IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 12469 del 2002 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Carbonetti e Fabrizio Carbonetti, con i quali elettivamente domicilia in Roma, via G. Antonelli n. 47; Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l'annullamento: a) del d.m. 2 agosto 2002, n. 217 recante "Regolamento ai sensi dell'art. 11 comma 14 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie" e di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale; b) della nota prot. n. 14572, inviata il 23 ottobre 2002 dal Ministero dell'economia e delle finanze avente ad oggetto "Documento programmatico previsionale"; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e udito, all'udienza del 15 gennaio 2003, l'avv. Carbonetti; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o Con il ricorso in esame, la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendo: 1. - Illegittimita' dell'art. 3, comma 5 del d.m. n. 217 del 2002 per violazione dell'art. 11, comma 14 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 e dell'art. 2, comma 1 del decreto legislativo 17 maggio 1999 n. 153, nella parte in cui viene sanzionato il divieto di cooptazione dei componenti dell'organo di indirizzo. 2. - Illegittimita' dell'art. 5, comma 1 del d.m. n. 217 del 2002 circa l'incompatibilita' con cariche in banche, assicurazioni e societa' finanziarie per incostituzionalita' dell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001 atteso che le preclusioni introdotte da quest'ultimo non troverebbero un loro logico fondamento; infatti, il regime delle incompatibilita' dovrebbe riguardare solo le singole fondazioni e le rispettive banche conferitarie. Il vizio sarebbe vieppiu' rilevante in quanto la contestata previsione incide su un diritto fondamentale delle persone. La norma regolamentare sarebbe illegittima anche ex se, in quanto, senza alcuna copertura legislativa, procederebbe all'individuazione delle societa' di limitato rilievo economico e patrimoniale. 3. - Illegittimita' dell'art. 9 commi 3, 4, 6, 8 e 9 del d.m. n. 217 del 2002 per violazione dell'art. 11, comma 14 della legge n. 448 del 2001 e dell'art. 2, comma 1 del decreto legislativo n. 153 del 1999, riferita alla necessaria decadenza dei componenti dell'organo di indirizzo, in patente contrasto con l'art. 11, comma 14 della legge n. 448 del 2001, che, come riconosciuto dal Consiglio di Stato in sede consultiva, avrebbe permesso di contemplare la permanenza in carica dei componenti stessi, che risultassero in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa. 4. - Illegittimita' della Circolare per violazione dell'art. 10 del decreto legislativo n. 153 del 1999, relativa al potere autorizzatorio che l'Autorita' di vigilanza si riconosce in merito ai documenti programmatici previsionali, che le fondazioni bancarie sono obbligate a trasmettere ad essa. Si e' costituito in giudizio il Ministero dell'economia e delle finanze, a difesa dei provvedimenti impugnati. D i r i t t o 1. - Viene portato all'esame del tribunale, innanzi tutto, il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2002 n. 217, recante il regolamento previsto dall'art. 11 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie. Avverso tale provvedimento sono mossi numerosi rilievi, alcuni dei quali investono la legittimita' costituzionale della fonte attributiva del potere regolamentare. Occorre, innanzi tutto, individuare la natura giuridica delle fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e che costituisce la risultante dell'evoluzione normativa, che, nel corso di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di separazione delle stesse dalle banche ex pubbliche conferitarie, processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante la privatizzazione dell'intero settore creditizio. Punto di partenza di tale evoluzione e' la legge c.d. Amato-Carli 30 luglio 1990, n. 218 ed il conseguente decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356. Quest'ultimo contiene le "disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio" e, in particolare, al Titolo III, reca la disciplina degli "Enti pubblici conferenti", attribuendo ad essi una piena capacita' di diritto pubblico e di diritto privato ed assoggettandoli alle disposizioni legislative appositamente varate e a quelle dei loro rispettivi statuti. La prospettiva muta profondamente con la legge c.d. Ciampi 23 dicembre 1998 n. 461, che conferisce la delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti. L'art. 2, comma 1 lett. l), in particolare, impone a questi ultimi di adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando decreto legislativo, stabilendo, altresi', che "con l'approvazione delle relative modifiche statutarie gli enti diventano persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale". Risulta cosi' evidente l'opzione legislativa generale dell'affidamento della materia delle fondazioni bancarie al diritto privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul Regolamento in esame, nell'adunanza del 1 luglio 2002, che ne ha altresi' individuato la ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto meno morale, del patrimonio accumulato nel corso di decenni dalle banche pubbliche alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e dei beneficiari del credito. Assume rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia di detti enti, garantito dal citato art. 2, comma 1 lett. l) e riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria), quanto a quello di svolgere la propria attivita' istituzionale (autonomia gestionale). I limiti di tale liberta' sono quelli tassativamente imposti dalla legge, in perfetta coerenza con la circostanza che le fondazioni bancarie sono il prodotto di una precisa scelta del Parlamento, chiamato, percio' stesso, a predisporre una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e del corretto perseguimento dei fini istituzionali. All'uopo, il medesimo art. 2 ha fissato i principi e i criteri direttivi al legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e' stato di prevedere un regime peculiare, che si discosta da quello dettato dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche quest'ultimo sottopone le "ordinarie" fondazioni ad un'attenta vigilanza, preordinata a garantire il perseguimento dello scopo indicato dal fondatore. La precedente esposizione consente di chiarire l'esatta portata del carattere di "specialita'" dei soggetti in parola, che non riguarda la loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus fra gli enti pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene, piuttosto, alla disciplina cui i medesimi sono sottoposti, che, rispetto a quella codicistica, si pone, appunto, in rapporto di species ad genus, con tutte le conseguenze ermeneutiche ed applicative che ne discendono. Il decreto delegato 17 maggio 1999, n. 153 si pone nella medesima prospettiva, esordendo con una definizione delle fondazioni bancarie in tutto identica a quella della legge di delega. Analoga conferma viene daIl'art. 11 della citata legge n. 448 del 2001, che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per il resto, l'impianto legislativo precedente in maniera cosi' penetrante da avvertire la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza il potere regolamentare di coordinamento con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999. La prospettiva non cambia neppure con la legge 15 giugno 2002 n. 112, che, convertendo il d.l. 15 aprile 2002 n. 63, aggiunge un ulteriore periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente sostenersi che l'ulteriore intervento normativo non ha alcun effetto novativo della disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata: a) dalla lettera dell'art. 5 citato. Esso puo' essere scomposto in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e' destinato a produrre: vi e', anzitutto, una conferma della precedente normativa adottata, espressa dalla proposizione di apertura del periodo aggiunto: "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del 1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999..."; segue una precisazione in merito alla natura giuridica dei soggetti in parola, che, per dirla anche qui con il Consiglio di Stato, rende esplicita l'esistenza di un "regime privatistico speciale" che li caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione del loro regime giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle delle altre fondazioni, in quanto ordinato per legge ..." - costituisce, peraltro, la migliore conferma della gia' evidenziata portata del carattere di specialita' impresso dal legislatore alle fondazioni bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla successiva elencazione, che si limita a richiamare i caratteri salienti della disciplina legislativa precedentemente varata (riguardanti il modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e la gestione del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri applicativi della normativa che riguarda detti soggetti). si stabilisce, infine, che "la disposizione di cui al precedente periodo costituisce norma di interpretazione autentica della legge 23 dicembre 1998, n. 461 e del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153". Basta in proposito osservare che la giurisprudenza, costituzionale (cfr. Corte cost. 23 novembre 1994, n. 397) ed amministrativa (cfr. Cons. Stato, V Sez., 2 luglio 2002 n. 3612), afferma costantemente che la norma legislativa puo' qualificarsi interpretativa e, quindi, retroattiva e costituzionalmente legittima solo quando si limita a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, non integra il precetto di quest'ultima e non adotta un'opzione ermeneutica non desumibile dall'ordinaria attivita' di esegesi della stessa: tale risulta essere la norma in esame; b) dalla ratio e dall'occasio legis. Emerge dai lavori parlamentari che il periodo aggiunto all'art. 5 del d.l. n. 63 del 2002 (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari iniziali a seguito di condanna per aiuti di Stato") ha la funzione di "esplicitare agli organi della comunita' europea le motivazioni della particolarita' del regime fiscale delle fondazioni, precisando che non si tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione del relatore dell'emendamento, on. Alfano, resa alle Commissioni parlamentari V e VI riunite). Lo Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione della Commissione CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata giudicata incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione, di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del 1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le fusioni fra le banche. La soluzione accolta e' stata quella di sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo introdotto per le fondazioni bancarie, in considerazione del fatto che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale o di impresa; pertanto, le provvidenze fiscali previste in loro favore non sarebbero suscettibili di produrre effetti perturbativi del mercato. Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo, appena delineato, non apporta alcuna variazione sostanziale l'art. 80, comma 20 della legge 28 dicembre 2002 n. 289, che, alla lett. a), disciplina un aspetto peculiare, in punto di incompatibilita' degli organi delle fondazioni bancarie, e, alla lett. b), si limita ad una proroga del periodo riservato per l'operazione di dismissione della partecipazione nella Societa' bancaria conferitaria. Le conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e di affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello evidenziato, il riconoscimento della "piena autonomia statutaria e gestionale" delle fondazioni bancarie assume il valore di un principio guida sia per l'interpretazione che per la valutazione di legittimita', sub specie della compatibilita' con esso, delle disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153 del 1999, pur dopo le modificazioni introdotte dall'art. 11 della legge n. 448 del 2001. Piu' specificamente, l'affermazione della "piena" autonomia statutaria garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria "costituzione", che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben puo' conformare l'esercizio di tale potere, per garantire il perseguimento degli interessi di rilevanza sociale propri delle fondazioni (e non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a comprimerlo fino ad annullarlo, in toto o per specifici aspetti, tradendo il carattere peculiare che essa stessa ha impresso a tali soggetti. Analogamente, l'affermazione dell'autonomia gestionale e' destinata ad assicurare il libero esplicarsi dell'attivita' istituzionale dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'. Il problema e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare se sia stato superato il "grado di compressione che e' possibile imprimere all'autonomia privata ... senza che cio' si traduca in uno stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale, che la Carta costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le modifiche introdotte dagli articoli 117 e 118 Cost.". L'espressione, mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente anche di replicare all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di parte resistente, che ha negato la configurazione di un possibile vizio di costituzionalita' nella scelta del legislatore di discostarsi dal modello privatistico della fondazione. 2. - Puo', a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi di ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto, possono essere suddivisi in due tipologie: a) censure che, pur rivolte nei confronti di singole disposizioni regolamentari, non possono essere decise indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie; b) doglianze che hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il d.m. 2 agosto 2002 n. 217, nessuna delle quali, pero', suscettibile di produrre l'integrale effetto annullatorio dell'atto impugnato: il che renderebbe irrilevante qualsivoglia questione di costituzionalita'; c) censura riguardante la circolare 23 ottobre 2002, quale atto applicativo del regolamento stesso. Quest'ultima precisazione consente al Collegio di fissare il proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi. La prima riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di costituzionalita' sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte alle norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse. La seconda, da rinviarsi all'esito dell'esame che andra' ad effettuare la Corte costituzionale, che ha ad oggetto sia le disposizioni attuative strettamente consequenziali all'assetto normativo primario, sia quelle indicate alle precedenti lettere b) e c), in considerazione del fatto che, come risultera' evidente dalla successiva trattazione, i dubbi di costituzionalita', insorti nel Collegio, assumono un'importanza preponderante per quantita', ma, soprattutto, per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa introdotta nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il pronunciamento della Corte costituzionale sulla legittimita' dell'assetto normativo primario, per una piu' compiuta ed esaustiva disamina del complessivo testo regolamentare e dell'atto applicativo. Fatta tale premessa, puo' passarsi all'esame delle due doglianze, che implicano una verifica di legittimita' costituzionale delle norme di legge corrispondenti a quelle regolamentari impugnate. Il secondo motivo, in ordine di esposizione, ha ad oggetto l'art. 5 del d.m. n. 217 del 2002 e porta all'esame del tribunale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, che, sostituendo l'art. 4, comma 3 del decreto legislativo n. 153 del 1999, impone il divieto ai soggetti, che svolgono funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione o controllo presso le fondazioni, di ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso societa' operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo, ad eccezione di quelle, non operanti nei confronti del pubblico, di limitato rilievo economico o patrimoniale. Si denuncia, altresi', l'illegittimita' ex se della norma regolamentare, in quanto essa, senza alcuna copertura legislativa, procederebbe all'individuazione delle societa' di limitato rilievo economico e patrimoniale. Deve, preliminarmente, osservarsi, in punto di rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata, che la disposizione legislativa e' stata fedelmente trasfusa nel testo regolamentare, tant'e' che il Consiglio di Stato ha rilevato l'ultroneita' di quest'ultimo (segnatamente dell'art. 5, comma 1), non mancando, altresi', di segnalare l'impossibilita' di esaminare i dubbi di costituzionalita', "pur da piu' parti ipotizzati". La produzione di effetti gia' verificatasi - e l'art. 5 del regolamento impugnato ne e' la prova - comporta l'attualita' dell'interesse a sindacare la disciplina primaria, che non viene meno per la sopravvenienza di una nuova normativa, la cui efficacia rileva solo de futuro. In altre parole, pur dandosi atto che l'art. 80, comma 20, lett. a) della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) ha sostituito l'intero art. 4, comma 3 del decreto legislativo n. 153 del 1999, introducendo una disciplina profondamente diversa dalla precedente, risulta comunque indispensabile che la Corte costituzionale si pronunci in merito alla costituzionalita' dell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, qualora il collegio ritenesse non manifestamente infondata la questione stessa: la valutazione di legittimita' del d.m. n. 217 del 2002, oggetto diretto del presente giudizio, deve avvenire, infatti, alla stregua della normativa primaria vigente al momento dell'adozione del regolamento stesso. Effettivamente il testo dell'art. 4, comma 3 del decreto legislativo n. 153 del 1999, come sostituito dall'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, presta il fianco a dubbi in merito alla razionalita' e alla proporzionalita' del divieto imposto rispetto allo scopo perseguito. Parte ricorrente, giustamente, lascia fuori dalla sua denuncia l'incompatibilita' riguardante la societa' bancaria conferitaria, atteso che il principio cardine della riforma introdotta dalla legge n. 461 del 1998, e' di garantire, appunto, la netta separazione di detta societa' dalla fondazione bancaria. Del tutto ingiustificato ed eccessivo risulta, per converso, il regime di incompatibilita' assoluta riguardante tutti i soggetti che siano impiegati, in posizioni di vertice, in societa' bancarie, finanziarie od assicurative; in tal modo, evidentemente, il legislatore ha inteso introdurre una radicale separazione tra queste ultime e le fondazioni bancarie, ipotizzando possibili interferenze pregiudizievoli, che comporterebbero un legame inscindibile fra i soggetti in parola e gli istituti di credito, diversi dal conferitario, le societa' finanziarie e quelle assicurative. Sul punto, si impongono due considerazioni di segno contrario. La prima attiene allo scopo perseguito dalla riforma Ciampi, gia' innanzi evidenziato, che e' limitato alla sola banca conferitaria. La seconda e' che questa contiguita' - in termini generali - sarebbe pur sempre tutta da dimostrare (e in tal senso il trattamento differenziato, riservato alle societa' di minore rilievo, non e' risolutore), in quanto, a mero titolo di esempio, non si comprende come la presenza nell'organo di indirizzo di una fondazione bancaria dell'amministratore di una compagnia di assicurazione (semmai straniera o, comunque, senza particolari rapporti con le attivita' ed il territorio di riferimento della fondazione stessa) potrebbe essere pregiudizievole per la corretta e neutrale attivita' gestionale di quest'ultima. Da quanto esposto, risulta evidente che lo scopo, che la norma si prefigge, ben potrebbe essere raggiunto applicando le ordinarie regole in materia di conflitto di interessi, operando cosi' non una scelta radicale e aprioristica, ma agendo caso per caso, tanto piu' che tali regole si affiancano alla rigorosa disciplina in tema di controllo delle societa' bancarie (diverse dalla conferitaria), dettata dall'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999. Optando per tale soluzione, il legislatore avrebbe ottenuto il duplice risultato di evitare le suddette interferenze pregiudizievoli, senza, pero', precludere, sempre e comunque, a soggetti particolarmente adatti di partecipare alla vita delle fondazioni bancarie, con evidenti vantaggi anche di queste ultime. In conclusione, pur considerando l'amplissima discrezionalita' di cui gode il legislatore, una preclusione, del tipo di quella contenuta nell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, comporta l'eccessiva compressione della capacita' delle persone, in violazione della specifica previsione costituzionale (artt. 2 e 22) che la tutela, incidendo altresi', specularmente, sull'autonomia delle persone giuridiche, sancita dall'art. 18 della Costituzione, aspetto che, in questa sede, assume un rilievo prevalente, in considerazione del fatto che sono queste ultime ad agire in giudizio. 3. - La terza doglianza e' rivolta nei confronti dell'art. 9 commi 3, 4, 6, 8 e 9 del regolamento; che disciplina la fase transitoria che coincide con l'operazione di adeguamento degli statuti delle fondazioni ai principi espressi dall'art. 11 della legge n. 448 del 2001 e che culmina con la ricostituzione degli organi di indirizzo e di amministrazione dei soggetti in parola. L'attenzione della ricorrente si appunta sulla prevista decadenza dei componenti degli organi di indirizzo e di amministrazione. Va detto, preliminarmente, in punto di rilevanza, che l'effetto decadenziale e' previsto dall'art. 11 comma 14, innanzi citato, sicche' la corrispondente norma regolamentare si limita sostanzialmente a recepire l'obbligo imposto dalla fonte sovraordinata. La previsione legislativa e', peraltro, il frutto delle modificazioni introdotte dai precedenti commi del medesimo art. 11 alla disciplina delle fondazioni bancarie contenuta nel decreto legislativo n. 153 del 1999. Dette modificazioni, come subito si dira', sono di tale portata da far dubitare della loro compatibilita' con la natura, dichiaratamente privatistica, dei soggetti in parola e, conseguentemente, della conformita' a costituzione dello stesso art. 11, laddove esso contiene innovazioni suscettibili di alterare la stessa natura giuridica dei soggetti in parola. Da quanto detto, appare evidente che la definizione della questione di costituzionalita' riguardante l'art. 11, comma 14 della legge n. 448 del 2001 e' strettamente legata alla soluzione delle altre, riguardanti la disciplina a regime, che si vanno ad esporre, che, pertanto, anche sotto questo aspetto, risultano rilevanti, cosi' come richiesto dall'ordinamento per la loro rimessione alla Corte costituzionale. Il tribunale ritiene che almeno due innovazioni introdotte dall'art. 11 della legge n. 448 del 2001 - per giunta qualitativamente le piu' significative - comportino la stravolgimento della nozione stessa di autonomia privata. A) La prima e' quella che discende dall'art. 11 commi 1, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001, del quale la norma regolamentare costituisce la fedele applicazione e che impone alle fondazioni di svolgere la loro attivita' esclusivamente nei "settori ammessi", prescegliendo, nell'ambito di quelli creati dalla legge, un massimo di tre settori che, percio' stesso, diventano "rilevanti". La contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede: a) l'introduzione di numerosi "settori ammessi", partitamente elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1); b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli - tra gli ammessi - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in numero non superiore a tre (comma 2); c) la destinazione dell'attivita' di queste ultime esclusivamente nei settori ammessi e, in via prevalente, in quelli rilevanti (comma 3). Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al decreto 1egislativo n. 153 del 1999: l'art. 2 comma 2, nella versione originaria, riconosceva agli statuti il potere di individuare i settori nei quali indirizzare l'attivita' delle fondazioni e di stabilire l'entita' degli interventi da effettuare in ciascuno di essi; l'unica limitazione riguardava l'obbligo di assicurare la cura di almeno uno dei settori rilevanti, indicati dall'art 2, lett. e) della legge n. 461 del 1998 (ricerca scientifica, istruzione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sanita' e assistenza alle categorie sociali deboli). Tale compressione dell'autonomia statutaria - per la sua portata - non determinava lo snaturamento dei soggetti in parola, in quanto era giustificata dall'esigenza di garantire la cura dei (pochi) settori rilevanti individuati, appartenenti, per giunta, alla tradizionale sfera di operativita' delle fondazioni bancarie, ponendosi cosi' come una forma di necessario bilanciamento - in funzione della salvaguardia di interessi collettivi - dell'amplissima autonomia attribuita ai soggetti in parola. Infine, nell'originaria versione del decreto legislativo n. 153 del 1999 non era imposto alcun raccordo con il territorio di riferimento, ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle fondazioni bancarie nel loro insieme. L'assetto dato dall'art. 11, piu' volte citato, fa sorgere fondati dubbi in merito alla sua compatibilita' con l'affermata "piena" autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il comprimere, in maniera eccessiva, i due elementi peculiari di cui essa si connota: lo scopo e l'utilizzo del patrimonio della persona giuridica. Tali effetti sono indotti: a) dall'obbligo di operare "esclusivamente" nei settori ammessi, che preclude la possibilita' di scelta di ambiti di attivita', che, pur se non contemplati nell'elenco di cui all'art. 11 comma 1, si ascrivano comunque in quelli tradizionalmente propri delle fondazioni bancarie o rivestano, comunque, una rilevanza sociale. Tale conclusione non e' inficiata dall'obiezione di parte resistente che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza degli stessi all'attivita' istituzionale delle fondazioni bancarie non consentirebbero di configurare una rilevante incidenza sull'autonomia di queste ultime. Deve osservarsi, intanto, che la questione va correttamente impostata in termini di principio e che, pertanto, essa deve riguardare la legittimita', in astratto, delle limitazioni introdotte. Peraltro, pur volendo seguire il ragionamento dell'amministrazione deve comunque rilevarsi che l'elencazione legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti soggetti: lo dimostrano, da un lato, lo stesso art. 11 comma 1, ultimo periodo, il quale avverte la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza il potere di modificare con regolamento i settori ammessi, in una visione, evidentemente, dinamica dell'attivita' complessiva da riservare alle fondazioni bancarie; dall'altro, l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima. La suddetta delimitazione, spinta fino al punto da elidere un autonomo potere di scelta dei soggetti in parola, si giustifica, quindi, solo se la si considera come una manifestazione della volonta' di sottoporre questi ultimi, nel loro insieme, ad un penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e 3 dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001, che seguono immediatamente; b) dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre settori di attivita', che divengono percio' "rilevanti". Tale carattere comporta che le fondazioni operino in essi in via prevalente, assicurando, singolarmente e nel loro insieme, l'equilibrata destinazione delle proprie risorse, dando altresi' preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale. La prima osservazione critica, che ricalca il vizio di legittimita' gia' esposto alla precedente lett. a), consiste nel fatto che le fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i settori rilevanti nell'ambito di quelli tassativamente "ammessi", sicche', anche a tal proposito, esse sono costrette ad agire nel solco tracciato in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente. Altro e', insomma, il poter operare in piu' settori, purche' lo si faccia anche in uno di quelli indicati dal legislatore, come era previsto in passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare nell'ambito di settori - non importa se numerosi - imposti dall'esterno. La seconda riguarda la limitazione numerica imposta, non riscontrandosi alcun interesse collettivo che giustifichi la compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre. I vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla stregua delle conseguenze che la scelta triennale dei settori comporta: l'insorgenza dell'obbligo di destinare ad essi la maggior parte delle risorse impiegabili e di garantirne l'equilibrata distribuzione, dando altresi' preferenza a quelli di maggiore rilevanza sociale. L'intenzione del legislatore del 2001, a questo punto, risulta chiara: creare un'interdipendenza fra i soggetti in parola, convogliando e coordinando in una prospettiva unitaria le potenzialita' espresse da ciascuno di essi. Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista per la scelta dei settori rilevanti, quanto l'imposizione dell'obbligo - perche' tale esso deve configurarsi, a meno di non volere depotenziare la portata di una disposizione di legge - di garantire il raggiungimento del risultato complessivo che l'ordinamento si aspetta da detti soggetti. Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente con il disegno complessivo delineato: l'esposizione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, nella relazione previsionale e programmatica, dell'ammontare delle risorse complessivamente attivate nei settori ammessi, ai fini degli stanziamenti nei fondi investimenti di cui all'art. 46 della legge citata. L'effetto, prodotto dall'art. 11, commi 2 e 3 della legge n. 448 del 2001, e' quello di assumere, nell'ambito organizzativo della pubblica amministrazione, persone giuridiche private, pur dotate di piena autonomia statutaria e gestionale. Pertanto, pur non arrivando alla conclusione che queste ultime risultano trasformate in enti pubblici strumentali, l'assetto innanzi esposto - per certi versi simile a quello dei concessionari di servizi pubblici, descritti pure come organi indiretti della p.a. - si pone in insanabile contrasto con la natura privatistica delle stesse, che, se non consente l'eccessiva compressione del potere di scelta dei settori, ancor meno tollera il loro inserimento in un ordinamento sezionale, orientato al perseguimento di un risultato collettivo che travalica l'individualita' di ciascuna di esse, incidendo, in tal modo, su una tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e gestionale. Un'ulteriore considerazione si impone con riguardo alla composizione dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie. Se queste ultime fossero completamente libere nella scelta dei settori in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla legge, esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore affinita' con la loro storia. La prospettiva cambia se si tiene conto del gia' descritto risultato complessivo preteso dall'art. 11 comma 3, che porta ad ipotizzare inevitabili iniziative dell'Autorita' di vigilanza per indirizzare la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente, i soggetti in parola rifuggirebbero. La segnalata eterogeneita', in primo luogo, rafforza il convincimento che il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle fondazioni bancarie una funzione servente dell'organizzazione pubblica; inoltre, l'affidamento, a largo spettro, di ambiti di attivita', avulse dalla loro tradizionale sfera operativa, finisce con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera significativa, su uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui le persone giuridiche di diritto privato, sia pur soggette ad una disciplina speciale, ontologicamente si connotano. Da quanto esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica questione di costituzionalita' dell'art. 11, comma 1 primo periodo, nella parte in cui esso prevede settori - segnatamente "la criminalita' e sicurezza pubblica", l'"edilizia popolare locale" e la "sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto estranei alla tradizionale sfera di attivita' delle fondazioni bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare anche d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti e non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilita'"; contemplata dall'art. 7, comma 1 lett. aa), punto 2 della legge 1 agosto 2002 n. 166, che modifica l'art. 37-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109; In conclusione, il Collegio reputa che non siano manifestamente infondate le seguenti questioni di costituzionalita', riguardanti l'art. 11 commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001 (oltre il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002), per possibile contrasto rispetto: a) all'art. 3 della Costituzione, sub specie dell'irrazionalita' legislativa, che rileva: a) come contrasto con il disposto dell'art. 2, comma 1 del decreto legislativo n. 153 del 1999, attribuendo a quest'ultimo il rango, che gli compete, di norma di principio, cui informare tutta la normazione di dettaglio; b) come indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia privata, da intendersi, quindi, non come allontanamento, tout court, dal modello codicistico di fondazione, quanto, piuttosto, come "stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale" (per mutuare l'espressione utilizzata in sede consultiva); b) all'art. 18 e all'art. 2 della Costituzione, che costituisce l'ulteriore sviluppo di quanto detto in chiusura del punto precedente. L'avviso del Collegio e' che le modifiche apportate dalla legge n. 448 del 2001 comportano la sostanziale negazione del modello voluto dal legislatore solo due anni prima e, soprattutto, non espressamente sconfessato, sicche' e' passibile affermare che il decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni bancarie come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non puo', percio', essere intaccato quello che potrebbe definirsi il "contenuto minimo", frutto della scelta legislativa, innanzi evidenziata, di privilegiare la genesi volontaristica di tali soggetti. Risultano, pertanto, irragionevalmente compressi tanto il diritto di associazione dei cittadini (art. 18 Cost.), quanto i diritti dell'uomo nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento (art. 2 Cost.) (sul punto, e' utile richiamare i principi sanciti dalla Corte costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1997, n. 248 e 29 dicembre 1993 n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti degli enti creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al decreto delegato 20 novembre 1990 n. 356, con particolare attenzione ai rapporti fra le originarie fondazioni bancarie e la relativa liberta' statutaria); c) all'art. 41 della Costituzione, che tutela l'autonomia privata, sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo a fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso la sovrapposizione di una volonta' eteronoma a quella propria dell'ente; d) all'art. 117 e all'art. 118 comma 4 della Costituzione, configurabile in relazione all'assunzione dei soggetti in parola nell'ambito della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si realizza, in particolare, con il comma 3, dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001. Quanto all'art. 118, comma 4 della Costituzione, lo spunto viene fornito dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere sullo schema del Regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il mutamento della stessa nozione di autonomia privata, che, alla stregua del principio di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, risulta oramai orientata al perseguimento non solo di bisogni individuali, ma anche di utilita' generale connotando, conseguentemente, un nuovo rapporto fra pubblico e privato. Piu' specificamente, il citato parere, riprendendo una sollecitazione proveniente proprio dalla Corte costituzionale (nella nota decisione 7 aprile 1988 n. 396), ha chiarito che "lo Stato e ogni altra autorita' pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della societa' civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale": ed al Collegio appare particolarmente significativo l'uso, da parte della Corte, dell'avverbio "liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma restando la natura privata delle fondazioni bancarie, con le implicazioni in punto di intangibilita' dell'autonomia gia' evidenziata, e' consentito al legislatore introdurre strumenti di vigilanza e di controllo, che costituiscono la connotazione tipica del regime privatistico speciale di tali soggetti. Dal discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se vi e' spazio per interventi ab externo in sede di controllo, altrettanto non puo' dirsi per atti di indirizzo e ancor meno per interventi di carattere dirigistico. La ragione e' evidente: l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa del privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un sistema di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne', tanto meno, sostituire la propria volonta' (nel campo dell'organizzazione, dell'individuazione dei fini e della spendita del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato, che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica. Non vi e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi dell'art. 11 comportano una pervasivita' dei pubblici poteri, del tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su esposti. Non appare manifestamente infondato neppure il dubbio della violazione dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che alcuni dei settori indicati dall'art. 11, comma 1 rientrano nell'ambito delle materie che la norma costituzionale assegna alla potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile, la ricerca ed i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva delle regioni (quali l'assistenza, l'edilizia locale e l'agricoltura). E allora, nulla quaestio, se la legge statale si limita a normare il solo "ordinamento civile"; se, pero', come il Collegio e' orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di sua esclusiva spettanza, emergono le possibili implicazioni sulla sfera di attribuzioni delle regioni, in quanto il legislatore finisce, sostanzialmente, con il disciplinare la singola materia, riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo, oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle finanze, in attesa dell'istituzione dell'apposita Autorita' di vigilanza; B) La seconda questione rilevante, ai fini della decisione del Tribunale, e' quella che riguarda la composizione dell'organo di indirizzo delle fondazioni bancarie. La norma contestata e' quella contenuta nell'art. 11, comma 4 della legge n. 448 del 2001, che, sostituendo la lett. c) dell'art. 4 comma 1 del decreto legislativo n. 153 del 1999, prevede, in particolare, la presenza nell'organo di indirizzo di una "prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all'art. 114 della Costituzione, idonea a rifletterne le competenze nei settori ammessi in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione". Anche in questo caso la normativa regolamentare costituisce la mera trasposizione di quella primaria. Nel merito, deve osservarsi che l'art. 11 comma 4, piu' volte citato, riguardante specificamente le fondazioni istituzionali, ha profondamente modificato la disciplina dettata dall'originaria versione dell'art. 4, comma 1 lett. c) del decreto legislativo n. 153 del 1999, che e' stato interamente sostituito. Il testo precedente, in particolare, sviluppando i principi dettati dalla legge di delega, stabiliva che gli statuti delle fondazioni bancarie prevedessero, nell'ambito dell'organo di indirizzo, "un'adeguata e qualificata rappresentanza del territorio, con particolare riguardo agli enti locali". I caratteri salienti di tale disciplina erano, quindi, l'attenzione riservata alle istanze del territorio, delle quali gli enti locali venivano considerati i naturali soggetti esponenziali, e la sufficienza di una rappresentanza, sia pur minoritaria, di tali istanze. L'allontanamento dai principi della legge n. 461 del 1998 non costituisce, di per se', un vizio dell'art. 11 comma 4 citato, tenendo conto che quest'ultimo e' espressione diretta del potere legislativo del Parlamento, sicche' non e' configurabile nei suoi confronti una violazione dell'art. 76 della Costituzione. Anche l'individuazione degli enti designanti, effettuata dalla novella del 2001, risulta pienamente compatibile con i principi costituzionali, atteso che la legge sopravvenuta si e' limitata a sviluppare l'assetto ordinamentale introdotto dal decreto legislativo n. 153 del 1999 - e non contestato ex adverso -, adeguandolo, nel contempo, alla gia' ricordata riforma del Capo V della Costituzione, che ha attribuito un ruolo centrale agli enti territoriali intermedi, indicati dall'art. 114 della Costituzione: era, percio', del tutto naturale che il legislatore prendesse atto di tale evoluzione e la trasfondesse in una normativa destinata ad assicurare, appunto, la piu' efficace e completa cura degli interessi del territorio. Residua l'ulteriore, centrale problema di stabilire la portata del termine "rappresentanza" ed, in particolare, se esso vada inteso in senso proprio, sicche' i componenti dell'organo di indirizzo agirebbero in nome e per conto degli enti designanti. Numerosi indizi deporrebbero in tal senso: a) la lettera della legge, atteso che l'ordinamento giuridico, sia pubblicistico che privatistico, attribuisce al termine utilizzato - "rappresentanza" - uno specifico significato tecnico; b) la ben diversa formula utilizzata per l'individuazione degli altri componenti dell'organo di indirizzo, a proposito dei quali si postula l'"apporto di personalita' ... che possano efficacemente contribuire al perseguimento dei fini istituzionali", a testimonianza che i soggetti designati sono destinati ad agire in funzione (esclusiva) dell'interesse della fondazione bancaria, di cui sono chiamati a far parte; c) l'indicazione che solo i componenti dell'organo di indirizzo provenienti dalla societa' civile e non anche i "rappresentanti" degli enti di cui all'art. 114 della Costituzione posseggano specifici requisiti "di professionalita', competenza ed esperienza nei settori in cui e' rivolta l'attivita' della fondazione"; d) la precisazione che, per converso, i "rappresentanti" "riflettano le competenze nei settori ammessi in base agli articoli 117 e 118 della Costituzione", vale a dire attribuzioni di natura squisitamente pubblicistica e, comunque, avulse dalle finalita' delle fondazioni in parola; e) la possibilita' che solo detti "rappresentanti" siano "portatori di interessi riferibili ai destinatari degli interventi delle fondazioni", quale eccezione alla regola, sancita dall'ultimo periodo dell'art. 11, comma 4 citato, preordinata a prevenire possibili conflitti di interesse. Gli elementi elencati porterebbero a concludere per una netta distinzione di natura delle due componenti in seno all'organo di indirizzo. Le regole ermeneutiche, peraltro, impongono di privilegiare, fin dove e' possibile, l'interpretazione delle norme primarie che le renda compatibili con la Costituzione. Nella specie, a fronte di quanto detto in precedenza, si colloca l'art. 4, comma 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999, che, gia' nella versione originaria, stabiliva che "I componenti dell'organo di indirizzo non rappresentano i soggetti esterni che li hanno nominati ne' ad essi rispondono". Tale previsione non e' stata toccata dalla novella del 2001. Pertanto, a meno di non volere affermare un difetto di coordinamento a livello legislativo (a favore del quale pure militerebbero le precedenti considerazioni effettuate), deve escludersi la sussistenza di un vincolo di mandato in capo a tutti i componenti dell'organo di indirizzo, a prescindere, dunque, dalla rispettiva provenienza. Il termine "rappresentanza" va, quindi, inteso in senso atecnico, come legame meramente genetico intercorrente fra designante e designato. Tale conclusione, pur eliminando uno dei profili di incostituzionalita' evidenziati da parte ricorrente, lascia comunque aperte due ulteriori questioni. La prima riguarda il gia' evidenziato ultimo periodo dell'art. 4, lett. c) del decreto legislativo n. 153 del 1999, nella versione rinnovellata, puntualmente trasfuso nell'art. 5, comma 2 del d.m. n. 217 del 2002. Il contrasto con la Costituzione e' configurabile nella prevista eccezione alla regola in tema di conflitti di interessi, alla quale non sono sottoposti i soggetti, designanti e designati, di cui all'art. 114 della Costituzione: l'espressione legislativa "salvo quanto previsto al periodo precedente ..." depone univocamente in tal senso. Tale diversificazione di trattamento, in particolare, non trova fondamento razionale e sembra smentire proprio la conclusione appena raggiunta in merito all'insussistenza del vincolo di mandato, in relazione al comma immediatamente precedente, destinata ad attribuire una medesima posizione di status a tutti i componenti dell'organo di indirizzo. Il Collegio e', pertanto, portato a dubitare della legittimita' costituzionale della norma, cosi' come formulata, potendosi configurare una duplice violazione dell'art. 3 della Costituzione, riguardante tanto l'irrazionalita' intrinseca della previsione legislativa, quanto l'assolutamente ingiustificata disparita' di trattamento fra posizioni dei destinatari in tutto equivalenti. A tali aspetti, testimoniati dal contrasto tra l'ultimo periodo dell'art. 4 comma 1 lett. c) e il periodo immediatamente precedente ed il comma 2 del medesimo art. 4, vanno aggiunti i vizi derivanti dalla possibile violazione degli artt. 2, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della Costituzione, per i quali si fa rinvio alla precedente trattazione laddove si sono individuati gli incomprimibili limiti che incontra il legislatore nella disciplina dell'autonomia - statutaria e gestionale - delle fondazioni bancarie. In punto di rilevanza del profilo in esame, e' sufficiente osservare che l'impugnato art. 5, comma 2 del regolamento mutua fedelmente la formula contenuta nella legge, facendola precedere dalla proposizione: "Salvo gli interventi per la tutela degli interessi del territorio", rendendo cosi' ulteriormente esplicito il regime differenziato della cui legittimita' si dubita. Deve aggiungersi che lo stesso Consiglio di Stato, nel proprio parere, non ha potuto che limitarsi a prendere atto di tale diversificazione, osservando che essa costituiva il prodotto di un'inequivocabile (ed intangibile, in sede consultiva) dizione legislativa (il "Salvo quanto previsto dal precedente comma ...", appunto). La precedente esposizione in punto di diritto porta altresi' a dubitare della legittimita', per le ragioni gia' evidenziate, della disciplina riguardante le qualita' soggettive richieste ai membri dell'organo di indirizzo. In particolare, l'art. 4 comma 1 lett. c) rinnovellato postula per i soli componenti provenienti dalla societa' civile la sussistenza dei requisiti "di professionalita', competenza ed esperienza nei settori in cui e' rivolta l'attivita' della fondazione"; per converso, per i soggetti designati dagli enti di cui all'art. 114 della Costituzione, la norma si accontenta di una semplice "qualificazione", che, non essendo minimamente riferita ai fini e alle attivita' proprie delle fondazioni bancarie, fornisce l'ulteriore dimostrazione dell'eterogenea composizione dell'organo stesso. Anche in questo caso la norma regolamentare corrispondente riproduce fedelmente la disciplina primaria. L'ultimo aspetto da trattare (sicuramente non in ordine di importanza) e' quello che attiene al riparto proporzionale dei componenti dell'organo di indirizzo, in particolare alla regola che in quest'ultimo sieda una "prevalente" rappresentanza degli enti territoriali, che, invero, riguarda le sole fondazioni cd. istituzionali, atteso che il suddetto risultato non si ha con riguardo alle fondazioni associative. Con riguardo alle prime, va altresi' osservato che il regolamento di attuazione riproduce fedelmente la formula legislativa, dopo che il Consiglio di Stato aveva evidenziato il contrasto con la legge del testo normativo sottopostogli, che prevedeva la riserva, in favore dei suddetti rappresentanti, dei due terzi dei posti complessivamente assegnabili. La conformita' della norma secondaria a quella primaria, se mette al riparo la prima da censure di legittimita', lascia in piedi il problema della compatibilita' della legge con i principi ad essa sovraordinati: riprendendo quanto detto in precedenza, la questione e' se la previsione, eteronoma ed autoritativa, della prevalenza numerica della "rappresentanza" degli enti di cui all'art. 114 della Costituzione (per giunta, con le caratteristiche soggettive innanzi evidenziate) non superi la consentita misura di compressione dell'autonomia, statutaria e gestionale, dei soggetti in parola. Il Collegio ritiene che a tale quesito non possa darsi, tout court, una risposta negativa. Intanto, non vi e' dubbio che, riguardando l'organo strategico delle fondazioni bancarie, la previsione de qua e' suscettibile di influenzarne in maniera decisiva l'operativita'. Ancor di piu' l'effetto limitante si fa sentire sul potere statutario, che, in questo caso, e' ristretto alla distribuzione del potere di designazione tra i soggetti, cui la legge riserva tale compito, in modo da rifletterne il territorio (cosi' si esprime l'art. 3, comma 2 del regolamento). Poiche' tali designazioni sono vincolanti, il risultato che si ottiene e' che i "rappresentanti" degli enti di cui all'art. 114 della Costituzione finiscono con il detenere la maggioranza nell'organo di indirizzo e sono in grado, quindi, di determinarne la linea gestionale. L'obbligatoria preponderanza della componente pubblicistica presta il fianco a consistenti dubbi di costituzionalita'. In primo luogo, essa contrasta con il carattere di "pienezza" gia' evidenziato, che, nel suo contenuto necessario, riguarda il potere delle persone giuridiche in questione sia di costituire liberamente il proprio organo di governo, rendendolo adatto al perseguimento dei loro fini istituzionali, sia di determinare la propria linea di azione, riservando alla pubblica amministrazione una funzione di vigilanza, che serva esclusivamente ad assicurare il corretto esercizio dell'autonomia stessa. Alla legge, conseguentemente e coerentemente con la natura privatistica che essa stessa attribuisce alle fondazioni bancarie, va riconosciuto il potere di dettare le regole che facciano da cornice al libero esplicarsi dell'autonomia delle persone giuridiche in questione, in funzione, appunto, del raggiungimento degli scopi, di rilievo sociale, ad esse attribuiti, regole che, come si e' detto, costituiscono l'essenza della loro specialita'. Quanto detto porta ad affermare, con specifico riguardo alla scelta dei componenti dell'organo di indirizzo, che l'intento del legislatore non puo' che essere quello di garantire che i soggetti designati risultino in possesso dei requisiti di moralita', professionalita' ed indipendenza, che assicurino la formazione di un organo in grado di perseguire al meglio le finalita' istituzionali proprie (ed esclusive) delle fondazioni bancarie. A tal fine, e' sufficiente che la norma primaria detti i principi che, in via astratta e generale, regolino la materia, ai quali i singoli statuti sono tenuti ad uniformarsi: la migliore riprova di quanto teste' detto viene dall'originaria formulazione dell'art. 4, comma 1, lett. c) del decreto legislativo n. 153 del 1999, che si fermava, appunto ab externo, ad indicare gli indefettibili requisiti (di rappresentanza e di professionalita) che i componenti dell'organo in questione dovevano necessariamente possedere. Peraltro, pur volendo far leva sul carattere di specialita' innanzi evidenziato, sul quale insiste parte resistente, e volendosi ammettere che il legislatore affidi la rappresentanza delle istanze del territorio a soggetti direttamente designati dagli enti di cui all'art. 114 della Costituzione, sembra non conforme a Costituzione che il legislatore stesso possa spingersi fino a determinare la preponderanza numerica di tale componente all'interno dell'organo di indirizzo. Cosi' facendo, infatti, l'impugnato art. 11, comma 4 pare ignorare che dette istanze non possono essere perseguite tout court, ma devono necessariamente concorrere con le altre finalita' istituzionali connaturate ai soggetti in questione, sicche' la selezione di quelle che, di volta in volta, vanno privilegiate e la conseguente determinazione delle risorse da impiegare in ciascuna di esse sono oggetto di decisione da parte dell'organo di indirizzo, che, percio' stesso, necessita di una composizione equilibrata, che non tollera la presenza di una maggioranza precostituita, soprattutto considerando che quest'ultima, per come e' concepita dal legislatore del 2001, non risulta funzionale agli interessi delle fondazioni bancarie, ma, piuttosto, a quelli degli enti pubblici designanti o, comunque, delle collettivita' locali che si riconoscono in questi ultimi. Un'ulteriore considerazione si impone: sia la composizione che il funzionamento dell'organo di indirizzo risultano depotenziati dall'assetto sancito dall'art. 11, comma 4 citato: in merito al primo aspetto, e' agevole osservare che la decretata preponderanza determina il sacrificio della presenza proprio di quelle personalita' che, per professionalita', competenza ed esperienza (per usare le espressioni dello stesso art. 11, comma 4), possono meglio contribuire al perseguimento dei fini istituzionali dei soggetti in parola; sul piano piu' strettamente gestionale, risulta ancora piu' evidente che una composizione, sbilanciata e predeterminata, dell'organo di indirizzo non giova sicuramente al libero svolgimento della dialettica interna ad esso e, quindi, all'individuazione dei reali interessi propri della persona giuridica, della quale l'organo stesso e' chiamato a formare la volonta'. Puo', pertanto, pervenirsi alla conclusione che la contestata prevalenza, oltre a porsi in contrasto con la tradizione storica delle fondazioni, da sempre libere di designare autonomamente i propri organi direttivi, non trova una sua ratio giustificativa, se non in quello scopo dirigistico, che si e' innanzi evidenziato, che attribuisce a detti soggetti - pur formalmente assegnati al mondo privatistico - la funzione di supportare l'azione della pubblica amministrazione, segnatamente quella degli enti diversi dallo Stato. Tale risultato ha l'ulteriore effetto di invertire il rapporto sancito dalla recente riforma dell'art. 118, comma 4 della Costituzione in materia di sussidiarieta'. Non rileva, per converso, che alcune fondazioni bancarie gia' presenterebbero una prevalenza dei rappresentanti degli interessi del territorio: e' sufficiente osservare, in proposito, che, ai fini della valutazione di costituzionalita', non assumono alcun rilievo le situazioni di fatto, che, per giunta, costituiscono il frutto della scelta (liberamente) effettuata dalle singole fondazioni, dovendosi ragionare esclusivamente in termini di principio, in relazione, appunto, alla sfera incomprimibile dell'autonomia dei soggetti in parola. La conclusione che puo' trarsi e' che risulta non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 11, comma 4 della legge n. 448 del 2001 (che sostituisce l'art. 4, comma 1, lett. c) del decreto legislativo n. 153 del 1999), per violazione dei principi sanciti dagli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della Costituzione. Da quanto esposto, risulta evidente che la questione di costituzionalita', sollevata da parte ricorrente e riguardante l'art. 11, comma 14, ultimo periodo, citato, si salda con la valutazione in merito alla compatibilita' dell'assetto complessivo dei soggetti in parola, fornito dalle restanti disposizioni del medesimo art. 11, con i principi ricavabili dallo stesso decreto legislativo n. 153 del 1999 e, piu' in generale, dalla Costituzione. Se tale assetto risultasse legittimo, lo sarebbe anche la specifica disciplina dettata per la fase transitoria, che si pone cosi' in piena coerenza con il mutamento operato sulla natura giuridica delle fondazioni bancarie. In caso contrario, l'incostituzionalita' si estenderebbe a quanto stabilito dall'art. 11, comma 14 in esame, quale diretta conseguenza di un'inammissibile trasformazione della natura giuridica dei soggetti in parola. Alla stregua della precedente trattazione, la Corte costituzionale va investita della questione di legittimita' dell'art. 11, comma 14 (in parte qua) piu' volte citato, in quanto incidente - sia pur temporaneamente - su soggetti che, ottenuta l'approvazione ministeriale del proprio statuto, sono diventati, a tutti gli effetti, persone giuridiche dotate di quella "piena autonomia statutaria e gestionale", alla quale vanno riconosciuti il significato ed il valore emergenti dagli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della Costituzione. 5. - Per le considerazioni che precedono, il tribunale solleva, in quanto rilevanti e non manifestamente infondate, le seguenti questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto: a) l'art. 11, commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 e l'art. 7, comma 1, lett. aa) punto 2 della legge 1 agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della Costituzione; b) l'art. 11, comma 4 della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della Costituzione; c) l'art. 11, comma 7 della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 18 e 22 della Costituzione; d) l'art. 11, comma 14, ultimo periodo, della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della Costituzione. Deve disporsi, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.