IL TRIBUNALE

    In  data 12 novembre 2002 nel presente procedimento ha emanato la
seguente  ordinanza  della  quale  si e' data lettura in udienza alla
presenza di tutte le parti.
    Nel corso del presente giudizio, gli odierni imputati nei termini
e  nelle  forme  di  rito,  avanzavano  richiesta  di definizione del
processo nelle forme del giudizio abbreviato.
    Questo  giudice, ricorrendo le condizioni di legge, provvedeva ai
sensi  dell'art. 438,  comma 4 c.p.p. disponendo in conformita' della
richiesta.
    La   parte   civile,   gia  costituitasi  ritualmente  nel  corso
dell'udienza  preliminare,  ai  sensi  dell'art. 441,  comma 4 c.p.p.
dichiarava  espressamente  di  non  accettare il rito; subito dopo il
giudice invitava le parti a rassegnare le rispettive conclusioni.
    A  questo  punto  da  parte dei difensori degli imputati venivano
sollevate  una  serie  di  rilievi  e  di eccezioni in relazione alla
posizione  della parte civile che, come visto, non aveva accettato il
rito  del  giudizio abbreviato. Secondo i difensori, la parte civile,
alla  luce  della  operata  dichiarazione di dissenso, non aveva piu'
diritto  a  rimanere  nel  presente processo, e, pertanto, non poteva
compire  alcuna  attivita'  ricollegabile  alla qualita' di parte del
processo.
    Questo  giudice  in ordine alle eccezioni sollevate e riguardanti
la   posizione  della  parte  civile,  dopo  che  quest'ultima  aveva
effettuato  la  dichiarazione di non accettazione del rito abbreviato
(art. 441,  comma 4  c.p.p.),  ritiene  di dover valutare le indicate
questioni sotto un duplice ordine di motivi:
      a) uno riguardante le sorti della domanda principale di danno a
seguito del manifestato dissenso rispetto al rito;
      b) l'altro  in  relazione  alle statuizione sulle sole spese di
costituzione  di  parte  civile  con  una valutazione sugli eventuali
profili  di  incostituzionalita'  delle norme di riferimento (diritto
della parte civile di poter richiedere la condanna per spese relative
all'azione  civile  e relativo potere del giudice di provvedere su di
esse artt. 441 comma 1 e 4/442, comma 2 c.p.p.)
    A. - Gli  effetti  previsti  dal codice di rito in relazione alla
dichiarazione  della  parte  civile di non accettazione del rito sono
indicati:
        1)  dall'art. 441,  comma 4 c.p.p., in relazione all'art. 75,
comma 3,  c.p.p.,  norma  quest'ultima,  che  prevede  la sospensione
dell'eventuale  processo  civile  iniziato  in  pendenza del processo
penale;
        2)  dagli  artt.  651,  comma  2  e  652  comma  2 c.p.p. che
escludono  il  valore  e  l'efficacia  di  giudicato alla sentenza di
condanna  o  di  assoluzione  emessa  nel processo penale definito in
abbreviato  in  relazione  al procedimento civile o amministrativo di
danno nel caso di dissenso della parte civile sul rito abbreviato.
        3)  dall'art. 576  c.p.p.  nella  parte in cui non ammette la
possibilita' per la parte civile di impugnare la sentenza pronunciata
a norma dell'art. 442 c.p.p.
    Ora,   c'e'   da   chiedersi,  se  oltre  agli  effetti  indicati
espressamente  dalla  legge, la dichiarazione di non accettazione del
rito   comporti   anche   conseguenze  sulla  domanda  principale  di
risarcimento  del  danno  o  se  invece, come sostenuto dal difensore
della parte civile, tale dichiarazione limiti la propria efficacia ai
soli effetti di legge di cui si e' fatta menzione.
    Una  prima  risposta in relazione al diritto della parte civile a
partecipare  al  giudizio abbreviato nonostante il suo dissenso la si
potrebbe  ricavare  dalla disciplina prevista dagli artt. 80, 81 e 82
c.p.p.
    Ebbene,  si ritiene che per nessuno dei casi indicati (esclusione
della  parte  civile  per  richiesta  di  parte  o  d'ufficio, revoca
espressa   o   implicita   della  costituzione  della  parte  civile)
sussistano  analogie  o relazioni giuridiche che possano ammettere un
tale riferimento.
    In  particolare con riguardo alla revoca della costituzione della
parte   civile   (art. 82   c.p.p.),   tale   situazione  non  appare
equiparabile  alla  non  accettazione del rito e cio' avendo riguardo
sia  alla  natura  delle  dichiarazioni  (quelle  della revoca e' una
manifestazione  di  volonta'  che  esplica  propri effetti interviene
direttamente  sull'atto  costitutivo,  mentre con la dichiarazione di
non  accettazione  non  si interviene su tale atto), sia, ancora, con
riguardo  agli  effetti  (la  sentenza  emessa  dopo  la revoca della
costituzione  di  parte  civile  esplica  i suoi effetti sul giudizio
civile ed amministrativo, diversamente, come visto, da quanto avviene
per le dichiarazioni di non accettazione del rischio).
    In relazione alle altre ipotesi (art. 80 e 81 c.p.p.) non risulta
alcun provvedimento di esclusione adottato dal giudice d'ufficio o su
richiesta di parte.
    In considerazione della "permanenza" dell'atto di costituzione di
parte  civile  non  colpito,  difatti,  da  alcun  atto di revoca, di
rinuncia o di esclusione, potrebbe, a questo punto, sorgere legittimo
un  interrogativo:  cioe'  se, in considerazione del fatto che l'atto
costitutivo  di  parte  civile non risulta essere stato in alcun modo
intaccato  da  una  volonta'  contraria  o  da  un  provvedimento  di
esclusione  del  giudice,  la  stessa parte civile possa continuare a
svolgere  la  propria  attivita'  nel processo, partecipando ad esso,
svolgendo  all'interno di esso tutte le attivita' tipiche delle parti
e,  pertanto,  rassegnando  le  proprie conclusioni sia sulla domanda
principale che sulle spese.
    A  questo punto appare opportuno valutare la dichiarazione di non
accettazione  del  rito,  il  suo  contenuto  intrinseco e domandarsi
ulteriormente  se  possa  ritenersi legittima e compatibile stando ad
una  logica interpretazione dei fatti, la posizione di una parte che,
a  fronte di una sua esplicita dichiarazione di non accettazione alla
partecipazione ad un processo, di cui e' stata chiesta la definizione
secondo  particolari regole e procedure, chieda poi di partecipare al
processo medesimo rispetto al quale ha chiaramente manifestato la sua
volonta'  contraria.  In  buona  sostanza  c'e' da chiedersi come sia
possibile  ritenere  legittima  la  posizione  di  colui  che pur non
accettando   in  precedenza  le  regole  del  gioco,  chieda  poi  di
partecipare allo stesso.
    A  parere  di  questo giudice si ritiene che la manifestazione di
dissenso  corrisponde,  secondo il sistema disegnato dal legislatore,
ad  una vera e propria scelta in relazione alle modalita di esercizio
dell'azione,  cio' perche', nel momento in cui non si accetta il rito
abbreviato  -  evitando  in  tal  modo gli effetti di giudicato della
sentenza penale sulle questioni civili (651, 652 c.p.p.) attivando un
processo  civile  che  non  verrebbe  sospeso  (75 c.p.p.) - la parte
civile  decide  di  affidare  al giudice civile completa autonomia di
giudizio  sull'esistenza  di  taluni presupposti dell'azione di danno
esistenza  del  fatto,  attribuzione  di esso a determinato soggetto,
illiceita' della condotta. In tal modo si opera una netta separazione
tra  le  rispettive  azioni, e, soprattutto si evitano quelle tipiche
influenze dell'una sull'altra.
    Puo',  pertanto,  dirsi  che  una volta effettuata tale scelta ad
opera  della  parte  civile,  pur  non  essendovi  stato  alcun  atto
modificativo   del   precedente   atto  costitutivo,  puo'  ritenersi
incompatibile  la partecipazione di quest'ultima parte a quel tipo di
processo che non ha accettato, in ragione delle particolari e diverse
regole di definizione del medesimo.
    A  conforto  dell'orientamento  espresso  da  questo  giudice, in
dottrina  si  legge che "la parte civile partecipa al giudizio che si
svolge  con  il  rito  speciale  se accetta l'abbreviato; addirittura
basterebbero  "assensi  impliciti - diagnosticabili, ad esempio dalla
presenza  attiva  nel  contraddittorio - per ammettere l'accettazione
del rito a (c.p.p. rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Lattanti
-  Lupo, vol. VI, pag. 67, Giuffre) tanto da far temere una implicita
rinuncia alla dichiarazione di non accettazione.
    Altro autore (Cordero, procedura pag. 901) ha aggiunto che "resta
sottointeso  che  il non aderente sia estromesso", dandosi ragione, a
questo  punto,  proprio  con l'utilizzo del termine "sottointeso" del
particolare   sistema   ideato  dal  legislatore  e  delle  implicite
conseguenze  che  si determinano a seguito della scelta operata dalla
parte civile.
    Nella giurisprudenza di legittimita' non sono presenti precedenti
specifici   sul   punto,  risultando  soltanto  alcune  pronunce  che
riferiscono esclusivamente della possibilita', della parte civile "di
non  accettare  il  rito  speciale,  evitando in tal modo gli effetti
svantaggiosi  della decisione di merito" ne' di opporsi e d'impugnare
il  provvedimento  ammissivo  del  giudizio (Cass. V, 19 giugno 1991,
Serafini).
    La  Corte  costituzionale  e'  intervenuta sul punto statuendo in
maniera  risolutiva  ed  inequivoca  che  nel  giudizio abbreviato il
giudice  puo'  pronunciare sulla domanda della parte civile solamente
se questa abbia accettato il rito speciale (Corte cost. n. 443/1990).
    L'autorevolezza della fonte ed il carattere chiaro ed in equivoco
della   statuizione  esimerebbe  questo  giudice  da  ogni  ulteriore
valutazione.  Esistono  pero',  ulteriori  argomenti  da esporre e da
esaminare.  Il  riferimento da parte del difensore dell'imputato alla
sentenza  emessa  dal  Tribunale  di Milano del 5 dicembre 1989 (Foro
Ital.  1991,  II,  423)  non  appare  pertinente apparendo necessaria
un'attenta lettura della stessa per comprenderne la reale portata. In
tale  sentenza  si legge che "il dissenso espresso dalla parte civile
rispetto  al  giudizio  abbreviato,  richiesto dall'imputato ai sensi
dell'art. 247  (norme  transitorie  c.p.p.) in pubblica udienza prima
dell'apertura del dibattimento, non preclude alla stessa parte civile
il  diritto  di proporre le proprie conclusioni all'udienza in camera
di consiglio".
    Ebbene   la  questione  sottoposta  al  Tribunale  di  Milano  e'
certamente  diversa  da  quella oggi in esame. Il procedimento che in
quella  sede  veniva  definito  ex art. 247 disp. transitorie c.p.p.,
riguardava un particolare tipo di giudizio abbreviato, che proprio in
ragione  della  particolarita' del procedimento, presentava caratteri
diversi da quello previsto dagli artt. 438 e ssgg c.p.p.
    Difatti,  per  tale  giudizio  abbreviato si legge (art. 247 ult.
parte  comma  2 norma citata) che la sentenza penale "ha autorita' di
cosa  giudicata  nel giudizio civile se la parte civile ha presentato
le  sue  conclusioni all'udienza". Come si vede, nella norma in esame
non   viene   menzionato  in  alcun  modo  la  possibilita'  prevista
dall'art. 441,  comma 4 c.p.p. di non accettazione del rito in favore
della   parte   civile,  ne'  risulta  alcun  richiamo  normativo  in
proposito, come, invece il legislatore ha fatto per altri aspetti del
processo   (richiamo   agli  artt. 438,  442,  443).  Pertanto,  puo'
ritenersi  che  per  tale caso di rito abbreviato, non sia consentito
alla  parte  civile  esprimere un proprio dissenso sul rito, mancando
una  previsione  di legge in proposito; del pari puo' dirsi che anche
all'eventuale  dissenso,  comunque manifestato, non possa attribuirsi
alcuna efficacia.
    Appare  inoltre  che  il  procedimento  abbreviato previsto dalla
disposizione   transitoria   presenti  caratteristiche  di  struttura
diverse  dal  tipo  di  abbreviato  previsto  dalle norme di rito; in
particolare,  in  riferimento  proprio  agli  aspetti  oggi in esame,
appaiono  evidenti le diversita' rispetto agli effetti del giudicato.
Difatti  nel procedimento descritto dall'art. 247 citato l'effetto di
giudicato  deriva esclusivamente dal comportamento della parte civile
che  abbia  presentato  o  meno  le  proprie  conclusioni;  nel  rito
abbreviato  previsto  dagli  artt.  438  e ssgg c.p.p., al contrario,
l'effetto  "giudicato"  puo'  sorgere  sia  nel caso di presentazione
delle  conclusioni che nel caso di assenza di esse (in questo caso da
valere  come  revoca  della  costituziane  di  parte  civile, art. 82
comma 2  c.p.p.);  infatti  in  tale  rito  abbreviato  l'effetto  di
giudicato   viene   escluso   soltanto  dalla  dichiarazione  di  non
accettazione  del  rito a cura della parte civile, attivita', questa,
non prevista dall'art. 247 citato.
    Alla  luce  di  tanto il Tribunale di Milano non avrebbe di certo
potuto  impedire  alla  parte  civile  di  non  presentare le proprie
conclusioni,  dal  momento  che il dissenso espresso in precedenza, a
differenza  di quanto oggi avviene, non poteva in alcun modo svolgere
una propria efficacia.
    Pertanto  il  richiamo  alla  sentenza  del  Tribunale  di Milano
indicata, a parere di questo giudice, non appare pertinente.
    Alla luce delle indicate argomentazioni, deve ritenersi legittima
l'eccezione  sollevata  da  parte  dei  difensori  degli  imputati in
relazione  alla  mancanza di un diritto in capo alla parte civile che
nel  corso  del  processo  abbreviato  non abbia accettato il rito di
poter concludere sulla domanda principale di danno.
    B. - Passando  alla verifica del secondo aspetto della questione,
c'e'  da  chiedersi  se,  in  considerazione del dissenso manifestato
dalla  parte civile - che come si e' visto comporta il venir meno per
il  giudice del dovere di statuire in merito alla domanda civile - si
determinano  altresi'  effetti ostativi con riguardo alla statuizione
sulle spese relative all'azione civile.
    La  norma  contenuta  nella parte riguardante il rito abbreviato,
l'art. 442  c.p.p.  richiama  gli  artt. 529  e ssgg. del c.p.p.; tra
questi,  anche la disposizione contenuta nell'art. 541 c.p.p., norma,
questa,  che regola appunto la statuizione del giudice in ordine alle
spese della parte civile nel processo.
    Ebbene,  dalla  lettura  di  tale  norma  si  evince il carattere
certamente unitario tra la pronuncia che accoglie la domanda proposta
con  la  costituzione di parte civile e la relativa statuizione sulle
spese nel caso di condanna dell'imputato. Da cio' puo' dedursi che la
domanda  sulle  spese  presenti  un carattere accessorio in relazione
alla  domanda  principale, potendosi statuire su di essa soltanto nel
caso   in  cui  le  valutazioni  del  giudice  investano  la  domanda
principale di danno.
    Pertanto,  non  puo' certamente attribuirsi un carattere autonomo
alla  statuizione  di cui all'art. 541 c.p.p., presentando tale norma
un  legame  diretto  con  quella  relativa  alla  statuizione  su.lle
restituzioni e sul risarcimento del danno.
    Inoltre,  non  puo'  in  alcun  modo  estendersi  "Ia  previsione
deIl'art. 541,   comma 1   c.p.p.   al   di  la'  delle  ipotesi  ivi
espressamente  configurata  in  relazione  alla  sentenza  penale che
accoglie  Ia  domanda  di  restituzione  o di risarcimento del danno"
(Corte cost. n. 443/1990).
    Alla  luce  di  tanto  sarebbe  inibito alla parte civile che non
abbia  accettata  il  rito abbreviato di poter richiedere Ia condanna
dell'imputato  al pagamento delle spese relative all'azione civile ed
al   giudice   di   provvedere   su  di  esse  in  caso  di  condanna
dell'imputato;  cio'  perche', non risulta presente nel nostro codice
di  rito  alcuna  disposizione sul punto. Non si rinvengono, difatti,
nel  nostro codice norme che ammettano una scissione tra Ia pronuncia
sull'azione principale e quella relativa alle spese.
    Unica  eccezione  e'  oggi  prevista dall'art. 444 comma 2 c.p.p.
Tale  disposizione  prevede,  difatti,  nel caso di patteggiamento Ia
possibilita'  per Ia parte civile costituita di ottenere il pagamento
delle   sole   spese   sostenute   per   Ia   sua  costituzione,  non
riconoscendosi  al  giudice  di  decidere sulla principale domanda di
danno o di restituzioni.
    Come  vista un'analoga possibilita' non viene prevista per i casi
di  definizione  del processo con, le forme del rito abbreviato. C'e'
da  chiedersi allora se Ia mancanza di una tale previsione per questo
rito   speciale   possa   astrattamente   configurare  un'ipotesi  di
incostituzionalita'  di quelle disposizioni che non prevedono in capo
all'indicata  parte civile costituita il diritto di poter richiederla
condanna dell'imputato al pagamento delle spese di costituzione (art.
441,  comma 4  c.p.p.,  norma questa che limita gli effetti della non
accettazione  del  rito  a quelli indicati dall'art. 75 c.p.p.) ed il
potere  del  giudice  di  provvedere  in  merito  in caso di condanna
dell'imputato  (art. 442,  comma 1  c.p.p., che contiene un'implicita
esclusione  per  tali  ipotesi). Tanto in relazione agli artt. 3 e 24
comma 1 della Costituzione, in considerazione della posizione assunta
dalla  parte  civile in virtu' di una scelta operata dall'imputato in
merito  alla  quale  non  v'e'  stata  alcuna  sua  partecipazione  o
possibilita', di interloquire.
    Su  tale  aspetto  la  Corte  costituzionale,  seppur  in maniera
indiretta,  aveva  gia'  affrontato  tale  tema,  argomentando  sulla
questione     relativa    alla    valutazione    dell'eccezione    di
incostituzionalita'  dell'allora art. 444, comma 2 c.p.p. nella parte
in  cui non prevedeva la possibilita' per ii giudice di provvedere in
merito  alle spese sostenute dalla parte civile, dichiarando, come e'
noto,  la  incostituzionalita'  di  tale  norma (poi modificata dalla
legge  n. 479/1999)  proprio  in  relazione  a  tale  aspetto  (Corte
costituzionale sentenza n. 443/1990).
    In  quella  occasione  la  Corte,  proprio  in  relazione al rito
abbreviato,  seppur in maniera indiretta, aveva giustificato per tale
rito   speciale   una  sorta  di  pregiudizia  per  la  parte  civile
"dissenziente"  ricollegando  tale  situazione  all'esistenza  di una
"determinazione   dell'interessato"   derivante   appunto  dalla  sua
dichiarazione  di  non  accettazione  del  rito  ex art. 441, comma 4
c.p.p. Questa situazione, a giudizio della Corte, appariva diversa da
quanto  avveniva  per  il  "patteggiamento"  in cui alla stessa parte
civile  non poteva essere addebitata alcuna determinazione, in quanto
il  procedimento  ex art. 444 c.p.p. si concludeva sulla base di sole
scelte  operate da altri saggetti (pm ed imputato) senza che vi fosse
stata alcuna partecipazione della parte civile a tale accordo.
    Orbene,  a  questo  punto  c'e'  da  chiedersi  se  le  modifiche
introdotte  dalla  legge 16 dicembre 1999, n. 479 sul rito abbreviato
possano   aver  modificato  in  maniera  rilevante  i  termini  della
questione.
    Esistono  a  parere  di questo giudice una serie di questioni che
necessitano  di  un'ulteriore  valutazione  su  tale  aspetto e che a
seconda  delle  risposte fornite, fanno propendere per l'esistenza di
una  questione di legittimita' costituzionale in relazione alle norme
indicate.
    Il  nuovo rito abbreviato risulta oggi, attraverso gli interventi
legislativi indicati, strutturalmente modificato rispetto al passato:
non  e' piu' richiesto il consenso del p.m. per l'ammissione del rito
abbreviato,   ne   una   valutazione   da  parte  del  giudice  circa
l'ammissibilita'  della richiesta rapportata alla "definibilita'" del
processo  allo  stato degli atti. In merito a tale ultima valutazione
il  giudice  di  fronte  ad  una  richiesta  dell'imputato  e' tenuto
comunque  ad  ammettere  il  rito, salvo il potere di assumere "anche
d'ufficio  gli elementi necessari ai fini della decisione" (art. 441,
comma 5  c.p.p.).  Sempre  all'imputato,  inoltre, e' riconosciuto il
diritto di avanzare richiesta di giudizio abbreviato, subordinando la
stessa  ad "integrazioni probatorie ritenute necessarie ai fini della
decisione"  (438,  comma 5  c.p.p.).  In  particolare  su tale ultimo
aspetto  giova sottolineare come il codice di rito mentre per il p.m.
prevede  il  diritto  alla prova contraria, nulla statuisce in favore
della  parte  civile.  Identica  situazione,  a discapito della parte
civile,  si  verifica  nel  caso in cui viene riconosciuto il diritto
all'imputato  all'ammissione  di nuove prove a seguito della modifica
dell'imputazione   da   parte   del   p.m.  nel  giudizio  abbreviato
(art. 441-bis ultimo comma c.p.p.).
    Alla  luce  di  tanto  la  parte civile puo' certamente trovarsi,
all'interno   del   giudizio   abbreviato,   in   una   posizione  di
contraddittorio  limitato  in relazione alla sua pretesa di carattere
civile  avanzata  con  la  sua  azione; tanto soprattutto se posto in
relazione a quanto diversamente avverrebbe in un giudizio ordinario.
    C'e'  inoltre  da  considerare  come,  oggi, all'interno del rito
abbreviato  possano  trovare  spazio ed utilizzazione non solo quegli
atti    istruttori   acquisiti   con   la   richiesta   "subordinata"
dall'imputato,  ma  addirittura  tutti  quelli acquisiti dallo stesso
imputato  attraverso  le indagini difensive, atti assunti senza alcun
contraddittorio.
    Ora  appare  abbastanza  evidente  come  all'interno del giudizio
abbreviato il sistema di formazione/acquisizione della prova presenti
minori   garanzie  per  il  contraddittorio  e  per  la  liberta'  di
acquisizione e formazione della prova proprio in relazione alla parte
civile  costituita.  Il  tutto  diversamente  da  quanto  avviene nel
dibattimento  in cui viene riconosciuto un ampio ed effettivo diritto
alla prova (art. 190 c.p.p.).
    Nel  rito abbreviato, l'imputato, alla pari di quanto avviene per
il   patteggiamento,   attraverso   una  sua  libera  ed  interessata
determinazione,  interviene  in  maniera  radicale con una scelta che
influisce  direttamente  sulle  modalita'  di definizione dell'azione
intrapresa  dalla  parte  civile,  rendendo partecipe la stessa di un
tipo  di  procedimento  che  presenta  notevoli  limitazioni  sul suo
diritto alla prova ed al contraddittorio.
    Ora,  il  nostro codice di rito riconoscendo la possibilita' alla
parte   civile  di  non  accettare  il  rito  abbreviato,  evitandole
possibili effetti pregiudizievoli derivanti dal giudicato (art. 651 e
652  c.p.p.),  nello  stesso tempo addossa implicitamente alla stessa
parte tutte le spese dalla stessa sostenute nel relativo procedimento
per  l'esercizio  di una facolta' legittitima riconosciuta dal codice
attraverso  l'esercizio  dell'azione  civile  nel processo penale; il
tutto  per una decisione proveniente esclusivamente dall'imputato, il
quale,  rispetto  alla  parte  civile  diventa  quasi  arbitro  della
modalita'  di  definizione  e  di  gestione  del  processo.  In buona
sostanza  a fronte di una scelta operata dall'imputato (scelta che al
medesimo  puo'  attribuire  notevoli vantaggi in considerazione della
riduzione  della  pena  in caso di condanna) viene a determinarsi una
notevole restrizione del diritto alla prova nei confronti della parte
civile,   la   quale,   per  tutelarsi  degli  effetti  eventualmente
pregiudizievoli  della  sentenza  derivanti  dal giudicato penale, e'
tenuta ad operare una dichiarazione di non accettazione del rito.
    E'  di  tutta  evidenza  il  pregiudizio che la parte civile puo'
subire  in  tutti  i  casi in cui, come quello in esame, la stessa ha
operata in maniera costruttiva ed attiva nel procedimento, impiegando
mezzi  ed  affrontando  notevoli  spese e contribuendo in alcuni casi
(come  quello  in  esame)  in  maniera  quasi  risolutiva alle stesse
determinazioni  sull'azione penale attraverso il deposito di atti, le
opposizioni  di  cui  all'art. 409  c.p.p..  e la partecipazione alle
udienze camerali.
    Questo  giudice  non  riesce  ad  individuare  valide e legittime
giustificazioni per non ammettere la possibilita' per la parte civile
di   poter  richiedere,  al  termine  del  giudizio  abbreviato,  una
statuizione  da  parte  del  giudice  limitata  alle  sole  spese  di
costituzione  di  parte  civile in caso di condanna dell'imputato nel
giudizio  abbreviato.  Difatti  proprio  il processo penale appare la
sede piu' naturale ed opportuna per definire tale questione.
    Esistono,  a  parere  di  questo giudice, numerosi elementi, come
visto,  che  rendono  simile  la  posizione della parte civile che si
costituisce  in  un  giudizio  che  viene  poi  definito  con il rito
abbreviato  con la parte civile che si costituisce in un processo che
viene  definito  con  l'applicazione  della  pena  su  richiesta.  Ad
entrambe  le  parti civili vengono addossate una serie di conseguenze
che  non  derivano  da alcuna loro determinazione, ma esclusivamente,
nel rito abbreviato, da una scelta operata dal solo imputato.
    Tutto   cio'   rende   possibile   la   presenza  di  profili  di
incostituzionalita' degli artt. 441, comma 1 e 4 c.p.p. - nella parte
in  cui  limitando  gli  effetti della non accettazione del rito alla
sola  ipotesi  ex  art. 75  c.p.p.  e non autorizzando le conclusioni
della  parte  civile,  non  prevede  il  diritto  di  quest'ultima  a
richiedere   la  condanna  dell'imputato  al  pagamento  delle  spese
relative  all'azione  civile  - e dell'art. 442, comma 1 c.p.p. nella
parte  in  cui  non  prevede  il  potere  per il giudice, nel caso di
condanna  dell'imputato,  di  statuire  sulle spese medesime; cio' in
riferimento agli artt. 3 e 24, comma 1 della Costituzione.
    La  violazione  dell'art. 3,  comma 1 della Costituzione potrebbe
profilarsi  in  ragione  di una diversita' di trattamento della parte
civile  per  un'ipotesi  sostanzialmente analoga a quella della parte
civile  per i casi di definizione del processo con il rito abbreviato
e con il patteggiamento.
    La violazione dell'art. 24, comma 1 Cost. parrebbe profilarsi nel
momento  in  cui,  essendo  preclusa  al giudice ogni decisione sulla
domanda della parte civile in caso di definizione del processo con il
rito abbreviato, si determinerebbe una ingiustificata limitazione del
precetto  costituzionale  che  assicura  ad  ogni cittadino la tutela
giudiziaria dei propri diritti, in quanto vanificherebbe in relazione
a determinati aspetti la tutela giudiziaria riconosciuta; il tutto in
ragione  di  una  scelta  operata  da  un soggetto-parte del processo
civile  inserito  nel  procedimento  penale,  con ricaduta di effetti
pregiudizievoli per l'altra parte.
    La   questione,   pertanto,  apparendo  fondata  e  rilevante  in
relazione  al  presente procedimento, che si ritiene non possa essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione della questione, deve
essere rimessa alla Corte costituzionale per le sue valutazioni.