IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 11418 del
2002  Reg.  Gen.,  proposto dalla Adusbef Associazione consumatori ed
utenti,   in   persona   del   rappresentante   legale  pro  tempore,
rappresentata  e  difesa  dagli avvocati Massimo Cemiglia e Salvatore
Mazzamuto,  con  i  quali  elettivamente domicilia in Roma, Largo del
Nazareno n. 8;
    Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale
dello  Stato,  presso  la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi
n. 12;   e  nei  confronti  dell'A.C.R.I.  -  Associazione  Casse  di
Risparmio Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore,
non
costituita;  per  l'annullamento  del  decreto  ministeriale 2 agosto
2002, n. 217, recante il "Regolamento ai sensi dell'art. 11, comma 14
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle
fondazioni  bancarie,  e  di  ogni  altro  atto comunque presupposto,
connesso  e  consequenziale,  compreso,  per  le  parti censurate, il
parere  del  Consiglio  di  Stato  Sezione  consultiva  per  gli atti
normativi n. 1354 del 2002;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione   in  giudizio  del  Ministero
dell'economia e delle finanze;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Nominato  relatore  il  consigliere Antonino Savo Amodio e uditi,
all'udienza  del  4 dicembre  2002,  l'avv.  Cemiglia,  per  la parte
ricorrente,   e   l'avv.   dello   Stato   Aiello  per  il  Ministero
dell'economia e delle finanze;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  il  ricorso  in esame l'Adusbef, in qualita' di associazione
esponenziale  degli interessi dei consumatori e degli utenti, impugna
l'atto indicato in epigrafe, deducendo:
        1.   -   Illegittimita'   dell'art. 2   del  Regolamento  per
illegittimita'   costituzionale  dell'art. 2,  comma  2  del  decreto
legislativo  17 maggio 1999, n. 153, in riferimento all'art. 1, comma
1  lettera  c-bis)  dello  stesso decreto legislativo, come novellato
dall'art. 11  della  legge  28 dicembre  2001,  n. 448,  in relazione
all'obbligo,    imposto    alle   fondazioni   bancarie,   di   agire
esclusivamente nell'ambito dei settori espressamente ammessi.
        2.  - Illegittimita' dell'art. 2, comma 1 del Regolamento per
illegittimita'   costituzionale  dell'art. 2,  comma  2  del  decreto
legislativo  17 maggio  1999,  n. 153,  come  modificato dall'art. 11
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448; illegittimita' dell'art. 3 del
Regolamento  per illegittimita' costituzionale dell'art. 4 lettere c)
e  d)  del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, come novellato
dall'art. 11,  comma  4  della  legge  28 dicembre  2001,  n. 448. La
censura e' rivolta, in primo luogo, nei confronti dell'imposizione di
uno  specifico  ed  indissolubile  legame con il territorio, al quale
andrebbero destinate le risorse dei soggetti in parola.
    Il   vizio   denunciato   rimane  integro  anche  dopo  che,  per
l'intervento  del  Consiglio  di  Stato  in  sede  consultiva,  si e'
previsto che debbano essere gli statuti a stabilire se individuare un
territorio di elezione.
    In  secondo  luogo,  l'attenzione  di parte ricorrente e' rivolta
alla  disposizione  che impone la presenza, nell'organo di indirizzo,
di una "prevalente" rappresenza del territorio.
        3.  -  Violazione dell'art. 17, comma 3 della legge 23 agosto
1988,  n. 400,  da parte dell'art. 9, comma 2 del Regolamento, atteso
che  quest'ultimo,  disattendendo  il  parere del Consiglio di Stato,
consentirebbe  le  sole  modifiche statutarie strettamente necessarie
per  recepire  i principi introdotti dall'art. 11 della legge n. 448,
del 2001.
    In  ogni  caso,  mancherebbe  una specifica motivazione in merito
alle  ragioni  che  hanno  portato  a  disattendere l'avviso espresso
dall'Organo consultivo.
        4.  -  Illegittimita'  dell'art. 9,  comma 6 del Regolamento,
nella  parte in cui prevede l'obbligatoria decadenza degli organi, di
indirizzo  e  di amministrazione, delle fondazioni bancarie e la loro
necessaria  ricostituzione,  anche  qui in spregio a quanto suggerito
dal Consiglio di Stato.
    Si  e'  costituito in giudizio il Ministero dell'economia e delle
finanze,  il  quale, nella memoria difensiva, controdeduce ai singoli
motivi di doglianza.

                            D i r i t t o

    1.  -  Viene  all'esame  del  tribunale  il  decreto del Ministro
dell'economia  e  delle  finanze  2 agosto  2002,  n. 217, recante il
regolamento  previsto  dall'art. 11  della  legge  28 dicembre  2001,
n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie.
    Avverso tale provvedimento vengono mossi numerosi rilievi, alcuni
dei  quali  investono  la  legittimita'  costituzionale  della  fonte
attributiva del potere regolamentare.
    Occorre,  innanzi  tutto,  individuare  la natura giuridica delle
fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e
che  costituisce  la  risultante  dell'evoluzione normativa, che, nel
corso  di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di
separazione  delle  stesse  dalle  banche  ex pubbliche conferitarie,
processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante
la privatizzazione dell'intero settore creditizio.
    Punto  di  partenza ditale evoluzione e' la legge cd. Amato-Carli
30 luglio   1990,  n. 218,  ed  il  conseguente  decreto  legislativo
20 novembre  1990, n. 356. Quest'ultimo contiene le "disposizioni per
la  ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio" e, in
particolare,  al  Titolo III, reca la disciplina degli "Enti pubblici
conferenti",  attribuendo  ad  essi  una  piena  capacita' di diritto
pubblico  e  di  diritto privato ed assoggettandoli alle disposizioni
legislative  appositamente  varate  e  a  quelle  dei loro rispettivi
statuti.
    La  prospettiva  muta  profondamente  con  la  legge  c.d. Ciampi
23 dicembre  1998, n. 461, che conferisce la delega al Governo per il
riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti.
    L'art. 2,  comma  1  lettera  l), in particolare, impone a questi
ultimi  di  adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando
decreto  legislativo,  stabilendo,  altresi', che "con l'approvazione
delle  relative  modifiche  statutarie  gli  enti  diventano  persone
giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale".
    Risulta    cosi'    evidente   l'opzione   legislativa   generale
dell'affidamento  della  materia delle fondazioni bancarie al diritto
privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul
Regolamento  in  esame,  nell'adunanza  del  1 luglio 2002, che ne ha
altresi'  individuato  la  ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto
meno  morale,  del  patrimonio  accumulato nel corso di decenni dalle
banche  pubbliche  alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e
dei beneficiari del credito.
    Assume  rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia
di  detti  enti,  garantito  dal  citato art. 2, comma 1 lettera l) e
riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria),
quanto  a  quello  di  svolgere  la  propria  attivita' istituzionale
(autonomia  gestionale).  I  limiti  di  tale  liberta'  sono  quelli
tassativamente  imposti  dalla  legge,  in  perfetta  coerenza con la
circostanza  che  le  fondazioni  bancarie  sono  il  prodotto di una
precisa   scelta   del   Parlamento,   chiamato,  percio'  stesso,  a
predisporre  una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e
del  corretto  perseguimento  dei  fini  istituzionali.  All'uopo, il
medesimo  art. 2  ha  fissato  i  principi  e  i criteri direttivi al
legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna
e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e'
stato  di  prevedere  un  regime peculiare, che si discosta da quello
dettato  dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche
quest'ultimo   sottopone  le  "ordinarie"  fondazioni  ad  un'attenta
vigilanza,  preordinata  a  garantire  il  perseguimento  dello scopo
indicato dal fondatore.
    La  precedente  esposizione consente di chiarire l'esatta portata
del  carattere  di  "specialita'"  dei  soggetti  in  parola, che non
riguarda  la  loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus
fra  gli  enti  pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene,
piuttosto,  alla  disciplina  cui  i  medesimi  sono sottoposti, che,
rispetto  a  quella  codicistica,  si  pone,  appunto, in rapporto di
species   ad   genus,   con  tutte  le  conseguenze  ermeneutiche  ed
applicative che ne discendono.
    Il  decreto  delegato  17 maggio  1999,  n. 153,  si  pone  nella
medesima  prospettiva, esordendo con una definizione delle fondazioni
bancarie in tutto identica a quella della legge di delega.
    Analoga conferma viene dall'art. 11 della citata legge n. 448 del
2001,  che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per il
resto,  l'impianto legislativo precedente in maniera cosi' penetrante
da  avvertire  la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza
il   potere   regolamentare  di  coordinamento  con  le  disposizioni
contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999.
    La  prospettiva  non  cambia neppure con la legge 15 giugno 2002,
n. 112,  che,  convertendo il d.l. 15 aprile 2002, n. 63, aggiunge un
ulteriore periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente sostenersi che
l'ulteriore  intervento normativo non ha alcun effetto novativo della
disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata:
        a)   dalla  lettera  dell'art. 5  citato.  Esso  puo'  essere
scomposto  in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e'
destinato a produrre:
          vi  e',  anzitutto, una conferma della precedente normativa
adottata,   espressa  dalla  proposizione  di  apertura  del  periodo
aggiunto:  "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del
1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999...";
          segue  una precisazione in merito alla natura giuridica dei
soggetti  in  parola,  che,  per  dirla anche qui con il Consiglio di
Stato,   rende  esplicita  l'esistenza  di  un  "regime  privatistico
speciale"  che  li  caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione
del  loro  regime  giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle
delle   altre  fondazioni,  in  quanto  ordinato  per  legge  ..."  -
costituisce,  peraltro,  la  migliore conferma della gia' evidenziata
portata  del  carattere  di specialita' impresso dal legislatore alle
fondazioni  bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla
successiva  elencazione,  che  si  limita  a  richiamare  i caratteri
salienti   della   disciplina   legislativa   precedentemente  varata
(riguardanti  il  modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e
la  gestione  del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri
applicativi della normativa che riguarda detti soggetti).
          si  stabilisce  infine,  che  "la  disposizione  di  cui al
precedente  periodo  costituisce  norma  di interpretazione autentica
della  legge  23 dicembre  1998,  n. 461  e  del  decreto legislativo
17 maggio   1999,  n. 153".  Basta  in  proposito  osservare  che  la
giurisprudenza,  costituzionale  (cfr.  Corte  cost. 23 novembre 1994
n. 397)  ed  amministrativa  (cfr. Cons. Stato, V Sez., 2 luglio 2002
n. 3612),   afferma  costantemente  che  la  norma  legislativa  puo'
qualificarsi     interpretativa     e,    quindi,    retroattiva    e
costituzionalmente  legittima  solo  quando  si  limita a chiarire la
portata  applicativa  di  una disposizione precedente, non integra il
precetto  di  quest'ultima  e  non  adotta un'opzione ermeneutica non
desumibile  dall'ordinaria  attivita'  di  esegesi della stessa: tale
risulta essere la norma in esame;
        b)  dalla  ratio  e  dall'occasio  legis.  Emerge  dai lavori
parlamentari  che  il  periodo aggiunto all'art. 5 del d.l. n. 63 del
2002  (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari iniziali
a  seguito  di  condanna  per  aiuti  di  Stato")  ha  la funzione di
"esplicitare agli organi della Comunita' europea le motivazioni della
particolarita'  del  regime  fiscale delle fondazioni, precisando che
non  si  tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione
del  relatore  dell'emendamento,  on. Alfano,  resa  alle Commissioni
parlamentari V e VI riunite).
    Lo  Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione
della  Commissione  CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata
giudicata  incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione,
di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del
1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le
fusioni  fra  le  banche.  La  soluzione  accolta  e' stata quella di
sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo
introdotto  per  le  fondazioni bancarie, in considerazione del fatto
che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale
o  di  impresa;  pertanto,  le  provvidenze  fiscali previste in loro
favore  non  sarebbero  suscettibili di produrre effetti perturbativi
del mercato.
    Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo,
appena   delineato,   non   apporta   alcuna  variazione  sostanziale
l'art. 80,  comma  20 della legge 28 dicembre 2002, n. 289, che, alla
lettera   a),   disciplina   un   aspetto   peculiare,  in  punto  di
incompatibilita'  degli  organi  delle  fondazioni  bancarie, e, alla
lettera  b),  si  limita  ad  una  proroga  del periodo riservato per
l'operazione  di  dismissione  della  partecipazione  nella  Societa'
bancaria conferitaria.
    Le  conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e
di  affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello
evidenziato,  il  riconoscimento  della "piena autonomia statutaria e
gestionale"   delle  fondazioni  bancarie  assume  il  valore  di  un
principio  guida  sia per l'interpretazione che per la valutazione di
legittimita',   sub  specie  della  compatibilita'  con  esso,  delle
disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153
del  1999,  pur  dopo  le modificazioni introdotte dall'art. 11 della
legge n. 448 del 2001.
    Piu'   specificamente,  l'affermazione  della  "piena"  autonomia
statutaria  garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria
"costituzione",  che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben
puo'   conformare  l'esercizio  di  tale  potere,  per  garantire  il
perseguimento  degli  interessi  di  rilevanza  sociale  propri delle
fondazioni  (e  non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a
comprimerlo  fino  ad  annullarlo,  in  toto o per specifici aspetti,
tradendo  il  carattere  peculiare che essa stessa ha impresso a tali
soggetti.
    Analogamente,   l'affermazione   dell'autonomia   gestionale   e'
destinata   ad   assicurare   il   libero  esplicarsi  dell'attivita'
istituzionale  dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici
e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'.
    Il  problema  e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare
se  sia  stato  superato  il  "grado di compressione che e' possibile
imprimere  all'autonomia  privata...senza  che cio' si traduca in uno
stravolgimento  della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale,
che  la  Carta Costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le
modifiche  introdotte dagli articoli 117 e 118 Cost.". L'espressione,
mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente
anche  di  replicare  all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di
parte  resistente,  che  ha  negato la configurazione di un possibile
vizio   di   costituzionalita'   nella   scelta  del  legislatore  di
discostarsi dal modello privatistico della fondazione.
    2.  -  Puo' a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi
di  ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto,
possono essere suddivisi in due tipologie:
        a) censure   che,   pur  rivolte  nei  confronti  di  singole
disposizioni     regolamentari,    non    possono    essere    decise
indipendentemente    dalla    risoluzione    delle    questioni    di
costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie;
        b) doglianze  che  hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il
d.m.  2 agosto  2002 n. 217, nessuna delle quali, pero', suscettibile
di  produrre l'integrale effetto annullatorio dell'atto impugnato: il
che     renderebbe     irrilevante    qualsivoglia    questione    di
costituzionalita'.
    Quest'ultima  precisazione  consente  al  Collegio  di fissare il
proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi.
    La  prima  riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di
costituzionalita'  sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte
alle  norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per
accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse.
    La  seconda,  da  minviarsi  all'esito  dell'esame  che andra' ad
effettuare  la  Corte  costituzionale,  che  ha  ad  oggetto  sia  le
disposizioni   attuative   strettamente   consequenziali  all'assetto
normativo  primario,  sia quelle indicate alla precedente lettera b),
in  considerazione  del  fatto  che,  come  risultera' evidente dalla
successiva  trattazione,  i  dubbi  di costituzionalita', insorti nel
Collegio,  assumono  un'importanza  preponderante  per quantita', ma,
soprattutto,  per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa
introdotta  nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il
pronunciamento   della   Corte   costituzionale   sulla  legittimita'
dell'assetto  normativo  primario, per una piu' compiuta ed esaustiva
disamina del complessivo testo regolamentare.
    Fatta  tale premessa, puo' esaminarsi il primo motivo di ricorso,
non  senza  aver  preliminarmente  riconosciuto  la sussistenza della
legittimazione   attiva   in   capo   all'Adusbef,   in  quanto  ente
esponenziale degli interessi dei consumatori e degli utenti, fruitori
dell'attivita' istituzionale dei soggetti in parola.
    La censura, pur rivolta avverso l'art. 2 del decreto ministeriale
n. 217    del    2002,   denuncia,   in   realta',   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  commi  1, 2 e 3 della legge n. 448 del
2001,   del  quale  la  norma  regolamentare  costituisce  la  fedele
applicazione.
    L'attenzione  si  appunta,  in  particolare, sull'obbligo imposto
alle  fondazioni  di  svolgere  la  loro attivita' esclusivamente nei
"settori  ammessi", prescegliendo, nell'ambito di quelli creati dalla
legge,  un  massimo  di  tre  settori  che, percio' stesso, diventano
"rilevanti".  Non  risulterebbe  risolutore il correttivo - frutto di
una sollecitazione in tal senso del Consiglio di Stato - che consente
di  effettuare  la  scelta  senza  tener conto della suddivisione dei
settori   ammessi  nelle  quattro  categorie  generali,  operata  dal
legislatore del 2001.
    Parte   ricorrente   sostiene   che   tale  previsione  normativa
comporterebbe l'indebita compressione dell'autonomia statutaria, alla
quale  sarebbe  rimessa, in via esclusiva, la facolta' di individuare
il proprio raggio di azione.
    Il  vizio  sarebbe  aggravato  da  un'individuazione  dei settori
ammessi  del  tutto  casuale  o,  quanto  meno,  avulsa dalla realta'
storica  delle  fondazioni,  alle quali verrebbe assegnata la cura di
interessi  (per  tutti:  prevenzione  della  criminalita' e sicurezza
pubblica)    da   sempre   appannaggio   esclusivo   della   pubblica
amministrazione.  Un'ulteriore  prova in tal senso sarebbe il recente
ampliamento  dell'elenco con il riferimento ai compiti attinenti alla
realizzazione  di beni pubblici e di pubblica utilita', operato dalla
legge 1 agosto 2002, n. 166.
    In  via preliminare, va affermata la rilevanza della questione di
costituzionalita'  sollevata,  atteso  che  l'art. 2  del Regolamento
impugnato  riproduce fedelmente il dettato legislativo, e, proprio in
ragione  di  tale identita', non puo' che subire la sorte della norma
legislativa  che  riproduce.  Nel  merito, la prospettazione di parte
ricorrente non appare manifestamente infondata.
    La contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede:
        a) l'introduzione di numerosi "settori ammessi", partitamente
elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1);
        b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli -
tra  gli  ammessi  - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in
numero non superiore a tre (comma 2);
        c) la    destinazione   dell'attivita'   di   queste   ultime
esclusivamente  nei  settori  ammessi e, in via prevalente, in quelli
rilevanti (comma 3).
    Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al
decreto legislativo n. 153 del 1999: l'art. 2 comma 2, nella versione
originaria,  riconosceva  agli  statuti  il  potere  di individuare i
settori  nei  quali  indirizzare  l'attivita'  delle  fondazioni e di
stabilire  l'entita'  degli  interventi  da effettuare in ciascuno di
essi;  l'unica limitazione riguardava l'obbligo di assicurare la cura
di  almeno uno dei settori rilevanti, indicati dall'art. 2 lettera e)
della  legge  n. 461 del 1998 (ricerca scientifica, istruzione, arte,
conservazione  e  valorizzazione  dei  beni  culturali  e ambientali,
sanita'   e   assistenza   alle   categorie   sociali  deboli).  Tale
compressione  dell'autonomia  statutaria  -  per la sua portata - non
determinava  lo  snaturamento  dei  soggetti in parola, in quanto era
giustificata  dall'esigenza  di garantire la cura dei (pochi) settori
rilevanti  individuati,  appartenenti,  per giunta, alla tradizionale
sfera di operativita' delle fondazioni bancarie, ponendosi cosi' come
una   forma   di   necessario   bilanciamento  -  in  funzione  della
salvaguardia  di  interessi  collettivi  -  dell'amplissima autonomia
attribuita ai soggetti in parola.
    Infine,  nell'originaria  versione del decreto legislativo n. 153
del  1999,  non  era  imposto  alcun  raccordo  con  il territorio di
riferimento,  ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle
fondazioni bancarie nel loro insieme.
    L'assetto  dato  dall'art. 11,  piu'  volte  citato,  fa  sorgere
fondati  dubbi  in  merito  alla  sua  compatibilita' con l'affermata
"piena"  autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il
comprimere,  in  maniera  eccessiva,  i due elementi peculiari di cui
essa  si  connota: lo scopo e l'utilizzo del patrimonio della persona
giuridica.
    Tali effetti sono indotti:
        a)  dall'obbligo  di  operare  "esclusivamente"  nei  settori
ammessi,  che  preclude  la  possibilita'  di  scelta  di  ambiti  di
attivita', che, pur se non contemplati nell'elenco di cui all'art. 11
comma  1,  si  ascrivano  comunque  in quelli tradizionalmente propri
delle  fondazioni  bancarie  o  rivestano,  comunque,  una  rilevanza
sociale.
    Tale   conclusione  non  e'  inficiata  dall'obiezione  di  parte
resistente  che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza
degli  stessi  all'attivita'  istituzionale delle fondazioni bancarie
non   consentirebbero   di   configurare   una   rilevante  incidenza
sull'autonomia di queste ultime.
    Deve  osservarsi,  intanto,  che  la  questione  va correttamente
impostata  in  termini  di  principio  e  che,  pertanto,  essa  deve
riguardare   la   legittimita',   in   astratto,   delle  limitazioni
introdotte.
    Peraltro,     pur     volendo     seguire     il     ragionamento
dell'Amministrazione,   deve  comunque  rilevarsi  che  l'elencazione
legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti
soggetti:  lo  dimostrano,  da  un  lato,  lo stesso art. 11 comma 1,
ultimo   periodo,  il  quale  avverte  la  necessita'  di  attribuire
all'Autorita'  di vigilanza il potere di modificare con regolamento i
settori    ammessi,   in   una   visione,   evidentemente,   dinamica
dell'attivita'  complessiva  da  riservare  alle fondazioni bancarie;
dall'altro,  l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge
n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima.
    La  suddetta  delimitazione,  spinta  fino al punto da elidere un
autonomo  potere  di  scelta  dei  soggetti in parola, si giustifica,
quindi,  solo  se  la  si  considera  come  una  manifestazione della
volonta'  di  sottoporre  questi  ultimi,  nel  loro  insieme,  ad un
penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che
risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e
3   dell'art. 11   della   legge   n. 448   del   2001,  che  seguono
immediatamente;
        b)  dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre
settori   di  attivita',  che  divengono  percio'  "rilevanti".  Tale
carattere   comporta  che  le  fondazioni  operino  in  essi  in  via
prevalente,   assicurando,   singolarmente   e   nel   loro  insieme,
l'equilibrata  destinazione  delle  proprie  risorse,  dando altresi'
preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale.
    La   prima   osservazione   critica,  che  ricalca  il  vizio  di
legittimita'  gia'  esposto  alla  precedente  lett. a), consiste nel
fatto  che  le  fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i
settori  rilevanti  nell'ambito  di  quelli tassativamente "ammessi",
sicche',  anche  a  tal  proposito,  esse sono costrette ad agire nel
solco  tracciato  in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente
un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente.
Altro  e',  insomma,  il poter operare in piu' settori, purche' lo si
faccia  anche  in  uno  di  quelli indicati dal legislatore, come era
previsto  in  passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare
nell'ambito   di   settori  -  non  importa  se  numerosi  -  imposti
dall'esterno.
    La   seconda   riguarda  la  limitazione  numerica  imposta,  non
riscontrandosi   alcun   interesse   collettivo  che  giustifichi  la
compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre.
    I  vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla
stregua  delle  conseguenze  che  la  scelta  triennale  dei  settori
comporta:  l'insorgenza  dell'obbligo di destinare ad essi la maggior
parte   delle  risorse  impiegabili  e  di  garantirne  l'equilibrata
distribuzione,   dando  altresi'  preferenza  a  quelli  di  maggiore
rilevanza sociale.
    L'intenzione  del  legislatore  del 2001, a questo punto, risulta
chiara:   creare   un'interdipendenza   fra  i  soggetti  in  parola,
convogliando   e   coordinando   in   una   prospettiva  unitaria  le
potenzialita' espresse da ciascuno di essi.
    Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista
per   la   scelta   dei   settori   rilevanti,  quanto  l'imposizione
dell'obbligo  -  perche'  tale  esso deve configurarsi, a meno di non
volere  depotenziare  la  portata  di  una disposizione di legge - di
garantire   il   raggiungimento   del   risultato   complessivo   che
l'ordinamento si aspetta da detti soggetti.
    Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma
dell'art. 11  della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente
con  il  disegno  complessivo  delineato: l'esposizione, da parte del
Ministro  dell'economia e delle finanze, nella Relazione previsionale
e   programmatica,   dell'ammontare  delle  risorse  complessivamente
attivate  nei  settori  ammessi, ai fini degli stanziamenti nei fondi
investimenti di cui all'art. 46 della legge citata.
    Prima   di   trarre   le  conclusioni  in  merito  al  dubbio  di
legittimita'   costituzionale  dell'assetto  appena  descritto,  puo'
agevolmente affermarsi che la questione sollevata da parte ricorrente
e' rilevante per definire il giudizio in corso.
    La  previsione legislativa, della quale ci si occupa e', infatti,
immediatamente  precettiva,  per  quel  che  riguarda  le  scelte  da
effettuare   da   parte  delle  fondazioni  bancarie;  inoltre,  essa
costituisce  il  fondamento del potere di segnalazione dell'Autorita'
di  vigilanza,  contemplato  dall'art. 2, comma 4 del Regolamento, il
cui scopo e' di orientare l'azione dei destinatari, atteso che, senza
un  intervento eteronomo, non risulterebbe possibile quella attivita'
di concertazione che pure l'art. 11 comma 3 espressamente impone.
    Non  puo'  negarsi,  inoltre,  conformemente ai principi espressi
dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione (cfr. in
tal senso, per tutte, l'ordinanza di rimessione del 10 novembre 1997,
n. 2655,  che  ha portato alla sentenza della Corte costituzionale 27
novembre  1998, n. 383), che l'interesse primario di parte ricorrente
e'  di  sentirsi  dichiarare  la  radicale illegittimita' della fonte
attributiva  del potere - che, nella specie, potrebbe essere non solo
di   indirizzo,   ma   anche   sanzionatorio   -,   cosi'   da  porre
definitivamente  al  riparo  le  fondazioni  bancarie da un possibile
riesercizio  dello  stesso. Militano, in favore di questa tesi, tanto
ragioni di giustizia sostanziale, che di economia processuale, tenuto
conto,  altresi', della delicatezza e della rilevanza degli interessi
in  gioco,  che  postulano l'eliminazione di ogni possibile dubbio di
costituzionalita' della normativa primaria.
    Quanto  ai profili di non manifesta infondatezza, deve osservarsi
che  l'art. 11,  commi  2  e  3  della legge n. 448 del 2001, ha come
risultato  di  assumere,  nell'ambito  organizzativo  della  pubblica
amministrazione,  persone  giuridiche  private,  pur  dotate di piena
autonomia  statutaria  e gestionale. Pertanto, pur non arrivando alla
conclusione  che queste ultime risultano trasformate in enti pubblici
strumentali,  l'assetto  innanzi  esposto  - per certi versi simile a
quello  dei  concessionari  di  servizi pubblici, descritti pure come
organi   indiretti  della  Pubblica  amministrazione  -  si  pone  in
insanabile contrasto con la natura privatistica delle stesse, che, se
non  consente  l'eccessiva  compressione  del  potere  di  scelta dei
settori,  ancor  meno  tollera  il loro inserimento in un ordinamento
sezionale,  orientato al perseguimento di un risultato collettivo che
travalica  l'individualita'  di  ciascuna  di esse, incidendo, in tal
modo,  su una tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e
gestionale.
    Un'ulteriore   considerazione   si   impone   con  riguardo  alla
composizione  dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere
eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto
avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie.
    Se  queste  ultime  fossero completamente libere nella scelta dei
settori  in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla
legge,  esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la
propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore
affinita' con la loro storia.
    La  prospettiva  cambia  se  si  tiene  conto  del gia' descritto
risultato  complessivo  preteso  dall'art. 11  comma  3, che porta ad
ipotizzare  inevitabili  iniziative  dell'Autorita'  di vigilanza per
indirizzare  la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente,
i soggetti in parola rifuggirebbero.
    La   segnalata   eterogeneita',   in  primo  luogo,  rafforza  il
convincimento  che  il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle
fondazioni   bancarie   una   funzione  servente  dell'organizzazione
pubblica;  inoltre,  l'affidamento,  a  largo  spettro,  di ambiti di
attivita',  avulse  dalla  loro tradizionale sfera operativa, finisce
con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera
significativa,  su  uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui
le  persone  giuridiche  di  diritto privato, sia pur soggette ad una
disciplina speciale, ontologicamente si connotano.
    Da  quanto  esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica
questione  di  costituzionalita'  dell'art. 11 comma 1 primo periodo,
nella   parte   in  cui  esso  prevede  settori  -  segnatamente  "la
criminalita'  e sicurezza pubblica" l'"edilizia popolare locale" e la
"sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto
estranei  alla  tradizionale  sfera  di  attivita'  delle  fondazioni
bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti
ai  pubblici  poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il
potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare
anche  d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti
e  non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici
o  di  pubblica utilita'", contemplata dall'art. 7, comma 1 lett. aa)
punto 2 della legge 1 agosto 2002, n. 166, che modifica l'art. 37-bis
della legge 11 febbraio 1994, n. 109;
        c)  un  ulteriore  aspetto  problematico  presenta il comma 1
dell'art. 11,   ma   e'  preferibile  posporne  la  trattazione  alle
conclusioni  in merito all'assetto legislativo descritto alle lettere
a) e b).
    A  tal proposito, il Collegio reputa che non siano manifestamente
infondate  le  seguenti  questioni  di costituzionalita', riguardanti
l'art. 11  commi  1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001
(oltre  il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002),
per possibile contrasto rispetto:
        1) all'art.     3     della    Costituzione,    sub    specie
dell'irrazionalita' legislativa, che rileva:
          a)  come contrasto con il disposto dell'art. 2, comma 1 del
decreto  legislativo  n. 153  del 1999, attribuendo a quest'ultimo il
rango, che gli compete, di norma di principio, cui informare tutta la
normazione di dettaglio;
          b)  come  indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia
privata,  da intendersi, quindi, non come allontanamento, tout court,
dal  modello  codicistico  di  fondazione,  quanto,  piuttosto,  come
"stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale"
(per mutuare l'espressione utilizzata in sede consultiva);
        2) all'art. 18   e   all'art. 2   della   Costituzione,   che
costituisce  l'ulteriore  sviluppo  di  quanto  detto in chiusura del
punto precedente. L'avviso del Collegio e' che le modifiche apportate
dalla  legge n. 448 del 2001, comportano la sostanziale negazione del
modello  voluto  dal  legislatore solo due anni prima e, soprattutto,
non  espressamente sconfessato, sicche' e' possibile affermare che il
decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni
bancarie  come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non
puo',  percio',  essere  intaccato  quello  che potrebbe definirsi il
"contenuto   minimo",   frutto   della  scelta  legislativa,  innanzi
evidenziata,   di   privilegiare   la  genesi  volontaristica  ditali
soggetti.  Risultano,  pertanto, irragionevolmente compressi tanto il
diritto  di  associazione  dei  cittadini  (art. 18  Cost.), quanto i
diritti  dell'uomo  nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento
(art. 2  Cost.)  (sul  punto,  e' utile richiamare i principi sanciti
dalla  Corte costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1997 n. 248 e 29
dicembre  1993  n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti
degli  enti  creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al
decreto delegato 20 novembre 1990, n. 356, con particolare attenzione
ai  rapporti  fra  le  originarie  fondazioni  bancarie e la relativa
liberta' statutaria);
        3) all'art. 41  della  Costituzione,  che  tutela l'autonomia
privata,  sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo
a  fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso
la  sovrapposizione  di  una  volonta'  eteronoma  a  quella  propria
dell'ente;
        4)  all'art. 117  e  all'art. 118 comma 4 della Costituzione,
configurabile  in  relazione  all'assunzione  dei  soggetti in parola
nell'ambito  della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si
realizza,  in  particolare,  con  il comma 3 dell'art. 11 della legge
n. 448 del 2001.
    Quanto  all'art. 118  comma 4 della Costituzione, lo spunto viene
fornito  dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere
sullo  schema del Regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il
mutamento  della  stessa  nozione  di  autonomia  privata,  che, alla
stregua del principio di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla
legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  risulta  oramai orientata al
perseguimento  non  solo di bisogni individuali, ma anche di utilita'
generale,   connotando,   conseguentemente,  un  nuovo  rapporto  fra
pubblico e privato.
    Piu'   specificamente,   il   citato   parere,   riprendendo  una
sollecitazione proveniente proprio dalla Corte, costituzionale (nella
nota  decisione  7  aprile  1988 n. 396), ha chiarito che "lo Stato e
ogni  altra  autorita'  pubblica  proteggono e realizzano lo sviluppo
della  societa'  civile  partendo  dal  basso,  dal  rispetto e dalla
valorizzazione  delle energie individuali, dal modo in cui coloro che
ne   fanno   parte  liberamente  interpretano  i  bisogni  collettivi
emergenti   dal  sociale":  ed  al  Collegio  appare  particolarmente
significativo    l'uso,   da   parte   della   Corte,   dell'avverbio
"liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma
restando   la  natura  privata  delle  fondazioni  bancarie,  con  le
implicazioni   in   punto   di   intangibilita'  dell'autonomia  gia'
evidenziata,  e'  consentito  al  legislatore introdurre strumenti di
vigilanza  e  di  controllo, che costituiscono la connotazione tipica
del regime privatistico speciale di tali soggetti.
    Dal  discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se
vi  e'  spazio  per  interventi  ab  externo  in  sede  di controllo,
altrettanto  non  puo'  dirsi  per atti di indirizzo e ancor meno per
interventi   di   carattere  dirigistico.  La  ragione  e'  evidente:
l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa
del  privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un
sistema  di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne',
tanto    meno,    sostituire   la   propria   volonta'   (nel   campo
dell'organizzazione,  dell'individuazione  dei  fini e della spendita
del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato,
che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica.
    Non  vi  e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi
dell'art. 11  comportano  una  pervasivita'  dei pubblici poteri, del
tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su
esposti.
    Non  appare  manifestamente  infondato  neppure  il  dubbio della
violazione  dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che
alcuni   dei   settori   indicati   dall'art. 11  comma  1  rientrano
nell'ambito  delle  materie  che la norma costituzionale assegna alla
potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile,
la  ricerca  ed  i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva
delle    Regioni    (quali    l'assistenza,   l'edilizia   locale   e
l'agricoltura).
    E  allora, nulla quaestio se la legge statale si limita a normare
il  solo  "ordinamento  civile";  se,  pero',  come  il  Collegio  e'
orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di
sua  esclusiva  spettanza,  emergono  le possibili implicazioni sulla
sfera  di  attribuzioni  delle  regioni,  in  quanto  il  legislatore
finisce,  sostanzialmente,  con  il  disciplinare la singola materia,
riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo,
oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle
finanze,   in  attesa  dell'istituzione  dell'apposita  Autorita'  di
vigilanza;
        d)  residua  un'ultima  questione, relativa alla legittimita'
della previsione dell'art. 11 comma 1 ultimo periodo, che attribuisce
all'Autorita'  di  vigilanza  il  potere  di  modificare  i  "settori
ammessi"  con  regolamento  da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 3
della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    Due sono i dubbi che tale previsione ingenera nell'interprete.
    Il  primo,  e piu' radicale, riguarda l'introduzione di una forma
di   delegificazione  ad  opera  di  una  fonte  secondaria  di  mera
esecuzione,  qual'e'  il regolamento contemplato dall'art. 17 comma 1
citato.  Tale  risultato  non  e' consentito dall'ordinamento, se non
attraverso   i  regolamenti  cd.  di  delegificazione,  espressamente
contemplati dal comma 2 del medesimo art. 17, che, oltre a presentare
una  ben  diversa  veste  formale, presuppongono che le leggi, che li
autorizzano  ad  innovare  in  deroga al principio di gerarchia delle
fonti,  indichino  le  norme generali regolatrici della materia, che,
nella  specie,  e'  costituita  dal  raggio  di azione riservato alle
fondazioni  bancarie: di tali norme, nella specie, non vi e' traccia,
ne'  formalmente, ne', tanto meno, sostanzialmente, atteso che non le
si   puo'   ricavare   dall'elencazione  dei  settori  ammessi  fatta
dall'art. 11  comma  1,  in  se'  non  particolarmente significativa,
tenuto   conto  anche  della  sua  disomogeneita'.  Ne  discende  che
l'Autorita'  di vigilanza risulta sostanzialmente libera di incidere,
ad  libitum,  sulla  fonte primaria, in spregio al principio, sancito
dall'art. 70   della   Costituzione,  che  riserva  in  esclusiva  al
Parlamento la funzione legislativa.
    L'ulteriore dubbio attiene all'attribuzione di un siffatto potere
regolamentare  all'autorita'  ministeriale,  con  le implicazioni, in
punto  di possibile violazione dell'art. 117 della Costituzione, gia'
evidenziate alla precedente lett. c).
    3.  -  Il  secondo  motivo,  pur  diretto  avverso  la  normativa
regolamentare,  denuncia, in realta', l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 11,  comma  11  della  legge  n. 448  del 2001, che integra
l'art. 7,   comma   1   del  decreto  legislativo  n. 153  del  1999,
aggiungendovi  le  parole "assicurando il collegamento funzionale con
le loro finalita' istituzionali ed in particolare con lo sviluppo del
territorio".
    Il  legislatore,  in  tal modo, avrebbe inteso prevedere un nesso
inscindibile  fra attivita' delle fondazioni bancarie e territorio di
riferimento,    limitando   cosi',   sotto   il   profilo   spaziale,
l'operativita' dei soggetti in parola.
    Tale  risultato  si porrebbe in patente contrasto con l'autonomia
gestionale,   riconosciuta  a  questi  ultimi  dal  medesimo  decreto
legislativo n. 153 del 1999.
    La   questione   di   costituzionalita'   risulta  manifestamente
infondata,  in  quanto  la  formula  legislativa  utilizzata  non  e'
suscettibile di comportare gli effetti temuti da parte ricorrente.
    Per  convincersene,  e'  sufficiente por mente all'attuazione che
del  principio  normativo primario ha fatto il Regolamento impugnato,
raccogliendo  il  suggerimento  proveniente  dal  Consiglio di Stato:
l'art. 2  del  d.m.  n. 217  del 2002 attribuisce, infatti, alla sede
statutaria  la scelta di definire lo specifico ambito territoriale di
attivita' delle singole fondazioni bancarie, laddove lo consiglino le
caratteristiche  peculiari  di ciascuna di esse, vale a dire il luogo
di insediamento, le tradizioni storiche e le dimensioni.
    Da  quanto  detto,  discende  l'assenza  di  qualsivoglia  vulnus
dell'autonomia  dei  soggetti  in parola ad opera della disciplina di
rango primario.
    Quanto,  poi,  alla proposizione "L'attivita' istituzionale delle
fondazioni  si  svolge  in  rapporto  prevalente  con il territorio",
contenuta  nell'art. 2  del d.m. n. 217 del 2002, il Collegio ritiene
di    poter   decidere   pure   prescindendo   dalla   questione   di
costituzionalita'   della   disposizione   primaria  di  riferimento,
sicche',   sotto   questo   aspetto,   la  questione  stessa  risulta
irrilevante.
    4.  -  Da  ultimo, l'Adusbef censura l'art. 9 del d.m. n. 217 del
2002,  proponendo,  altresi', la questione di costituzionalita' della
corrispondente  disposizione  primaria  -  l'art. 11 comma 14, ultimo
periodo,   della  legge  n. 448  del  2001  -,  nella  parte  in  cui
quest'ultimo  stabilisce  la decadenza dei componenti degli organi di
indirizzo  e  di  amministrazione  delle  fondazioni  bancarie  ed il
rinnovo  degli  stessi  a  seguito  dell'adeguamento  dei  rispettivi
statuti operato dai soggetti in parola.
    Parte  ricorrente  sostiene  che  tale  previsione si porrebbe in
palese  contrasto  con  la  natura privatistica comunque riconosciuta
alle fondazioni bancarie.
    Dalla  sia  pur  sintetica  illustrazione risulta evidente che la
definizione  della  questione  di  costituzionalita'  e' strettamente
legata  alla  soluzione  di  quelle  precedentemente formulate: senza
ripetere   cose  gia'  dette,  e'  innegabile  che  le  modificazioni
introdotte  dall'art. 11, commi 1, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001,
alterano  grandemente  la natura giuridica delle fondazioni bancarie,
si'  da svuotarne dall'interno e in maniera, a giudizio del Collegio,
inaccettabile,  sia  l'autonomia statutaria che quella gestionale, in
patente  contrasto  con  il principio sancito dall'art. 2 comma 1 del
decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Va   aggiunto,   in   punto   di  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita'  sollevata, che le contestate previsioni sono cosi'
specifiche  e circostanziate da vincolare l'interprete ad una lettura
univoca.
    Rimane,  pertanto,  la  strada  della  questione  di legittimita'
costituzionale dell'art. 11 comma 14, ultimo periodo, citato che, per
quanto  detto  in  precedenza,  si salda con la valutazione in merito
alla  compatibilita' dell'assetto complessivo dei soggetti in parola,
fornito  dalle  restanti  disposizioni  del  medesimo  art. 11, con i
principi  ricavabili dallo stesso decreto legislativo n. 153 del 1999
e, piu' in generale, dalla Costituzione.
    Se  detto  assetto  risultasse  legittimo,  lo  sarebbe  anche la
specifica disciplina dettata per la fase transitoria, che si porrebbe
cosi  in  piena  coerenza  con  il  mutamento  operato  sulla  natura
giuridica    delle    fondazioni   bancarie.   In   caso   contrario,
l'incostituzionalita' si estenderebbe a quanto stabilito dall'art. 11
comma  14  in  esame,  quale  diretta conseguenza di un'inammissibile
trasformazione della natura giuridica dei soggetti in parola.
    Alla    stregua    della   precedente   trattazione,   la   Corte
costituzionale va investita della questione di legittimita' dell'att.
11  comma 14 (in parte qua) piu' volte citato, in quanto incidente su
soggetti   che,  ottenuta  l'approvazione  ministeriale  del  proprio
statuto,  sono  diventati,  a  tutti  gli effetti, persone giuridiche
dotate  di  quella  "piena"  autonomia statutaria e gestionale", alla
quale  vanno riconosciuti il significato ed il valore emergenti dagli
artt. 2, 3, 18, 41 e 118 comma 4 della Costituzione.
    Non  deve sottovalutarsi, conseguentemente, neppure il vulnus che
deriva   ai   soggetti  attualmente  componenti  degli  organi  delle
fondazioni,  che  si  vedrebbero  sottratto  il loro incarico, pur se
risultassero  in  possesso  di tutti i requisiti di professionalita',
moralita'  ed  indipendenza  richiesti  per  l'espletamento  di dette
funzioni.
    4.  -  Per le considerazioni che precedono, il tribunale solleva,
in  quanto  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate, le seguenti
questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto:
        a)  l'art. 11,  commi  1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28
dicembre  2001,  n. 448,  e l'art. 7, comma 1 lett. aa) punto 2 della
legge  1  agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis della legge
11  febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41,
117 e 118 comma 4 della Costituzione;
        b)  l'art. 11  comma  1,  ultimo  periodo, della citata legge
n. 448  del  2001,  per  contrasto  con  gli  artt. 70  e  117  della
Costituzione;
        c)  l'art. 11  comma  14,  ultimo periodo, della citata legge
n. 448  del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118
comma 4 della Costituzione.
    Deve  disporsi,  pertanto,  la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale,  con  conseguente  sospensione  del giudizio ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.