e  presso  la  studio  di
quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, alla via Camilluccia,
n. 785;
    Contro  l'Autorita'  per  le  garanzie  nelle  comunicazioni,  in
persona del Presidente pro tempore, non costituitasi;
    E nei confronti di Radio Kiss Kiss Network S.r.l., in persona del
legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
    Per  l'annullamento  dell'ordinanza  del Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sezione II, 29 maggio 2002, n. 2795;
    Visto l'atto introduttivo;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Alla   camera  di  consiglio  del  27  agosto  2002  relatore  il
consigliere Roberto Garofoli;
    Udito l'avv. Chiola;
    Ritenuto e considerato in fatto e in1 diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con il ricorso di primo grado la societa' ricorrente ha impugnato
la  delibera  n. 6302/CONS  del  27  febbraio  2002  con la quale, in
applicazione della previsione di cui all'art. 2, comma 2-bis, d.l. 30
gennaio  1999,  n. 15, inserita in sede di conversione ad opera della
legge  29  marzo  1999,  n. 78,  l'Autorita'  per  le  garanzie nelle
comunicazioni  ha  diffidato  l'  appellante  perche' ponesse termine
all'utilizzo  della  denominazione  "Radio  Kiss  Kiss Italia" per le
trasmissioni radiofoniche.
    Nel  dettaglio,  la  Pubblikappa  s.n.c.  gestisce  una emittente
radiofonica  locale che per l'appunto trasmette, con la denominazione
"Radio  Kiss Kiss Italia", limitatamente al territorio della Campania
e   del   Lazio,  in  forza  di  concessione  per  l'esercizio  della
radiodiffusione  rilasciata  in data 4 marzo 1994; il diritto all'uso
del marchio e' stato acquisito dalla Pubblikappa s.n.c. con contratto
concluso con la Giosa Servicer S.p.A., titolare del marchio Kiss Kiss
n. 360734, concesso il 3 luglio 1985.
    L'Autorita',  rilevata  l'idoneita'  di  quella  denominazione  a
richiamare  in parte quella dell'emittente nazionale "Radio Kiss Kiss
Network",  anch'essa  licenziataria  della  Giosa  Service S.p.A., ha
ritenuto  di  dover applicare il citato art. 2, comma 2-bis, a tenore
del  quale  "le emittenti radiotelevisive locali, comprese quelle che
diffondono programmi in contemporanea o programmi comuni, non possono
utilizzare,  ne'  diffondere,  un  marchio,  una  denominazione o una
testata  identificativi  che richiamino in tutto o in parte quelli di
una emittente nazionale. Per le emittenti locali che alla data del 30
novembre  1993  hanno  presentato  domanda  e  successivamente  hanno
ottenuto   il   rilascio   della  concessione  con  un  marchio,  una
denominazione  o una testata identificativi che richiamino in tutto o
in  parte  quelli  di  una  emittente nazionale, il divieto di cui al
presente  comma  si  applica  dopo  un  anno dalla data di entrata in
vigore  della  legge di conversione del presente decreto. L'Autorita'
per  le garanzie nelle comunicazioni vigila sul rispetto del predetto
divieto  e  provvede ai sensi del comma 31 dell'art. 1 della legge 31
luglio 1997, n. 249".
    Avverso  l'ordinanza  con  la  quale  il giudice di prime cure ha
respinto  l'istanza  di sospensione della delibera impugnata, insorge
l'appellante deducendo:
        1)  Violazione  dell'art. 2,  comma  2-bis,  d.l. n. 15/1999,
asseritamente  riguardante  le  sole  emittenti  radiotelevisive, non
anche quelle radiofoniche.
        2)   Violazione  degli  artt. l  e  5,  dir.  n. 104/1989/CEE
(recepita   con  d.lgs.,  4  dicembre  1992,  n. 480),  per  ritenuto
contrasto della citata previsione nazionale con la disciplina europea
a tutela dei marchi di impresa.
        3)   Illegittimita'   costituzionale   per  violazione  degli
artt. 77, 3, 41 e 42 Cost.
    Ad  avviso  della  societa'  ricorrente,  la  previsione  di  cui
all'art. 2,  comma  2-bis,  d.l. n. 15/1999, inserita solo in sede di
conversione  ad  opera  della  legge  29  marzo  1999, n. 78, oltre a
contrastare  con  i limiti asseritamente incontrati dal Parlamento in
sede  di conversione dei decreti- legge, entra in rotta di collisione
con  i  principi  di  liberta'  dell'iniziativa economica privata, di
salvaguardia  del  diritto  di  proprieta' e di ragionevolezza, nella
parte   in   cui,   senza   tener  conto  della  priorita'  temporale
nell'utilizzazione  di  un  determinato  marchio in sede di esercizio
dell'emittente   radiotelevisiva,  vieta  in  modo  retroattivo  alle
emittenti   locali   di  utilizzare  o  diffondere  un  marchio,  una
denominazione  o  una testata che richiami, anche in parte, quelli di
una emittente nazionale.
    Alla  camera di consiglio del 28 agosto 2002 il collegio, in sede
cautelare,  ha  sospeso  la  indicata  delibera  rinviando a separata
ordinanza   per   la   rimessione   della  prospettata  questione  di
legittimita' costituzionale.

                            D i r i t t o

    1.  - La presente controversia trae origine dal provvedimento con
il quale l'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ha diffidato
la  societa'  ricorrente  a  porre  termine  all'utilizzazione  della
denominazione   "Radio   Kiss   Kiss   Italia"  per  le  trasmissioni
radiofoniche,  reputata  idonea  a  richiamare,  anche solo in parte,
quella utilizzata dall'emittente nazionale "Radio Kiss Kiss Network":
nel   dettaglio   l'Autorita'   ha   ritenuto  di  fare  applicazione
dell'art. 2,  comma  2-bis,  d.l. 30 gennaio 1999, n. 15, inserita in
sede  di  conversione  ad  opera  della legge 29 marzo 1999, n. 78, a
tenore  del  quale  "le  emittenti  radiotelevisive  locali, comprese
quelle  che  diffondono programmi in contemporanea o programmi comuni
non possono utilizzare, ne' diffondere, un marchio, una denominazione
o  una  testata  identificativi  che  richiamino  in tutto o in parte
quelli  di  una emittente nazionale. Per le emittenti locali che alla
data  del 30 novembre 1993 hanno presentato domanda e successivamente
hanno  ottenuto  il  rilascio  della  concessione con un marchio, una
denominazione  o una testata identificativi che richiamino in tutto o
in  parte  quelli  di  una  emittente nazionale, il divieto di cui al
presente  comma  si  applica  dopo  un  anno dalla data di entrata in
vigore  della  legge di conversione del presente decreto. L'Autorita'
per  le garanzie nelle comunicazioni vigila sul rispetto del predetto
divieto  e  provvede ai sensi del comma 31 dell'art. 1 della legge 31
luglio 1997, n. 249".
    2. - Cio'   posto,   il  collegio,  sulla  scorta  di  una  prima
delibazione, ritiene che la previsione di cui al citato art. 2, comma
2-bis,  non  si  presti ad approcci esegetici diversi da quello fatto
proprio dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni: il chiaro
e  testuale  riferimento alle emittenti radiotelevisive non consente,
invero,  di aderire all'opzione interpretativa, suggerita nel ricorso
introduttivo,   intesa   a  limitare  la  sfera  di  efficacia  della
disciplina   al   solo   settore   televisivo,  non  anche  a  quello
radiofonico.
    La  prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale, del
resto,  oltre  ad  essere  rilevante  alla  stregua  delle  suesposte
indicazioni  relative  alla delimitazione dell'ambito di operativita'
della  contestata  disposizione  legislativa,  appare al collegio non
manifestamente infondata.
    Ed  invero,  la disciplina suddetta, nella parte in cui prevede e
determina  la  soccombenza,  delle posizioni maturate dalle emittenti
radiotelevisive  locali,  gia'  titolari  di  una denominazione prima
dell'entrata  in  vigore  della  disposizione  in  questione  e, cio'
nonostante,  tenute  a  non  fare  piu'  uso della stessa per effetto
dell'ingresso  sul  mercato  di  emittente  nazionale avente marchio,
denominazione o testata identificativi analoghi, non pare in sintonia
con  il canone generale di ragionevolezza, particolarmente stringente
in  quanto  riferito alla conservazione di situazioni soggettive gia'
acquisite, se non consolidate.
    Non   vi   e'   dubbio,   invero,  che  l'insindacabilita'  della
discrezionalita'   propria   del  legislatore  si  arresta  allorche'
l'esercizio  della potesta' di disciplina normativa entri in rotta di
collisione  con  il parametro della ragionevolezza, laddove ad essere
sottoposto  al consentito vaglio del giudice delle leggi non e' certo
il  merito, ma sempre la legittimita' delle opzioni legislative ed il
rispetto, quindi, dei limiti interni della discrezionalita' medesima.
    Orbene,  di  tale  sindacato si avverte una necessita' ancor piu'
intensa   allorche'  l'irragionevolezza  legislativa  si  ripercuote,
comprimendole  o  addirittura  sopprimendole, su posizioni soggettive
aventi un sicuro aggancio costituzionale.
    E' quanto, ad avviso del collegio, si puo' registrare nel caso di
specie.
    La  disciplina  in  esame,  infatti,  incidendo  in  senso  anche
irrimediabilmente  sacrificativo  sulle  posizioni delle preesistenti
emittenti  locali,  costrette  a  dismettere  il segno identificativo
sulla  sola  considerazione  della  loro  specificita'  territoriale,
indipendentemente  quindi  dalla  priorita'  cronologica del relativo
uso,  non  pare  coniugabile  con l'art. 41 della Carta fondamentale,
nella  parte  in  cui  consacra  l'inviolabilita'  della  liberta' di
iniziativa economica privata.
    La tutela del marchio d'impresa, infatti, risponde ad un'esigenza
insopprimibile  per  lo  svolgimento dell'iniziativa economica, posto
che  il diritto all'uso esclusivo del segno identificativo concorre a
delineare  la  concreta  capacita' concorrenziale dell'impresa, oltre
che  la  sua  consistenza patrimoniale, traducendosi in un'importante
componente  dell'avviamento  commerciale;  cio'  spiega,  del  resto,
l'attenzione  dall'ordinamento prestata nell'approntare un sistema di
efficace   salvaguardia   del   marchio,   normalmente  destinato  ad
utilizzare  quale  parametro  di  risoluzione  di eventuali conflitti
quello della priorita' temporale.
    Non   vi  e'  dubbio,  peraltro,  che  il  marchio,  inteso  come
denominazione sotto la quale l'emittente trasmette, assume importanza
forse  ancora  maggiore  nel settore radiofonico, costituendo l'unico
efficace  strumento  attraverso  cui  la  platea degli ascoltatori e'
posta  in  grado  di  identificare le numerose emittenti operanti sul
mercato delle radiofrequenze. Alla stregua di tale ricostruzione pare
al collegio dubbia la ragionevolezza di una previsione che, derogando
ai  principi ed ai parametri propri della disciplina generale vigente
in  tema  di  marchi  di  impresa,  incide  su  posizioni  soggettive
consolidate,  dalla  Costituzione  tutelate con le previsioni poste a
tutela della liberta' di iniziativa economica e della proprieta'.
    Appare  al  collegio  necessario,  pertanto, rimettere al giudice
costituzionale  la  questione  relativa  alla  compatibilita' con gli
artt. 3,  41  e 42 della Carta fondamentale della disposizione citata
nella  parte  in  cui,  senza  tener  conto della priorita' temporale
nell'utilizzazione  di  un  determinato  marchio in sede di esercizio
dell'emittente  radiotelevisiva, vieta anche in modo retroattivo alle
emittenti   locali   di  utilizzare  o  diffondere  un  marchio,  una
denominazione  o  una testata che richiami, anche in parte, quelli di
una emittente nazionale.
    Ulteriori  dubbi  sorgono, inoltre, in merito alla coerenza della
normativa  considerata  con  i principi di liberta' di manifestazione
del  pensiero  e  di  pluralismo informativo di cui all'art. 21 della
Costituzione.
    Ed  invero,  il citato art. 2, comma 2-bis, d.l. 30 gennaio 1999,
n. 15, incidendo sulla possibilita' dell'emittente locale di fare uso
di  un  segno  distintivo  in  ipotesi  essenziale  per conservare la
posizione   imprenditoriale   dalla  stessa  ritagliata  nel  mercato
dell'informazione,   rischia   di   sacrificare  -  sulla  scorta  di
valutazione  di  preferenza  di  dubbia  ragionevolezza - l'effettivo
esercizio  della liberta' di informare e, indirettamente, quindi, sul
pieno   dispiegarsi   del   principio   pluralistico,   difficilmente
coniugabile con aprioristiche soluzioni normative intese ad accordare
priorita'  al  solo  requisito  della  presenza  nazionale,  anziche'
locale, dell'emittente.
    Per  le  ragioni  fin  qui  esposte il collegio ritiene di dovere
sollevare   davanti   alla   Corte  costituzionale  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   comma   2-bis,   del
decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, inserito in sede di conversione
ad opera della legge 29 marzo 1999, n. 78, che appare rilevante e non
manifestamente  infondata  in  relazione  ai  parametri  di  cui agli
articoli 3, 41, 42 e 21 della Carta fondamentale.
    Il giudizio e' sospeso a termini di legge.