IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 11053 del 2002 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Rescigno e Luisa Torchia, con i quali elettivamente domicilia in Roma, via Sannio n. 65; Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; per l'annullamento: a) (con il ricorso introduttivo): del decreto ministeriale 2 agosto 2002, n. 217, recante il "Regolamento ai sensi dell'art. 11, comma 14, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie" e di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale; b) (con i motivi aggiunti): della nota 23 ottobre 2002, prot. n. 14572, del Ministero dell'economia e delle finanze avente ad oggetto "Documento programmatico previsionale"; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti i motivi aggiunti; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e uditi, all'udienza del 4 dicembre 2002, gli avvocati Torchia e Rescigno per la ricorrente e l'avv. dello Stato Aiello per il Ministero dell'Economia e delle Finanze; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o Con il ricorso in esame, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena impugna il decreto ministeriale 2 agosto 2002 n. 217, recante il "Regolamento ai sensi dell'art. 11, comma 14, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie", deducendo: 1. - Illegittimita' derivata dell'intero regolamento per l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, per contrasto con gli artt. 2, 18 e 41 della Costituzione, in quanto le fondazioni di origine bancaria, essendo persone giuridiche di diritto privato, non potrebbero essere oggetto di una disciplina regolamentare, in quanto soggiacerebbero solo alle disposizioni del codice civile. 2. - Limiti all'intervento regolamentare statale derivanti dal nuovo Titolo V della Costituzione e violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Illegittimita' del citato art. 11, comma 14, per violazione dei principi costituzionali in materia di riserva di legge, atteso che l'emanazione dell'impugnato regolamento sarebbe costituzionalmente legittima solo riconducendo la fattispecie nella materia dell'"ordinamento civile", che rientra tra quelle riservate allo Stato, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione; da tale premessa discenderebbe l'illegittimita' delle prescrizioni vincolanti dettate dal decreto ministeriale n. 217 del 2002. In via subordinata, si evidenzia che l'art. 11, comma 14, epigrafato risulterebbe costituzionalmente illegittimo in quanto prevederebbe l'intervento di una fonte secondaria in una materia interamente riservata alla legge primaria. 3. - Violazione degli artt. 2, 18, 41 e 118 della Costituzione in relazione alla determinazione dei settori ammessi ed all'obbligo di svolgere l'attivita' esclusivamente in essi. Violazione dei principi in materia di delegificazione. Incompetenza del Ministero dell'Economia e delle Finanze. La denunciata illegittimita' costituzionale riguarderebbe, in primo luogo, l'indebita compressione dell'autonomia delle fondazioni, con riguardo tanto allo scopo quanto alla destinazione del patrimonio, che discenderebbe dalla creazione della categoria dei "settori ammessi" - tra i quali comparirebbero alcuni del tutto spuri (prevenzione della criminalita' e sicurezza pubblica), in quanto storicamente assegnati all'organizzazione pubblica - e dalla previsione che i soggetti in parola possano operare esclusivamente in essi, per giunta garantendo - nel loro insieme - l'equilibrata destinazione delle risorse e la preferenza per i settori di maggior rilevanza sociale. Vi sarebbe, inoltre, un'inversione del principio di sussidiarieta', sancito dall'art. 118, comma 4, della Costituzione, nel senso che sarebbero le fondazioni bancarie a sussidiare l'intervento pubblico, per giunta in settori tipicamente assegnati a quest'ultimo. Si configurerebbe, inoltre, una violazione della sfera di attribuzione delle regioni, perche' si indicherebbero, fra i settori ammessi, alcune materie assegnate alla competenza legislativa concorrente, sulle quali non sarebbe possibile per lo Stato esercitare i conseguenti compiti di vigilanza. Doppiamente illegittima sarebbe la previsione di un potere regolamentare di modifica dei settori, che determinerebbe, da un lato, un'instabilita' nell'attivita' di soggetti di diritto privato, dall'altro, una modifica legislativa ad opera di un semplice regolamento di esecuzione, emanato, per giunta, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che non avrebbe potere di vigilanza, se non in via transitoria. 4. - Illegittimita' dell'art. 2, comma 2, del decreto ministeriale 2 agosto 2002, n. 217, oltre che per invalidita' derivata, per violazione dell'art. l0, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, vizio riferito alla previsione di un potere autorizzatorio dell'Autorita' di vigilanza, qualora la fondazione intendesse modificare, anticipatamente, la scelta dei settori in cui operare. Si tratterebbe di un potere del tutto innominato e non assimilabile a quello di approvazione delle modifiche statuarie. In secondo luogo, risulterebbe illegittima l'imposizione della conformita' al Regolamento delle delibere che individuano i settori. 5. - Illegittimita' dell'art. 2, commi 3 e 4, del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per violazione dell'art. 8, comma 1, lett. e), del citato decreto legislativo n. 153 del 1999 e per violazione dei principi di legalita', di competenza e di proporzionalita', atteso che non sarebbe piu' possibile procedere ad operare riserve facoltative, che la legge primaria pure consente. Risulterebbe, altresi', viziata l'attribuzione all'Autorita' di vigilanza della facolta' di segnalare i settori verso i quali orientare la (complessiva) attivita' delle fondazioni, in quanto, oltre a non avere un autonomo fondamento legislativo, esso sarebbe espressione di un insussistente potere di indirizzo, per giunta rivolto indistintamente a tutti i destinatari. 6. - Illegittimita' dell'art. 3, commi 2 e 4, del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per violazione degli artt. 2 e 18 della Costituzione e per violazione dei principi di legalita' e di autonomia delle fondazioni di origine bancaria. I vizi sono riferiti alle disposizioni che regolano la composizione dell'organo di indirizzo. In primo luogo, sarebbe illegittima la previsione che gli statuti provvedano a distribuire il potere di designazione dei membri in modo da "riflettere il territorio", assicurando la presenza di una pluralita' di designanti che garantiscano l'equilibrio della composizione dell'organo. Inoltre, del tutto ingiustificati sarebbero il divieto di cooptazione e la richiesta di una rosa di nomi agli enti designanti. Infine, lo statuto della fondazione cesserebbe di essere un atto di autodeterminazione, per divenire mero atto di recepimento di scelte fatte altrove, ed il potere di approvazione dell'Autorita' di vigilanza diverrebbe, in realta', atto di esercizio di una potesta' di tutela. 7. - Illegittimita' dell'art. 5 del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per eccesso di potere per irragionevolezza, per violazione del principio di proporzionalita' per violazione di legge. Si censura, in primo luogo, la logicita' delle disposizioni in materia di incompatibilita' dei componenti degli organi delle fondazioni con lo svolgimento di analoghe funzioni presso (non solo la banca conferitaria, ma anche) altre societa' operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo e, segnatamente, della norma primaria, della quale quella secondaria costituisce una trasposizione, con un'aggiunta che definisce le societa' di limitato rilievo economico o patrimoniale. Si denuncia, inoltre, l'oscurita' della previsione legislativa, la quale impone, tanto ai soggetti titolari del potere di designazione quanto agli stessi designati, di non essere portatori di interessi riferibili ai destinatari degli interventi delle fondazioni. Il vizio sarebbe aggravato dalla disiciplina regolamentare, che, oltre a presentare aspetti di contraddittorieta', non tipizzerebbe sufficientemente le ipotesi di possibili contrasti di interesse, sicche' sarebbe stato molto piu' ragionevole ricorrere, caso per caso, ai principi generali che disciplinano tali forme di conflitto. Infine, il rinvio agli Atti di indirizzo in punto di incompatibilita' sarebbe viziato, stante l'insussistenza di un siffatto potere di indirizzo in capo all'Autorita' di vigilanza, secondo quanto gia' rilevato da questo Tribunale nell'ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale n. 1196 del 2002. 8. - Illegittimita' dell'art. 6 del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, per violazione di legge, irragionevole compressione dell'autonomia della fondazione e incompetenza del Ministero dell'economia e delle finanze, risultando quantomeno inutile la disposizione in tema di destinazione del patrimonio delle fondazioni. Sicuramente illegittima sarebbe l'introduzione, fra le finalita' da perseguire obbligatoriamente, dello "sviluppo del territorio", che non rientrerebbe fra quelle proprie di tali persone giuridiche. 9. - Illegittimita' dell'art. 7 del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per violazione del principio di legalita'. Eccesso di potere per irragionevolezza e per violazione del principio di proporzionalita', vizi riferiti alle norme - primarie e secondarie - in materia di partecipazioni bancarie di controllo. Si denuncia, anzitutto, l'indeterminatezza dell'art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001, che comporterebbe un amplissimo potere discrezionale in sede di concreto accertamento delle singole fattispecie. Il decreto ministeriale n. 217 del 2002 sarebbe censurabile ex se: a) laddove configura una forma di controllo anche nel caso in cui fra le fondazioni - titolari di partecipazioni in una banca - non vi sia alcun accordo; b) allorche' amplia le ipotesi richiamando gli artt. 22 e 23 del T.U. bancario, mancando tale previsione di una base normativa primaria; c) quando attribuisce alla Banca d'Italia il potere di individuare le situazioni di controllo riconducibili alle fondazioni, potere che, oltre a risultare praeter legem, sarebbe assolutamente indeterminato. 10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 25 del citato decreto legislativo n. 153 del 1999, per violazione degli artt. 2, 18, 41, 42 e 76 della Costituzione, nonche' delle norme comunitarie in materia di liberta' di circolazione dei capitali e, in particolare, dell'art. 73 b), n. 1 del Trattato. Illegittimita' dell'art. 8 del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per eccesso di potere per irragionevolezza e sviamento. Si censura, in primo luogo, la disposizione regolamentare che fissa al 15 giugno 2003 la scadenza del termine per la dismissione della partecipazione di controllo nella societa' bancaria conferitaria, tenuto conto dell'obbligo delle fondazioni di adeguare gli statuti alle disposizioni del Regolamento impugnato, della necessita' di rinnovare le cariche sociali e della ridotta capacita' di agire degli organi in prorogatio. Ci si rivolge, inoltre, alla normativa primaria, sostenendo il difetto di delega, atteso che la legge 23 dicembre 1998, n. 461, non avrebbe previsto tale obbligo di dismissione. Si denuncia, altresi', l'indebita compressione della sfera di autonomia statutaria e gestionale di soggetti divenuti oramai a tutti gli effetti persone giuridiche di diritto privato. Per converso, non vi sarebbe alcuna utilita' pubblica alla base di tale previsione. L'art. 11, della legge n. 448 del 2001, riducendo di due anni l'originario termine di sei anni previsto per la suddetta operazione, risulterebbe illogico e in contrasto con il legittimo affidamento delle fondazioni, chiamate a concludere un'operazione cosi' impegnativa. 11 - Illegittimita' dell'art. 8, comma 5, del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per eccesso di potere per irragionevolezza e per disparita' di trattamento. Violazione di legge e natura discriminatoria della misura in contrasto con i principi del diritto comunitario imponendosi alle fondazioni non associative, qual'e' la ricorrente, il rispetto dei principi comunitari in materia di appalti pubblici di servizi per l'individuare della societa' di gestione del risparmio (s.g.r.), cui affidare la partecipazione di controllo della societa' bancaria conferitaria. Tale previsione determinerebbe un'inammissibile disparita' di trattamento rispetto alle fondazioni associative, alle quali sarebbe prescritta la sola osservanza dei principi di pubblicita' e di parita' concorrenziale. In ogni caso, risulterebbe irrilevante la presenza nell'organo di indirizzo di membri designati dagli enti di cui all'art. 114 della Costituzione, che non costituirebbero rappresentanti in senso proprio degli interessi di questi ultimi. La disciplina ad evidenza pubblica risulterebbe comunque inapplicabile, in quanto la s.g.r. sarebbe un'invenzione del legislatore italiano e, percio', non avrebbe equivalenti negli altri Stati europei; in ogni caso, la sua operativita' presupporrebbe l'emanazione di un apposito regolamento, in mancanza del quale non sarebbe possibile procedere all'affidamento rispettando il termine del 15 giugno 2003. 12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma l4, della citata legge n. 448 del 2001, per violazione degli artt. 2, 18 e 41 della Costituzione. Illegittiniita' dell'art. 9, commi 3, 4 e 6, del citato decreto ministeriale n. 217 del 2002, oltre che per invalidita' derivata, per violazione di legge, eccesso di potere, violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalita'. Illegittimita' del medesimo art. 9, comma 8, oltre che per invalidita' derivata, per eccesso di potere per illogicita' e, contraddittorieta' riferita alla necessaria decadenza degli organi a seguito della revisione dello statuto e alla possibilita' di porre in essere i soli atti di ordinaria amministrazione nelle more di detta revisione. La prima misura, oltre ad esporre la fondazione ad un periodo di instabilita', del tutto ingiustificato, lederebbe anche l'aspettativa dei componenti degli organi che pure avrebbero titolo a continuare il loro mandato fino alla sua naturale scadenza. Parimenti, i limiti operativi introdotti non avrebbero un adeguato fondamento logico, determinando effetti pregiudizievoli per un periodo di tempo che potrebbe rivelarsi anche lungo. Inoltre, la nozione di ordinaria amministrazione, gia' di per se' vaga, lo sarebbe ancor di piu' nella specie, in presenza di una terminologia quantomai oscura, che costringerebbe l'interprete ad una faticosa attivita' ermeneutica (in tal senso, parte ricorrente cita l'espressione "progetti di erogazione gia' approvati nelle linee fondamentali"). Parte ricorrente ha notificato motivi aggiunti, diretti a sindacare la nota ministeriale, indicata in epigrafe, contenente indicazioni ai fini della redazione del documento previsionale relativo all'esercizio 2003. Su tali motivi - che non implicano l'esame di questioni di costituzionalita' - il Collegio decide con separata sentenza. Si e' costituito in giudizio il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il quale, nella memoria difensiva, controdeduce ai singoli motivi di doglianza. D i r i t t o 1. - Viene all'esame del Tribunale il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, 2 agosto 2002, n. 217, recante il regolamento previsto dall'art. 11, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie. Avverso tale provvedimento vengono mossi numerosi rilievi, alcuni dei quali investono la legittimita' costituzionale della fonte attributiva del potere regolamentare. Occorre, innanzi tutto, individuare la natura giuridica delle fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e che costituisce la risultante dell'evoluzione normativa, che, nel corso di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di separazione delle stesse dalle banche ex pubbliche conferitarie, processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante la privatizzazione dell'intero settore creditizio. Punto di partenza di tale evoluzione e' la legge c.d. Amato-Carli, 30 luglio 1990, n. 218, ed il conseguente decreto legislativo, 20 novembre 1990, n. 356. Quest'ultimo contiene le "disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio" e, in particolare, al Titolo III, reca la disciplina degli "Enti pubblici conferenti", attribuendo ad essi una piena capacita' di diritto pubblico e di diritto privato ed assoggettandoli alle disposizioni legislative appositamente varate e a quelle dei loro rispettivi statuti. La prospettiva muta profondamente con la legge c.d. Ciampi, 23 dicembre 1998, n. 461, che conferisce la delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti. L'art. 2, comma 1, lett. l), in particolare, impone a questi ultimi di adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando decreto legislativo, stabilendo, altresi', che "con l'approvazione delle relative modifiche statutarie gli enti diventano persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale". Risulta cosi' evidente l'opzione legislativa generale dell'affidamento della materia delle fondazioni bancarie al diritto privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul Regolamento in esame, nell'adunanza del 1 luglio 2002, che ne ha altresi' individuato la ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto meno morale, del patrimonio accumulato nel corso di decenni dalle banche pubbliche alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e dei beneficiari del credito. Assume rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia di detti enti, garantito dal citato art. 2, comma 1, lett. l), e riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria), quanto a quello di svolgere la propria attivita' istituzionale (autonomia gestionale). I limiti di tale liberta' sono quelli tassativamente imposti dalla legge, in perfetta coerenza con la circostanza che le fondazioni bancarie sono il prodotto di una precisa scelta del Parlamento, chiamato, percio' stesso, a predisporre una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e del corretto perseguimento dei fini istituzionali. All'uopo, il medesimo art. 2, ha fissato i principi e i criteri direttivi al Legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e' stato di prevedere un regime peculiare, che si discosta da quello dettato dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche quest'ultimo sottopone le "ordinarie" fondazioni ad un'attenta vigilanza, preordinata a garantire il perseguimento dello scopo indicato dal fondatore. La precedente esposizione consente di chiarire l'esatta portata del carattere di "specialita'" dei soggetti in parola, che non riguarda la loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus fra gli enti pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene, piuttosto, alla disciplina cui i medesimi sono sottoposti, che, rispetto a quella codicistica, si pone, appunto, in rapporto di species ad genus, con tutte le conseguenze ermeneutiche ed applicative che ne discendono. Il decreto delegato 17 maggio 1999 n. 153 si pone nella medesima prospettiva, esordendo con una definizione delle fondazioni bancarie in tutto identica a quella della legge di delega. Analoga conferma viene dall'art. 11, della citata legge n. 448 del 2001, che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per il resto, l'impianto legislativo precedente in maniera cosi' penetrante da avvertire la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza il potere regolamentare di coordinamento con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999. La prospettiva non cambia neppure con la legge 15 giugno 2002, n. 112, che, convertendo il decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, aggiunge un ulteriore periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente sostenersi che l'ulteriore intervento normativo non ha alcun effetto novativo della disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata: a) dalla lettera dell'art. 5 citato. Esso puo' essere scomposto in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e' destinato a produrre: vi e', anzitutto, una conferma della precedente normativa adottata, espressa dalla proposizione di apertura del periodo aggiunto: "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del 1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999..."; segue una precisazione in merito alla natura giuridica dei soggetti in parola, che, per dirla anche qui con il Consiglio di Stato, rende esplicita l'esistenza di un "regime privatistico speciale" che li caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione del loro regime giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle delle altre fondazioni, in quanto ordinato per legge ..." - costituisce, peraltro, la migliore conferma della gia' evidenziata portata del carattere di specialita' impresso dal legislatore alle fondazioni bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla successiva elencazione, che si limita a richiamare i caratteri salienti della disciplina legislativa precedentemente varata (riguardanti il modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e la gestione del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri applicativi della normativa che riguarda detti soggetti); si stabilisce, infine, che "la disposizione di cui al precedente periodo cotituisce norma di interpretazione autentica della legge 23 dicembre 1998, n. 461, e del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153". Basta in proposito osservare che la giurisprudenza, costituzionale (cfr. Corte cost., 23 novembre 1994, n. 397) ed amministrativa (cfr. Cons. Stato, V Sez., 2 luglio 2002, n. 3612), afferma costantemente che la norma legislativa puo' qualificarsi interpretativa e, quindi, retroattiva e costituzionalmente legittima solo quando si limita a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, non integra il precetto di quest'ultima e non adotta un'opzione ermeneutica non desumibile dall'ordinaria attivita' di esegesi della stessa: tale risulta essere la norma in esame; b) dalla ratio e dall'occasio legis. Emerge dai lavori parlamentari che il periodo aggiunto all'art. 5, del decerto-legge n. 63 del 2002 (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari iniziali a seguito di condanna per aiuti di Stato") ha la funzione di "esplicitare agli organi della comunita' europea le motivazioni della particolarita' del regime fiscale delle fondazioni, precisando che non si tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione del relatore dell'emendamento, on. Alfano, resa alle Commissioni parlamentari V e VI riunite). Lo Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione della Commissione CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata giudicata incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione, di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del 1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le fusioni fra le banche. La soluzione accolta e' stata quella di sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo introdotto per le fondazioni bancarie, in considerazione del fatto che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale o di impresa; pertanto, le provvidenze fiscali previste in loro favore non sarebbero suscettibili di produrre effetti perturbativi del mercato. Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo, appena delineato, non apporta alcuna variazione sostanziale l'art. 80, comma 20, della legge 28 dicembre 2002, n. 289, che, alla lett. a), disciplina un aspetto peculiare, in punto di incompatibilita' degli organi delle fondazioni bancarie, e, alla lett. b), si limita ad una proroga del periodo riservato per l'operazione di dismissione della partecipazione nella Societa' bancaria conferitaria. Le conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e di affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello evidenziato, il riconoscimento della "piena autonomia statutaria e gestionale" delle fondazioni bancarie assume il valore di un principio guida sia per l'interpretazione che per la valutazione di legittimita', sub specie della compatibilita' con esso, delle disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153 del 1999, pur dopo le modificazioni introdotte dall'art. 11, della legge n. 448 del 2001. Piu' specificamente, l'affermazione della "piena" autonomia statutaria garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria "costituzione", che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben puo' conformare l'esercizio di tale potere, per garantire il perseguimento degli interessi di rilevanza sociale propri delle fondazioni (e non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a comprimerlo fino ad annullarlo, in toto o per specifici aspetti, tradendo il carattere peculiare che essa stessa ha impresso a tali soggetti. Analogamente, l'affermazione dell'autonomia gestionale e' destinata ad assicurare il libero esplicarsi dell'attivita' istituzionale dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'. Il problema e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare se sia stato superato il "grado di compressione che e' possibile imprimere all'autonomia privata ... senza che cio' si traduca in uno stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale, che la Carta Costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le modifiche introdotte dagli articoli 117 e 118, Cost.". L'espressione, mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente anche di replicare all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di parte resistente, che ha negato la configurazione di un possibile vizio di costituzionalita' nella scelta del legislatore di discostarsi dal modello privatistico della fondazione. 2. - Puo', a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi di ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto, possono essere suddivisi in due tipologie: a) censure che, pur rivolte nei confronti di singole disposizioni regolamentari, non possono essere decise indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie; b) doglianze che hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il decreto ministeriale 2 agosto 2002, n. 217, nessuna delle quali, pero', suscettibile di produrre l'integrale effetto annullatorio dell'atto impugnato: il che renderebbe irrilevante qualsivoglia questione di costituzionalita'. Quest'ultima precisazione consente al Collegio di fissare il proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi. La prima riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di costituzionalita' sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte alle norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse. La seconda, da rinviarsi all'esito dell'esame che andra' ad effettuare la Corte costituzionale, che ha ad oggetto sia le disposizioni attuative strettamente consequenziali all'assetto normativo primario, sia quelle indicate alla precedente lett. b), in considerazione del fatto che, come risultera' evidente dalla successiva trattazione, i dubbi di costituzionalita', insorti nel Collegio, assumono un importanza preponderante per quantita', ma, soprattutto, per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa introdotta nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il pronunciamento della Corte costituzionale sulla legittimita' dell'assetto normativo primario, per una piu' compiuta ed esaustiva disamina del complessivo testo regolamentare. Fatta tale premessa, puo' passarsi all'esame dei primi due motivi di ricorso, che si prestano ad una trattazione congiunta, in quanto tendono entrambi ad affermare la radicale insussistenza del potere normativo, di rango secondario, esercitato nella specie, siccome incidente su materia riservata a fonte di rango legislativo. La Fondazione ricorrente, facendo leva sulla natura, tradizionalmente privatistica, delle fondazioni bancarie, afferma, in primo luogo, che queste ultime non tollererebbero una disciplina eteronoma, di rango regolamentare, che, per il suo tenore, limiterebbe inammissibilmente l'autonomia delle persone giuridiche in parola, accentuando tratti pubblicistici che sarebbero del tutto estranei a queste ultime. La conferma di tale conclusione verrebbe dal fondamento stesso del potere normativo esercitato, che, nella specie, sarebbe rinvenibile solo se limitato all'ambito dell'"ordinamento civile", trattandosi di materia, appunto, riservata dall'ordinamento costituzionale all'esclusiva sfera di attribuzione dello Stato (in tal senso sono le conclusioni anche del Consiglio di Stato). In caso contrario, il decreto ministerriale n. 217 del 2002 sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Preliminarmente deve osservarsi che parte ricorrente non affronta specifici aspetti della normativa regolamentare introdotta, rinviandone la trattazione ai successivi motivi di doglianza. Il Collegio e', pertanto, chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza - in astratto - del potere esercitato nella specie. La doglianza e' manifestamente infondata, tenendo conto, da un lato del contenuto dell'art. 11, commi 1-13, della legge n. 448 del 2001 e, dall'altro, dello spazio che il successivo comma 14 riserva alla potesta' regolamentare. In merito al primo, deve osservarsi che, nelle intenzioni del legislatore (sia del 1999 che del 2001), e' la legge primaria - e solo essa - a dettare la disciplina, civilistica e fiscale, delle fondazioni bancarie, tant'e' che il medesimo art. 11, comma 14, stabilisce, al secondo periodo, che "Le fondazioni adeguano i propri statuti alle disposizioni del presente articolo...". Al regolamento viene riservato, per converso, l'esclusivo compito di dettare le disposizioni attuative della normativa primaria, anche al fine di coordinarle con quelle originariamente varate nel 1999. Mutuando le espressioni utilizzate dal Consiglio di Stato nel gia' citato parere, tale opzione legislativa implica che lo strumento regolamentare prescelto non ha portata espansiva, rispetto al dettato legislativo, tale da potere incidere su una disciplina di natura civilistica e, quindi, in ultima istanza, sul regime di piena autonomia statutariaria delle fondazioni bancarie, che, pertanto, rimane quello delineato dal decreto legislativo n. 153 del 1999 (nella versione piu' aggiornata), che, contemporaneamente, si pone altresi' come l'(invalicabile) quadro di riferimento del potere regolamentare. I principi innanzi riassunti portano, da un lato, ad affermare la sussistenza, in astratto, del potere normativo esercitato nella specie, dall'altro a concentrare l'attenzione sulle singole disposizioni, di cui si compone il decreto ministeriale n. 217 del 2002 impugnato, per verificare, in concreto, se siano stati rispettati i limiti imposti dal legislatore, a detto potere. 3. - Il terzo motivo di ricorso, pur rivolto avverso l'art. 2, del decreto ministeriale n. 217 del 2002, denuncia, in realta', l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 1, 2 e 3, della legge n. 448 del 2001, del quale la norma regolamentare costituisce la fedele applicazione. L'attenzione si appunta, in particolare, sull'obbligo imposto alle fondazioni di svolgere la loro attivita' esclusivamente nei "settori ammessi", prescegliendo, nell'ambito di quelli creati dalla legge, un massimo di tre settori che, percio' stesso, diventano "rilevanti". Non risulterebbe risolutore il correttivo - frutto di una sollecitazione in tal senso del Consiglio di Stato - che consente di effettuare la scelta senza tener conto della suddivisione dei settori ammessi nelle quattro categorie generali, operata dal legislatore del 2001. Parte ricorrente sostiene che tale previsione normativa comporterebbe l'indebita compressione dell'autonomia statutaria, alla quale sarebbe rimessa, in via esclusiva, la facolta' di individuare il proprio raggio di azione. Il vizio sarebbe aggravato da un'individuazione dei settori ammessi del tutto casuale o, quanto meno, avulsa dalla realta' storica delle fondazioni, alle quali verrebbe assegnata la cura di interessi (per tutti: prevenzione della criminalita' e sicurezza pubblica) da sempre appannaggio esclusivo della pubblica amministrazione. Un'ulteriore prova in tal senso sarebbe il recente ampliamento dell'elenco con il riferimento ai compiti attinenti alla realizzazione di beni pubblici e di pubblica utilita', operato dalla legge 1 agosto 2002, n. 166. In via preliminare, va affermata la rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata, atteso che l'art. 2 del Regolamento impugnato riproduce fedelmente il dettato legislativo, e, proprio in ragione di tale identita', non puo' che subire la sorte della norma legislativa che riproduce. Nel merito, la prospettazione di parte ricorrente non appare manifestamente infondata. La contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede: a) l'introduzione di numerosi "settori ammessi", partitamente elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1); b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli - tra gli ammessi - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in numero non superiore a tre (comma 2); c) la destinazione dell'attivita' di queste ultime esclusivamente nei settori ammessi e, in via prevalente, in quelli rilevanti (comma 3). Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al decreto legislativo n. 153 del 1999: l'art. 2, comma 2, nella versione originaria, riconosceva agli statuti il potere di individuare i settori nei quali indirizzare l'attivita' delle fondazioni e di stabilire l'entita' degli interventi da effettuare in ciascuno di essi; l'unica limitazione riguardava l'obbligo di assicurare la cura di almeno uno dei settori rilevanti, indicati dall'art. 2, lett. e), della legge n. 461 del 1998 (ricerca scientifica, istruzione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sanita' e assistenza alle categorie sociali deboli). Tale compressione dell'autonomia statutaria - per la sua portata - non determinava lo snaturamento dei soggetti in parola, in quanto era giustificata dall'esigenza di garantire la cura dei (pochi) settori rilevanti individuati, appartenenti, per giunta, alla tradizionale sfera di operativita' delle fondazioni bancarie, ponendosi cosi come una forma di necessario bilanciamento - in funzione della salvaguardia di interessi collettivi - dell'amplissima autonomia attribuita ai soggetti in parola. Infine, nell'originaria versione del decreto legislativo n. 153 del 1999 non era imposto alcun raccordo con il territorio di riferimento, ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle fondazioni bancarie nel loro insieme. L'assetto dato dall'art. 11, piu' volte citato, fa sorgere fondati dubbi in merito alla sua compatibilita' con l'affermata "piena" autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il comprimere, in maniera eccessiva, i due elementi peculiari di cui essa si connota: lo scopo e l'utilizzo del patrimonio della persona giuridica. Tali effetti sono indotti: a) dall'obbligo di operare "esclusivamente" nei settori ammessi, che preclude la possibilita' di scelta di ambiti di attivita', che, pur se non contemplati nell'elenco di cui all'art. 11, comma 1, si ascrivano comunque in quelli tradizionalmente propri delle fondazioni bancarie o rivestano, comunque, una rilevanza sociale. Tale conclusione non e' inficiata dall'obiezione di parte resistente che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza degli stessi all'attivita' istituzionale delle fondazioni bancarie non consentirebbero di configurare una rilevante incidenza sull'autonomia di queste ultime. Deve osservarsi, intanto, che la questione va correttamente impostata in termini di principio e che, pertanto, essa deve riguardare la legittimita', in astratto, delle limitazioni introdotte. Peraltro, pur volendo seguire il ragionamento dell'amministrazione, deve comunque rilevarsi che l'elencazione legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti soggetti: lo dimostrano, da un lato, lo stesso art. 11, comma 1, ultimo periodo, il quale avverte la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza il potere di modificare con regolamento i settori ammessi, in una visione, evidentemente, dinamica dell'attivita' complessiva da riservare alle fondazioni bancarie; dall'altro, l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima. La suddetta delimitazione, spinta fino al punto da elidere un autonomo potere di scelta dei soggetti in parola, si giustifica, quindi, solo se la si considera come una manifestazione della volonta' di sottoporre questi ultimi, nel loro insieme, ad un penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e 3, dell'art. 11, della legge n. 448 del 2001, che seguono immediatamente; b) dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre settori di attivita', che divengono percio' "rilevanti". Tale carattere comporta che le fondazioni operino in essi in via prevalente, assicurando, singolarmente e nel loro insieme, l'equilibrata destinazione delle proprie risorse, dando altresi' preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale. La prima osservazione critica, che ricalca il vizio di legittimita' gia' esposto alla precedente lett. a), consiste nel fatto che le fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i settori rilevanti nell'ambito di quelli tassativamente ammessi", sicche', anche a tal proposito, esse sono costrette ad agire nel solco tracciato in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente. Altro e', insomma, il poter operare in piu' settori, purche' lo si faccia anche in uno di quelli indicati dal legislatore, come era previsto in passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare nell'ambito di settori - non importa se numerosi - imposti dall'esterno. La seconda riguarda la limitazione numerica imposta, non riscontrandosi alcun interesse collettivo che giustifichi la compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre. I vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla stregua delle conseguenze che la scelta triennale dei settori comporta: l'insorgenza dell'obbligo di destinare ad essi la maggior parte delle risorse impiegabili e di garantirne l'equilibrata distribuzione, dando altresi' preferenza a quelli di maggiore rilevanza sociale. L'intenzione del legislatore del 2001, a questo punto, risulta chiara: creare un'interdipendenza fra i soggetti in parola, convogliando e coordinando in una prospettiva unitaria le potenzialita' espresse da ciascuno di essi. Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista per la scelta dei settori rilevanti, quanto l'imposizione dell'obbligo - perche' tale esso deve configurarsi, a meno di non volere depotenziare la portata di una disposizione di legge - di garantire il raggiungimento del risultato complessivo che l'ordinamento si aspetta da detti soggetti. Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma dell'art. 11, della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente con il disegno complessivo delineato: l'esposizione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, nella Relazione revisionale e programmatica, dell'ammontare delle risorse complessivamente attivate nei settori ammessi, ai fini degli stanziamenti nei fondi investimenti di cui all'art. 46 della legge citata. Prima di trarre le conclusioni in merito al dubbio di legittimita' costituzionale dell'assetto appena descritto, puo' agevolmente affermarsi che la questione sollevata da parte ricorrente e' rilevante per definire il giudizio in corso. La previsione legislativa, della quale ci si occupa e', infatti, immediatamente precettiva, per quel che riguarda le scelte da effettuare da parte delle fondazioni bancarie (e la nota impugnata con i motivi aggiunti ne costituisce la prova migliore); inoltre, essa costituisce il fondamento del potere di segnalazione dell'Autorita' di vigilanza, contemplato dall'art. 2, comma 4, del Regolamento, il cui scopo e' di orientare l'azione dei destinatari, atteso che, senza un intervento eteronomo, non risulterebbe possibile quella attivita' di concertazione che pure l'art. 11, comma 3, espressamente impone. Non puo' negarsi, inoltre, conformemente ai principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione (cfr., in tal senso, per tutte, l'ordinanza di rimessione del 10 novembre 1997, n. 2655, che ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale 27 novembre 1998, n. 383), che l'interesse primario di parte ricorrente e' di sentirsi dichiarare la radicale illegittimita' della fonte attributiva del potere - che, nella specie, potrebbe essere non solo di indirizzo, ma anche sanzionatorio - cosi' da porsi definitivamente al riparo da un possibile riesercizio dello stesso. Militano, in favore di questa tesi, tanto ragioni di giustizia sostanziale, che di economia processuale, tenuto conto, altresi', della delicatezza e della rilevanza degli interessi in gioco, che postulano l'eliminazione di ogni possibile dubbio di costituzionalita' della normativa primaria. Quanto ai profili di non manifesta infondatezza, deve osservarsi che l'art. 11, commi 2 e 3, della legge n. 448 del 2001 ha come risultato di assumere, nell'ambito organizzativo della pubblica amministrazione, persone giuridiche private, pur dotate di piena autonomia statutaria e gestionale. Pertanto, pur non arrivando alla conclusione che queste ultime risultano trasformate in enti pubblici strumentali, l'assetto innanzi esposto - per certi versi simile a quello dei concessionari di servizi pubblici, descritti pure come organi indiretti della pubblica amministrazione - si pone in insanabile contrasto con la natura privatistica delle stesse, che, se non consente l'eccessiva compressione del potere di scelta dei settori, ancor meno tollera il loro inserimento in un ordinamento sezionale, orientato al perseguimento di un risultato collettivo che travalica l'individualita' di ciascuna di esse, incidendo, in tal modo, su una tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e gestionale. Un'ulteriore considerazione si impone con riguardo alla composizione dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie. Se queste ultime fossero completamente libere nella scelta dei settori in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla legge, esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore affinita' con la loro storia. La prospettiva cambia se si tiene conto del gia' descritto risultato complessivo preteso dall'art. 11, comma 3, che porta ad ipotizzare inevitabili iniziative dell'Autorita' di vigilanza per indirizzare la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente, i soggetti in parola rifuggirebbero. La segnalata eterogeneita', in primo luogo, rafforza il convincimento che il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle fondazioni bancarie una funzione servente dell'organizzazione pubblica; inoltre, l'affidamento, a largo spettro, di ambiti di attivita', avulse dalla loro tradizionale sfera operativa, finisce con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera significativa, su uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui le persone giuridiche di diritto privato, sia pur soggette ad una disciplina speciale, ontologicamente si connotano. Da quanto esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica questione di costituzionalita' dell'art. 11, comma 1, primo periodo, nella parte in cui esso prevede settori - segnatamente "la criminalita' e sicurezza pubblica", l'"edilizia popolare locale" e la "sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto estranei alla tradizionale sfera di attivita' delle fondazioni bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare anche d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti e non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilita'", contemplata dall'art. 7, comma 1, lett. aa), punto 2, della legge 1 agosto 2002, n. 166, che modifica l'art. 37-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109; c) un ulteriore aspetto problematico presenta il comma 1, dell'art. 11, ma e' preferibile posporne la trattazione alle conclusioni in merito all'assetto legislativo descritto alle lettere a) e b). A tal proposito, il collegio reputa che non siano manifestamente infondate le seguenti questioni di costituzionalita', riguardanti l'art. 11, commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001 (oltre il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002), per possibile contrasto rispetto: 1) all'art. 3 della Costituzione, sub specie dell'irrazionalita' legislativa, che rileva: a) come contrasto con il disposto dell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 153 del 1999, attribuendo a quest'ultimo il rango, che gli compete, di norma di principio, cui informare tutta la normazione di dettaglio; b) come indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia privata, da intendersi, quindi, non come allontanamento, tout court, dal modello codicistico di fondazione, quanto, piuttosto, come "stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale" (per mutuare l'espressione utilizzata in sede consultiva); 2) all'art. 18 e all'art. 2 della Costituzione, che costituisce l'ulteriore sviluppo di quanto detto in chiusura del punto precedente. L'avviso del Collegio e' che le modifiche apportate dalla legge n. 448 del 2001 comportano la sostanziale negazione del modello voluto dal legislatore solo due anni prima e, soprattutto, non espressamente sconfessato, sicche' e' possibile affermare che il decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni bancarie come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non puo', percio', essere intaccato quello che potrebbe definirsi il "contenuto minimo", frutto della scelta innanzi evidenziata, di privilegiare la genesi volontaristica di tali soggetti. Risultano, pertanto, irragionevolmente compressi tanto il diritto di associazione dei cittadini (art. 18, Cost.), quanto i diritti dell'uomo nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento (art. 2, Cost.) (sul punto, e' utile richiamare i principi sanciti dalla Corte costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1997, n. 248, e 29 dicembre 1993, n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti degli enti creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al decreto delegato 20 novembre 1990, n. 356, con particolare attenzione ai rapporti fra le originarie fondazioni bancarie e la relativa liberta' statutaria); 3) all'art. 41 della Costituzione, che tutela l'autonomia privata, sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo a fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso la sovrapposizione di una volonta' eteronoma a quella propria dell'ente; 4) all'art. 117 e all'art. 118, comma 4, della Costituzione, configurabile in relazione all'assunzione dei soggetti in parola nell'ambito della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si realizza, in particolare, con il comma 3, dell'art. 11, della legge n. 448 del 2001. Quanto all'art. 118, comma 4, della Costituzione, lo spunto viene fornito dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere sullo schema del Regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il mutamento della stessa nozione di autonomia privata, che, alla stregua del principio di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, risulta oramai orientata al perseguimento non solo di bisogni individuali, ma anche di utilita' generale, connotando, conseguentemente, un nuovo rapporto fra pubblico e privato. Piu' specificamente, il citato parere, riprendendo una sollecitazione proveniente proprio dalla Corte Costituzionale (nella nota decisione 7 aprile 1988, n. 396), ha chiarito che "lo Stato e ogni altra autorita' pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della societa' civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale": ed al Collegio appare particolarmente significativo l'uso, da parte della Corte, dell'avverbio "liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma restando la natura privata delle fondazioni bancarie, con le implicazioni in punto di intangibilita' dell'autonomia gia' evidenziata, e' consentito al legislatore introdurre strumenti di vigilanza e di controllo, che costituiscono la connotazione tipica del regime privatistico speciale di tali soggetti. Dal discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se vi e' spazio per interventi ab externo in sede di controllo, altrettanto non puo' dirsi per atti di indirizzo e ancor meno per interventi di carattere dirigistico. La ragione e' evidente: l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa del privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un sistema di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne', tanto meno, sostituire la propria volonta' (nel campo dell'organizzazione, dell'individuazione dei fini e della spendita del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato, che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica. Non vi e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi dell'art. 11 comportano una pervasivita' dei pubblici poteri, del tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su esposti. Non appare manifestamente infondato neppure il dubbio della violazione dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che alcuni dei settori indicati dall'art. 11, comma 1, rientrano nell'ambito delle materie che la norma costituzionale assegna alla potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile, la ricerca ed i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva delle Regioni (quali l'assistenza, l'edilizia locale e l'agricoltura). E allora, nulla quaestio, se la legge statale si limita a normare il solo "ordinamento civile"; se, pero', come il Collegio e' orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di sua esclusiva spettanza, emergono le possibili implicazioni sulla sfera di attribuzioni delle regioni, in quanto il legislatore finisce, sostanzialmente, con il disciplinare la singola materia, riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo, oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle finanze, in attesa dell'istituzione dell'apposita Autorita' di vigilanza; d) residua un'ultima questione, relativa alla legittimita' della previsione dell'art. 11, comma 1, ultimo periodo, che attribuisce all'Autorita' di vigilanza il potere di modificare i "settori ammessi" con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Due sono i dubbi che tale previsione ingenera nell'interprete. Il primo, e piu' radicale, riguarda l'introduzione di una forma di delegificazione ad opera di una fonte secondaria di mera esecuzione, qual'e' il regolamento contemplato dall'art. 17, comma 1, citato. Tale risultato non e' consentito dall'ordinamento, se non attraverso i regolamenti c.d. di delegificazione, espressamente contemplati dal comma 2 del medesimo art. 17, che, oltre a presentare una ben diversa veste formale, presuppongono che le leggi, che li autorizzano ad innovare in deroga al principio di gerarchia delle fonti, indichino le norme generali regolatrici della materia, che, nella specie, e' costituita dal raggio di azione riservato alle fondazioni bancarie: di tali norme, nella specie, non vi e' traccia, ne' formalmente, ne', tanto meno, sostanzialmente, atteso che non le si puo' ricavare dall'elencazione dei settori ammessi fatta dall'art. 11, comma 1, in se' non particolarmente significativa, tenuto conto anche della sua disomogeneita'. Ne discende che l'Autorita' di vigilanza risulta sostanzialmente libera di incidere, ad libitum, sulla fonte primaria, in spregio al principio, sancito dall'art. 70 della Costituzione, che riserva in esclusiva al Parlamento la funzione legislativa. L'ulteriore dubbio attiene all'attribuzione di un siffatto potere regolamentare all'autorita' ministeriale, con le implicazioni, in punto di possibile violazione dell'art. 117 della Costituzione, gia' evidenziate alla precedente lett. c). 4. - Il settimo motivo, in ordine di esposizione, ha ad oggetto l'art. 5, commi 2 e 3, del decreto ministeriale n. 217 del 2002 e porta, altresi', all'esame del tribunale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, che, sostituendo l'art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999, impone il divieto ai soggetti, che svolgono funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione o controllo presso le fondazioni, di ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso societa' operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo, ad eccezione di quelle, non operanti nei confronti del pubblico, di limitato rilievo economico o patrimoniale. Si denuncia, altresi', l'illegittimita' ex se della norma regolamentare, in quanto essa, senza alcuna copertura legislativa, procederebbe all'individuazione delle societa' di limitato rilievo economico e patrimoniale. Deve, preliminarmente, osservarsi, in punto di rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata, che la disposizione legislativa e' stata fedelmente trasfusa nel testo regolamentare, tant'e' che il Consiglio di Stato ha rilevato l'ultroneita' di quest'ultimo (segnatamente dell'art. 5, comma 1), non mancando, altresi', di segnalare l'impossibilita' di esaminare i dubbi di costituzionalita', "pur da piu' parti ipotizzati". La produzione di effetti gia' verificatasi - e l'art. 5 del Regolamento impugnato ne e' la prova - comporta l'attualita' dell'interesse a sindacare la disciplina primaria, che non viene meno per la sopravvenienza di una nuova normativa, la cui efficacia rileva solo de futuro. In altre parole, pur dandosi atto che l'art. 80, comma 20, lett. a), della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) ha sostituito l'intero art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999, introducendo una disciplina profondamente diversa dalla precedente, risulta comunque indispensabile che la Corte costituzionale si pronunci in merito alla costituzionalita' dell'art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001, qualora il Collegio ritenesse non manifestamente infondata la questione stessa: la valutazione di legittimita' del decreto ministeriale n. 217 del 2002, oggetto diretto del presente giudizio, deve avvenire, infatti, alla stregua della normativa primaria vigente al momento dell'adozione del Regolamento stesso. Effettivamente il testo dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999, come sostituito dall'art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001, presta il fianco a dubbi in merito alla razionalita' e alla proporzionalita' del divieto imposto rispetto allo scopo perseguito. Parte ricorrente, giustamente, lascia fuori dalla sua denuncia l'incompatibilita' riguardante la societa' bancaria conferitaria, atteso che il principio cardine della riforma introdotta dalla legge n. 461 del 1998, e' di garantire, appunto, la netta separazione di detta societa' dalla fondazione bancaria. Del tutto ingiustificato ed eccessivo risulta, per converso, il regime di incompatibilita' assoluta riguardante tutti i soggetti che siano impiegati, in posizioni di vertice, in societa' bancarie, finanziarie od assicurative; in tal modo, evidentemente, il legislatore ha inteso introdurre una radicale separazione tra queste ultime e le fondazioni bancarie, ipotizzando possibili interferenze pregiudizievoli, che comporterebbero un legame inscindibile fra i soggetti in parola e gli istituti di credito, diversi dal conferitario, le societa' finanziarie e quelle assicurative. Sul punto, si impongono due considerazioni di segno contrario. La prima attiene allo scopo perseguito dalla riforma Ciampi, gia' innanzi evidenziato, che e' limitato alla sola banca conferitaria. La seconda e' che questa contiguita' - in termini generali - sarebbe pur sempre tutta da dimostrare (e in tal senso il trattamento differenziato, riservato alle societa' di minore rilievo, non e' risolutore), in quanto, a mero titolo di esempio, non si comprende come la presenza nell'organo di indirizzo di una fondazione bancaria dell'amministratore di una compagnia di assicurazione (semmai straniera o, comunque, senza particolari rapporti con le attivita' ed il territorio di riferimento della fondazione stessa) potrebbe essere pregiudizievole per la corretta e neutrale attivita' gestionale di quest'ultima. Da quanto esposto, risulta evidente che lo scopo, che la norma si prefigge, ben potrebbe essere raggiunto applicando le ordinarie regole in materia di conflitto di interessi, operando cosi' non una scelta radicale e aprioristica, ma agendo caso per caso, tanto piu' che tali regole si affiancano alla rigorosa disciplina in tema di controllo delle societa' bancarie (diverse dalla conferitaria), dettata dall'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999. Optando per tale soluzione, il legislatore avrebbe ottenuto il duplice risultato di evitare le suddette interferenze pregiudizievoli, senza, pero', precludere, sempre e comunque, a soggetti particolarmente adatti di partecipare alla vita delle fondazioni bancarie, con evidenti vantaggi anche di queste ultime. In conclusione, pur considerando l'amplissima discrezionalita' di cui gode il legislatore, una preclusione, del tipo di quella contenuta nell'art. 11, comma 7, della legge n. 448 del 2001, comporta l'eccessiva compressione della capacita' delle persone, in violazione della specifica previsione costituzionale (artt. 2 e 22) che la tutela, incidendo altresi', specularmente, sull'autonomia delle persone giuridiche, sancita dall'art. 18 della Costituzione, aspetto che, in questa sede, assume un rilievo prevalente, in considerazione del fatto che sono queste ultime ad agire in giudizio. Infine, le doglianze, mosse direttamente all'art. 5, comma 3, del Regolamento impugnato, possono essere risolte indipendentemente dalla questione di costituzionalita' dell'art. 10, comma 3, lett. e), del decreto legislativo n. 153 del 1999, che, pertanto, risulta irrilevante. 5. - Con il nono motivo del ricorso viene portato all'esame del Collegio l'art. 7 del decreto ministeriale n. 217 del 2002, il quale stabilisce, al comma 1, che il controllo delle fondazioni sulle societa' bancarie si configura, nelle forme stabilite dall'art. 6, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999 o "comunque" sia esso determinato, anche quando faccia capo, direttamente o indirettamente, in qualunque modo, a piu' fondazioni, anche se queste non siano legate da accordi. L'illegittimita' di tale previsione consisterebbe, in primo luogo, nel ritenere rilevante solo il controllo operato attraverso un rapporto fra fondazioni, mentre, per converso, non assumerebbe alcuna importanza quello discendente dall'accordo tra una fondazione e soggetti diversi da essa; in secondo luogo, nella circostanza che tale controllo prescinderebbe dalla volonta' effettiva dei soggetti che lo esercitano, sicche' potrebbe discendere da una situazione del tutto casuale. Inoltre, la disposizione legislativa si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto non troverebbe un logico fondamento il divieto di detenere il controllo azionario su istituti di credito diversi dal conferitario. Illegittimo risulterebbe altresi' il criterio di individuazione delle forme di controllo, atteso che la formula usata - "in qualunque modo e comunque esso sia determinato" - risulterebbe quantomeno indeterminata. Il Regolamento sarebbe viziato nella parte in cui ne afferma l'esistenza anche in mancanza di qualsivoglia forma di accordo. Per valutare la rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata nei confronti dell'art. 6, del decreto legislativo n. 153 del 1999, occorre partire dall'esame dei primi due commi dell'art. 7, del decreto ministeriale n. 217 del 2002, osservando subito che la dichiarata intenzione di quest'ultimo e' di "assicurare la certezza normativa". Tale precisazione fa intendere che gia' in sede regolamentare si e' posto il problema di tipizzare i casi di controllo delle societa' bancarie da parte di una fondazione. L'art. 7 citato riproduce, innanzi tutto, la formula dell'art. 6, del decreto legislativo n. 153 del 1999, aggiungendo l'inciso finale "anche se queste non siano legate da accordi". Il secondo comma e' dedicato all'effetto di chiarificazione, operato attraverso il richiamo delle ulteriori ipotesi di controllo indicate dagli artt. 22 e 23, comma 2, del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385. La soluzione regolamentare non risulta censurabile, alla stregua di un dettato legislativo che lascia un amplissimo margine di discrezionalita' in sede attuativa. Per convincersene, e' sufficiente por mente alla dizione di chiusura del comma 5-bis, dell'art. 6, innanzi citato, aggiunto dall'art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001: la formula utilizzata - "in qualunque modo o comunque sia esso determinato" - consente di configurare il controllo sulle societa' bancarie anche in presenza di situazioni di mero fatto, che, in se', potrebbero non essere significative della sussistenza di una posizione di controllo, che e' pur sempre indispensabile verificare in concreto. La conclusione appena raggiunta riceve conferma dall'avviso del Consiglio di Stato che, in sede consultiva, ha ritenuto conforme alla normativa primaria l'inciso "anche se queste non siano legate da accordi". Viene in evidenza, quindi, l'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999, rubricato, appunto, "partecipazioni di controllo", che si apre con l'affermazione del divieto per le fondazioni di detenere partecipazioni in enti o societa' diverse da quelle svolgenti attivita' di impresa strumentali rispetto ai fini che le fondazioni stesse sono chiamate istituzionalmente a perseguire. Poiche' l'esercizio della discrezionalita' legislativa risulta pienamente legittimo, tenuto conto della natura e delle finalita' che l'ordinamento intende assegnare ai soggetti in parola, l'attenzione deve rapidamente spostarsi sulla nozione di controllo fornita dall'art. 6, che, nella versione originaria, vi dedica il secondo ed il terzo comma. Con il primo, si opera un rinvio all'art. 2359, commi 1 e 2, del codice civile; con il secondo, si chiarisce la nozione di influenza dominante contemplando tre ipotesi distinte. E' interessante notare in proposito che, mentre le prime due fattispecie indicate presuppongono l'esistenza di appositi accordi tra soci, la terza riguarda la semplice sussistenza di "rapporti di carattere finanziario e organizzativo", anche tra soci, che, pero', risultino idonei ad attribuire ad una fondazione il potere di nominare la maggioranza degli amministratori o di controllare l'assemblea ordinaria. Trattasi, comunque, di ipotesi tipizzate, che postulano l'individuazione della sussistenza di accordi o, quanto meno, di "rapporti idonei", tant'e' che tale disciplina non e' oggetto di contestazione in questa sede. Viene posta in dubbio, per converso, la legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001, che aggiunge il comma 5-bis all'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999 e che configura una presunzione assoluta di controllo in tutti i casi in cui quest'ultimo sia riconducibile, direttamente o indirettamente, a piu' fondazioni, in qualunque modo o comunque sia esso determinato. Parte ricorrente muove due precise censure, che risultano non manifestamente infondate. La prima discende dalla considerazione che il comma 5-bis in questione configura un collegamento fra le fondazioni bancarie e solo fra di esse, come se fossero un settore in se' conchiuso, sicche' assumerebbe rilievo anche la semplice circostanza di appartenere ad esso, a prescindere dall'esistenza di accordi o, quanto meno, di rapporti, giuridicamente rilevanti, fra di esse. Ha facile gioco parte ricorrente ad osservare come nulla vieterebbe che un controllo, parimenti efficace, potrebbe configurarsi, in presenza di una possibile triangolazione con una societa' operante in un ambito di attivita' totalmente diverso. L'unica giustificazione plausibile e' che anche qui, sia pure per una finalita' diversa, si e' inteso ipotizzare la gia' evidenziata settorializzazione delle fondazioni in parola, che comporta un'interdipendenza ed una reciprocita' intrinseca, che non solo e' tutta da dimostrare, ma, in ogni caso, non e' sicuramente di per se' rappresentativa di un possibile controllo, addirittura indiretto, come quello postulato dalla norma. Volendo sintetizzare quanto appena detto, in base alla norma contestata, e' sufficiente la sussistenza di una mera situazione di fatto - intercorrente fra piu' fondazioni (e solo tra di esse) - per determinare un obbligo di dismissione, che dovrebbe riguardare tutte le fondazioni che sono interessate alla vicenda. Risulta del tutto inaccettabile questo collegamento immediato, che, in primo luogo, come si e' detto, prescinde totalmente dalle reali intenzioni dei soggetti coinvolti, e, in secondo luogo, comporta un'indebita compressione della certezza del diritto, in considerazione del fatto che l'intera disciplina della materia avrebbe dovuto essere attribuita in via esclusiva alla fonte primaria, tenendo conto, da un lato, che si andava ad incidere sulla capacita' delle persone giuridiche e, dall'altro, che il potere regolamentare era limitato alla mera sfera attuativa. Le considerazioni appena effettuate valgono anche per il secondo aspetto evidenziato, che assume una connotazione piu' propriamente oggettiva, riguardando l'atipicita' della formula "in qualunque modo o comunque sia esso determinato", che consente di pervenire all'inaccettabile conclusione, gia' innanzi evidenziata, di potere prescindere dalla verifica sia della sussistenza di accordi (ferma restando, sul punto, la piu' ampia latitudine dei mezzi di prova) fra i soggetti coinvolti, sia della stessa intrinseca "idoneita'" del mezzo utilizzato per il raggiungimento dello scopo che il legislatore intende scongiurare. Va, di conseguenza, sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 10, della legge n. 448 del 2001 per contrasto con gli artt. 2, 3, 18 e 41 della Costituzione, per irragionevolezza della previsione normativa e per lesione dell'autonomia, statutaria e gestionale, di persone giuridiche di diritto privato. 6. - La Fondazione Monte dei Paschi di Siena muove, quindi, un triplice ordine di censure all'art. 25 del decreto legislativo n. 153 del 1999, che disciplina le operazioni di dismissione della partecipazione di controllo nella Societa' bancaria conferitaria. La prima, e piu' radicale, riguarda la sussistenza stessa di un idoneo fondamento legislativo di siffatto obbligo: parte ricorrente sostiene che quest'ultimo sarebbe stato direttamente introdotto dall'art. 25 citato, in assenza di una specifica previsione in tal senso nella legge n. 461 del 1998, che avrebbe previsto solo incentivi per favorire le dismissioni, che costituivano, pertanto, una mera facolta' cui potevano far ricorso le fondazioni bancarie. Si configurerebbe, pertanto, un patente contrasto con l'art. 76 della Costituzione. La seconda doglianza, rivolta alla legge, assume la violazione degli artt. 2, 18, 41 e 42 della Costituzione, atteso che tale obbligo sarebbe rivolto a soggetti divenuti oramai a tutti gli effetti persone giuridiche di diritto privato. Inoltre, esso determinerebbe una violazione dell'art. 73 b), n. 1, del Trattato dell'Unione europea, in quanto lederebbe la liberta' di circolazione dei capitali. A fronte di una disciplina cosi' invasiva, non si riscontrerebbe alcuna utilita' pubblica alla base della scelta di separare le fondazioni dalle rispettive societa' bancarie conferitarie. Il terzo aspetto evidenziato riguarda gli inasprimenti che, a giudizio della ricorrente, sarebbero stati introdotti dall'art. 11, della legge n. 448 del 2001, il quale ha ridotto di due anni l'originario termine di sei anni, previsto per la suddetta operazione, in spregio al legittimo affidamento delle fondazioni, chiamate a concludere un'operazione cosi' impegnativa, in quanto esposta alle fluttuazioni e alle turbolenze dei mercati finanziari. Andando per ordine, va detto, in primo luogo, che il decreto legislativo n. 153 del 1999, nella parte in cui disciplina, anche temporalmente, la procedura di dismissione della partecipazione di controllo nella societa' bancaria conferitaria, non si pone in contrasto con la legge n. 461 del 1998 e, quindi, non viola l'art. 76 della Costituzione. Uno dei principi della legge di delega e', infatti, quello di tenere radicalmente distinte le fondazioni bancarie dai corrispondenti istituti di credito conferitari. Lo testimonia, in primo luogo, l'art. 1, che, fissando l'ambito della delega, individua l'oggetto della successiva disciplina governativa nel regime fiscale dei trasferimenti delle partecipazioni bancarie detenute dagli enti conferenti, presupponendo, quindi, la necessaria effettuazione di quest'ultima operazione. Si spiega cosi' anche la regolamentazione specifica contenuta nel successivo art. 4, che introduce agevolazioni fiscali connesse alla suddetta operazione di dismissione, a condizione che quest'ultima avvenga entro la fine del quarto anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo. L'art. 4 contiene un'ulteriore conferma del valore strategico attribuito a tale operazione, facendo discendere, dall'inutile decorso del termine prescritto, la perdita, ai fini tributari, della qualifica di ente non commerciale, gia' attribuita alle fondazioni bancarie. Parallelamente, sotto l'aspetto civilistico, i soggetti in parola, in linea con la loro vocazione a perseguire "esclusivamente scopi di utilita' sociale" [cosi' si esprime l'art. 4, lett. a), della legge n. 461 del 1998], sono legittimati a detenere partecipazioni di controllo nelle sole societa' che svolgano attivita' di impresa strumentali ai fini statutari [lett. d) del medesimo art. 4]. Pertanto, l'art. 25 del decreto legislativo n. 153 del 1999, allorche' detta i tempi per la dismissione della partecipazione di controllo nella societa' bancaria conferitaria (e non solo in essa), si attiene fedelmente ai principi direttivi della legge di delega. Tale conformita' si riscontra nella versione originaria del citato art. 25, il quale mutua dalla legge n. 461 del 1998 il termine quadriennale, durante il quale e' consentito alle fondazioni bancarie di detenere tale partecipazione, prevedendo, comunque, un'ulteriore proroga biennale, con la perdita, pero', della natura di ente non commerciale dei soggetti in parola, proprio per venire incontro alle eventuali difficolta' connesse all'operazione di dismissione, senza, peraltro stravolgere principi ed obiettivi della legge n. 461 del 1998. Manifestamente infondata e' anche la censura riguardante la dedotta violazione dell'autonomia, statutaria e, soprattutto, gestionale, delle fondazioni bancarie, atteso che quest'ultima viene riconosciuta dal legislatore proprio in funzione degli scopi di utilita' sociale, che postulano la non appartenenza dei soggetti in parola al mondo economico. La conclusione da ultimo raggiunta consente l'agevole confutazione anche del denunciato contrasto della normativa interna con quella comunitaria: per escludere che, nella specie, si versi nell'ambito degli (inammissibili) aiuti di Stato alle imprese, e' sufficiente osservare che la natura non commerciale delle fondazioni bancarie (ribadita puntualmente dall'art. 5, del decreto legge n. 62 del 2002, sulla quale ci si e' intrattenuti in precedenza) esclude qualsivoglia perturbazione del mercato comunitario (che e', poi, lo scopo che si prefiggono le disposizioni del Trattato U.E.), in quanto i soggetti in parola, per loro natura, non agiscono nel mondo imprenditoriale; tale conclusione consente di superare anche una possibile, ulteriore prospettazione, consistente nella circostanza che le fondazioni bancarie, agendo come enti strumentali di quelli pubblici (di cui all'art. 114 della Costituzione), finirebbero con il sostituirsi a questi ultimi nell'erogazione di indebiti aiuti di Stato; a quest'ultimo proposito, deve aggiungersi che, oltre che infondata, per le ragioni innanzi evidenziate, tale affermazione risulta allo stato del tutto indimostrata, potendo, al piu', emergere e, quindi, essere oggetto di esame in sede applicativa. Residua l'ultima indagine, che riguarda le modificazioni introdotte dall'art. 11, commi 12 e 13, della legge n. 448 del 2001. Esse comportano la soppressione dell'ulteriore biennio, durante il quale e' consentita la detenzione della suddetta partecipazione di controllo, e la previsione alternativa, che, nel caso in cui non potesse farsi luogo all'immediata dismissione, la partecipazione stessa puo' essere affidata ad una societa' di gestione del risparmio, che la detiene per un ulteriore triennio. Dall'esame comparativo delle due normative, che si sono sovrapposte nel tempo, risulta evidente che il legislatore non ha provveduto, tout court, alla riduzione del termine originariamente assegnato per concludere l'operazione, ma, fermo restando quello iniziale (incomprimibile, in quanto previsto gia' dalla legge n. 461 del 1998), ha diversamente modulato quello successivo, consentendo cosi' alle fondazioni bancarie, sia pure per interposta persona, di continuare a detenere la quota nella societa' bancaria conferitaria, per giunta per un periodo ancora piu' lungo di quello originariamente previsto. Tale assetto risulta, pertanto, pienamente rispettoso delle aspettative dei soggetti in questione, tenendo conto, altresi', che, nel periodo considerato, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, le fondazioni bancarie (ed i relativi organi) non sono privati della loro operativita', ma solo sottoposti, nel loro agire, all'acquisizione della preventiva autorizzazione dell'Autorita' di vigilanza. Da ultimo, non e' questa la sede per far valere eventuali incompletezze della normativa sulle societa' di gestione del risparmio, che determinassero l'impossibilita' di procedere all'affidamento ad esse della partecipazione detenuta nella societa' bancaria conferitaria: tali aspetti diverrebbero attuali solo a seguito dell'esercizio dei poteri sostitutori, contemplati dall'art. 25, comma 3, del decreto legislativo n. 153 del 1999. Solo per completezza, deve aggiungersi che nessuna rilevanza assume nella vicenda in esame la sopravvenienza dell'art. 80, comma 20, lett. b), della recentissima legge 27 dicembre 2002, n. 289, che si e' limitato, per determinati tipi di fondazioni, a prolungare di un ulteriore triennio il periodo durante il quale e' possibile continuare a detenere le partecipazioni di controllo nelle Societa' bancarie conferitarie, rendendo cosi' piu' agevole, per i soggetti espressamente contemplati, l'operazione di dismissione di detta quota. 7. - L'ultimo motivo, sempre in ordine di esposizione, riguarda l'art. 9 del decreto ministeriale n. 217 del 2002, proponendo, altresi', la questione di costituzionalita' della corrispondente disposizione primaria - l'art. 11, comma 14, ultimo periodo, della legge n. 448 del 2001 - nella parte in cui quest'ultimo reca la disciplina del regime transitorio, cui sono sottoposte le fondazioni bancarie fino alla ricostituzione degli organi di indirizzo e di amministrazione, da effettuarsi a seguito dell'intervenuto adeguamento dei rispettivi statuti. Parte ricorrente appunta la sua attenzione sull'obbligatoria decadenza degli organi in carica e, nelle more della loro ricostituzione, sulla facolta' di quelli in prorogatio di svolgere esclusivamente l'attivita' di ordinaria amministrazione. Ambedue le previsioni si porrebbero in palese contrasto con la natura privatistica comunque riconosciuta alle fondazioni bancarie. Dalla sia pur sintetica illustrazione risulta evidente che la definizione della questione di costituzionalita' e' strettamente legata alla soluzione di quelle precedentemente formulate, tant'e' che, nel ricorso, si richiamano a sostegno le argomentazioni gia' esposte ed in particolare, quelle riguardanti la composizione dell'organo di indirizzo: senza ripetere cose gia' dette, e' innegabile che le modificazioni introdotte dall'art. 11, commi 1-10, della legge n. 448 del 2001 alterano grandemente la natura giuridica delle fondazioni bancarie, si da svuotarne dall'interno e in maniera, a giudizio del Collegio, inaccettabile, sia l'autonomia statutaria che quella gestionale, in patente contrasto con il principio sancito dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 153 del 1999. Va aggiunto, ai fini della rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata, che le contestate previsioni, in punto di decadenza degli organi e di regime transitorio, sono cosi' specifiche e circostanziate da vincolare l'interprete ad una lettura univoca. Rimane, pertanto, la strada della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 14, ultimo periodo citato, che, per quanto detto in precedenza, si salda con la valutazione in merito alla compatibilita' dell'assetto complessivo dei soggetti in parola, fornito dalle restanti disposizioni del medesimo art. 11, con i principi ricavabili dallo stesso decreto legislativo n. 153 del 1999 e, piu' in generale, dalla Costituzione. Se detto assetto risultasse legittimo, lo sarebbe anche la specifica disciplina dettata per la fase transitoria, che si porrebbe cosi' in piena coerenza con il mutamento operato sulla natura giuridica delle fondazioni bancarie. In caso contrario, l'incostituzionalita' si estenderebbe a quanto stabilito dall'art. 11, comma 14, in esame, quale diretta conseguenza di un'inammissibile trasformazione della natura giuridica dei soggetti in parola. Alla stregua della precedente trattazione, la Corte costituzionale va investita della questione di legittimita' dell'art. 11, comma 14, (in parte qua) piu' volte citato, in quanto incidente - sia pur temporaneamente - su soggetti che, ottenuta l'approvazione ministeriale del proprio statuto, sono diventati, a tutti gli effetti, persone giuridiche dotate di quella "piena" autonomia statutaria e gestionale", alla quale vanno riconosciuti il significato ed il valore emergenti dagli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4, della Costituzione. Non deve sottovalutarsi, conseguentemente, neppure il vulnus che deriva ai soggetti attualmente componenti degli organi delle fondazioni, che si vedrebbero sottratto il loro incarico, pur se risultassero in possesso di tutti i requisiti di professionalita', moralita' ed indipendenza richiesti per l'espletamento di dette funzioni. 8. - Per le considerazioni che precedono, il tribunale solleva, in quanto rilevanti e non manifestamente infondate, le seguenti questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto: a) l'art. 11, commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e l'art. 7, comma 1, lett. aa), punto 2, della legge 1 agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4, della Costituzione; b) l'art. 11, comma 1, ultimo periodo, della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 70 e 117 della Costituzione; c) l'art. 11, comma 7, della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 18 e 22 della Costituzione; d) l'art. 11, comma 10, della citata legge n. 448 del 2001 per contrasto con gli artt. 2, 3, 18 e 41 della Costituzione; e) l'art. 11, comma 14, ultimo periodo, della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118, comma 4, della Costituzione. Deve disporsi, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.