IL TRIBUNALE In data 12 novembre 2002 nel presente procedimento ha emanato la seguente ordinanza della quale si e' data lettura in udienza alla presenza di tutte le parti. Nel corso del presente giudizio, gli odierni imputati nei termini e nelle forme di rito, avanzavano richiesta di definizione del processo nelle forme del giudizio abbreviato. Questo giudice, ricorrendo le condizioni di legge, provvedeva ai sensi dell'art. 438, comma 4 c.p.p. disponendo in conformita' della richiesta. La parte civile, gia costituitasi ritualmente nel corso dell'udienza preliminare, ai sensi dell'art. 441, comma 4 c.p.p. dichiarava espressamente di non accettare il rito; subito dopo il giudice invitava le parti a rassegnare le rispettive conclusioni. A questo punto da parte dei difensori degli imputati venivano sollevate una serie di rilievi e di eccezioni in relazione alla posizione della parte civile che, come visto, non aveva accettato il rito del giudizio abbreviato. Secondo i difensori, la parte civile, alla luce della operata dichiarazione di dissenso, non aveva piu' diritto a rimanere nel presente processo, e, pertanto, non poteva compire alcuna attivita' ricollegabile alla qualita' di parte del processo. Questo giudice in ordine alle eccezioni sollevate e riguardanti la posizione della parte civile, dopo che quest'ultima aveva effettuato la dichiarazione di non accettazione del rito abbreviato (art. 441, comma 4 c.p.p.), ritiene di dover valutare le indicate questioni sotto un duplice ordine di motivi: a) uno riguardante le sorti della domanda principale di danno a seguito del manifestato dissenso rispetto al rito; b) l'altro in relazione alle statuizione sulle sole spese di costituzione di parte civile con una valutazione sugli eventuali profili di incostituzionalita' delle norme di riferimento (diritto della parte civile di poter richiedere la condanna per spese relative all'azione civile e relativo potere del giudice di provvedere su di esse artt. 441 comma 1 e 4/442, comma 2 c.p.p.) A. - Gli effetti previsti dal codice di rito in relazione alla dichiarazione della parte civile di non accettazione del rito sono indicati: 1) dall'art. 441, comma 4 c.p.p., in relazione all'art. 75, comma 3, c.p.p., norma quest'ultima, che prevede la sospensione dell'eventuale processo civile iniziato in pendenza del processo penale; 2) dagli artt. 651, comma 2 e 652 comma 2 c.p.p. che escludono il valore e l'efficacia di giudicato alla sentenza di condanna o di assoluzione emessa nel processo penale definito in abbreviato in relazione al procedimento civile o amministrativo di danno nel caso di dissenso della parte civile sul rito abbreviato. 3) dall'art. 576 c.p.p. nella parte in cui non ammette la possibilita' per la parte civile di impugnare la sentenza pronunciata a norma dell'art. 442 c.p.p. Ora, c'e' da chiedersi, se oltre agli effetti indicati espressamente dalla legge, la dichiarazione di non accettazione del rito comporti anche conseguenze sulla domanda principale di risarcimento del danno o se invece, come sostenuto dal difensore della parte civile, tale dichiarazione limiti la propria efficacia ai soli effetti di legge di cui si e' fatta menzione. Una prima risposta in relazione al diritto della parte civile a partecipare al giudizio abbreviato nonostante il suo dissenso la si potrebbe ricavare dalla disciplina prevista dagli artt. 80, 81 e 82 c.p.p. Ebbene, si ritiene che per nessuno dei casi indicati (esclusione della parte civile per richiesta di parte o d'ufficio, revoca espressa o implicita della costituzione della parte civile) sussistano analogie o relazioni giuridiche che possano ammettere un tale riferimento. In particolare con riguardo alla revoca della costituzione della parte civile (art. 82 c.p.p.), tale situazione non appare equiparabile alla non accettazione del rito e cio' avendo riguardo sia alla natura delle dichiarazioni (quelle della revoca e' una manifestazione di volonta' che esplica propri effetti interviene direttamente sull'atto costitutivo, mentre con la dichiarazione di non accettazione non si interviene su tale atto), sia, ancora, con riguardo agli effetti (la sentenza emessa dopo la revoca della costituzione di parte civile esplica i suoi effetti sul giudizio civile ed amministrativo, diversamente, come visto, da quanto avviene per le dichiarazioni di non accettazione del rischio). In relazione alle altre ipotesi (art. 80 e 81 c.p.p.) non risulta alcun provvedimento di esclusione adottato dal giudice d'ufficio o su richiesta di parte. In considerazione della "permanenza" dell'atto di costituzione di parte civile non colpito, difatti, da alcun atto di revoca, di rinuncia o di esclusione, potrebbe, a questo punto, sorgere legittimo un interrogativo: cioe' se, in considerazione del fatto che l'atto costitutivo di parte civile non risulta essere stato in alcun modo intaccato da una volonta' contraria o da un provvedimento di esclusione del giudice, la stessa parte civile possa continuare a svolgere la propria attivita' nel processo, partecipando ad esso, svolgendo all'interno di esso tutte le attivita' tipiche delle parti e, pertanto, rassegnando le proprie conclusioni sia sulla domanda principale che sulle spese. A questo punto appare opportuno valutare la dichiarazione di non accettazione del rito, il suo contenuto intrinseco e domandarsi ulteriormente se possa ritenersi legittima e compatibile stando ad una logica interpretazione dei fatti, la posizione di una parte che, a fronte di una sua esplicita dichiarazione di non accettazione alla partecipazione ad un processo, di cui e' stata chiesta la definizione secondo particolari regole e procedure, chieda poi di partecipare al processo medesimo rispetto al quale ha chiaramente manifestato la sua volonta' contraria. In buona sostanza c'e' da chiedersi come sia possibile ritenere legittima la posizione di colui che pur non accettando in precedenza le regole del gioco, chieda poi di partecipare allo stesso. A parere di questo giudice si ritiene che la manifestazione di dissenso corrisponde, secondo il sistema disegnato dal legislatore, ad una vera e propria scelta in relazione alle modalita di esercizio dell'azione, cio' perche', nel momento in cui non si accetta il rito abbreviato - evitando in tal modo gli effetti di giudicato della sentenza penale sulle questioni civili (651, 652 c.p.p.) attivando un processo civile che non verrebbe sospeso (75 c.p.p.) - la parte civile decide di affidare al giudice civile completa autonomia di giudizio sull'esistenza di taluni presupposti dell'azione di danno esistenza del fatto, attribuzione di esso a determinato soggetto, illiceita' della condotta. In tal modo si opera una netta separazione tra le rispettive azioni, e, soprattutto si evitano quelle tipiche influenze dell'una sull'altra. Puo', pertanto, dirsi che una volta effettuata tale scelta ad opera della parte civile, pur non essendovi stato alcun atto modificativo del precedente atto costitutivo, puo' ritenersi incompatibile la partecipazione di quest'ultima parte a quel tipo di processo che non ha accettato, in ragione delle particolari e diverse regole di definizione del medesimo. A conforto dell'orientamento espresso da questo giudice, in dottrina si legge che "la parte civile partecipa al giudizio che si svolge con il rito speciale se accetta l'abbreviato; addirittura basterebbero "assensi impliciti - diagnosticabili, ad esempio dalla presenza attiva nel contraddittorio - per ammettere l'accettazione del rito a (c.p.p. rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Lattanti - Lupo, vol. VI, pag. 67, Giuffre) tanto da far temere una implicita rinuncia alla dichiarazione di non accettazione. Altro autore (Cordero, procedura pag. 901) ha aggiunto che "resta sottointeso che il non aderente sia estromesso", dandosi ragione, a questo punto, proprio con l'utilizzo del termine "sottointeso" del particolare sistema ideato dal legislatore e delle implicite conseguenze che si determinano a seguito della scelta operata dalla parte civile. Nella giurisprudenza di legittimita' non sono presenti precedenti specifici sul punto, risultando soltanto alcune pronunce che riferiscono esclusivamente della possibilita', della parte civile "di non accettare il rito speciale, evitando in tal modo gli effetti svantaggiosi della decisione di merito" ne' di opporsi e d'impugnare il provvedimento ammissivo del giudizio (Cass. V, 19 giugno 1991, Serafini). La Corte costituzionale e' intervenuta sul punto statuendo in maniera risolutiva ed inequivoca che nel giudizio abbreviato il giudice puo' pronunciare sulla domanda della parte civile solamente se questa abbia accettato il rito speciale (Corte cost. n. 443/1990). L'autorevolezza della fonte ed il carattere chiaro ed in equivoco della statuizione esimerebbe questo giudice da ogni ulteriore valutazione. Esistono pero', ulteriori argomenti da esporre e da esaminare. Il riferimento da parte del difensore dell'imputato alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano del 5 dicembre 1989 (Foro Ital. 1991, II, 423) non appare pertinente apparendo necessaria un'attenta lettura della stessa per comprenderne la reale portata. In tale sentenza si legge che "il dissenso espresso dalla parte civile rispetto al giudizio abbreviato, richiesto dall'imputato ai sensi dell'art. 247 (norme transitorie c.p.p.) in pubblica udienza prima dell'apertura del dibattimento, non preclude alla stessa parte civile il diritto di proporre le proprie conclusioni all'udienza in camera di consiglio". Ebbene la questione sottoposta al Tribunale di Milano e' certamente diversa da quella oggi in esame. Il procedimento che in quella sede veniva definito ex art. 247 disp. transitorie c.p.p., riguardava un particolare tipo di giudizio abbreviato, che proprio in ragione della particolarita' del procedimento, presentava caratteri diversi da quello previsto dagli artt. 438 e ssgg c.p.p. Difatti, per tale giudizio abbreviato si legge (art. 247 ult. parte comma 2 norma citata) che la sentenza penale "ha autorita' di cosa giudicata nel giudizio civile se la parte civile ha presentato le sue conclusioni all'udienza". Come si vede, nella norma in esame non viene menzionato in alcun modo la possibilita' prevista dall'art. 441, comma 4 c.p.p. di non accettazione del rito in favore della parte civile, ne' risulta alcun richiamo normativo in proposito, come, invece il legislatore ha fatto per altri aspetti del processo (richiamo agli artt. 438, 442, 443). Pertanto, puo' ritenersi che per tale caso di rito abbreviato, non sia consentito alla parte civile esprimere un proprio dissenso sul rito, mancando una previsione di legge in proposito; del pari puo' dirsi che anche all'eventuale dissenso, comunque manifestato, non possa attribuirsi alcuna efficacia. Appare inoltre che il procedimento abbreviato previsto dalla disposizione transitoria presenti caratteristiche di struttura diverse dal tipo di abbreviato previsto dalle norme di rito; in particolare, in riferimento proprio agli aspetti oggi in esame, appaiono evidenti le diversita' rispetto agli effetti del giudicato. Difatti nel procedimento descritto dall'art. 247 citato l'effetto di giudicato deriva esclusivamente dal comportamento della parte civile che abbia presentato o meno le proprie conclusioni; nel rito abbreviato previsto dagli artt. 438 e ssgg c.p.p., al contrario, l'effetto "giudicato" puo' sorgere sia nel caso di presentazione delle conclusioni che nel caso di assenza di esse (in questo caso da valere come revoca della costituziane di parte civile, art. 82 comma 2 c.p.p.); infatti in tale rito abbreviato l'effetto di giudicato viene escluso soltanto dalla dichiarazione di non accettazione del rito a cura della parte civile, attivita', questa, non prevista dall'art. 247 citato. Alla luce di tanto il Tribunale di Milano non avrebbe di certo potuto impedire alla parte civile di non presentare le proprie conclusioni, dal momento che il dissenso espresso in precedenza, a differenza di quanto oggi avviene, non poteva in alcun modo svolgere una propria efficacia. Pertanto il richiamo alla sentenza del Tribunale di Milano indicata, a parere di questo giudice, non appare pertinente. Alla luce delle indicate argomentazioni, deve ritenersi legittima l'eccezione sollevata da parte dei difensori degli imputati in relazione alla mancanza di un diritto in capo alla parte civile che nel corso del processo abbreviato non abbia accettato il rito di poter concludere sulla domanda principale di danno. B. - Passando alla verifica del secondo aspetto della questione, c'e' da chiedersi se, in considerazione del dissenso manifestato dalla parte civile - che come si e' visto comporta il venir meno per il giudice del dovere di statuire in merito alla domanda civile - si determinano altresi' effetti ostativi con riguardo alla statuizione sulle spese relative all'azione civile. La norma contenuta nella parte riguardante il rito abbreviato, l'art. 442 c.p.p. richiama gli artt. 529 e ssgg. del c.p.p.; tra questi, anche la disposizione contenuta nell'art. 541 c.p.p., norma, questa, che regola appunto la statuizione del giudice in ordine alle spese della parte civile nel processo. Ebbene, dalla lettura di tale norma si evince il carattere certamente unitario tra la pronuncia che accoglie la domanda proposta con la costituzione di parte civile e la relativa statuizione sulle spese nel caso di condanna dell'imputato. Da cio' puo' dedursi che la domanda sulle spese presenti un carattere accessorio in relazione alla domanda principale, potendosi statuire su di essa soltanto nel caso in cui le valutazioni del giudice investano la domanda principale di danno. Pertanto, non puo' certamente attribuirsi un carattere autonomo alla statuizione di cui all'art. 541 c.p.p., presentando tale norma un legame diretto con quella relativa alla statuizione su.lle restituzioni e sul risarcimento del danno. Inoltre, non puo' in alcun modo estendersi "Ia previsione deIl'art. 541, comma 1 c.p.p. al di la' delle ipotesi ivi espressamente configurata in relazione alla sentenza penale che accoglie Ia domanda di restituzione o di risarcimento del danno" (Corte cost. n. 443/1990). Alla luce di tanto sarebbe inibito alla parte civile che non abbia accettata il rito abbreviato di poter richiedere Ia condanna dell'imputato al pagamento delle spese relative all'azione civile ed al giudice di provvedere su di esse in caso di condanna dell'imputato; cio' perche', non risulta presente nel nostro codice di rito alcuna disposizione sul punto. Non si rinvengono, difatti, nel nostro codice norme che ammettano una scissione tra Ia pronuncia sull'azione principale e quella relativa alle spese. Unica eccezione e' oggi prevista dall'art. 444 comma 2 c.p.p. Tale disposizione prevede, difatti, nel caso di patteggiamento Ia possibilita' per Ia parte civile costituita di ottenere il pagamento delle sole spese sostenute per Ia sua costituzione, non riconoscendosi al giudice di decidere sulla principale domanda di danno o di restituzioni. Come vista un'analoga possibilita' non viene prevista per i casi di definizione del processo con, le forme del rito abbreviato. C'e' da chiedersi allora se Ia mancanza di una tale previsione per questo rito speciale possa astrattamente configurare un'ipotesi di incostituzionalita' di quelle disposizioni che non prevedono in capo all'indicata parte civile costituita il diritto di poter richiederla condanna dell'imputato al pagamento delle spese di costituzione (art. 441, comma 4 c.p.p., norma questa che limita gli effetti della non accettazione del rito a quelli indicati dall'art. 75 c.p.p.) ed il potere del giudice di provvedere in merito in caso di condanna dell'imputato (art. 442, comma 1 c.p.p., che contiene un'implicita esclusione per tali ipotesi). Tanto in relazione agli artt. 3 e 24 comma 1 della Costituzione, in considerazione della posizione assunta dalla parte civile in virtu' di una scelta operata dall'imputato in merito alla quale non v'e' stata alcuna sua partecipazione o possibilita', di interloquire. Su tale aspetto la Corte costituzionale, seppur in maniera indiretta, aveva gia' affrontato tale tema, argomentando sulla questione relativa alla valutazione dell'eccezione di incostituzionalita' dell'allora art. 444, comma 2 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva la possibilita' per ii giudice di provvedere in merito alle spese sostenute dalla parte civile, dichiarando, come e' noto, la incostituzionalita' di tale norma (poi modificata dalla legge n. 479/1999) proprio in relazione a tale aspetto (Corte costituzionale sentenza n. 443/1990). In quella occasione la Corte, proprio in relazione al rito abbreviato, seppur in maniera indiretta, aveva giustificato per tale rito speciale una sorta di pregiudizia per la parte civile "dissenziente" ricollegando tale situazione all'esistenza di una "determinazione dell'interessato" derivante appunto dalla sua dichiarazione di non accettazione del rito ex art. 441, comma 4 c.p.p. Questa situazione, a giudizio della Corte, appariva diversa da quanto avveniva per il "patteggiamento" in cui alla stessa parte civile non poteva essere addebitata alcuna determinazione, in quanto il procedimento ex art. 444 c.p.p. si concludeva sulla base di sole scelte operate da altri saggetti (pm ed imputato) senza che vi fosse stata alcuna partecipazione della parte civile a tale accordo. Orbene, a questo punto c'e' da chiedersi se le modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 sul rito abbreviato possano aver modificato in maniera rilevante i termini della questione. Esistono a parere di questo giudice una serie di questioni che necessitano di un'ulteriore valutazione su tale aspetto e che a seconda delle risposte fornite, fanno propendere per l'esistenza di una questione di legittimita' costituzionale in relazione alle norme indicate. Il nuovo rito abbreviato risulta oggi, attraverso gli interventi legislativi indicati, strutturalmente modificato rispetto al passato: non e' piu' richiesto il consenso del p.m. per l'ammissione del rito abbreviato, ne una valutazione da parte del giudice circa l'ammissibilita' della richiesta rapportata alla "definibilita'" del processo allo stato degli atti. In merito a tale ultima valutazione il giudice di fronte ad una richiesta dell'imputato e' tenuto comunque ad ammettere il rito, salvo il potere di assumere "anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione" (art. 441, comma 5 c.p.p.). Sempre all'imputato, inoltre, e' riconosciuto il diritto di avanzare richiesta di giudizio abbreviato, subordinando la stessa ad "integrazioni probatorie ritenute necessarie ai fini della decisione" (438, comma 5 c.p.p.). In particolare su tale ultimo aspetto giova sottolineare come il codice di rito mentre per il p.m. prevede il diritto alla prova contraria, nulla statuisce in favore della parte civile. Identica situazione, a discapito della parte civile, si verifica nel caso in cui viene riconosciuto il diritto all'imputato all'ammissione di nuove prove a seguito della modifica dell'imputazione da parte del p.m. nel giudizio abbreviato (art. 441-bis ultimo comma c.p.p.). Alla luce di tanto la parte civile puo' certamente trovarsi, all'interno del giudizio abbreviato, in una posizione di contraddittorio limitato in relazione alla sua pretesa di carattere civile avanzata con la sua azione; tanto soprattutto se posto in relazione a quanto diversamente avverrebbe in un giudizio ordinario. C'e' inoltre da considerare come, oggi, all'interno del rito abbreviato possano trovare spazio ed utilizzazione non solo quegli atti istruttori acquisiti con la richiesta "subordinata" dall'imputato, ma addirittura tutti quelli acquisiti dallo stesso imputato attraverso le indagini difensive, atti assunti senza alcun contraddittorio. Ora appare abbastanza evidente come all'interno del giudizio abbreviato il sistema di formazione/acquisizione della prova presenti minori garanzie per il contraddittorio e per la liberta' di acquisizione e formazione della prova proprio in relazione alla parte civile costituita. Il tutto diversamente da quanto avviene nel dibattimento in cui viene riconosciuto un ampio ed effettivo diritto alla prova (art. 190 c.p.p.). Nel rito abbreviato, l'imputato, alla pari di quanto avviene per il patteggiamento, attraverso una sua libera ed interessata determinazione, interviene in maniera radicale con una scelta che influisce direttamente sulle modalita' di definizione dell'azione intrapresa dalla parte civile, rendendo partecipe la stessa di un tipo di procedimento che presenta notevoli limitazioni sul suo diritto alla prova ed al contraddittorio. Ora, il nostro codice di rito riconoscendo la possibilita' alla parte civile di non accettare il rito abbreviato, evitandole possibili effetti pregiudizievoli derivanti dal giudicato (art. 651 e 652 c.p.p.), nello stesso tempo addossa implicitamente alla stessa parte tutte le spese dalla stessa sostenute nel relativo procedimento per l'esercizio di una facolta' legittitima riconosciuta dal codice attraverso l'esercizio dell'azione civile nel processo penale; il tutto per una decisione proveniente esclusivamente dall'imputato, il quale, rispetto alla parte civile diventa quasi arbitro della modalita' di definizione e di gestione del processo. In buona sostanza a fronte di una scelta operata dall'imputato (scelta che al medesimo puo' attribuire notevoli vantaggi in considerazione della riduzione della pena in caso di condanna) viene a determinarsi una notevole restrizione del diritto alla prova nei confronti della parte civile, la quale, per tutelarsi degli effetti eventualmente pregiudizievoli della sentenza derivanti dal giudicato penale, e' tenuta ad operare una dichiarazione di non accettazione del rito. E' di tutta evidenza il pregiudizio che la parte civile puo' subire in tutti i casi in cui, come quello in esame, la stessa ha operata in maniera costruttiva ed attiva nel procedimento, impiegando mezzi ed affrontando notevoli spese e contribuendo in alcuni casi (come quello in esame) in maniera quasi risolutiva alle stesse determinazioni sull'azione penale attraverso il deposito di atti, le opposizioni di cui all'art. 409 c.p.p.. e la partecipazione alle udienze camerali. Questo giudice non riesce ad individuare valide e legittime giustificazioni per non ammettere la possibilita' per la parte civile di poter richiedere, al termine del giudizio abbreviato, una statuizione da parte del giudice limitata alle sole spese di costituzione di parte civile in caso di condanna dell'imputato nel giudizio abbreviato. Difatti proprio il processo penale appare la sede piu' naturale ed opportuna per definire tale questione. Esistono, a parere di questo giudice, numerosi elementi, come visto, che rendono simile la posizione della parte civile che si costituisce in un giudizio che viene poi definito con il rito abbreviato con la parte civile che si costituisce in un processo che viene definito con l'applicazione della pena su richiesta. Ad entrambe le parti civili vengono addossate una serie di conseguenze che non derivano da alcuna loro determinazione, ma esclusivamente, nel rito abbreviato, da una scelta operata dal solo imputato. Tutto cio' rende possibile la presenza di profili di incostituzionalita' degli artt. 441, comma 1 e 4 c.p.p. - nella parte in cui limitando gli effetti della non accettazione del rito alla sola ipotesi ex art. 75 c.p.p. e non autorizzando le conclusioni della parte civile, non prevede il diritto di quest'ultima a richiedere la condanna dell'imputato al pagamento delle spese relative all'azione civile - e dell'art. 442, comma 1 c.p.p. nella parte in cui non prevede il potere per il giudice, nel caso di condanna dell'imputato, di statuire sulle spese medesime; cio' in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 1 della Costituzione. La violazione dell'art. 3, comma 1 della Costituzione potrebbe profilarsi in ragione di una diversita' di trattamento della parte civile per un'ipotesi sostanzialmente analoga a quella della parte civile per i casi di definizione del processo con il rito abbreviato e con il patteggiamento. La violazione dell'art. 24, comma 1 Cost. parrebbe profilarsi nel momento in cui, essendo preclusa al giudice ogni decisione sulla domanda della parte civile in caso di definizione del processo con il rito abbreviato, si determinerebbe una ingiustificata limitazione del precetto costituzionale che assicura ad ogni cittadino la tutela giudiziaria dei propri diritti, in quanto vanificherebbe in relazione a determinati aspetti la tutela giudiziaria riconosciuta; il tutto in ragione di una scelta operata da un soggetto-parte del processo civile inserito nel procedimento penale, con ricaduta di effetti pregiudizievoli per l'altra parte. La questione, pertanto, apparendo fondata e rilevante in relazione al presente procedimento, che si ritiene non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione, deve essere rimessa alla Corte costituzionale per le sue valutazioni.