IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 12469 del
2002  Reg.  Gen.,  proposto  dalla  Fondazione  Cassa di Risparmio di
Venezia,   in   persona   del   legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Carbonetti e Fabrizio
Carbonetti,  con  i  quali  elettivamente  domicilia  in Roma, via G.
Antonelli n. 47;
    Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello  Stato,  presso  la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi
n. 12; per l'annullamento:
        a)  del  d.m.  2  agosto 2002, n. 217 recante "Regolamento ai
sensi  dell'art. 11  comma 14 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, in
materia di disciplina delle fondazioni bancarie" e di ogni altro atto
comunque presupposto, connesso e consequenziale;
        b)  della nota prot. n. 14572, inviata il 23 ottobre 2002 dal
Ministero  dell'economia e delle finanze avente ad oggetto "Documento
programmatico previsionale";
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti   gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del  Ministero
dell'economia e delle finanze;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Nominato  relatore  il  consigliere Antonino Savo Amodio e udito,
all'udienza del 15 gennaio 2003, l'avv. Carbonetti;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  il  ricorso  in  esame,  la Fondazione Cassa di Risparmio di
Venezia impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendo:
        1.  - Illegittimita' dell'art. 3, comma 5 del d.m. n. 217 del
2002  per  violazione  dell'art. 11, comma 14 della legge 28 dicembre
2001  n. 448 e dell'art. 2, comma 1 del decreto legislativo 17 maggio
1999  n. 153,  nella  parte  in  cui  viene  sanzionato il divieto di
cooptazione dei componenti dell'organo di indirizzo.
        2.  - Illegittimita' dell'art. 5, comma 1 del d.m. n. 217 del
2002  circa l'incompatibilita' con cariche in banche, assicurazioni e
societa'  finanziarie  per  incostituzionalita' dell'art. 11, comma 7
della  legge  n. 448 del 2001 atteso che le preclusioni introdotte da
quest'ultimo  non troverebbero un loro logico fondamento; infatti, il
regime  delle  incompatibilita'  dovrebbe  riguardare solo le singole
fondazioni  e  le  rispettive  banche  conferitarie. Il vizio sarebbe
vieppiu'  rilevante  in  quanto la contestata previsione incide su un
diritto fondamentale delle persone.
    La  norma  regolamentare  sarebbe  illegittima  anche  ex  se, in
quanto,    senza    alcuna    copertura   legislativa,   procederebbe
all'individuazione  delle  societa'  di  limitato rilievo economico e
patrimoniale.
        3. - Illegittimita' dell'art. 9 commi 3, 4, 6, 8 e 9 del d.m.
n. 217  del  2002  per  violazione dell'art. 11, comma 14 della legge
n. 448 del 2001 e dell'art. 2, comma 1 del decreto legislativo n. 153
del   1999,   riferita   alla  necessaria  decadenza  dei  componenti
dell'organo  di  indirizzo, in patente contrasto con l'art. 11, comma
14  della legge n. 448 del 2001, che, come riconosciuto dal Consiglio
di  Stato  in  sede  consultiva,  avrebbe  permesso di contemplare la
permanenza  in  carica  dei  componenti  stessi,  che risultassero in
possesso dei requisiti richiesti dalla normativa.
        4.   -   Illegittimita'   della   Circolare   per  violazione
dell'art. 10  del  decreto  legislativo  n. 153 del 1999, relativa al
potere  autorizzatorio  che  l'Autorita' di vigilanza si riconosce in
merito  ai  documenti  programmatici  previsionali, che le fondazioni
bancarie sono obbligate a trasmettere ad essa.
    Si  e'  costituito in giudizio il Ministero dell'economia e delle
finanze, a difesa dei provvedimenti impugnati.

                            D i r i t t o

    1.  -  Viene  portato  all'esame del tribunale, innanzi tutto, il
decreto  del  Ministro  dell'economia  e  delle finanze 2 agosto 2002
n. 217,  recante  il regolamento previsto dall'art. 11 della legge 28
dicembre  2001  n. 448,  in  materia  di  disciplina delle fondazioni
bancarie.
    Avverso  tale  provvedimento  sono mossi numerosi rilievi, alcuni
dei  quali  investono  la  legittimita'  costituzionale  della  fonte
attributiva del potere regolamentare.
    Occorre,  innanzi  tutto,  individuare  la natura giuridica delle
fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e
che  costituisce  la  risultante  dell'evoluzione normativa, che, nel
corso  di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di
separazione  delle  stesse  dalle  banche  ex pubbliche conferitarie,
processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante
la privatizzazione dell'intero settore creditizio.
    Punto di partenza di tale evoluzione e' la legge c.d. Amato-Carli
30  luglio  1990,  n. 218  ed  il  conseguente decreto legislativo 20
novembre  1990, n. 356. Quest'ultimo contiene le "disposizioni per la
ristrutturazione  e  per  la  disciplina del gruppo creditizio" e, in
particolare,  al  Titolo III, reca la disciplina degli "Enti pubblici
conferenti",  attribuendo  ad  essi  una  piena  capacita' di diritto
pubblico  e  di  diritto privato ed assoggettandoli alle disposizioni
legislative  appositamente  varate  e  a  quelle  dei loro rispettivi
statuti.
    La  prospettiva  muta  profondamente  con la legge c.d. Ciampi 23
dicembre  1998  n. 461,  che  conferisce  la delega al Governo per il
riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti.
    L'art. 2,  comma  1  lett.  l),  in  particolare, impone a questi
ultimi  di  adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando
decreto  legislativo,  stabilendo,  altresi', che "con l'approvazione
delle  relative  modifiche  statutarie  gli  enti  diventano  persone
giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale".
    Risulta    cosi'    evidente   l'opzione   legislativa   generale
dell'affidamento  della  materia delle fondazioni bancarie al diritto
privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul
Regolamento  in  esame,  nell'adunanza  del  1 luglio 2002, che ne ha
altresi'  individuato  la  ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto
meno  morale,  del  patrimonio  accumulato nel corso di decenni dalle
banche  pubbliche  alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e
dei beneficiari del credito.
    Assume  rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia
di  detti  enti,  garantito  dal  citato  art. 2,  comma 1 lett. l) e
riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria),
quanto  a  quello  di  svolgere  la  propria  attivita' istituzionale
(autonomia  gestionale).  I  limiti  di  tale  liberta'  sono  quelli
tassativamente  imposti  dalla  legge,  in  perfetta  coerenza con la
circostanza  che  le  fondazioni  bancarie  sono  il  prodotto di una
precisa   scelta   del   Parlamento,   chiamato,  percio'  stesso,  a
predisporre  una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e
del  corretto  perseguimento  dei  fini  istituzionali.  All'uopo, il
medesimo  art. 2  ha  fissato  i  principi  e  i criteri direttivi al
legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna
e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e'
stato  di  prevedere  un  regime peculiare, che si discosta da quello
dettato  dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche
quest'ultimo   sottopone  le  "ordinarie"  fondazioni  ad  un'attenta
vigilanza,  preordinata  a  garantire  il  perseguimento  dello scopo
indicato dal fondatore.
    La  precedente  esposizione consente di chiarire l'esatta portata
del  carattere  di  "specialita'"  dei  soggetti  in  parola, che non
riguarda  la  loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus
fra  gli  enti  pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene,
piuttosto,  alla  disciplina  cui  i  medesimi  sono sottoposti, che,
rispetto  a  quella  codicistica,  si  pone,  appunto, in rapporto di
species   ad   genus,   con  tutte  le  conseguenze  ermeneutiche  ed
applicative che ne discendono.
    Il decreto delegato 17 maggio 1999, n. 153 si pone nella medesima
prospettiva,  esordendo con una definizione delle fondazioni bancarie
in tutto identica a quella della legge di delega.
    Analoga conferma viene daIl'art. 11 della citata legge n. 448 del
2001,  che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per il
resto,  l'impianto legislativo precedente in maniera cosi' penetrante
da  avvertire  la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza
il   potere   regolamentare  di  coordinamento  con  le  disposizioni
contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999.
    La  prospettiva  non  cambia  neppure con la legge 15 giugno 2002
n. 112,  che,  convertendo  il d.l. 15 aprile 2002 n. 63, aggiunge un
ulteriore periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente sostenersi che
l'ulteriore  intervento normativo non ha alcun effetto novativo della
disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata:
        a)   dalla  lettera  dell'art. 5  citato.  Esso  puo'  essere
scomposto  in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e'
destinato a produrre:
          vi  e',  anzitutto, una conferma della precedente normativa
adottata,   espressa  dalla  proposizione  di  apertura  del  periodo
aggiunto:  "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del
1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999...";
          segue  una precisazione in merito alla natura giuridica dei
soggetti  in  parola,  che,  per  dirla anche qui con il Consiglio di
Stato,   rende  esplicita  l'esistenza  di  un  "regime  privatistico
speciale"  che  li  caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione
del  loro  regime  giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle
delle   altre  fondazioni,  in  quanto  ordinato  per  legge  ..."  -
costituisce,  peraltro,  la  migliore conferma della gia' evidenziata
portata  del  carattere  di specialita' impresso dal legislatore alle
fondazioni  bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla
successiva  elencazione,  che  si  limita  a  richiamare  i caratteri
salienti   della   disciplina   legislativa   precedentemente  varata
(riguardanti  il  modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e
la  gestione  del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri
applicativi della normativa che riguarda detti soggetti).
          si  stabilisce,  infine,  che  "la  disposizione  di cui al
precedente  periodo  costituisce  norma  di interpretazione autentica
della  legge  23  dicembre  1998, n. 461 e del decreto legislativo 17
maggio   1999,   n. 153".   Basta   in  proposito  osservare  che  la
giurisprudenza,  costituzionale  (cfr.  Corte cost. 23 novembre 1994,
n. 397)  ed  amministrativa  (cfr. Cons. Stato, V Sez., 2 luglio 2002
n. 3612),   afferma  costantemente  che  la  norma  legislativa  puo'
qualificarsi     interpretativa     e,    quindi,    retroattiva    e
costituzionalmente  legittima  solo  quando  si  limita a chiarire la
portata  applicativa  di  una disposizione precedente, non integra il
precetto  di  quest'ultima  e  non  adotta un'opzione ermeneutica non
desumibile  dall'ordinaria  attivita'  di  esegesi della stessa: tale
risulta essere la norma in esame;
        b)  dalla  ratio  e  dall'occasio  legis.  Emerge  dai lavori
parlamentari  che  il  periodo aggiunto all'art. 5 del d.l. n. 63 del
2002  (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari iniziali
a  seguito  di  condanna  per  aiuti  di  Stato")  ha  la funzione di
"esplicitare agli organi della comunita' europea le motivazioni della
particolarita'  del  regime  fiscale delle fondazioni, precisando che
non  si  tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione
del  relatore  dell'emendamento,  on. Alfano,  resa  alle Commissioni
parlamentari V e VI riunite).
    Lo  Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione
della  Commissione  CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata
giudicata  incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione,
di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del
1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le
fusioni  fra  le  banche.  La  soluzione  accolta  e' stata quella di
sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo
introdotto  per  le  fondazioni bancarie, in considerazione del fatto
che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale
o  di  impresa;  pertanto,  le  provvidenze  fiscali previste in loro
favore  non  sarebbero  suscettibili di produrre effetti perturbativi
del mercato.
    Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo,
appena   delineato,   non   apporta   alcuna  variazione  sostanziale
l'art. 80,  comma  20  della legge 28 dicembre 2002 n. 289, che, alla
lett.   a),   disciplina   un   aspetto   peculiare,   in   punto  di
incompatibilita'  degli  organi  delle  fondazioni  bancarie, e, alla
lett.  b),  si  limita  ad  una  proroga  del  periodo  riservato per
l'operazione  di  dismissione  della  partecipazione  nella  Societa'
bancaria conferitaria.
    Le  conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e
di  affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello
evidenziato,  il  riconoscimento  della "piena autonomia statutaria e
gestionale"   delle  fondazioni  bancarie  assume  il  valore  di  un
principio  guida  sia per l'interpretazione che per la valutazione di
legittimita',   sub  specie  della  compatibilita'  con  esso,  delle
disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153
del  1999,  pur  dopo  le modificazioni introdotte dall'art. 11 della
legge n. 448 del 2001.
    Piu'   specificamente,  l'affermazione  della  "piena"  autonomia
statutaria  garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria
"costituzione",  che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben
puo'   conformare  l'esercizio  di  tale  potere,  per  garantire  il
perseguimento  degli  interessi  di  rilevanza  sociale  propri delle
fondazioni  (e  non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a
comprimerlo  fino  ad  annullarlo,  in  toto o per specifici aspetti,
tradendo  il  carattere  peculiare che essa stessa ha impresso a tali
soggetti.
    Analogamente,   l'affermazione   dell'autonomia   gestionale   e'
destinata   ad   assicurare   il   libero  esplicarsi  dell'attivita'
istituzionale  dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici
e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'.
    Il  problema  e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare
se  sia  stato  superato  il  "grado di compressione che e' possibile
imprimere  all'autonomia privata ... senza che cio' si traduca in uno
stravolgimento  della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale,
che  la  Carta costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le
modifiche  introdotte dagli articoli 117 e 118 Cost.". L'espressione,
mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente
anche  di  replicare  all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di
parte  resistente,  che  ha  negato la configurazione di un possibile
vizio   di   costituzionalita'   nella   scelta  del  legislatore  di
discostarsi dal modello privatistico della fondazione.
    2.  - Puo', a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi
di  ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto,
possono  essere  suddivisi  in  due  tipologie:  a)  censure che, pur
rivolte  nei  confronti  di  singole  disposizioni regolamentari, non
possono  essere  decise  indipendentemente  dalla  risoluzione  delle
questioni  di  costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie;
b)  doglianze  che  hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il d.m. 2
agosto  2002  n. 217,  nessuna  delle  quali,  pero', suscettibile di
produrre l'integrale effetto annullatorio dell'atto impugnato: il che
renderebbe  irrilevante  qualsivoglia questione di costituzionalita';
c)  censura  riguardante  la  circolare  23  ottobre 2002, quale atto
applicativo del regolamento stesso.
    Quest'ultima  precisazione  consente  al  Collegio  di fissare il
proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi.
    La  prima  riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di
costituzionalita'  sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte
alle  norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per
accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse.
    La  seconda,  da  rinviarsi  all'esito  dell'esame  che andra' ad
effettuare  la  Corte  costituzionale,  che  ha  ad  oggetto  sia  le
disposizioni   attuative   strettamente   consequenziali  all'assetto
normativo  primario, sia quelle indicate alle precedenti lettere b) e
c),  in  considerazione del fatto che, come risultera' evidente dalla
successiva  trattazione,  i  dubbi  di costituzionalita', insorti nel
Collegio,  assumono  un'importanza  preponderante  per quantita', ma,
soprattutto,  per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa
introdotta  nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il
pronunciamento   della   Corte   costituzionale   sulla  legittimita'
dell'assetto  normativo  primario, per una piu' compiuta ed esaustiva
disamina del complessivo testo regolamentare e dell'atto applicativo.
    Fatta tale premessa, puo' passarsi all'esame delle due doglianze,
che implicano una verifica di legittimita' costituzionale delle norme
di legge corrispondenti a quelle regolamentari impugnate.
    Il  secondo  motivo,  in  ordine  di  esposizione,  ha ad oggetto
l'art. 5  del d.m. n. 217 del 2002 e porta all'esame del tribunale la
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 7 della
legge n. 448 del 2001, che, sostituendo l'art. 4, comma 3 del decreto
legislativo  n. 153  del  1999,  impone  il  divieto ai soggetti, che
svolgono   funzioni   di   indirizzo,  amministrazione,  direzione  o
controllo   presso   le   fondazioni,   di   ricoprire   funzioni  di
amministrazione,  direzione  o controllo presso societa' operanti nel
settore bancario, finanziario o assicurativo, ad eccezione di quelle,
non   operanti  nei  confronti  del  pubblico,  di  limitato  rilievo
economico o patrimoniale.
    Si   denuncia,  altresi',  l'illegittimita'  ex  se  della  norma
regolamentare,  in  quanto  essa, senza alcuna copertura legislativa,
procederebbe  all'individuazione  delle  societa' di limitato rilievo
economico e patrimoniale.
    Deve,  preliminarmente,  osservarsi,  in punto di rilevanza della
questione   di   costituzionalita'  sollevata,  che  la  disposizione
legislativa  e'  stata  fedelmente  trasfusa nel testo regolamentare,
tant'e'  che  il  Consiglio  di  Stato  ha  rilevato l'ultroneita' di
quest'ultimo  (segnatamente  dell'art. 5,  comma  1),  non  mancando,
altresi',  di  segnalare  l'impossibilita'  di  esaminare  i dubbi di
costituzionalita', "pur da piu' parti ipotizzati".
    La  produzione  di  effetti  gia'  verificatasi  - e l'art. 5 del
regolamento   impugnato  ne  e'  la  prova  -  comporta  l'attualita'
dell'interesse a sindacare la disciplina primaria, che non viene meno
per la sopravvenienza di una nuova normativa, la cui efficacia rileva
solo  de  futuro.  In  altre  parole, pur dandosi atto che l'art. 80,
comma  20,  lett.  a)  della  legge  27  dicembre 2002, n. 289 (legge
finanziaria  2003) ha sostituito l'intero art. 4, comma 3 del decreto
legislativo    n. 153   del   1999,   introducendo   una   disciplina
profondamente    diversa    dalla    precedente,   risulta   comunque
indispensabile che la Corte costituzionale si pronunci in merito alla
costituzionalita'  dell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001,
qualora   il  collegio  ritenesse  non  manifestamente  infondata  la
questione  stessa: la valutazione di legittimita' del d.m. n. 217 del
2002,  oggetto diretto del presente giudizio, deve avvenire, infatti,
alla   stregua   della   normativa   primaria   vigente   al  momento
dell'adozione del regolamento stesso.
    Effettivamente   il   testo  dell'art. 4,  comma  3  del  decreto
legislativo  n. 153  del  1999, come sostituito dall'art. 11, comma 7
della  legge n. 448 del 2001, presta il fianco a dubbi in merito alla
razionalita'  e  alla  proporzionalita'  del divieto imposto rispetto
allo scopo perseguito.
    Parte  ricorrente,  giustamente,  lascia fuori dalla sua denuncia
l'incompatibilita'  riguardante  la  societa'  bancaria conferitaria,
atteso  che il principio cardine della riforma introdotta dalla legge
n. 461  del  1998,  e' di garantire, appunto, la netta separazione di
detta societa' dalla fondazione bancaria.
    Del  tutto  ingiustificato ed eccessivo risulta, per converso, il
regime  di incompatibilita' assoluta riguardante tutti i soggetti che
siano  impiegati,  in  posizioni  di  vertice,  in societa' bancarie,
finanziarie   od   assicurative;   in  tal  modo,  evidentemente,  il
legislatore  ha inteso introdurre una radicale separazione tra queste
ultime  e  le fondazioni bancarie, ipotizzando possibili interferenze
pregiudizievoli,  che  comporterebbero  un  legame inscindibile fra i
soggetti   in   parola   e  gli  istituti  di  credito,  diversi  dal
conferitario, le societa' finanziarie e quelle assicurative.
    Sul punto, si impongono due considerazioni di segno contrario.
    La prima attiene allo scopo perseguito dalla riforma Ciampi, gia'
innanzi evidenziato, che e' limitato alla sola banca conferitaria.
    La  seconda  e'  che  questa  contiguita' - in termini generali -
sarebbe pur sempre tutta da dimostrare (e in tal senso il trattamento
differenziato,  riservato  alle  societa'  di  minore rilievo, non e'
risolutore),  in  quanto,  a mero titolo di esempio, non si comprende
come  la presenza nell'organo di indirizzo di una fondazione bancaria
dell'amministratore   di   una  compagnia  di  assicurazione  (semmai
straniera o, comunque, senza particolari rapporti con le attivita' ed
il territorio di riferimento della fondazione stessa) potrebbe essere
pregiudizievole  per  la  corretta e neutrale attivita' gestionale di
quest'ultima.
    Da quanto esposto, risulta evidente che lo scopo, che la norma si
prefigge,  ben  potrebbe  essere  raggiunto  applicando  le ordinarie
regole  in  materia di conflitto di interessi, operando cosi' non una
scelta  radicale  e aprioristica, ma agendo caso per caso, tanto piu'
che  tali  regole  si  affiancano alla rigorosa disciplina in tema di
controllo  delle  societa'  bancarie  (diverse  dalla  conferitaria),
dettata dall'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Optando  per  tale  soluzione, il legislatore avrebbe ottenuto il
duplice    risultato    di    evitare    le   suddette   interferenze
pregiudizievoli,  senza,  pero',  precludere,  sempre  e  comunque, a
soggetti  particolarmente  adatti  di  partecipare  alla  vita  delle
fondazioni bancarie, con evidenti vantaggi anche di queste ultime.
    In conclusione, pur considerando l'amplissima discrezionalita' di
cui  gode  il  legislatore,  una  preclusione,  del  tipo  di  quella
contenuta nell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, comporta
l'eccessiva compressione della capacita' delle persone, in violazione
della  specifica  previsione  costituzionale  (artt. 2  e  22) che la
tutela,   incidendo  altresi',  specularmente,  sull'autonomia  delle
persone  giuridiche, sancita dall'art. 18 della Costituzione, aspetto
che,  in questa sede, assume un rilievo prevalente, in considerazione
del fatto che sono queste ultime ad agire in giudizio.
    3.  -  La  terza  doglianza  e' rivolta nei confronti dell'art. 9
commi  3,  4,  6,  8  e  9  del  regolamento;  che disciplina la fase
transitoria  che  coincide  con  l'operazione  di  adeguamento  degli
statuti  delle  fondazioni  ai  principi  espressi dall'art. 11 della
legge  n. 448  del  2001  e  che  culmina con la ricostituzione degli
organi  di  indirizzo  e  di  amministrazione dei soggetti in parola.
L'attenzione della ricorrente si appunta sulla prevista decadenza dei
componenti degli organi di indirizzo e di amministrazione.
    Va  detto,  preliminarmente, in punto di rilevanza, che l'effetto
decadenziale  e'  previsto  dall'art. 11  comma  14,  innanzi citato,
sicche'    la    corrispondente   norma   regolamentare   si   limita
sostanzialmente    a   recepire   l'obbligo   imposto   dalla   fonte
sovraordinata.
    La   previsione   legislativa   e',  peraltro,  il  frutto  delle
modificazioni  introdotte  dai  precedenti commi del medesimo art. 11
alla  disciplina  delle  fondazioni  bancarie  contenuta  nel decreto
legislativo  n. 153  del  1999.  Dette  modificazioni, come subito si
dira', sono di tale portata da far dubitare della loro compatibilita'
con  la  natura, dichiaratamente privatistica, dei soggetti in parola
e,  conseguentemente,  della  conformita' a costituzione dello stesso
art. 11,  laddove  esso contiene innovazioni suscettibili di alterare
la stessa natura giuridica dei soggetti in parola.
    Da  quanto  detto,  appare  evidente  che  la  definizione  della
questione  di costituzionalita' riguardante l'art. 11, comma 14 della
legge  n. 448  del  2001  e' strettamente legata alla soluzione delle
altre,  riguardanti  la disciplina a regime, che si vanno ad esporre,
che, pertanto, anche sotto questo aspetto, risultano rilevanti, cosi'
come  richiesto  dall'ordinamento  per  la loro rimessione alla Corte
costituzionale.
    Il  tribunale  ritiene  che  almeno  due  innovazioni  introdotte
dall'art. 11   della   legge   n. 448   del   2001   -   per   giunta
qualitativamente le piu' significative - comportino la stravolgimento
della nozione stessa di autonomia privata.
        A)  La prima e' quella che discende dall'art. 11 commi 1, 2 e
3  della  legge  n. 448  del  2001,  del quale la norma regolamentare
costituisce  la  fedele  applicazione e che impone alle fondazioni di
svolgere  la  loro  attivita'  esclusivamente  nei "settori ammessi",
prescegliendo,  nell'ambito  di quelli creati dalla legge, un massimo
di  tre  settori  che,  percio'  stesso,  diventano  "rilevanti".  La
contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede:
          a)    l'introduzione   di   numerosi   "settori   ammessi",
partitamente elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1);
          b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli
-  tra gli ammessi - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in
numero non superiore a tre (comma 2);
          c)   la   destinazione   dell'attivita'  di  queste  ultime
esclusivamente  nei  settori  ammessi e, in via prevalente, in quelli
rilevanti (comma 3).
    Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al
decreto 1egislativo n. 153 del 1999: l'art. 2 comma 2, nella versione
originaria,  riconosceva  agli  statuti  il  potere  di individuare i
settori  nei  quali  indirizzare  l'attivita'  delle  fondazioni e di
stabilire  l'entita'  degli  interventi  da effettuare in ciascuno di
essi;  l'unica limitazione riguardava l'obbligo di assicurare la cura
di  almeno  uno  dei settori rilevanti, indicati dall'art 2, lett. e)
della  legge  n. 461 del 1998 (ricerca scientifica, istruzione, arte,
conservazione  e  valorizzazione  dei  beni  culturali  e ambientali,
sanita'   e   assistenza   alle   categorie   sociali  deboli).  Tale
compressione  dell'autonomia  statutaria  -  per la sua portata - non
determinava  lo  snaturamento  dei  soggetti in parola, in quanto era
giustificata  dall'esigenza  di garantire la cura dei (pochi) settori
rilevanti  individuati,  appartenenti,  per giunta, alla tradizionale
sfera di operativita' delle fondazioni bancarie, ponendosi cosi' come
una   forma   di   necessario   bilanciamento  -  in  funzione  della
salvaguardia  di  interessi  collettivi  -  dell'amplissima autonomia
attribuita ai soggetti in parola.
    Infine,  nell'originaria  versione del decreto legislativo n. 153
del  1999  non  era  imposto  alcun  raccordo  con  il  territorio di
riferimento,  ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle
fondazioni bancarie nel loro insieme.
    L'assetto  dato  dall'art. 11,  piu'  volte  citato,  fa  sorgere
fondati  dubbi  in  merito  alla  sua  compatibilita' con l'affermata
"piena"  autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il
comprimere,  in  maniera  eccessiva,  i due elementi peculiari di cui
essa  si  connota: lo scopo e l'utilizzo del patrimonio della persona
giuridica.
    Tali effetti sono indotti:
        a)  dall'obbligo  di  operare  "esclusivamente"  nei  settori
ammessi,  che  preclude  la  possibilita'  di  scelta  di  ambiti  di
attivita', che, pur se non contemplati nell'elenco di cui all'art. 11
comma  1,  si  ascrivano  comunque  in quelli tradizionalmente propri
delle  fondazioni  bancarie  o  rivestano,  comunque,  una  rilevanza
sociale.
    Tale   conclusione  non  e'  inficiata  dall'obiezione  di  parte
resistente  che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza
degli  stessi  all'attivita'  istituzionale delle fondazioni bancarie
non   consentirebbero   di   configurare   una   rilevante  incidenza
sull'autonomia di queste ultime.
    Deve  osservarsi,  intanto,  che  la  questione  va correttamente
impostata  in  termini  di  principio  e  che,  pertanto,  essa  deve
riguardare   la   legittimita',   in   astratto,   delle  limitazioni
introdotte.
    Peraltro,     pur     volendo     seguire     il     ragionamento
dell'amministrazione   deve   comunque  rilevarsi  che  l'elencazione
legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti
soggetti:  lo  dimostrano,  da  un  lato,  lo stesso art. 11 comma 1,
ultimo   periodo,  il  quale  avverte  la  necessita'  di  attribuire
all'Autorita'  di vigilanza il potere di modificare con regolamento i
settori    ammessi,   in   una   visione,   evidentemente,   dinamica
dell'attivita'  complessiva  da  riservare  alle fondazioni bancarie;
dall'altro,  l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge
n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima.
    La  suddetta  delimitazione,  spinta  fino al punto da elidere un
autonomo  potere  di  scelta  dei  soggetti in parola, si giustifica,
quindi,  solo  se  la  si  considera  come  una  manifestazione della
volonta'  di  sottoporre  questi  ultimi,  nel  loro  insieme,  ad un
penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che
risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e
3   dell'art. 11   della   legge   n. 448   del   2001,  che  seguono
immediatamente;
        b)  dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre
settori   di  attivita',  che  divengono  percio'  "rilevanti".  Tale
carattere   comporta  che  le  fondazioni  operino  in  essi  in  via
prevalente,   assicurando,   singolarmente   e   nel   loro  insieme,
l'equilibrata  destinazione  delle  proprie  risorse,  dando altresi'
preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale.
    La   prima   osservazione   critica,  che  ricalca  il  vizio  di
legittimita'  gia'  esposto  alla  precedente  lett. a), consiste nel
fatto  che  le  fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i
settori  rilevanti  nell'ambito  di  quelli tassativamente "ammessi",
sicche',  anche  a  tal  proposito,  esse sono costrette ad agire nel
solco  tracciato  in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente
un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente.
Altro  e',  insomma,  il poter operare in piu' settori, purche' lo si
faccia  anche  in  uno  di  quelli indicati dal legislatore, come era
previsto  in  passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare
nell'ambito   di   settori  -  non  importa  se  numerosi  -  imposti
dall'esterno.
    La   seconda   riguarda  la  limitazione  numerica  imposta,  non
riscontrandosi   alcun   interesse   collettivo  che  giustifichi  la
compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre.
    I  vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla
stregua  delle  conseguenze  che  la  scelta  triennale  dei  settori
comporta:  l'insorgenza  dell'obbligo di destinare ad essi la maggior
parte   delle  risorse  impiegabili  e  di  garantirne  l'equilibrata
distribuzione,   dando  altresi'  preferenza  a  quelli  di  maggiore
rilevanza sociale.
    L'intenzione  del  legislatore  del 2001, a questo punto, risulta
chiara:   creare   un'interdipendenza   fra  i  soggetti  in  parola,
convogliando   e   coordinando   in   una   prospettiva  unitaria  le
potenzialita' espresse da ciascuno di essi.
    Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista
per   la   scelta   dei   settori   rilevanti,  quanto  l'imposizione
dell'obbligo  -  perche'  tale  esso deve configurarsi, a meno di non
volere  depotenziare  la  portata  di  una disposizione di legge - di
garantire   il   raggiungimento   del   risultato   complessivo   che
l'ordinamento si aspetta da detti soggetti.
    Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma
dell'art. 11  della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente
con  il  disegno  complessivo  delineato: l'esposizione, da parte del
Ministro  dell'economia e delle finanze, nella relazione previsionale
e   programmatica,   dell'ammontare  delle  risorse  complessivamente
attivate  nei  settori  ammessi, ai fini degli stanziamenti nei fondi
investimenti di cui all'art. 46 della legge citata.
    L'effetto,  prodotto dall'art. 11, commi 2 e 3 della legge n. 448
del  2001,  e'  quello  di  assumere, nell'ambito organizzativo della
pubblica  amministrazione,  persone giuridiche private, pur dotate di
piena  autonomia statutaria e gestionale. Pertanto, pur non arrivando
alla  conclusione  che  queste  ultime  risultano trasformate in enti
pubblici  strumentali,  l'assetto  innanzi  esposto - per certi versi
simile a quello dei concessionari di servizi pubblici, descritti pure
come  organi  indiretti  della p.a. - si pone in insanabile contrasto
con  la  natura  privatistica  delle  stesse,  che,  se  non consente
l'eccessiva compressione del potere di scelta dei settori, ancor meno
tollera il loro inserimento in un ordinamento sezionale, orientato al
perseguimento    di    un    risultato   collettivo   che   travalica
l'individualita'  di ciascuna di esse, incidendo, in tal modo, su una
tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e gestionale.
    Un'ulteriore   considerazione   si   impone   con  riguardo  alla
composizione  dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere
eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto
avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie.
    Se  queste  ultime  fossero completamente libere nella scelta dei
settori  in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla
legge,  esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la
propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore
affinita' con la loro storia.
    La  prospettiva  cambia  se  si  tiene  conto  del gia' descritto
risultato  complessivo  preteso  dall'art. 11  comma  3, che porta ad
ipotizzare  inevitabili  iniziative  dell'Autorita'  di vigilanza per
indirizzare  la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente,
i soggetti in parola rifuggirebbero.
    La   segnalata   eterogeneita',   in  primo  luogo,  rafforza  il
convincimento  che  il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle
fondazioni   bancarie   una   funzione  servente  dell'organizzazione
pubblica;  inoltre,  l'affidamento,  a  largo  spettro,  di ambiti di
attivita',  avulse  dalla  loro tradizionale sfera operativa, finisce
con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera
significativa,  su  uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui
le  persone  giuridiche  di  diritto privato, sia pur soggette ad una
disciplina speciale, ontologicamente si connotano.
    Da  quanto  esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica
questione  di  costituzionalita' dell'art. 11, comma 1 primo periodo,
nella   parte   in  cui  esso  prevede  settori  -  segnatamente  "la
criminalita' e sicurezza pubblica", l'"edilizia popolare locale" e la
"sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto
estranei  alla  tradizionale  sfera  di  attivita'  delle  fondazioni
bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti
ai  pubblici  poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il
potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare
anche  d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti
e  non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici
o  di pubblica utilita'"; contemplata dall'art. 7, comma 1 lett. aa),
punto  2 della legge 1 agosto 2002 n. 166, che modifica l'art. 37-bis
della legge 11 febbraio 1994, n. 109;
    In  conclusione,  il Collegio reputa che non siano manifestamente
infondate  le  seguenti  questioni  di costituzionalita', riguardanti
l'art. 11  commi  1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001
(oltre  il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002),
per possibile contrasto rispetto:
        a)     all'art. 3     della    Costituzione,    sub    specie
dell'irrazionalita' legislativa, che rileva:
          a)  come contrasto con il disposto dell'art. 2, comma 1 del
decreto  legislativo  n. 153  del 1999, attribuendo a quest'ultimo il
rango, che gli compete, di norma di principio, cui informare tutta la
normazione di dettaglio;
          b)  come  indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia
privata,  da intendersi, quindi, non come allontanamento, tout court,
dal  modello  codicistico  di  fondazione,  quanto,  piuttosto,  come
"stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale"
(per mutuare l'espressione utilizzata in sede consultiva);
        b)   all'art. 18   e   all'art. 2   della  Costituzione,  che
costituisce  l'ulteriore  sviluppo  di  quanto  detto in chiusura del
punto precedente. L'avviso del Collegio e' che le modifiche apportate
dalla  legge  n. 448 del 2001 comportano la sostanziale negazione del
modello  voluto  dal  legislatore solo due anni prima e, soprattutto,
non  espressamente sconfessato, sicche' e' passibile affermare che il
decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni
bancarie  come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non
puo',  percio',  essere  intaccato  quello  che potrebbe definirsi il
"contenuto   minimo",   frutto   della  scelta  legislativa,  innanzi
evidenziata,   di  privilegiare  la  genesi  volontaristica  di  tali
soggetti.  Risultano,  pertanto, irragionevalmente compressi tanto il
diritto  di  associazione  dei  cittadini  (art. 18  Cost.), quanto i
diritti  dell'uomo  nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento
(art. 2  Cost.)  (sul  punto,  e' utile richiamare i principi sanciti
dalla Corte costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1997, n. 248 e 29
dicembre  1993  n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti
degli  enti  creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al
decreto  delegato 20 novembre 1990 n. 356, con particolare attenzione
ai  rapporti  fra  le  originarie  fondazioni  bancarie e la relativa
liberta' statutaria);
        c)  all'art. 41  della  Costituzione,  che tutela l'autonomia
privata,  sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo
a  fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso
la  sovrapposizione  di  una  volonta'  eteronoma  a  quella  propria
dell'ente;
        d)  all'art. 117  e  all'art. 118 comma 4 della Costituzione,
configurabile  in  relazione  all'assunzione  dei  soggetti in parola
nell'ambito  della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si
realizza,  in  particolare,  con il comma 3, dell'art. 11 della legge
n. 448 del 2001.
    Quanto  all'art. 118, comma 4 della Costituzione, lo spunto viene
fornito  dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere
sullo  schema del Regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il
mutamento  della  stessa  nozione  di  autonomia  privata,  che, alla
stregua del principio di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla
legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  risulta  oramai orientata al
perseguimento  non  solo di bisogni individuali, ma anche di utilita'
generale connotando, conseguentemente, un nuovo rapporto fra pubblico
e privato.
    Piu'   specificamente,   il   citato   parere,   riprendendo  una
sollecitazione  proveniente proprio dalla Corte costituzionale (nella
nota  decisione  7  aprile  1988 n. 396), ha chiarito che "lo Stato e
ogni  altra  autorita'  pubblica  proteggono e realizzano lo sviluppo
della  societa'  civile  partendo  dal  basso,  dal  rispetto e dalla
valorizzazione  delle energie individuali, dal modo in cui coloro che
ne   fanno   parte  liberamente  interpretano  i  bisogni  collettivi
emergenti   dal  sociale":  ed  al  Collegio  appare  particolarmente
significativo    l'uso,   da   parte   della   Corte,   dell'avverbio
"liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma
restando   la  natura  privata  delle  fondazioni  bancarie,  con  le
implicazioni   in   punto   di   intangibilita'  dell'autonomia  gia'
evidenziata,  e'  consentito  al  legislatore introdurre strumenti di
vigilanza  e  di  controllo, che costituiscono la connotazione tipica
del regime privatistico speciale di tali soggetti.
    Dal  discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se
vi  e'  spazio  per  interventi  ab  externo  in  sede  di controllo,
altrettanto  non  puo'  dirsi  per atti di indirizzo e ancor meno per
interventi   di   carattere  dirigistico.  La  ragione  e'  evidente:
l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa
del  privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un
sistema  di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne',
tanto    meno,    sostituire   la   propria   volonta'   (nel   campo
dell'organizzazione,  dell'individuazione  dei  fini e della spendita
del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato,
che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica.
    Non  vi  e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi
dell'art. 11  comportano  una  pervasivita'  dei pubblici poteri, del
tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su
esposti.
    Non  appare  manifestamente  infondato  neppure  il  dubbio della
violazione  dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che
alcuni   dei   settori   indicati  dall'art. 11,  comma  1  rientrano
nell'ambito  delle  materie  che la norma costituzionale assegna alla
potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile,
la  ricerca  ed  i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva
delle    regioni    (quali    l'assistenza,   l'edilizia   locale   e
l'agricoltura).
    E allora, nulla quaestio, se la legge statale si limita a normare
il  solo  "ordinamento  civile";  se,  pero',  come  il  Collegio  e'
orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di
sua  esclusiva  spettanza,  emergono  le possibili implicazioni sulla
sfera  di  attribuzioni  delle  regioni,  in  quanto  il  legislatore
finisce,  sostanzialmente,  con  il  disciplinare la singola materia,
riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo,
oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle
finanze,   in  attesa  dell'istituzione  dell'apposita  Autorita'  di
vigilanza;
        B)  La  seconda  questione rilevante, ai fini della decisione
del  Tribunale, e' quella che riguarda la composizione dell'organo di
indirizzo delle fondazioni bancarie.
    La  norma  contestata  e'  quella contenuta nell'art. 11, comma 4
della legge n. 448 del 2001, che, sostituendo la lett. c) dell'art. 4
comma  1  del  decreto  legislativo  n. 153  del  1999,  prevede,  in
particolare,  la presenza nell'organo di indirizzo di una "prevalente
e  qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui
all'art. 114  della  Costituzione, idonea a rifletterne le competenze
nei settori ammessi in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione".
    Anche  in  questo  caso la normativa regolamentare costituisce la
mera trasposizione di quella primaria.
    Nel  merito,  deve  osservarsi  che l'art. 11 comma 4, piu' volte
citato,  riguardante  specificamente  le fondazioni istituzionali, ha
profondamente   modificato   la  disciplina  dettata  dall'originaria
versione dell'art. 4, comma 1 lett. c) del decreto legislativo n. 153
del  1999,  che e' stato interamente sostituito. Il testo precedente,
in particolare, sviluppando i principi dettati dalla legge di delega,
stabiliva  che  gli  statuti  delle fondazioni bancarie prevedessero,
nell'ambito  dell'organo  di  indirizzo,  "un'adeguata  e qualificata
rappresentanza  del  territorio,  con  particolare riguardo agli enti
locali".  I  caratteri  salienti  di  tale  disciplina erano, quindi,
l'attenzione  riservata  alle istanze del territorio, delle quali gli
enti  locali venivano considerati i naturali soggetti esponenziali, e
la  sufficienza  di  una rappresentanza, sia pur minoritaria, di tali
istanze.
    L'allontanamento  dai  principi  della  legge n. 461 del 1998 non
costituisce,  di  per  se',  un  vizio  dell'art. 11  comma 4 citato,
tenendo  conto  che  quest'ultimo  e'  espressione diretta del potere
legislativo  del  Parlamento,  sicche'  non e' configurabile nei suoi
confronti una violazione dell'art. 76 della Costituzione.
    Anche  l'individuazione  degli  enti designanti, effettuata dalla
novella  del  2001,  risulta  pienamente  compatibile  con i principi
costituzionali,  atteso  che  la  legge sopravvenuta si e' limitata a
sviluppare l'assetto ordinamentale introdotto dal decreto legislativo
n. 153  del  1999  -  e non contestato ex adverso -, adeguandolo, nel
contempo,  alla gia' ricordata riforma del Capo V della Costituzione,
che ha attribuito un ruolo centrale agli enti territoriali intermedi,
indicati  dall'art. 114  della  Costituzione: era, percio', del tutto
naturale  che  il  legislatore prendesse atto di tale evoluzione e la
trasfondesse  in  una  normativa destinata ad assicurare, appunto, la
piu' efficace e completa cura degli interessi del territorio.
    Residua  l'ulteriore,  centrale  problema di stabilire la portata
del  termine "rappresentanza" ed, in particolare, se esso vada inteso
in  senso  proprio,  sicche'  i  componenti  dell'organo di indirizzo
agirebbero in nome e per conto degli enti designanti.
    Numerosi indizi deporrebbero in tal senso:
        a)   la   lettera   della  legge,  atteso  che  l'ordinamento
giuridico, sia pubblicistico che privatistico, attribuisce al termine
utilizzato - "rappresentanza" - uno specifico significato tecnico;
        b)  la  ben  diversa  formula utilizzata per l'individuazione
degli  altri  componenti  dell'organo  di  indirizzo, a proposito dei
quali   si   postula  l'"apporto  di  personalita'  ...  che  possano
efficacemente contribuire al perseguimento dei fini istituzionali", a
testimonianza  che  i  soggetti  designati sono destinati ad agire in
funzione (esclusiva) dell'interesse della fondazione bancaria, di cui
sono chiamati a far parte;
        c)   l'indicazione  che  solo  i  componenti  dell'organo  di
indirizzo   provenienti   dalla   societa'   civile  e  non  anche  i
"rappresentanti"  degli  enti  di cui all'art. 114 della Costituzione
posseggano  specifici  requisiti  "di professionalita', competenza ed
esperienza   nei   settori   in  cui  e'  rivolta  l'attivita'  della
fondazione";
        d)  la  precisazione  che,  per  converso, i "rappresentanti"
"riflettano  le  competenze nei settori ammessi in base agli articoli
117  e  118  della  Costituzione", vale a dire attribuzioni di natura
squisitamente pubblicistica e, comunque, avulse dalle finalita' delle
fondazioni in parola;
        e)  la  possibilita'  che  solo  detti "rappresentanti" siano
"portatori  di  interessi  riferibili ai destinatari degli interventi
delle  fondazioni",  quale eccezione alla regola, sancita dall'ultimo
periodo   dell'art. 11,  comma  4  citato,  preordinata  a  prevenire
possibili conflitti di interesse.
    Gli  elementi  elencati  porterebbero  a concludere per una netta
distinzione  di  natura  delle  due  componenti in seno all'organo di
indirizzo.   Le   regole   ermeneutiche,   peraltro,   impongono   di
privilegiare,  fin  dove  e' possibile, l'interpretazione delle norme
primarie che le renda compatibili con la Costituzione.
    Nella  specie, a fronte di quanto detto in precedenza, si colloca
l'art. 4,  comma 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999, che, gia'
nella versione originaria, stabiliva che "I componenti dell'organo di
indirizzo  non rappresentano i soggetti esterni che li hanno nominati
ne'  ad  essi rispondono". Tale previsione non e' stata toccata dalla
novella del 2001.
    Pertanto,   a   meno  di  non  volere  affermare  un  difetto  di
coordinamento   a  livello  legislativo  (a  favore  del  quale  pure
militerebbero   le   precedenti   considerazioni   effettuate),  deve
escludersi  la sussistenza di un vincolo di mandato in capo a tutti i
componenti  dell'organo  di  indirizzo,  a prescindere, dunque, dalla
rispettiva  provenienza.  Il  termine  "rappresentanza"  va,  quindi,
inteso   in   senso   atecnico,   come   legame   meramente  genetico
intercorrente fra designante e designato.
    Tale   conclusione,   pur   eliminando   uno   dei   profili   di
incostituzionalita'  evidenziati da parte ricorrente, lascia comunque
aperte due ulteriori questioni.
    La prima riguarda il gia' evidenziato ultimo periodo dell'art. 4,
lett.  c)  del  decreto  legislativo  n. 153 del 1999, nella versione
rinnovellata,  puntualmente  trasfuso  nell'art. 5,  comma 2 del d.m.
n. 217 del 2002.
    Il  contrasto con la Costituzione e' configurabile nella prevista
eccezione  alla  regola in tema di conflitti di interessi, alla quale
non  sono  sottoposti  i  soggetti,  designanti  e  designati, di cui
all'art. 114  della  Costituzione:  l'espressione  legislativa "salvo
quanto previsto al periodo precedente ..." depone univocamente in tal
senso.  Tale  diversificazione  di  trattamento,  in particolare, non
trova  fondamento  razionale e sembra smentire proprio la conclusione
appena  raggiunta in merito all'insussistenza del vincolo di mandato,
in   relazione  al  comma  immediatamente  precedente,  destinata  ad
attribuire  una  medesima  posizione  di  status a tutti i componenti
dell'organo di indirizzo.
    Il  Collegio  e', pertanto, portato a dubitare della legittimita'
costituzionale   della   norma,   cosi'   come  formulata,  potendosi
configurare  una  duplice  violazione dell'art. 3 della Costituzione,
riguardante   tanto   l'irrazionalita'  intrinseca  della  previsione
legislativa,  quanto  l'assolutamente  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  fra  posizioni  dei  destinatari in tutto equivalenti. A
tali   aspetti,  testimoniati  dal  contrasto  tra  l'ultimo  periodo
dell'art. 4  comma  1 lett. c) e il periodo immediatamente precedente
ed  il  comma  2 del medesimo art. 4, vanno aggiunti i vizi derivanti
dalla  possibile violazione degli artt. 2, 18, 41, 117 e 118, comma 4
della  Costituzione,  per  i  quali  si  fa  rinvio  alla  precedente
trattazione laddove si sono individuati gli incomprimibili limiti che
incontra  il legislatore nella disciplina dell'autonomia - statutaria
e gestionale - delle fondazioni bancarie.
    In  punto  di  rilevanza  del  profilo  in  esame, e' sufficiente
osservare  che  l'impugnato  art. 5,  comma  2  del regolamento mutua
fedelmente  la  formula  contenuta  nella  legge, facendola precedere
dalla  proposizione:  "Salvo  gli  interventi  per  la  tutela  degli
interessi  del territorio", rendendo cosi' ulteriormente esplicito il
regime   differenziato   della   cui  legittimita'  si  dubita.  Deve
aggiungersi che lo stesso Consiglio di Stato, nel proprio parere, non
ha  potuto  che  limitarsi  a prendere atto di tale diversificazione,
osservando  che  essa costituiva il prodotto di un'inequivocabile (ed
intangibile,  in  sede  consultiva)  dizione  legislativa  (il "Salvo
quanto previsto dal precedente comma ...", appunto).
    La  precedente  esposizione  in punto di diritto porta altresi' a
dubitare  della  legittimita', per le ragioni gia' evidenziate, della
disciplina  riguardante  le  qualita'  soggettive richieste ai membri
dell'organo  di  indirizzo. In particolare, l'art. 4 comma 1 lett. c)
rinnovellato postula per i soli componenti provenienti dalla societa'
civile  la sussistenza dei requisiti "di professionalita', competenza
ed  esperienza  nei  settori  in  cui  e'  rivolta  l'attivita' della
fondazione"; per converso, per i soggetti designati dagli enti di cui
all'art. 114  della  Costituzione,  la  norma  si  accontenta  di una
semplice  "qualificazione",  che, non essendo minimamente riferita ai
fini  e  alle  attivita'  proprie delle fondazioni bancarie, fornisce
l'ulteriore  dimostrazione  dell'eterogenea  composizione dell'organo
stesso.
    Anche  in  questo  caso  la  norma  regolamentare  corrispondente
riproduce fedelmente la disciplina primaria.
    L'ultimo  aspetto  da  trattare  (sicuramente  non  in  ordine di
importanza)  e'  quello  che  attiene  al  riparto  proporzionale dei
componenti  dell'organo  di indirizzo, in particolare alla regola che
in  quest'ultimo  sieda  una  "prevalente"  rappresentanza degli enti
territoriali,   che,   invero,   riguarda   le  sole  fondazioni  cd.
istituzionali,  atteso  che  il  suddetto  risultato  non  si  ha con
riguardo alle fondazioni associative.
    Con riguardo alle prime, va altresi' osservato che il regolamento
di  attuazione  riproduce fedelmente la formula legislativa, dopo che
il Consiglio di Stato aveva evidenziato il contrasto con la legge del
testo  normativo  sottopostogli,  che prevedeva la riserva, in favore
dei suddetti rappresentanti, dei due terzi dei posti complessivamente
assegnabili.
    La conformita' della norma secondaria a quella primaria, se mette
al  riparo  la  prima  da censure di legittimita', lascia in piedi il
problema  della  compatibilita'  della  legge  con i principi ad essa
sovraordinati:  riprendendo  quanto detto in precedenza, la questione
e'  se  la  previsione,  eteronoma  ed autoritativa, della prevalenza
numerica  della "rappresentanza" degli enti di cui all'art. 114 della
Costituzione  (per  giunta, con le caratteristiche soggettive innanzi
evidenziate)   non   superi  la  consentita  misura  di  compressione
dell'autonomia, statutaria e gestionale, dei soggetti in parola.
    Il  Collegio  ritiene  che  a  tale quesito non possa darsi, tout
court, una risposta negativa.
    Intanto,  non  vi  e' dubbio che, riguardando l'organo strategico
delle  fondazioni  bancarie,  la previsione de qua e' suscettibile di
influenzarne in maniera decisiva l'operativita'.
    Ancor  di  piu'  l'effetto  limitante  si  fa  sentire sul potere
statutario,  che, in questo caso, e' ristretto alla distribuzione del
potere  di  designazione  tra  i  soggetti, cui la legge riserva tale
compito,  in  modo  da  rifletterne  il  territorio (cosi' si esprime
l'art. 3, comma 2 del regolamento).
    Poiche'  tali  designazioni  sono vincolanti, il risultato che si
ottiene  e'  che  i  "rappresentanti"  degli enti di cui all'art. 114
della   Costituzione   finiscono   con  il  detenere  la  maggioranza
nell'organo  di indirizzo e sono in grado, quindi, di determinarne la
linea gestionale.
    L'obbligatoria   preponderanza   della  componente  pubblicistica
presta il fianco a consistenti dubbi di costituzionalita'.
    In  primo  luogo,  essa  contrasta con il carattere di "pienezza"
gia'  evidenziato,  che,  nel  suo  contenuto necessario, riguarda il
potere  delle  persone  giuridiche  in  questione  sia  di costituire
liberamente  il  proprio  organo  di  governo,  rendendolo  adatto al
perseguimento  dei  loro  fini  istituzionali,  sia di determinare la
propria linea di azione, riservando alla pubblica amministrazione una
funzione  di  vigilanza,  che  serva  esclusivamente ad assicurare il
corretto esercizio dell'autonomia stessa.
    Alla  legge,  conseguentemente  e  coerentemente  con  la  natura
privatistica che essa stessa attribuisce alle fondazioni bancarie, va
riconosciuto  il  potere di dettare le regole che facciano da cornice
al  libero  esplicarsi  dell'autonomia  delle  persone  giuridiche in
questione,  in  funzione, appunto, del raggiungimento degli scopi, di
rilievo  sociale,  ad  esse attribuiti, regole che, come si e' detto,
costituiscono l'essenza della loro specialita'. Quanto detto porta ad
affermare,   con   specifico  riguardo  alla  scelta  dei  componenti
dell'organo  di indirizzo, che l'intento del legislatore non puo' che
essere  quello  di  garantire  che  i soggetti designati risultino in
possesso    dei   requisiti   di   moralita',   professionalita'   ed
indipendenza,  che  assicurino la formazione di un organo in grado di
perseguire   al   meglio   le  finalita'  istituzionali  proprie  (ed
esclusive)  delle fondazioni bancarie. A tal fine, e' sufficiente che
la  norma  primaria detti i principi che, in via astratta e generale,
regolino  la  materia,  ai  quali  i  singoli  statuti sono tenuti ad
uniformarsi:  la  migliore  riprova  di  quanto  teste'  detto  viene
dall'originaria  formulazione  dell'art. 4,  comma  1,  lett. c)  del
decreto  legislativo  n. 153  del  1999,  che  si fermava, appunto ab
externo, ad indicare gli indefettibili requisiti (di rappresentanza e
di   professionalita)  che  i  componenti  dell'organo  in  questione
dovevano necessariamente possedere.
    Peraltro,  pur  volendo  far  leva  sul  carattere di specialita'
innanzi  evidenziato, sul quale insiste parte resistente, e volendosi
ammettere  che  il legislatore affidi la rappresentanza delle istanze
del  territorio  a  soggetti direttamente designati dagli enti di cui
all'art. 114  della  Costituzione, sembra non conforme a Costituzione
che  il  legislatore  stesso  possa  spingersi  fino a determinare la
preponderanza  numerica di tale componente all'interno dell'organo di
indirizzo.
    Cosi'   facendo,  infatti,  l'impugnato  art. 11,  comma  4  pare
ignorare  che dette istanze non possono essere perseguite tout court,
ma   devono   necessariamente   concorrere  con  le  altre  finalita'
istituzionali  connaturate  ai  soggetti  in  questione,  sicche'  la
selezione  di  quelle che, di volta in volta, vanno privilegiate e la
conseguente  determinazione delle risorse da impiegare in ciascuna di
esse  sono  oggetto  di  decisione da parte dell'organo di indirizzo,
che,  percio'  stesso, necessita di una composizione equilibrata, che
non tollera la presenza di una maggioranza precostituita, soprattutto
considerando  che quest'ultima, per come e' concepita dal legislatore
del  2001,  non  risulta  funzionale  agli interessi delle fondazioni
bancarie,  ma,  piuttosto, a quelli degli enti pubblici designanti o,
comunque,  delle  collettivita'  locali  che si riconoscono in questi
ultimi.
    Un'ulteriore considerazione si impone: sia la composizione che il
funzionamento   dell'organo   di   indirizzo  risultano  depotenziati
dall'assetto sancito dall'art. 11, comma 4 citato: in merito al primo
aspetto,   e'   agevole  osservare  che  la  decretata  preponderanza
determina il sacrificio della presenza proprio di quelle personalita'
che,  per  professionalita',  competenza  ed esperienza (per usare le
espressioni   dello   stesso   art. 11,   comma  4),  possono  meglio
contribuire  al  perseguimento dei fini istituzionali dei soggetti in
parola;  sul  piano piu' strettamente gestionale, risulta ancora piu'
evidente   che   una   composizione,  sbilanciata  e  predeterminata,
dell'organo  di indirizzo non giova sicuramente al libero svolgimento
della  dialettica  interna  ad esso e, quindi, all'individuazione dei
reali  interessi propri della persona giuridica, della quale l'organo
stesso e' chiamato a formare la volonta'.
    Puo',  pertanto,  pervenirsi  alla  conclusione che la contestata
prevalenza,  oltre  a  porsi  in  contrasto con la tradizione storica
delle  fondazioni,  da  sempre  libere  di  designare autonomamente i
propri  organi  direttivi, non trova una sua ratio giustificativa, se
non  in  quello scopo dirigistico, che si e' innanzi evidenziato, che
attribuisce  a  detti  soggetti  - pur formalmente assegnati al mondo
privatistico  -  la  funzione  di  supportare l'azione della pubblica
amministrazione, segnatamente quella degli enti diversi dallo Stato.
    Tale  risultato  ha  l'ulteriore effetto di invertire il rapporto
sancito   dalla   recente   riforma   dell'art. 118,  comma  4  della
Costituzione in materia di sussidiarieta'.
    Non  rileva,  per  converso,  che alcune fondazioni bancarie gia'
presenterebbero una prevalenza dei rappresentanti degli interessi del
territorio:  e'  sufficiente  osservare,  in  proposito, che, ai fini
della valutazione di costituzionalita', non assumono alcun rilievo le
situazioni  di  fatto, che, per giunta, costituiscono il frutto della
scelta  (liberamente)  effettuata dalle singole fondazioni, dovendosi
ragionare  esclusivamente  in  termini  di  principio,  in relazione,
appunto,  alla  sfera  incomprimibile  dell'autonomia dei soggetti in
parola.
    La  conclusione che puo' trarsi e' che risulta non manifestamente
infondata  la  questione  di  costituzionalita' dell'art. 11, comma 4
della legge n. 448 del 2001 (che sostituisce l'art. 4, comma 1, lett.
c)  del  decreto  legislativo  n. 153  del  1999), per violazione dei
principi  sanciti  dagli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4 della
Costituzione.
    Da   quanto   esposto,  risulta  evidente  che  la  questione  di
costituzionalita',   sollevata  da  parte  ricorrente  e  riguardante
l'art. 11,  comma  14,  ultimo  periodo,  citato,  si  salda  con  la
valutazione  in  merito  alla compatibilita' dell'assetto complessivo
dei  soggetti  in  parola,  fornito  dalle  restanti disposizioni del
medesimo  art. 11,  con  i  principi  ricavabili dallo stesso decreto
legislativo n. 153 del 1999 e, piu' in generale, dalla Costituzione.
    Se  tale  assetto  risultasse  legittimo,  lo  sarebbe  anche  la
specifica  disciplina  dettata  per  la fase transitoria, che si pone
cosi'  in  piena  coerenza  con  il  mutamento  operato  sulla natura
giuridica    delle    fondazioni   bancarie.   In   caso   contrario,
l'incostituzionalita'    si    estenderebbe    a   quanto   stabilito
dall'art. 11,  comma  14  in  esame,  quale  diretta  conseguenza  di
un'inammissibile  trasformazione  della natura giuridica dei soggetti
in parola.
    Alla    stregua    della   precedente   trattazione,   la   Corte
costituzionale   va   investita   della   questione  di  legittimita'
dell'art. 11,  comma  14  (in parte qua) piu' volte citato, in quanto
incidente  -  sia  pur  temporaneamente  -  su soggetti che, ottenuta
l'approvazione  ministeriale  del  proprio statuto, sono diventati, a
tutti  gli  effetti,  persone  giuridiche  dotate  di  quella  "piena
autonomia  statutaria e gestionale", alla quale vanno riconosciuti il
significato  ed  il  valore emergenti dagli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e
118, comma 4 della Costituzione.
    5.  -  Per le considerazioni che precedono, il tribunale solleva,
in  quanto  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate, le seguenti
questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto:
        a)  l'art. 11,  commi  1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28
dicembre  2001,  n. 448  e l'art. 7, comma 1, lett. aa) punto 2 della
legge  1  agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis della legge
11  febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41,
117 e 118, comma 4 della Costituzione;
        b) l'art. 11, comma 4 della citata legge n. 448 del 2001, per
contrasto  con  gli  artt. 2,  3,  18,  41,  117 e 118, comma 4 della
Costituzione;
        c) l'art. 11, comma 7 della citata legge n. 448 del 2001, per
contrasto con gli artt. 2, 18 e 22 della Costituzione;
        d)  l'art. 11,  comma  14, ultimo periodo, della citata legge
n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118,
comma 4 della Costituzione.
    Deve  disporsi,  pertanto,  la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale,  con  conseguente  sospensione  del giudizio ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.