IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 11053 del
2002  Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena,
in  persona  del  rappresentante  legale pro tempore, rappresentata e
difesa  dagli  avvocati  Pietro Rescigno e Luisa Torchia, con i quali
elettivamente domicilia in Roma, via Sannio n. 65;
    Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello  Stato,  presso  la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi
n. 12; per l'annullamento:
        a)  (con il ricorso introduttivo): del decreto ministeriale 2
agosto  2002,  n. 217, recante il "Regolamento ai sensi dell'art. 11,
comma  14,  della  legge  28  dicembre  2001,  n. 448,  in materia di
disciplina  delle  fondazioni bancarie" e di ogni altro atto comunque
presupposto, connesso e consequenziale;
        b) (con i motivi aggiunti): della nota 23 ottobre 2002, prot.
n. 14572,  del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze avente ad
oggetto "Documento programmatico previsionale";
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti i motivi aggiunti;
    Visto   l'atto   di   costituzione   in  giudizio  del  Ministero
dell'economia e delle finanze;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Nominato  relatore  il  consigliere Antonino Savo Amodio e uditi,
all'udienza  del 4 dicembre 2002, gli avvocati Torchia e Rescigno per
la   ricorrente   e  l'avv.  dello  Stato  Aiello  per  il  Ministero
dell'Economia e delle Finanze;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  il ricorso in esame, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena
impugna  il  decreto  ministeriale  2  agosto 2002 n. 217, recante il
"Regolamento ai sensi dell'art. 11, comma 14, della legge 28 dicembre
2001,  n. 448,  in  materia di disciplina delle fondazioni bancarie",
deducendo:
        1.  -  Illegittimita'  derivata  dell'intero  regolamento per
l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 11 della legge 28 dicembre
2001   n. 448,   per  contrasto  con  gli  artt. 2,  18  e  41  della
Costituzione,  in  quanto  le fondazioni di origine bancaria, essendo
persone  giuridiche di diritto privato, non potrebbero essere oggetto
di  una disciplina regolamentare, in quanto soggiacerebbero solo alle
disposizioni del codice civile.
        2.  -  Limiti  all'intervento regolamentare statale derivanti
dal  nuovo Titolo V della Costituzione e violazione degli artt. 117 e
118  della Costituzione. Illegittimita' del citato art. 11, comma 14,
per  violazione  dei principi costituzionali in materia di riserva di
legge,  atteso  che  l'emanazione  dell'impugnato regolamento sarebbe
costituzionalmente  legittima  solo riconducendo la fattispecie nella
materia  dell'"ordinamento  civile", che rientra tra quelle riservate
allo  Stato,  ai  sensi  dell'art. 117  della  Costituzione;  da tale
premessa discenderebbe l'illegittimita' delle prescrizioni vincolanti
dettate dal decreto ministeriale n. 217 del 2002.
    In  via  subordinata,  si  evidenzia  che  l'art. 11,  comma  14,
epigrafato  risulterebbe  costituzionalmente  illegittimo  in  quanto
prevederebbe  l'intervento  di  una  fonte  secondaria in una materia
interamente riservata alla legge primaria.
        3.   -   Violazione   degli  artt. 2,  18,  41  e  118  della
Costituzione  in relazione alla determinazione dei settori ammessi ed
all'obbligo   di   svolgere   l'attivita'   esclusivamente  in  essi.
Violazione  dei  principi in materia di delegificazione. Incompetenza
del   Ministero   dell'Economia   e   delle  Finanze.  La  denunciata
illegittimita'   costituzionale   riguarderebbe,   in   primo  luogo,
l'indebita compressione dell'autonomia delle fondazioni, con riguardo
tanto  allo  scopo  quanto  alla  destinazione  del  patrimonio,  che
discenderebbe dalla creazione della categoria dei "settori ammessi" -
tra  i quali comparirebbero alcuni del tutto spuri (prevenzione della
criminalita'  e sicurezza pubblica), in quanto storicamente assegnati
all'organizzazione  pubblica  -  e dalla previsione che i soggetti in
parola  possano operare esclusivamente in essi, per giunta garantendo
-  nel  loro  insieme - l'equilibrata destinazione delle risorse e la
preferenza per i settori di maggior rilevanza sociale.
    Vi    sarebbe,    inoltre,   un'inversione   del   principio   di
sussidiarieta',  sancito  dall'art. 118, comma 4, della Costituzione,
nel   senso   che  sarebbero  le  fondazioni  bancarie  a  sussidiare
l'intervento  pubblico, per giunta in settori tipicamente assegnati a
quest'ultimo.
    Si   configurerebbe,  inoltre,  una  violazione  della  sfera  di
attribuzione  delle regioni, perche' si indicherebbero, fra i settori
ammessi,   alcune   materie  assegnate  alla  competenza  legislativa
concorrente,   sulle   quali  non  sarebbe  possibile  per  lo  Stato
esercitare i conseguenti compiti di vigilanza.
    Doppiamente  illegittima  sarebbe  la  previsione  di  un  potere
regolamentare  di  modifica  dei  settori,  che determinerebbe, da un
lato,  un'instabilita' nell'attivita' di soggetti di diritto privato,
dall'altro,   una  modifica  legislativa  ad  opera  di  un  semplice
regolamento   di  esecuzione,  emanato,  per  giunta,  dal  Ministero
dell'Economia  e  delle Finanze, che non avrebbe potere di vigilanza,
se non in via transitoria.
        4.   -  Illegittimita'  dell'art. 2,  comma  2,  del  decreto
ministeriale  2  agosto  2002,  n. 217,  oltre  che  per  invalidita'
derivata,  per  violazione  dell'art. l0,  del decreto legislativo 17
maggio  1999,  n. 153,  vizio  riferito  alla previsione di un potere
autorizzatorio  dell'Autorita'  di  vigilanza,  qualora la fondazione
intendesse  modificare, anticipatamente, la scelta dei settori in cui
operare.  Si  tratterebbe  di  un  potere  del tutto innominato e non
assimilabile a quello di approvazione delle modifiche statuarie.
    In  secondo  luogo,  risulterebbe illegittima l'imposizione della
conformita' al Regolamento delle delibere che individuano i settori.
        5.  -  Illegittimita'  dell'art. 2,  commi 3 e 4, del citato
decreto  ministeriale  n. 217  del  2002,  oltre  che per invalidita'
derivata,  per  violazione dell'art. 8, comma 1, lett. e), del citato
decreto  legislativo n. 153 del 1999 e per violazione dei principi di
legalita',  di  competenza  e  di  proporzionalita',  atteso  che non
sarebbe  piu' possibile procedere ad operare riserve facoltative, che
la  legge  primaria  pure  consente.  Risulterebbe, altresi', viziata
l'attribuzione all'Autorita' di vigilanza della facolta' di segnalare
i  settori  verso  i quali orientare la (complessiva) attivita' delle
fondazioni,  in  quanto,  oltre  a  non  avere un autonomo fondamento
legislativo,  esso  sarebbe espressione di un insussistente potere di
indirizzo, per giunta rivolto indistintamente a tutti i destinatari.
        6.  -  Illegittimita'  dell'art. 3,  commi  2 e 4, del citato
decreto  ministeriale  n. 217  del  2002,  oltre  che per invalidita'
derivata,  per violazione degli artt. 2 e 18 della Costituzione e per
violazione  dei principi di legalita' e di autonomia delle fondazioni
di  origine  bancaria.  I  vizi  sono  riferiti alle disposizioni che
regolano la composizione dell'organo di indirizzo.
    In primo luogo, sarebbe illegittima la previsione che gli statuti
provvedano a distribuire il potere di designazione dei membri in modo
da  "riflettere  il  territorio",  assicurando  la  presenza  di  una
pluralita'   di   designanti   che  garantiscano  l'equilibrio  della
composizione dell'organo.
    Inoltre,   del  tutto  ingiustificati  sarebbero  il  divieto  di
cooptazione  e la richiesta di una rosa di nomi agli enti designanti.
Infine,  lo  statuto della fondazione cesserebbe di essere un atto di
autodeterminazione,  per  divenire mero atto di recepimento di scelte
fatte  altrove,  ed  il  potere  di  approvazione  dell'Autorita'  di
vigilanza  diverrebbe,  in realta', atto di esercizio di una potesta'
di tutela.
        7.   -   Illegittimita'   dell'art. 5   del   citato  decreto
ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per
eccesso  di potere per irragionevolezza, per violazione del principio
di  proporzionalita'  per  violazione  di legge. Si censura, in primo
luogo, la logicita' delle disposizioni in materia di incompatibilita'
dei  componenti  degli  organi delle fondazioni con lo svolgimento di
analoghe  funzioni  presso (non solo la banca conferitaria, ma anche)
altre   societa'   operanti   nel  settore  bancario,  finanziario  e
assicurativo  e,  segnatamente,  della  norma  primaria,  della quale
quella  secondaria costituisce una trasposizione, con un'aggiunta che
definisce le societa' di limitato rilievo economico o patrimoniale.
    Si  denuncia,  inoltre, l'oscurita' della previsione legislativa,
la   quale   impone,   tanto  ai  soggetti  titolari  del  potere  di
designazione quanto agli stessi designati, di non essere portatori di
interessi   riferibili   ai   destinatari   degli   interventi  delle
fondazioni.    Il   vizio   sarebbe   aggravato   dalla   disiciplina
regolamentare, che, oltre a presentare aspetti di contraddittorieta',
non  tipizzerebbe  sufficientemente le ipotesi di possibili contrasti
di interesse, sicche' sarebbe stato molto piu' ragionevole ricorrere,
caso  per  caso,  ai principi generali che disciplinano tali forme di
conflitto.
    Infine,   il   rinvio   agli   Atti  di  indirizzo  in  punto  di
incompatibilita'   sarebbe  viziato,  stante  l'insussistenza  di  un
siffatto  potere  di  indirizzo  in  capo all'Autorita' di vigilanza,
secondo  quanto  gia'  rilevato da questo Tribunale nell'ordinanza di
rimessione alla Corte Costituzionale n. 1196 del 2002.
        8.   -   Illegittimita'   dell'art. 6   del   citato  decreto
ministeriale  n. 217 del 2002, per violazione di legge, irragionevole
compressione  dell'autonomia  della  fondazione  e  incompetenza  del
Ministero   dell'economia  e  delle  finanze,  risultando  quantomeno
inutile  la disposizione in tema di destinazione del patrimonio delle
fondazioni.
    Sicuramente  illegittima sarebbe l'introduzione, fra le finalita'
da perseguire obbligatoriamente, dello "sviluppo del territorio", che
non rientrerebbe fra quelle proprie di tali persone giuridiche.
        9.   -   Illegittimita'   dell'art. 7   del   citato  decreto
ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per
violazione   del  principio  di  legalita'.  Eccesso  di  potere  per
irragionevolezza  e per violazione del principio di proporzionalita',
vizi  riferiti  alle  norme  -  primarie e secondarie - in materia di
partecipazioni   bancarie   di  controllo.  Si  denuncia,  anzitutto,
l'indeterminatezza  dell'art. 11,  comma  10,  della legge n. 448 del
2001, che comporterebbe un amplissimo potere discrezionale in sede di
concreto accertamento delle singole fattispecie.
    Il  decreto  ministeriale  n. 217 del 2002 sarebbe censurabile ex
se:
        a) laddove configura una forma di controllo anche nel caso in
cui fra le fondazioni - titolari di partecipazioni in una banca - non
vi sia alcun accordo;
        b)  allorche' amplia le ipotesi richiamando gli artt. 22 e 23
del  T.U.  bancario,  mancando  tale previsione di una base normativa
primaria;
        c)  quando  attribuisce  alla  Banca  d'Italia  il  potere di
individuare le situazioni di controllo riconducibili alle fondazioni,
potere  che,  oltre  a risultare praeter legem, sarebbe assolutamente
indeterminato.
        10.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 25 del citato
decreto  legislativo  n. 153  del 1999, per violazione degli artt. 2,
18,  41,  42 e 76 della Costituzione, nonche' delle norme comunitarie
in   materia   di   liberta'  di  circolazione  dei  capitali  e,  in
particolare,  dell'art. 73  b),  n. 1  del  Trattato.  Illegittimita'
dell'art. 8  del  citato  decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre
che   per   invalidita'   derivata,   per   eccesso   di  potere  per
irragionevolezza   e  sviamento.  Si  censura,  in  primo  luogo,  la
disposizione  regolamentare  che  fissa al 15 giugno 2003 la scadenza
del  termine  per  la  dismissione  della partecipazione di controllo
nella societa' bancaria conferitaria, tenuto conto dell'obbligo delle
fondazioni  di adeguare gli statuti alle disposizioni del Regolamento
impugnato,  della  necessita' di rinnovare le cariche sociali e della
ridotta capacita' di agire degli organi in prorogatio.
    Ci  si  rivolge,  inoltre, alla normativa primaria, sostenendo il
difetto  di delega, atteso che la legge 23 dicembre 1998, n. 461, non
avrebbe  previsto tale obbligo di dismissione. Si denuncia, altresi',
l'indebita   compressione  della  sfera  di  autonomia  statutaria  e
gestionale  di  soggetti  divenuti oramai a tutti gli effetti persone
giuridiche  di  diritto  privato. Per converso, non vi sarebbe alcuna
utilita' pubblica alla base di tale previsione.
    L'art. 11,  della  legge  n. 448  del 2001, riducendo di due anni
l'originario termine di sei anni previsto per la suddetta operazione,
risulterebbe  illogico  e  in  contrasto con il legittimo affidamento
delle   fondazioni,   chiamate   a   concludere  un'operazione  cosi'
impegnativa.
        11  - Illegittimita' dell'art. 8, comma 5, del citato decreto
ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per
eccesso   di   potere   per  irragionevolezza  e  per  disparita'  di
trattamento.  Violazione  di  legge  e  natura  discriminatoria della
misura   in   contrasto   con  i  principi  del  diritto  comunitario
imponendosi  alle  fondazioni non associative, qual'e' la ricorrente,
il rispetto dei principi comunitari in materia di appalti pubblici di
servizi  per  l'individuare  della societa' di gestione del risparmio
(s.g.r.),  cui affidare la partecipazione di controllo della societa'
bancaria     conferitaria.     Tale     previsione     determinerebbe
un'inammissibile  disparita'  di trattamento rispetto alle fondazioni
associative,  alle  quali  sarebbe  prescritta la sola osservanza dei
principi  di  pubblicita'  e di parita' concorrenziale. In ogni caso,
risulterebbe  irrilevante  la  presenza  nell'organo  di indirizzo di
membri  designati  dagli enti di cui all'art. 114 della Costituzione,
che   non  costituirebbero  rappresentanti  in  senso  proprio  degli
interessi di questi ultimi.
    La   disciplina   ad   evidenza  pubblica  risulterebbe  comunque
inapplicabile,   in   quanto  la  s.g.r.  sarebbe  un'invenzione  del
legislatore  italiano e, percio', non avrebbe equivalenti negli altri
Stati  europei;  in  ogni  caso,  la  sua operativita' presupporrebbe
l'emanazione  di  un  apposito regolamento, in mancanza del quale non
sarebbe  possibile  procedere  all'affidamento rispettando il termine
del 15 giugno 2003.
        12.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma l4,
della  citata legge n. 448 del 2001, per violazione degli artt. 2, 18
e 41 della Costituzione. Illegittiniita' dell'art. 9, commi 3, 4 e 6,
del  citato  decreto  ministeriale  n. 217  del  2002,  oltre che per
invalidita'  derivata,  per  violazione  di legge, eccesso di potere,
violazione   del  principio  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'.
Illegittimita'   del   medesimo   art. 9,  comma  8,  oltre  che  per
invalidita'  derivata,  per  eccesso  di  potere  per  illogicita' e,
contraddittorieta'  riferita alla necessaria decadenza degli organi a
seguito della revisione dello statuto e alla possibilita' di porre in
essere  i  soli atti di ordinaria amministrazione nelle more di detta
revisione.
    La  prima misura, oltre ad esporre la fondazione ad un periodo di
instabilita', del tutto ingiustificato, lederebbe anche l'aspettativa
dei componenti degli organi che pure avrebbero titolo a continuare il
loro mandato fino alla sua naturale scadenza.
    Parimenti,   i  limiti  operativi  introdotti  non  avrebbero  un
adeguato  fondamento logico, determinando effetti pregiudizievoli per
un  periodo  di tempo che potrebbe rivelarsi anche lungo. Inoltre, la
nozione  di  ordinaria  amministrazione,  gia'  di  per  se' vaga, lo
sarebbe  ancor  di piu' nella specie, in presenza di una terminologia
quantomai  oscura,  che  costringerebbe  l'interprete ad una faticosa
attivita'   ermeneutica   (in   tal   senso,  parte  ricorrente  cita
l'espressione  "progetti  di  erogazione  gia'  approvati nelle linee
fondamentali").
    Parte   ricorrente  ha  notificato  motivi  aggiunti,  diretti  a
sindacare  la  nota  ministeriale,  indicata  in epigrafe, contenente
indicazioni  ai  fini  della  redazione  del  documento  previsionale
relativo all'esercizio 2003.
    Su  tali  motivi  -  che  non  implicano  l'esame di questioni di
costituzionalita' - il Collegio decide con separata sentenza.
    Si  e'  costituito in giudizio il Ministero dell'Economia e delle
Finanze,  il  quale, nella memoria difensiva, controdeduce ai singoli
motivi di doglianza.

                            D i r i t t o

    1.  -  Viene  all'esame  del  Tribunale  il  decreto del Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  2  agosto 2002, n. 217, recante il
regolamento  previsto  dall'art. 11,  della  legge  28 dicembre 2001,
n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie.
    Avverso tale provvedimento vengono mossi numerosi rilievi, alcuni
dei  quali  investono  la  legittimita'  costituzionale  della  fonte
attributiva del potere regolamentare.
    Occorre,  innanzi  tutto,  individuare  la natura giuridica delle
fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e
che  costituisce  la  risultante  dell'evoluzione normativa, che, nel
corso  di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di
separazione  delle  stesse  dalle  banche  ex pubbliche conferitarie,
processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante
la privatizzazione dell'intero settore creditizio.
    Punto   di   partenza   di  tale  evoluzione  e'  la  legge  c.d.
Amato-Carli,  30  luglio  1990,  n. 218,  ed  il  conseguente decreto
legislativo,  20  novembre  1990,  n. 356.  Quest'ultimo  contiene le
"disposizioni  per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo
creditizio"  e,  in  particolare,  al  Titolo III, reca la disciplina
degli  "Enti  pubblici  conferenti",  attribuendo  ad  essi una piena
capacita' di diritto pubblico e di diritto privato ed assoggettandoli
alle  disposizioni  legislative  appositamente  varate e a quelle dei
loro rispettivi statuti.
    La  prospettiva  muta  profondamente con la legge c.d. Ciampi, 23
dicembre  1998,  n. 461,  che  conferisce la delega al Governo per il
riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti.
    L'art. 2,  comma  1,  lett.  l),  in particolare, impone a questi
ultimi  di  adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando
decreto  legislativo,  stabilendo,  altresi', che "con l'approvazione
delle  relative  modifiche  statutarie  gli  enti  diventano  persone
giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale".
    Risulta    cosi'    evidente   l'opzione   legislativa   generale
dell'affidamento  della  materia delle fondazioni bancarie al diritto
privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul
Regolamento  in  esame,  nell'adunanza  del  1 luglio 2002, che ne ha
altresi'  individuato  la  ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto
meno  morale,  del  patrimonio  accumulato nel corso di decenni dalle
banche  pubbliche  alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e
dei beneficiari del credito.
    Assume  rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia
di  detti  enti,  garantito  dal  citato art. 2, comma 1, lett. l), e
riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria),
quanto  a  quello  di  svolgere  la  propria  attivita' istituzionale
(autonomia  gestionale).  I  limiti  di  tale  liberta'  sono  quelli
tassativamente  imposti  dalla  legge,  in  perfetta  coerenza con la
circostanza  che  le  fondazioni  bancarie  sono  il  prodotto di una
precisa   scelta   del   Parlamento,   chiamato,  percio'  stesso,  a
predisporre  una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e
del  corretto  perseguimento  dei  fini  istituzionali.  All'uopo, il
medesimo  art. 2,  ha  fissato  i  principi  e i criteri direttivi al
Legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna
e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e'
stato  di  prevedere  un  regime peculiare, che si discosta da quello
dettato  dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche
quest'ultimo   sottopone  le  "ordinarie"  fondazioni  ad  un'attenta
vigilanza,  preordinata  a  garantire  il  perseguimento  dello scopo
indicato dal fondatore.
    La  precedente  esposizione consente di chiarire l'esatta portata
del  carattere  di  "specialita'"  dei  soggetti  in  parola, che non
riguarda  la  loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus
fra  gli  enti  pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene,
piuttosto,  alla  disciplina  cui  i  medesimi  sono sottoposti, che,
rispetto  a  quella  codicistica,  si  pone,  appunto, in rapporto di
species   ad   genus,   con  tutte  le  conseguenze  ermeneutiche  ed
applicative che ne discendono.
    Il  decreto delegato 17 maggio 1999 n. 153 si pone nella medesima
prospettiva,  esordendo con una definizione delle fondazioni bancarie
in tutto identica a quella della legge di delega.
    Analoga  conferma  viene  dall'art. 11, della citata legge n. 448
del 2001, che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per
il   resto,   l'impianto  legislativo  precedente  in  maniera  cosi'
penetrante  da avvertire la necessita' di attribuire all'Autorita' di
vigilanza   il   potere   regolamentare   di   coordinamento  con  le
disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999.
    La  prospettiva  non  cambia neppure con la legge 15 giugno 2002,
n. 112,  che,  convertendo  il  decreto-legge  15 aprile 2002, n. 63,
aggiunge  un  ulteriore  periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente
sostenersi  che l'ulteriore intervento normativo non ha alcun effetto
novativo della disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata:
        a)   dalla  lettera  dell'art. 5  citato.  Esso  puo'  essere
scomposto  in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e'
destinato a produrre:
          vi  e',  anzitutto, una conferma della precedente normativa
adottata,   espressa  dalla  proposizione  di  apertura  del  periodo
aggiunto:  "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del
1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999...";
          segue  una precisazione in merito alla natura giuridica dei
soggetti  in  parola,  che,  per  dirla anche qui con il Consiglio di
Stato,   rende  esplicita  l'esistenza  di  un  "regime  privatistico
speciale"  che  li  caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione
del  loro  regime  giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle
delle   altre  fondazioni,  in  quanto  ordinato  per  legge  ..."  -
costituisce,  peraltro,  la  migliore conferma della gia' evidenziata
portata  del  carattere  di specialita' impresso dal legislatore alle
fondazioni  bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla
successiva  elencazione,  che  si  limita  a  richiamare  i caratteri
salienti   della   disciplina   legislativa   precedentemente  varata
(riguardanti  il  modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e
la  gestione  del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri
applicativi della normativa che riguarda detti soggetti);
          si  stabilisce,  infine,  che  "la  disposizione  di cui al
precedente  periodo  cotituisce  norma  di  interpretazione autentica
della  legge  23  dicembre 1998, n. 461, e del decreto legislativo 17
maggio   1999,   n. 153".   Basta   in  proposito  osservare  che  la
giurisprudenza,  costituzionale  (cfr. Corte cost., 23 novembre 1994,
n. 397)  ed  amministrativa (cfr. Cons. Stato, V Sez., 2 luglio 2002,
n. 3612),   afferma  costantemente  che  la  norma  legislativa  puo'
qualificarsi     interpretativa     e,    quindi,    retroattiva    e
costituzionalmente  legittima  solo  quando  si  limita a chiarire la
portata  applicativa  di  una disposizione precedente, non integra il
precetto  di  quest'ultima  e  non  adotta un'opzione ermeneutica non
desumibile  dall'ordinaria  attivita'  di  esegesi della stessa: tale
risulta essere la norma in esame;
        b)  dalla  ratio  e  dall'occasio  legis.  Emerge  dai lavori
parlamentari  che  il  periodo aggiunto all'art. 5, del decerto-legge
n. 63 del 2002 (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari
iniziali a seguito di condanna per aiuti di Stato") ha la funzione di
"esplicitare agli organi della comunita' europea le motivazioni della
particolarita'  del  regime  fiscale delle fondazioni, precisando che
non  si  tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione
del  relatore  dell'emendamento,  on. Alfano,  resa  alle Commissioni
parlamentari V e VI riunite).
    Lo  Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione
della  Commissione  CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata
giudicata  incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione,
di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del
1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le
fusioni  fra  le  banche.  La  soluzione  accolta  e' stata quella di
sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo
introdotto  per  le  fondazioni bancarie, in considerazione del fatto
che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale
o  di  impresa;  pertanto,  le  provvidenze  fiscali previste in loro
favore  non  sarebbero  suscettibili di produrre effetti perturbativi
del mercato.
    Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo,
appena   delineato,   non   apporta   alcuna  variazione  sostanziale
l'art. 80,  comma 20, della legge 28 dicembre 2002, n. 289, che, alla
lett.   a),   disciplina   un   aspetto   peculiare,   in   punto  di
incompatibilita'  degli  organi  delle  fondazioni  bancarie, e, alla
lett.  b),  si  limita  ad  una  proroga  del  periodo  riservato per
l'operazione  di  dismissione  della  partecipazione  nella  Societa'
bancaria conferitaria.
    Le  conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e
di  affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello
evidenziato,  il  riconoscimento  della "piena autonomia statutaria e
gestionale"   delle  fondazioni  bancarie  assume  il  valore  di  un
principio  guida  sia per l'interpretazione che per la valutazione di
legittimita',   sub  specie  della  compatibilita'  con  esso,  delle
disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153
del  1999,  pur  dopo le modificazioni introdotte dall'art. 11, della
legge n. 448 del 2001.
    Piu'   specificamente,  l'affermazione  della  "piena"  autonomia
statutaria  garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria
"costituzione",  che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben
puo'   conformare  l'esercizio  di  tale  potere,  per  garantire  il
perseguimento  degli  interessi  di  rilevanza  sociale  propri delle
fondazioni  (e  non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a
comprimerlo  fino  ad  annullarlo,  in  toto o per specifici aspetti,
tradendo  il  carattere  peculiare che essa stessa ha impresso a tali
soggetti.
    Analogamente,   l'affermazione   dell'autonomia   gestionale   e'
destinata   ad   assicurare   il   libero  esplicarsi  dell'attivita'
istituzionale  dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici
e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'.
    Il  problema  e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare
se  sia  stato  superato  il  "grado di compressione che e' possibile
imprimere  all'autonomia privata ... senza che cio' si traduca in uno
stravolgimento  della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale,
che  la  Carta Costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le
modifiche introdotte dagli articoli 117 e 118, Cost.". L'espressione,
mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente
anche  di  replicare  all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di
parte  resistente,  che  ha  negato la configurazione di un possibile
vizio   di   costituzionalita'   nella   scelta  del  legislatore  di
discostarsi dal modello privatistico della fondazione.
    2.  - Puo', a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi
di  ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto,
possono essere suddivisi in due tipologie:
        a)   censure  che,  pur  rivolte  nei  confronti  di  singole
disposizioni     regolamentari,    non    possono    essere    decise
indipendentemente    dalla    risoluzione    delle    questioni    di
costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie;
        b)  doglianze  che hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il
decreto  ministeriale  2  agosto  2002,  n. 217, nessuna delle quali,
pero',  suscettibile  di  produrre  l'integrale  effetto annullatorio
dell'atto  impugnato:  il  che  renderebbe  irrilevante  qualsivoglia
questione di costituzionalita'.
    Quest'ultima  precisazione  consente  al  Collegio  di fissare il
proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi.
    La  prima  riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di
costituzionalita'  sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte
alle  norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per
accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse.
    La  seconda,  da  rinviarsi  all'esito  dell'esame  che andra' ad
effettuare  la  Corte  costituzionale,  che  ha  ad  oggetto  sia  le
disposizioni   attuative   strettamente   consequenziali  all'assetto
normativo  primario, sia quelle indicate alla precedente lett. b), in
considerazione   del   fatto  che,  come  risultera'  evidente  dalla
successiva  trattazione,  i  dubbi  di costituzionalita', insorti nel
Collegio,  assumono  un  importanza  preponderante per quantita', ma,
soprattutto,  per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa
introdotta  nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il
pronunciamento   della   Corte   costituzionale   sulla  legittimita'
dell'assetto  normativo  primario, per una piu' compiuta ed esaustiva
disamina del complessivo testo regolamentare.
    Fatta tale premessa, puo' passarsi all'esame dei primi due motivi
di  ricorso,  che si prestano ad una trattazione congiunta, in quanto
tendono  entrambi  ad  affermare la radicale insussistenza del potere
normativo,  di  rango  secondario,  esercitato  nella specie, siccome
incidente su materia riservata a fonte di rango legislativo.
    La    Fondazione   ricorrente,   facendo   leva   sulla   natura,
tradizionalmente privatistica, delle fondazioni bancarie, afferma, in
primo  luogo,  che  queste  ultime  non tollererebbero una disciplina
eteronoma,   di   rango   regolamentare,  che,  per  il  suo  tenore,
limiterebbe inammissibilmente l'autonomia delle persone giuridiche in
parola,  accentuando  tratti  pubblicistici  che  sarebbero del tutto
estranei a queste ultime.
    La  conferma  di  tale conclusione verrebbe dal fondamento stesso
del   potere   normativo   esercitato,  che,  nella  specie,  sarebbe
rinvenibile  solo  se  limitato all'ambito dell'"ordinamento civile",
trattandosi   di   materia,   appunto,   riservata   dall'ordinamento
costituzionale  all'esclusiva  sfera  di attribuzione dello Stato (in
tal  senso sono le conclusioni anche del Consiglio di Stato). In caso
contrario,   il   decreto   ministerriale  n. 217  del  2002  sarebbe
illegittimo per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Preliminarmente deve osservarsi che parte ricorrente non affronta
specifici   aspetti   della   normativa   regolamentare   introdotta,
rinviandone  la  trattazione  ai  successivi  motivi di doglianza. Il
Collegio e', pertanto, chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza - in
astratto - del potere esercitato nella specie.
    La  doglianza  e'  manifestamente infondata, tenendo conto, da un
lato  del  contenuto dell'art. 11, commi 1-13, della legge n. 448 del
2001  e,  dall'altro, dello spazio che il successivo comma 14 riserva
alla potesta' regolamentare.
    In  merito  al  primo,  deve osservarsi che, nelle intenzioni del
legislatore  (sia  del  1999  che del 2001), e' la legge primaria - e
solo  essa  -  a  dettare la disciplina, civilistica e fiscale, delle
fondazioni  bancarie,  tant'e'  che  il  medesimo  art. 11, comma 14,
stabilisce,  al secondo periodo, che "Le fondazioni adeguano i propri
statuti alle disposizioni del presente articolo...".
    Al regolamento viene riservato, per converso, l'esclusivo compito
di  dettare le disposizioni attuative della normativa primaria, anche
al fine di coordinarle con quelle originariamente varate nel 1999.
    Mutuando  le  espressioni  utilizzate  dal Consiglio di Stato nel
gia' citato parere, tale opzione legislativa implica che lo strumento
regolamentare prescelto non ha portata espansiva, rispetto al dettato
legislativo,  tale  da  potere  incidere  su una disciplina di natura
civilistica  e,  quindi,  in  ultima  istanza,  sul  regime  di piena
autonomia  statutariaria  delle  fondazioni  bancarie, che, pertanto,
rimane  quello  delineato  dal  decreto  legislativo  n. 153 del 1999
(nella  versione  piu'  aggiornata), che, contemporaneamente, si pone
altresi'  come  l'(invalicabile)  quadro  di  riferimento  del potere
regolamentare.
    I principi innanzi riassunti portano, da un lato, ad affermare la
sussistenza,  in  astratto,  del  potere  normativo  esercitato nella
specie,   dall'altro   a   concentrare   l'attenzione  sulle  singole
disposizioni,  di  cui  si compone il decreto ministeriale n. 217 del
2002   impugnato,   per  verificare,  in  concreto,  se  siano  stati
rispettati i limiti imposti dal legislatore, a detto potere.
    3.  -  Il  terzo motivo di ricorso, pur rivolto avverso l'art. 2,
del  decreto  ministeriale  n. 217  del  2002,  denuncia, in realta',
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 11, commi 1, 2 e 3, della
legge  n. 448  del 2001, del quale la norma regolamentare costituisce
la fedele applicazione.
    L'attenzione  si  appunta,  in  particolare, sull'obbligo imposto
alle  fondazioni  di  svolgere  la  loro attivita' esclusivamente nei
"settori  ammessi", prescegliendo, nell'ambito di quelli creati dalla
legge,  un  massimo  di  tre  settori  che, percio' stesso, diventano
"rilevanti".  Non  risulterebbe  risolutore il correttivo - frutto di
una sollecitazione in tal senso del Consiglio di Stato - che consente
di  effettuare  la  scelta  senza  tener conto della suddivisione dei
settori   ammessi  nelle  quattro  categorie  generali,  operata  dal
legislatore del 2001.
    Parte   ricorrente   sostiene   che   tale  previsione  normativa
comporterebbe l'indebita compressione dell'autonomia statutaria, alla
quale  sarebbe  rimessa, in via esclusiva, la facolta' di individuare
il proprio raggio di azione.
    Il  vizio  sarebbe  aggravato  da  un'individuazione  dei settori
ammessi  del  tutto  casuale  o,  quanto  meno,  avulsa dalla realta'
storica  delle  fondazioni,  alle quali verrebbe assegnata la cura di
interessi  (per  tutti:  prevenzione  della  criminalita' e sicurezza
pubblica)    da   sempre   appannaggio   esclusivo   della   pubblica
amministrazione.  Un'ulteriore  prova in tal senso sarebbe il recente
ampliamento  dell'elenco con il riferimento ai compiti attinenti alla
realizzazione  di beni pubblici e di pubblica utilita', operato dalla
legge 1 agosto 2002, n. 166.
    In  via preliminare, va affermata la rilevanza della questione di
costituzionalita'  sollevata,  atteso  che  l'art. 2  del Regolamento
impugnato  riproduce fedelmente il dettato legislativo, e, proprio in
ragione  di  tale identita', non puo' che subire la sorte della norma
legislativa che riproduce.
    Nel  merito,  la  prospettazione  di  parte ricorrente non appare
manifestamente infondata.
    La contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede:
        a) l'introduzione di numerosi "settori ammessi", partitamente
elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1);
        b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli -
tra  gli  ammessi  - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in
numero non superiore a tre (comma 2);
        c)   la   destinazione   dell'attivita'   di   queste  ultime
esclusivamente  nei  settori  ammessi e, in via prevalente, in quelli
rilevanti (comma 3).
    Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al
decreto  legislativo  n. 153  del  1999:  l'art. 2,  comma  2,  nella
versione   originaria,   riconosceva   agli   statuti  il  potere  di
individuare   i  settori  nei  quali  indirizzare  l'attivita'  delle
fondazioni e di stabilire l'entita' degli interventi da effettuare in
ciascuno   di  essi;  l'unica  limitazione  riguardava  l'obbligo  di
assicurare  la  cura  di  almeno  uno dei settori rilevanti, indicati
dall'art. 2,   lett.   e),  della  legge  n. 461  del  1998  (ricerca
scientifica,  istruzione,  arte,  conservazione  e valorizzazione dei
beni  culturali  e  ambientali,  sanita'  e assistenza alle categorie
sociali deboli). Tale compressione dell'autonomia statutaria - per la
sua portata - non determinava lo snaturamento dei soggetti in parola,
in  quanto  era  giustificata  dall'esigenza di garantire la cura dei
(pochi) settori rilevanti individuati, appartenenti, per giunta, alla
tradizionale   sfera   di  operativita'  delle  fondazioni  bancarie,
ponendosi  cosi  come  una  forma  di  necessario  bilanciamento - in
funzione della salvaguardia di interessi collettivi - dell'amplissima
autonomia attribuita ai soggetti in parola.
    Infine,  nell'originaria  versione del decreto legislativo n. 153
del  1999  non  era  imposto  alcun  raccordo  con  il  territorio di
riferimento,  ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle
fondazioni bancarie nel loro insieme.
    L'assetto  dato  dall'art. 11,  piu'  volte  citato,  fa  sorgere
fondati  dubbi  in  merito  alla  sua  compatibilita' con l'affermata
"piena"  autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il
comprimere,  in  maniera  eccessiva,  i due elementi peculiari di cui
essa  si  connota: lo scopo e l'utilizzo del patrimonio della persona
giuridica.
    Tali effetti sono indotti:
        a)  dall'obbligo  di  operare  "esclusivamente"  nei  settori
ammessi,  che  preclude  la  possibilita'  di  scelta  di  ambiti  di
attivita',   che,   pur   se   non  contemplati  nell'elenco  di  cui
all'art. 11,    comma    1,   si   ascrivano   comunque   in   quelli
tradizionalmente   propri  delle  fondazioni  bancarie  o  rivestano,
comunque, una rilevanza sociale.
    Tale   conclusione  non  e'  inficiata  dall'obiezione  di  parte
resistente  che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza
degli  stessi  all'attivita'  istituzionale delle fondazioni bancarie
non   consentirebbero   di   configurare   una   rilevante  incidenza
sull'autonomia di queste ultime.
    Deve  osservarsi,  intanto,  che  la  questione  va correttamente
impostata  in  termini  di  principio  e  che,  pertanto,  essa  deve
riguardare   la   legittimita',   in   astratto,   delle  limitazioni
introdotte.
    Peraltro,     pur     volendo     seguire     il     ragionamento
dell'amministrazione,   deve  comunque  rilevarsi  che  l'elencazione
legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti
soggetti:  lo  dimostrano,  da  un  lato, lo stesso art. 11, comma 1,
ultimo   periodo,  il  quale  avverte  la  necessita'  di  attribuire
all'Autorita'  di vigilanza il potere di modificare con regolamento i
settori    ammessi,   in   una   visione,   evidentemente,   dinamica
dell'attivita'  complessiva  da  riservare  alle fondazioni bancarie;
dall'altro,  l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge
n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima.
    La  suddetta  delimitazione,  spinta  fino al punto da elidere un
autonomo  potere  di  scelta  dei  soggetti in parola, si giustifica,
quindi,  solo  se  la  si  considera  come  una  manifestazione della
volonta'  di  sottoporre  questi  ultimi,  nel  loro  insieme,  ad un
penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che
risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e
3,   dell'art. 11,   della   legge   n. 448  del  2001,  che  seguono
immediatamente;
        b)  dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre
settori   di  attivita',  che  divengono  percio'  "rilevanti".  Tale
carattere   comporta  che  le  fondazioni  operino  in  essi  in  via
prevalente,   assicurando,   singolarmente   e   nel   loro  insieme,
l'equilibrata  destinazione  delle  proprie  risorse,  dando altresi'
preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale.
    La   prima   osservazione   critica,  che  ricalca  il  vizio  di
legittimita'  gia'  esposto  alla  precedente  lett. a), consiste nel
fatto  che  le  fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i
settori  rilevanti  nell'ambito  di  quelli  tassativamente ammessi",
sicche',  anche  a  tal  proposito,  esse sono costrette ad agire nel
solco  tracciato  in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente
un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente.
Altro  e',  insomma,  il poter operare in piu' settori, purche' lo si
faccia  anche  in  uno  di  quelli indicati dal legislatore, come era
previsto  in  passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare
nell'ambito   di   settori  -  non  importa  se  numerosi  -  imposti
dall'esterno.
    La   seconda   riguarda  la  limitazione  numerica  imposta,  non
riscontrandosi   alcun   interesse   collettivo  che  giustifichi  la
compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre.
    I  vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla
stregua  delle  conseguenze  che  la  scelta  triennale  dei  settori
comporta:  l'insorgenza  dell'obbligo di destinare ad essi la maggior
parte   delle  risorse  impiegabili  e  di  garantirne  l'equilibrata
distribuzione,   dando  altresi'  preferenza  a  quelli  di  maggiore
rilevanza sociale.
    L'intenzione  del  legislatore  del 2001, a questo punto, risulta
chiara:   creare   un'interdipendenza   fra  i  soggetti  in  parola,
convogliando   e   coordinando   in   una   prospettiva  unitaria  le
potenzialita' espresse da ciascuno di essi.
    Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista
per   la   scelta   dei   settori   rilevanti,  quanto  l'imposizione
dell'obbligo  -  perche'  tale  esso deve configurarsi, a meno di non
volere  depotenziare  la  portata  di  una disposizione di legge - di
garantire   il   raggiungimento   del   risultato   complessivo   che
l'ordinamento si aspetta da detti soggetti.
    Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma
dell'art. 11, della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente
con  il  disegno  complessivo  delineato: l'esposizione, da parte del
Ministro dell'economia e delle finanze, nella Relazione revisionale e
programmatica, dell'ammontare delle risorse complessivamente attivate
nei   settori   ammessi,   ai   fini  degli  stanziamenti  nei  fondi
investimenti di cui all'art. 46 della legge citata.
    Prima   di   trarre   le  conclusioni  in  merito  al  dubbio  di
legittimita'   costituzionale  dell'assetto  appena  descritto,  puo'
agevolmente affermarsi che la questione sollevata da parte ricorrente
e' rilevante per definire il giudizio in corso.
    La  previsione legislativa, della quale ci si occupa e', infatti,
immediatamente  precettiva,  per  quel  che  riguarda  le  scelte  da
effettuare  da  parte  delle fondazioni bancarie (e la nota impugnata
con  i  motivi  aggiunti  ne costituisce la prova migliore); inoltre,
essa   costituisce   il   fondamento   del   potere  di  segnalazione
dell'Autorita'  di  vigilanza,  contemplato dall'art. 2, comma 4, del
Regolamento,  il  cui scopo e' di orientare l'azione dei destinatari,
atteso che, senza un intervento eteronomo, non risulterebbe possibile
quella  attivita'  di  concertazione  che  pure  l'art. 11,  comma 3,
espressamente impone.
    Non  puo'  negarsi,  inoltre,  conformemente ai principi espressi
dalla  giurisprudenza  amministrativa, anche di questa Sezione (cfr.,
in  tal  senso,  per tutte, l'ordinanza di rimessione del 10 novembre
1997,   n. 2655,   che   ha   portato   alla   sentenza  della  Corte
Costituzionale 27 novembre 1998, n. 383), che l'interesse primario di
parte ricorrente e' di sentirsi dichiarare la radicale illegittimita'
della  fonte  attributiva  del  potere  - che, nella specie, potrebbe
essere non solo di indirizzo, ma anche sanzionatorio - cosi' da porsi
definitivamente  al  riparo da un possibile riesercizio dello stesso.
Militano,  in  favore  di  questa  tesi,  tanto  ragioni di giustizia
sostanziale,  che  di  economia  processuale, tenuto conto, altresi',
della  delicatezza  e  della  rilevanza degli interessi in gioco, che
postulano    l'eliminazione    di    ogni    possibile    dubbio   di
costituzionalita' della normativa primaria.
    Quanto  ai profili di non manifesta infondatezza, deve osservarsi
che  l'art. 11,  commi  2  e  3,  della legge n. 448 del 2001 ha come
risultato  di  assumere,  nell'ambito  organizzativo  della  pubblica
amministrazione,  persone  giuridiche  private,  pur  dotate di piena
autonomia  statutaria  e gestionale. Pertanto, pur non arrivando alla
conclusione  che queste ultime risultano trasformate in enti pubblici
strumentali,  l'assetto  innanzi  esposto  - per certi versi simile a
quello  dei  concessionari  di  servizi pubblici, descritti pure come
organi   indiretti  della  pubblica  amministrazione  -  si  pone  in
insanabile contrasto con la natura privatistica delle stesse, che, se
non  consente  l'eccessiva  compressione  del  potere  di  scelta dei
settori,  ancor  meno  tollera  il loro inserimento in un ordinamento
sezionale,  orientato al perseguimento di un risultato collettivo che
travalica  l'individualita'  di  ciascuna  di esse, incidendo, in tal
modo,  su una tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e
gestionale.
    Un'ulteriore   considerazione   si   impone   con  riguardo  alla
composizione  dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere
eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto
avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie.
    Se  queste  ultime  fossero completamente libere nella scelta dei
settori  in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla
legge,  esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la
propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore
affinita' con la loro storia.
    La  prospettiva  cambia  se  si  tiene  conto  del gia' descritto
risultato  complessivo  preteso  dall'art. 11,  comma 3, che porta ad
ipotizzare  inevitabili  iniziative  dell'Autorita'  di vigilanza per
indirizzare  la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente,
i soggetti in parola rifuggirebbero.
    La   segnalata   eterogeneita',   in  primo  luogo,  rafforza  il
convincimento  che  il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle
fondazioni   bancarie   una   funzione  servente  dell'organizzazione
pubblica;  inoltre,  l'affidamento,  a  largo  spettro,  di ambiti di
attivita',  avulse  dalla  loro tradizionale sfera operativa, finisce
con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera
significativa,  su  uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui
le  persone  giuridiche  di  diritto privato, sia pur soggette ad una
disciplina speciale, ontologicamente si connotano.
    Da  quanto  esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica
questione  di costituzionalita' dell'art. 11, comma 1, primo periodo,
nella   parte   in  cui  esso  prevede  settori  -  segnatamente  "la
criminalita' e sicurezza pubblica", l'"edilizia popolare locale" e la
"sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto
estranei  alla  tradizionale  sfera  di  attivita'  delle  fondazioni
bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti
ai  pubblici  poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il
potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare
anche  d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti
e  non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici
o di pubblica utilita'", contemplata dall'art. 7, comma 1, lett. aa),
punto   2,   della   legge   1  agosto  2002,  n. 166,  che  modifica
l'art. 37-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109;
        c)  un  ulteriore  aspetto  problematico presenta il comma 1,
dell'art. 11,   ma   e'  preferibile  posporne  la  trattazione  alle
conclusioni  in merito all'assetto legislativo descritto alle lettere
a) e b).
    A  tal proposito, il collegio reputa che non siano manifestamente
infondate  le  seguenti  questioni  di costituzionalita', riguardanti
l'art. 11,  commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001
(oltre  il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002),
per possibile contrasto rispetto:
        1) all'art. 3      della     Costituzione,     sub     specie
dell'irrazionalita' legislativa, che rileva:
          a) come contrasto con il disposto dell'art. 2, comma 1, del
decreto  legislativo  n. 153  del 1999, attribuendo a quest'ultimo il
rango, che gli compete, di norma di principio, cui informare tutta la
normazione di dettaglio;
          b)  come  indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia
privata,  da intendersi, quindi, non come allontanamento, tout court,
dal  modello  codicistico  di  fondazione,  quanto,  piuttosto,  come
"stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale"
(per mutuare l'espressione utilizzata in sede consultiva);
        2) all'art.   18   e   all'art. 2   della  Costituzione,  che
costituisce  l'ulteriore  sviluppo  di  quanto  detto in chiusura del
punto precedente. L'avviso del Collegio e' che le modifiche apportate
dalla  legge  n. 448 del 2001 comportano la sostanziale negazione del
modello  voluto  dal  legislatore solo due anni prima e, soprattutto,
non  espressamente sconfessato, sicche' e' possibile affermare che il
decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni
bancarie  come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non
puo',  percio',  essere  intaccato  quello  che potrebbe definirsi il
"contenuto  minimo",  frutto  della  scelta  innanzi  evidenziata, di
privilegiare  la  genesi  volontaristica di tali soggetti. Risultano,
pertanto,   irragionevolmente   compressi   tanto   il   diritto   di
associazione   dei  cittadini  (art. 18,  Cost.),  quanto  i  diritti
dell'uomo  nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento (art. 2,
Cost.) (sul punto, e' utile richiamare i principi sanciti dalla Corte
costituzionale  nelle  sentenze 18 luglio 1997, n. 248, e 29 dicembre
1993,  n. 500,  quest'ultima  riferita  proprio ai conferimenti degli
enti creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al decreto
delegato  20  novembre  1990,  n. 356,  con particolare attenzione ai
rapporti fra le originarie fondazioni bancarie e la relativa liberta'
statutaria);
        3) all'art. 41  della  Costituzione,  che  tutela l'autonomia
privata,  sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo
a  fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso
la  sovrapposizione  di  una  volonta'  eteronoma  a  quella  propria
dell'ente;
        4) all'art. 117  e all'art. 118, comma 4, della Costituzione,
configurabile  in  relazione  all'assunzione  dei  soggetti in parola
nell'ambito  della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si
realizza,  in  particolare, con il comma 3, dell'art. 11, della legge
n. 448 del 2001.
    Quanto all'art. 118, comma 4, della Costituzione, lo spunto viene
fornito  dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere
sullo  schema del Regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il
mutamento  della  stessa  nozione  di  autonomia  privata,  che, alla
stregua del principio di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla
legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  risulta  oramai orientata al
perseguimento  non  solo di bisogni individuali, ma anche di utilita'
generale,   connotando,   conseguentemente,  un  nuovo  rapporto  fra
pubblico e privato.
    Piu'   specificamente,   il   citato   parere,   riprendendo  una
sollecitazione  proveniente proprio dalla Corte Costituzionale (nella
nota  decisione  7  aprile 1988, n. 396), ha chiarito che "lo Stato e
ogni  altra  autorita'  pubblica  proteggono e realizzano lo sviluppo
della  societa'  civile  partendo  dal  basso,  dal  rispetto e dalla
valorizzazione  delle energie individuali, dal modo in cui coloro che
ne   fanno   parte  liberamente  interpretano  i  bisogni  collettivi
emergenti   dal  sociale":  ed  al  Collegio  appare  particolarmente
significativo    l'uso,   da   parte   della   Corte,   dell'avverbio
"liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma
restando   la  natura  privata  delle  fondazioni  bancarie,  con  le
implicazioni   in   punto   di   intangibilita'  dell'autonomia  gia'
evidenziata,  e'  consentito  al  legislatore introdurre strumenti di
vigilanza  e  di  controllo, che costituiscono la connotazione tipica
del regime privatistico speciale di tali soggetti.
    Dal  discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se
vi  e'  spazio  per  interventi  ab  externo  in  sede  di controllo,
altrettanto  non  puo'  dirsi  per atti di indirizzo e ancor meno per
interventi   di   carattere  dirigistico.  La  ragione  e'  evidente:
l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa
del  privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un
sistema  di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne',
tanto    meno,    sostituire   la   propria   volonta'   (nel   campo
dell'organizzazione,  dell'individuazione  dei  fini e della spendita
del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato,
che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica.
    Non  vi  e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi
dell'art. 11  comportano  una  pervasivita'  dei pubblici poteri, del
tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su
esposti.
    Non  appare  manifestamente  infondato  neppure  il  dubbio della
violazione  dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che
alcuni   dei   settori  indicati  dall'art. 11,  comma  1,  rientrano
nell'ambito  delle  materie  che la norma costituzionale assegna alla
potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile,
la  ricerca  ed  i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva
delle    Regioni    (quali    l'assistenza,   l'edilizia   locale   e
l'agricoltura).
    E allora, nulla quaestio, se la legge statale si limita a normare
il  solo  "ordinamento  civile";  se,  pero',  come  il  Collegio  e'
orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di
sua  esclusiva  spettanza,  emergono  le possibili implicazioni sulla
sfera  di  attribuzioni  delle  regioni,  in  quanto  il  legislatore
finisce,  sostanzialmente,  con  il  disciplinare la singola materia,
riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo,
oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle
finanze,   in  attesa  dell'istituzione  dell'apposita  Autorita'  di
vigilanza;
        d)  residua  un'ultima  questione, relativa alla legittimita'
della   previsione   dell'art. 11,   comma  1,  ultimo  periodo,  che
attribuisce  all'Autorita'  di  vigilanza  il  potere di modificare i
"settori  ammessi"  con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    Due sono i dubbi che tale previsione ingenera nell'interprete.
    Il  primo,  e piu' radicale, riguarda l'introduzione di una forma
di   delegificazione  ad  opera  di  una  fonte  secondaria  di  mera
esecuzione, qual'e' il regolamento contemplato dall'art. 17, comma 1,
citato.  Tale  risultato  non  e' consentito dall'ordinamento, se non
attraverso  i  regolamenti  c.d.  di  delegificazione,  espressamente
contemplati dal comma 2 del medesimo art. 17, che, oltre a presentare
una  ben  diversa  veste  formale, presuppongono che le leggi, che li
autorizzano  ad  innovare  in  deroga al principio di gerarchia delle
fonti,  indichino  le  norme generali regolatrici della materia, che,
nella  specie,  e'  costituita  dal  raggio  di azione riservato alle
fondazioni  bancarie: di tali norme, nella specie, non vi e' traccia,
ne'  formalmente, ne', tanto meno, sostanzialmente, atteso che non le
si   puo'   ricavare   dall'elencazione  dei  settori  ammessi  fatta
dall'art. 11,  comma  1,  in  se'  non particolarmente significativa,
tenuto   conto  anche  della  sua  disomogeneita'.  Ne  discende  che
l'Autorita'  di vigilanza risulta sostanzialmente libera di incidere,
ad  libitum,  sulla  fonte primaria, in spregio al principio, sancito
dall'art. 70   della   Costituzione,  che  riserva  in  esclusiva  al
Parlamento la funzione legislativa.
    L'ulteriore dubbio attiene all'attribuzione di un siffatto potere
regolamentare  all'autorita'  ministeriale,  con  le implicazioni, in
punto  di possibile violazione dell'art. 117 della Costituzione, gia'
evidenziate alla precedente lett. c).
    4.  -  Il settimo motivo, in ordine di esposizione, ha ad oggetto
l'art. 5,  commi  2  e  3, del decreto ministeriale n. 217 del 2002 e
porta, altresi', all'esame del tribunale la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  comma  7  della legge n. 448 del 2001,
che,  sostituendo  l'art. 4,  comma 3, del decreto legislativo n. 153
del  1999,  impone  il  divieto ai soggetti, che svolgono funzioni di
indirizzo,   amministrazione,   direzione   o   controllo  presso  le
fondazioni,  di  ricoprire  funzioni  di amministrazione, direzione o
controllo  presso societa' operanti nel settore bancario, finanziario
o  assicurativo,  ad  eccezione di quelle, non operanti nei confronti
del pubblico, di limitato rilievo economico o patrimoniale.
    Si   denuncia,  altresi',  l'illegittimita'  ex  se  della  norma
regolamentare,  in  quanto  essa, senza alcuna copertura legislativa,
procederebbe  all'individuazione  delle  societa' di limitato rilievo
economico e patrimoniale.
    Deve,  preliminarmente,  osservarsi,  in punto di rilevanza della
questione   di   costituzionalita'  sollevata,  che  la  disposizione
legislativa  e'  stata  fedelmente  trasfusa nel testo regolamentare,
tant'e'  che  il  Consiglio  di  Stato  ha  rilevato l'ultroneita' di
quest'ultimo  (segnatamente  dell'art. 5,  comma  1),  non  mancando,
altresi',  di  segnalare  l'impossibilita'  di  esaminare  i dubbi di
costituzionalita', "pur da piu' parti ipotizzati".
    La  produzione  di  effetti  gia'  verificatasi  - e l'art. 5 del
Regolamento   impugnato  ne  e'  la  prova  -  comporta  l'attualita'
dell'interesse a sindacare la disciplina primaria, che non viene meno
per la sopravvenienza di una nuova normativa, la cui efficacia rileva
solo  de  futuro.  In  altre  parole, pur dandosi atto che l'art. 80,
comma  20,  lett.  a),  della  legge  27 dicembre 2002, n. 289 (legge
finanziaria 2003) ha sostituito l'intero art. 4, comma 3, del decreto
legislativo    n. 153   del   1999,   introducendo   una   disciplina
profondamente    diversa    dalla    precedente,   risulta   comunque
indispensabile che la Corte costituzionale si pronunci in merito alla
costituzionalita' dell'art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001,
qualora   il  Collegio  ritenesse  non  manifestamente  infondata  la
questione   stessa:   la  valutazione  di  legittimita'  del  decreto
ministeriale  n. 217 del 2002, oggetto diretto del presente giudizio,
deve avvenire, infatti, alla stregua della normativa primaria vigente
al momento dell'adozione del Regolamento stesso.
    Effettivamente   il  testo  dell'art. 4,  comma  3,  del  decreto
legislativo  n. 153  del 1999, come sostituito dall'art. 11, comma 7,
della  legge n. 448 del 2001, presta il fianco a dubbi in merito alla
razionalita'  e  alla  proporzionalita'  del divieto imposto rispetto
allo scopo perseguito.
    Parte  ricorrente,  giustamente,  lascia fuori dalla sua denuncia
l'incompatibilita'  riguardante  la  societa'  bancaria conferitaria,
atteso  che il principio cardine della riforma introdotta dalla legge
n. 461  del  1998,  e' di garantire, appunto, la netta separazione di
detta societa' dalla fondazione bancaria.
    Del  tutto  ingiustificato ed eccessivo risulta, per converso, il
regime  di incompatibilita' assoluta riguardante tutti i soggetti che
siano  impiegati,  in  posizioni  di  vertice,  in societa' bancarie,
finanziarie   od   assicurative;   in  tal  modo,  evidentemente,  il
legislatore  ha inteso introdurre una radicale separazione tra queste
ultime  e  le fondazioni bancarie, ipotizzando possibili interferenze
pregiudizievoli,  che  comporterebbero  un  legame inscindibile fra i
soggetti   in   parola   e  gli  istituti  di  credito,  diversi  dal
conferitario, le societa' finanziarie e quelle assicurative.
    Sul punto, si impongono due considerazioni di segno contrario.
    La prima attiene allo scopo perseguito dalla riforma Ciampi, gia'
innanzi evidenziato, che e' limitato alla sola banca conferitaria.
    La  seconda  e'  che  questa  contiguita' - in termini generali -
sarebbe pur sempre tutta da dimostrare (e in tal senso il trattamento
differenziato,  riservato  alle  societa'  di  minore rilievo, non e'
risolutore),  in  quanto,  a mero titolo di esempio, non si comprende
come  la presenza nell'organo di indirizzo di una fondazione bancaria
dell'amministratore   di   una  compagnia  di  assicurazione  (semmai
straniera o, comunque, senza particolari rapporti con le attivita' ed
il territorio di riferimento della fondazione stessa) potrebbe essere
pregiudizievole  per  la  corretta e neutrale attivita' gestionale di
quest'ultima.
    Da quanto esposto, risulta evidente che lo scopo, che la norma si
prefigge,  ben  potrebbe  essere  raggiunto  applicando  le ordinarie
regole  in  materia di conflitto di interessi, operando cosi' non una
scelta  radicale  e aprioristica, ma agendo caso per caso, tanto piu'
che  tali  regole  si  affiancano alla rigorosa disciplina in tema di
controllo  delle  societa'  bancarie  (diverse  dalla  conferitaria),
dettata dall'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Optando  per  tale  soluzione, il legislatore avrebbe ottenuto il
duplice    risultato    di    evitare    le   suddette   interferenze
pregiudizievoli,  senza,  pero',  precludere,  sempre  e  comunque, a
soggetti  particolarmente  adatti  di  partecipare  alla  vita  delle
fondazioni bancarie, con evidenti vantaggi anche di queste ultime.
    In conclusione, pur considerando l'amplissima discrezionalita' di
cui  gode  il  legislatore,  una  preclusione,  del  tipo  di  quella
contenuta  nell'art. 11,  comma  7,  della  legge  n. 448  del  2001,
comporta  l'eccessiva  compressione della capacita' delle persone, in
violazione  della  specifica previsione costituzionale (artt. 2 e 22)
che  la  tutela,  incidendo  altresi',  specularmente, sull'autonomia
delle  persone  giuridiche,  sancita dall'art. 18 della Costituzione,
aspetto  che,  in  questa  sede,  assume  un  rilievo  prevalente, in
considerazione del fatto che sono queste ultime ad agire in giudizio.
    Infine, le doglianze, mosse direttamente all'art. 5, comma 3, del
Regolamento impugnato, possono essere risolte indipendentemente dalla
questione  di  costituzionalita' dell'art. 10, comma 3, lett. e), del
decreto   legislativo   n. 153   del  1999,  che,  pertanto,  risulta
irrilevante.
    5.  -  Con il nono motivo del ricorso viene portato all'esame del
Collegio  l'art. 7 del decreto ministeriale n. 217 del 2002, il quale
stabilisce,  al  comma  1,  che  il  controllo delle fondazioni sulle
societa'  bancarie  si  configura, nelle forme stabilite dall'art. 6,
commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999 o "comunque" sia
esso   determinato,   anche   quando   faccia  capo,  direttamente  o
indirettamente, in qualunque modo, a piu' fondazioni, anche se queste
non siano legate da accordi.
    L'illegittimita'  di  tale  previsione  consisterebbe,  in  primo
luogo, nel ritenere rilevante solo il controllo operato attraverso un
rapporto fra fondazioni, mentre, per converso, non assumerebbe alcuna
importanza  quello  discendente  dall'accordo  tra  una  fondazione e
soggetti  diversi  da  essa;  in secondo luogo, nella circostanza che
tale  controllo  prescinderebbe dalla volonta' effettiva dei soggetti
che  lo esercitano, sicche' potrebbe discendere da una situazione del
tutto casuale.
    Inoltre, la disposizione legislativa si porrebbe in contrasto con
il    principio   di   ragionevolezza   sancito   dall'art. 3   della
Costituzione,  in  quanto  non  troverebbe  un  logico  fondamento il
divieto  di  detenere  il  controllo azionario su istituti di credito
diversi dal conferitario.
    Illegittimo  risulterebbe  altresi' il criterio di individuazione
delle forme di controllo, atteso che la formula usata - "in qualunque
modo  e  comunque  esso  sia  determinato"  - risulterebbe quantomeno
indeterminata.
    Il  Regolamento  sarebbe  viziato  nella  parte in cui ne afferma
l'esistenza anche in mancanza di qualsivoglia forma di accordo.
    Per  valutare  la  rilevanza della questione di costituzionalita'
sollevata  nei  confronti dell'art. 6, del decreto legislativo n. 153
del 1999, occorre partire dall'esame dei primi due commi dell'art. 7,
del  decreto  ministeriale  n. 217 del 2002, osservando subito che la
dichiarata  intenzione  di quest'ultimo e' di "assicurare la certezza
normativa".   Tale   precisazione  fa  intendere  che  gia'  in  sede
regolamentare  si  e'  posto  il  problema  di  tipizzare  i  casi di
controllo delle societa' bancarie da parte di una fondazione.
    L'art. 7 citato riproduce, innanzi tutto, la formula dell'art. 6,
del  decreto legislativo n. 153 del 1999, aggiungendo l'inciso finale
"anche se queste non siano legate da accordi".
    Il  secondo  comma  e'  dedicato  all'effetto di chiarificazione,
operato  attraverso  il richiamo delle ulteriori ipotesi di controllo
indicate  dagli  artt. 22  e  23,  comma 2, del decreto legislativo 1
settembre 1993, n. 385.
    La  soluzione regolamentare non risulta censurabile, alla stregua
di  un  dettato  legislativo  che  lascia  un  amplissimo  margine di
discrezionalita' in sede attuativa.
    Per  convincersene,  e'  sufficiente  por  mente  alla dizione di
chiusura  del  comma  5-bis,  dell'art. 6,  innanzi  citato, aggiunto
dall'art. 11,  comma  10,  della  legge  n. 448  del 2001: la formula
utilizzata  -  "in  qualunque modo o comunque sia esso determinato" -
consente di configurare il controllo sulle societa' bancarie anche in
presenza  di  situazioni  di  mero fatto, che, in se', potrebbero non
essere significative della sussistenza di una posizione di controllo,
che e' pur sempre indispensabile verificare in concreto.
    La  conclusione  appena raggiunta riceve conferma dall'avviso del
Consiglio di Stato che, in sede consultiva, ha ritenuto conforme alla
normativa  primaria  l'inciso  "anche  se  queste non siano legate da
accordi".
    Viene  in  evidenza,  quindi,  l'art. 6  del  decreto legislativo
n. 153  del  1999, rubricato, appunto, "partecipazioni di controllo",
che  si  apre  con  l'affermazione  del  divieto per le fondazioni di
detenere   partecipazioni  in  enti  o  societa'  diverse  da  quelle
svolgenti  attivita'  di  impresa strumentali rispetto ai fini che le
fondazioni stesse sono chiamate istituzionalmente a perseguire.
    Poiche'  l'esercizio  della  discrezionalita' legislativa risulta
pienamente legittimo, tenuto conto della natura e delle finalita' che
l'ordinamento  intende  assegnare ai soggetti in parola, l'attenzione
deve   rapidamente  spostarsi  sulla  nozione  di  controllo  fornita
dall'art. 6,  che, nella versione originaria, vi dedica il secondo ed
il terzo comma. Con il primo, si opera un rinvio all'art. 2359, commi
1  e 2, del codice civile; con il secondo, si chiarisce la nozione di
influenza   dominante   contemplando   tre   ipotesi   distinte.   E'
interessante notare in proposito che, mentre le prime due fattispecie
indicate  presuppongono  l'esistenza di appositi accordi tra soci, la
terza  riguarda  la  semplice  sussistenza  di "rapporti di carattere
finanziario  e  organizzativo", anche tra soci, che, pero', risultino
idonei  ad  attribuire  ad  una  fondazione  il potere di nominare la
maggioranza   degli   amministratori  o  di  controllare  l'assemblea
ordinaria.
    Trattasi,   comunque,   di   ipotesi   tipizzate,  che  postulano
l'individuazione  della  sussistenza  di  accordi  o, quanto meno, di
"rapporti  idonei",  tant'e'  che  tale  disciplina non e' oggetto di
contestazione in questa sede.
    Viene   posta   in   dubbio,   per   converso,   la  legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  comma 10, della legge n. 448 del 2001,
che aggiunge il comma 5-bis all'art. 6 del decreto legislativo n. 153
del  1999  e  che  configura una presunzione assoluta di controllo in
tutti  i  casi  in cui quest'ultimo sia riconducibile, direttamente o
indirettamente,  a  piu' fondazioni, in qualunque modo o comunque sia
esso determinato.
    Parte  ricorrente  muove  due  precise censure, che risultano non
manifestamente infondate.
    La  prima  discende  dalla  considerazione  che il comma 5-bis in
questione configura un collegamento fra le fondazioni bancarie e solo
fra  di  esse,  come  se fossero un settore in se' conchiuso, sicche'
assumerebbe  rilievo  anche la semplice circostanza di appartenere ad
esso,  a  prescindere  dall'esistenza  di  accordi o, quanto meno, di
rapporti,  giuridicamente  rilevanti,  fra  di  esse. Ha facile gioco
parte ricorrente ad osservare come nulla vieterebbe che un controllo,
parimenti   efficace,  potrebbe  configurarsi,  in  presenza  di  una
possibile  triangolazione  con  una societa' operante in un ambito di
attivita'  totalmente  diverso. L'unica giustificazione plausibile e'
che  anche  qui,  sia  pure  per  una finalita' diversa, si e' inteso
ipotizzare la gia' evidenziata settorializzazione delle fondazioni in
parola,   che   comporta   un'interdipendenza   ed  una  reciprocita'
intrinseca,  che  non  solo e' tutta da dimostrare, ma, in ogni caso,
non  e'  sicuramente  di  per  se'  rappresentativa  di  un possibile
controllo, addirittura indiretto, come quello postulato dalla norma.
    Volendo  sintetizzare  quanto  appena  detto,  in base alla norma
contestata,  e'  sufficiente la sussistenza di una mera situazione di
fatto  - intercorrente fra piu' fondazioni (e solo tra di esse) - per
determinare  un obbligo di dismissione, che dovrebbe riguardare tutte
le  fondazioni  che  sono interessate alla vicenda. Risulta del tutto
inaccettabile  questo  collegamento  immediato,  che, in primo luogo,
come  si  e'  detto,  prescinde totalmente dalle reali intenzioni dei
soggetti   coinvolti,  e,  in  secondo  luogo,  comporta  un'indebita
compressione  della certezza del diritto, in considerazione del fatto
che   l'intera   disciplina   della  materia  avrebbe  dovuto  essere
attribuita in via esclusiva alla fonte primaria, tenendo conto, da un
lato,  che  si  andava  ad  incidere  sulla  capacita'  delle persone
giuridiche  e,  dall'altro,  che il potere regolamentare era limitato
alla mera sfera attuativa.
    Le  considerazioni appena effettuate valgono anche per il secondo
aspetto  evidenziato,  che  assume una connotazione piu' propriamente
oggettiva,  riguardando l'atipicita' della formula "in qualunque modo
o   comunque   sia  esso  determinato",  che  consente  di  pervenire
all'inaccettabile  conclusione,  gia'  innanzi evidenziata, di potere
prescindere  dalla  verifica  sia della sussistenza di accordi (ferma
restando, sul punto, la piu' ampia latitudine dei mezzi di prova) fra
i  soggetti  coinvolti,  sia  della stessa intrinseca "idoneita'" del
mezzo utilizzato per il raggiungimento dello scopo che il legislatore
intende scongiurare.
    Va,  di  conseguenza,  sollevata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  comma  10, della legge n. 448 del 2001
per  contrasto  con  gli  artt. 2, 3, 18 e 41 della Costituzione, per
irragionevolezza   della   previsione   normativa   e   per   lesione
dell'autonomia,  statutaria  e  gestionale,  di persone giuridiche di
diritto privato.
    6.  -  La  Fondazione Monte dei Paschi di Siena muove, quindi, un
triplice ordine di censure all'art. 25 del decreto legislativo n. 153
del   1999,   che  disciplina  le  operazioni  di  dismissione  della
partecipazione di controllo nella Societa' bancaria conferitaria.
    La  prima,  e piu' radicale, riguarda la sussistenza stessa di un
idoneo  fondamento  legislativo di siffatto obbligo: parte ricorrente
sostiene  che  quest'ultimo  sarebbe  stato  direttamente  introdotto
dall'art. 25  citato,  in  assenza di una specifica previsione in tal
senso  nella  legge  n. 461  del  1998,  che  avrebbe  previsto  solo
incentivi  per  favorire  le dismissioni, che costituivano, pertanto,
una mera facolta' cui potevano far ricorso le fondazioni bancarie. Si
configurerebbe,  pertanto,  un  patente contrasto con l'art. 76 della
Costituzione.
    La  seconda  doglianza,  rivolta alla legge, assume la violazione
degli  artt. 2,  18,  41  e  42  della  Costituzione, atteso che tale
obbligo  sarebbe  rivolto  a  soggetti  divenuti  oramai  a tutti gli
effetti   persone   giuridiche  di  diritto  privato.  Inoltre,  esso
determinerebbe  una  violazione  dell'art. 73  b), n. 1, del Trattato
dell'Unione  europea, in quanto lederebbe la liberta' di circolazione
dei capitali.
    A  fronte di una disciplina cosi' invasiva, non si riscontrerebbe
alcuna  utilita'  pubblica  alla  base  della  scelta  di separare le
fondazioni dalle rispettive societa' bancarie conferitarie.
    Il  terzo  aspetto  evidenziato  riguarda gli inasprimenti che, a
giudizio  della  ricorrente, sarebbero stati introdotti dall'art. 11,
della  legge  n. 448  del  2001,  il  quale  ha  ridotto  di due anni
l'originario   termine   di   sei  anni,  previsto  per  la  suddetta
operazione,  in  spregio  al  legittimo affidamento delle fondazioni,
chiamate  a  concludere  un'operazione  cosi'  impegnativa, in quanto
esposta alle fluttuazioni e alle turbolenze dei mercati finanziari.
    Andando  per  ordine,  va  detto,  in primo luogo, che il decreto
legislativo  n. 153  del  1999,  nella parte in cui disciplina, anche
temporalmente,  la  procedura  di dismissione della partecipazione di
controllo  nella  societa'  bancaria  conferitaria,  non  si  pone in
contrasto con la legge n. 461 del 1998 e, quindi, non viola l'art. 76
della Costituzione.
    Uno  dei  principi  della  legge di delega e', infatti, quello di
tenere    radicalmente    distinte   le   fondazioni   bancarie   dai
corrispondenti  istituti  di  credito  conferitari. Lo testimonia, in
primo luogo, l'art. 1, che, fissando l'ambito della delega, individua
l'oggetto  della successiva disciplina governativa nel regime fiscale
dei  trasferimenti  delle partecipazioni bancarie detenute dagli enti
conferenti,  presupponendo,  quindi,  la  necessaria effettuazione di
quest'ultima  operazione.  Si  spiega cosi' anche la regolamentazione
specifica contenuta nel successivo art. 4, che introduce agevolazioni
fiscali   connesse   alla   suddetta  operazione  di  dismissione,  a
condizione  che  quest'ultima  avvenga  entro la fine del quarto anno
dalla  data  di  entrata in vigore del decreto legislativo attuativo.
L'art. 4   contiene   un'ulteriore  conferma  del  valore  strategico
attribuito   a  tale  operazione,  facendo  discendere,  dall'inutile
decorso  del termine prescritto, la perdita, ai fini tributari, della
qualifica  di  ente  non commerciale, gia' attribuita alle fondazioni
bancarie.
    Parallelamente,   sotto  l'aspetto  civilistico,  i  soggetti  in
parola,  in  linea con la loro vocazione a perseguire "esclusivamente
scopi  di  utilita'  sociale"  [cosi'  si esprime l'art. 4, lett. a),
della   legge   n. 461   del   1998],  sono  legittimati  a  detenere
partecipazioni   di   controllo  nelle  sole  societa'  che  svolgano
attivita'  di  impresa  strumentali  ai  fini statutari [lett. d) del
medesimo art. 4].
    Pertanto,  l'art. 25  del  decreto  legislativo  n. 153 del 1999,
allorche'  detta  i  tempi per la dismissione della partecipazione di
controllo  nella societa' bancaria conferitaria (e non solo in essa),
si attiene fedelmente ai principi direttivi della legge di delega.
    Tale  conformita'  si  riscontra  nella  versione  originaria del
citato art. 25, il quale mutua dalla legge n. 461 del 1998 il termine
quadriennale, durante il quale e' consentito alle fondazioni bancarie
di  detenere  tale partecipazione, prevedendo, comunque, un'ulteriore
proroga  biennale,  con  la  perdita, pero', della natura di ente non
commerciale  dei soggetti in parola, proprio per venire incontro alle
eventuali  difficolta' connesse all'operazione di dismissione, senza,
peraltro  stravolgere  principi  ed  obiettivi della legge n. 461 del
1998.
    Manifestamente  infondata  e'  anche  la  censura  riguardante la
dedotta   violazione   dell'autonomia,   statutaria  e,  soprattutto,
gestionale,  delle fondazioni bancarie, atteso che quest'ultima viene
riconosciuta  dal  legislatore  proprio  in  funzione  degli scopi di
utilita'  sociale,  che postulano la non appartenenza dei soggetti in
parola al mondo economico.
    La   conclusione   da   ultimo   raggiunta   consente   l'agevole
confutazione  anche  del denunciato contrasto della normativa interna
con  quella  comunitaria:  per  escludere che, nella specie, si versi
nell'ambito  degli  (inammissibili)  aiuti  di Stato alle imprese, e'
sufficiente  osservare che la natura non commerciale delle fondazioni
bancarie  (ribadita puntualmente dall'art. 5, del decreto legge n. 62
del  2002,  sulla  quale ci si e' intrattenuti in precedenza) esclude
qualsivoglia  perturbazione  del mercato comunitario (che e', poi, lo
scopo che si prefiggono le disposizioni del Trattato U.E.), in quanto
i  soggetti  in  parola,  per  loro  natura,  non  agiscono nel mondo
imprenditoriale;  tale  conclusione  consente  di  superare anche una
possibile,  ulteriore  prospettazione,  consistente nella circostanza
che  le  fondazioni  bancarie, agendo come enti strumentali di quelli
pubblici (di cui all'art. 114 della Costituzione), finirebbero con il
sostituirsi  a  questi  ultimi  nell'erogazione  di indebiti aiuti di
Stato;  a  quest'ultimo  proposito,  deve  aggiungersi che, oltre che
infondata,  per  le  ragioni  innanzi  evidenziate, tale affermazione
risulta allo stato del tutto indimostrata, potendo, al piu', emergere
e, quindi, essere oggetto di esame in sede applicativa.
    Residua   l'ultima   indagine,   che  riguarda  le  modificazioni
introdotte  dall'art. 11, commi 12 e 13, della legge n. 448 del 2001.
Esse  comportano  la  soppressione dell'ulteriore biennio, durante il
quale  e'  consentita  la detenzione della suddetta partecipazione di
controllo,  e  la  previsione  alternativa,  che, nel caso in cui non
potesse  farsi  luogo  all'immediata  dismissione,  la partecipazione
stessa   puo'  essere  affidata  ad  una  societa'  di  gestione  del
risparmio, che la detiene per un ulteriore triennio.
    Dall'esame   comparativo   delle   due  normative,  che  si  sono
sovrapposte  nel  tempo,  risulta  evidente che il legislatore non ha
provveduto,  tout  court,  alla riduzione del termine originariamente
assegnato  per  concludere  l'operazione,  ma,  fermo restando quello
iniziale  (incomprimibile, in quanto previsto gia' dalla legge n. 461
del  1998),  ha  diversamente modulato quello successivo, consentendo
cosi'  alle  fondazioni bancarie, sia pure per interposta persona, di
continuare  a detenere la quota nella societa' bancaria conferitaria,
per giunta per un periodo ancora piu' lungo di quello originariamente
previsto.
    Tale  assetto  risulta,  pertanto,  pienamente  rispettoso  delle
aspettative  dei soggetti in questione, tenendo conto, altresi', che,
nel  periodo  considerato, contrariamente a quanto sostenuto da parte
ricorrente,  le  fondazioni  bancarie (ed i relativi organi) non sono
privati  della loro operativita', ma solo sottoposti, nel loro agire,
all'acquisizione  della  preventiva  autorizzazione dell'Autorita' di
vigilanza.
    Da  ultimo,  non  e'  questa  la  sede  per  far valere eventuali
incompletezze   della   normativa  sulle  societa'  di  gestione  del
risparmio,   che   determinassero   l'impossibilita'   di   procedere
all'affidamento  ad esse della partecipazione detenuta nella societa'
bancaria  conferitaria:  tali  aspetti  diverrebbero  attuali  solo a
seguito    dell'esercizio   dei   poteri   sostitutori,   contemplati
dall'art. 25, comma 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Solo  per  completezza,  deve  aggiungersi  che nessuna rilevanza
assume  nella  vicenda in esame la sopravvenienza dell'art. 80, comma
20,  lett. b), della recentissima legge 27 dicembre 2002, n. 289, che
si  e'  limitato, per determinati tipi di fondazioni, a prolungare di
un  ulteriore  triennio  il  periodo  durante  il  quale e' possibile
continuare  a  detenere le partecipazioni di controllo nelle Societa'
bancarie  conferitarie,  rendendo  cosi' piu' agevole, per i soggetti
espressamente  contemplati,  l'operazione  di  dismissione  di  detta
quota.
    7.  -  L'ultimo motivo, sempre in ordine di esposizione, riguarda
l'art. 9  del  decreto  ministeriale  n. 217  del  2002,  proponendo,
altresi',  la  questione  di  costituzionalita'  della corrispondente
disposizione  primaria  -  l'art. 11, comma 14, ultimo periodo, della
legge  n. 448  del  2001  -  nella  parte in cui quest'ultimo reca la
disciplina  del regime transitorio, cui sono sottoposte le fondazioni
bancarie  fino  alla  ricostituzione  degli  organi di indirizzo e di
amministrazione,    da   effettuarsi   a   seguito   dell'intervenuto
adeguamento dei rispettivi statuti.
    Parte  ricorrente  appunta  la  sua  attenzione sull'obbligatoria
decadenza   degli   organi   in  carica  e,  nelle  more  della  loro
ricostituzione,  sulla  facolta'  di quelli in prorogatio di svolgere
esclusivamente l'attivita' di ordinaria amministrazione.
    Ambedue  le  previsioni  si porrebbero in palese contrasto con la
natura privatistica comunque riconosciuta alle fondazioni bancarie.
    Dalla  sia  pur  sintetica  illustrazione risulta evidente che la
definizione  della  questione  di  costituzionalita'  e' strettamente
legata  alla  soluzione  di quelle precedentemente formulate, tant'e'
che,  nel  ricorso,  si  richiamano a sostegno le argomentazioni gia'
esposte   ed  in  particolare,  quelle  riguardanti  la  composizione
dell'organo   di  indirizzo:  senza  ripetere  cose  gia'  dette,  e'
innegabile  che le modificazioni introdotte dall'art. 11, commi 1-10,
della  legge n. 448 del 2001 alterano grandemente la natura giuridica
delle fondazioni bancarie, si da svuotarne dall'interno e in maniera,
a  giudizio  del  Collegio, inaccettabile, sia l'autonomia statutaria
che  quella gestionale, in patente contrasto con il principio sancito
dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Va   aggiunto,   ai  fini  della  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita'  sollevata,  che le contestate previsioni, in punto
di  decadenza  degli  organi  e  di  regime  transitorio,  sono cosi'
specifiche  e circostanziate da vincolare l'interprete ad una lettura
univoca.
    Rimane,  pertanto,  la  strada  della  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  comma  14, ultimo periodo citato, che,
per quanto detto in precedenza, si salda con la valutazione in merito
alla  compatibilita' dell'assetto complessivo dei soggetti in parola,
fornito  dalle  restanti  disposizioni  del  medesimo  art. 11, con i
principi  ricavabili dallo stesso decreto legislativo n. 153 del 1999
e, piu' in generale, dalla Costituzione.
    Se  detto  assetto  risultasse  legittimo,  lo  sarebbe  anche la
specifica disciplina dettata per la fase transitoria, che si porrebbe
cosi'  in  piena  coerenza  con  il  mutamento  operato  sulla natura
giuridica    delle    fondazioni   bancarie.   In   caso   contrario,
l'incostituzionalita'    si    estenderebbe    a   quanto   stabilito
dall'art. 11,  comma  14,  in  esame,  quale  diretta  conseguenza di
un'inammissibile  trasformazione  della natura giuridica dei soggetti
in parola.
    Alla    stregua    della   precedente   trattazione,   la   Corte
costituzionale   va   investita   della   questione  di  legittimita'
dell'art. 11,  comma  14, (in parte qua) piu' volte citato, in quanto
incidente  -  sia  pur  temporaneamente  -  su soggetti che, ottenuta
l'approvazione  ministeriale  del  proprio statuto, sono diventati, a
tutti  gli  effetti,  persone  giuridiche  dotate  di  quella "piena"
autonomia  statutaria e gestionale", alla quale vanno riconosciuti il
significato  ed  il  valore emergenti dagli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e
118, comma 4, della Costituzione.
    Non  deve sottovalutarsi, conseguentemente, neppure il vulnus che
deriva   ai   soggetti  attualmente  componenti  degli  organi  delle
fondazioni,  che  si  vedrebbero  sottratto  il loro incarico, pur se
risultassero  in  possesso  di tutti i requisiti di professionalita',
moralita'  ed  indipendenza  richiesti  per  l'espletamento  di dette
funzioni.
    8.  -  Per le considerazioni che precedono, il tribunale solleva,
in  quanto  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate, le seguenti
questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto:
        a)  l'art. 11,  commi  1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28
dicembre 2001, n. 448, e l'art. 7, comma 1, lett. aa), punto 2, della
legge  1 agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis, della legge
11  febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41,
117 e 118, comma 4, della Costituzione;
        b)  l'art. 11,  comma  1,  ultimo periodo, della citata legge
n. 448  del  2001,  per  contrasto  con  gli  artt. 70  e  117  della
Costituzione;
        c)  l'art. 11,  comma  7, della citata legge n. 448 del 2001,
per contrasto con gli artt. 2, 18 e 22 della Costituzione;
          d)  l'art. 11, comma 10, della citata legge n. 448 del 2001
per contrasto con gli artt. 2, 3, 18 e 41 della Costituzione;
        e)  l'art. 11,  comma  14, ultimo periodo, della citata legge
n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118,
comma 4, della Costituzione.
    Deve  disporsi,  pertanto,  la trasmissione degli atti alla Corte
Costituzionale,  con  conseguente  sospensione  del giudizio ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.