IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 10876 del
2002 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Roma,
in  persona  del  rappresentante  legale pro tempore, rappresentata e
difesa  dagli  avvocati  Pietro Anello e Angelo Clarizia, con i quali
elettivamente domicilia in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
    Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona dei
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello  Stato,  presso  la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi
n. 12; per l'annullamento:
        a)  del decreto ministeriale 2 agosto 2002 n. 217, recante il
"Regolamento  ai  sensi dell'art. 11 comma 14 della legge 28 dicembre
2001 n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie" e di
ogni  altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale, ivi
compreso  il  parere  del Consiglio di Stato - sezione consultiva per
gli atti normativi n. 1354 del 2002;
        b)  della nota prot. n. 14572, inviata il 23 ottobre 2002 dal
Ministero  dell'economia e delle finanze avente ad oggetto "Documento
programmatico previsionale";
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione   in  giudizio  del  Ministero
dell'economia e delle finanze;
    Visti i motivi aggiunti;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Nominato  relatore  il  consigliere Antonino Savo Amodio e uditi,
all'udienza  del  4 dicembre 2002, gli avvocati Clarizia e Anello per
la   ricorrente   e  l'avv.  dello  Stato  Aiello  per  il  Ministero
dell'economia e delle finanze;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  il ricorso in esame la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
impugna i provvedimenti in epigrafe indicati, deducendo:
        1.  - Illegittimita' dell'art. d.m. 2 agosto 2002, n. 217 per
illegittimita'   costituzionale  dell'art. 2,  comma  2  del  decreto
legislativo  17 maggio 1999, n. 153, in riferimento all'art. 1, comma
1,  lett.  c-bis)  dello  stesso  decreto  legislativo. La denunciata
illegittimita'   costituzionale   riguarderebbe,   in   primo  luogo,
l'indebita compressione dell'autonomia delle fondazioni, in relazione
tanto  allo  scopo  quanto  alla  destinazione  del  patrimonio,  che
discenderebbe dalla creazione della categoria dei "settori ammessi" e
dei "settori rilevanti" - tra i quali comparirebbero alcuni del tutto
spuri  (prevenzione  della  criminalita'  e  sicurezza  pubblica), in
quanto  storicamente  assegnati all'organizzazione pubblica - e dalla
previsione che le fondazioni possano operare esclusivamente nei primi
e, necessariamente, in almeno tre "rilevanti".
        2. - Illegittimita' (autonoma) dell'art. 2 del regolamento in
quanto  l'attribuzione  all'Autorita'  di  vigilanza  del  potere  di
controllo  sulle  delibere  di  individuazione  dei settori rilevanti
difetterebbe di base normativa primaria.
    Parimenti  viziato  sarebbe il potere dell'Autorita' di vigilanza
di  segnalare  i  settori  verso  i  quali orientare la (complessiva)
attivita'  delle fondazioni, in quanto, oltre a non avere un autonomo
fondamento  legislativo, esso sarebbe espressione di un'insussistente
funzione  di  indirizzo;  qualora  lo  si  intendesse  far discendere
dall'art. 10  lett. e) del decreto legislativo n. 153 del 1999, se ne
denuncia  l'incostituzionalita',  giusta  la  precedente ordinanza di
rimessione della sezione n. 1196 del 2002.
        3. - Illegittimita' dell'intero art. 3 del citato d.m. n. 217
del  2002 per illegittimita' costituzionale dell'art. 4 comma 1 lett.
c)  e  d)  del  citato  decreto  legislativo  n. 153  del  1999, come
novellato,  riferita alla composizione dell'organo di indirizzo delle
fondazioni,  come  la  ricorrente,  di  natura  associativa. Il vizio
consisterebbe  nel  prevedere  che,  accanto  al  50%  dei componenti
nominati  dall'assemblea,  il rimanente 50% veda la prevalenza di una
componente     pubblicistica,     comprimendo,    contemporaneamente,
l'autonomia  statutaria  e  la  tradizione  storica  delle fondazioni
stesse;  in  ogni  caso  risulterebbe  del  tutto  ingiustificata  la
preponderanza  di  detta  componente rispetto ai soggetti espressione
della societa' civile.
        4.  -  Nei limiti dell'interesse di cui sopra, illegittimita'
autonoma  dell'art.  3,  commi  1,  3, 7 e 8 del d.m. n. 217 del 2002
imponendosi  alle personalita' da chiamare a far parte dell'organo di
indirizzo  il possesso dei requisiti di "chiara fama" e "riconosciuta
indipendenza",   in   contrasto   con  l'art. 4  del  citato  decreto
legislativo  n. 153  del  1999,  che  enuncerebbe i soli requisiti di
professionalita', competenza ed esperienza.
    Si   configurerebbe,   inoltre,  una  disparita'  di  trattamento
rispetto  ai  rapresentanti  degli  enti  di  cui  all'art. 114 della
Costituzione, ai quali non sono richiesti i suddetti requisiti.
    Per  la stessa ragione risulterebbe illegittima la previsione che
dette   designazioni   siano   fatte  da  soggetti  di  "riconosciuta
indipendenza  e  qualificazione",  cosi'  come  il vincolo che questi
ultimi  operino  nei  settori  di  intervento  della fondazione o che
svolgano non meglio precisate "funzioni di garanzia".
    Illegittima   risulterebbe,   altresi',   la   previsione   della
"designazione  secca",  atteso  che  l'art. 4,  comma 1, lett. c) del
decreto  legislativo  n. 153 del 1999 attribuisce allo statuto in via
esclusiva la disciplina della materia.
    Alla medesima conclusione dovrebbe pervenirsi in merito ai poteri
di    sostituzione    attribuiti   all'Autorita'   di   vigilanza   e
all'imposizione  agli  statuti  di  prevedere  adeguati meccanismi di
sostituzione;  tali previsioni; inoltre, non sono state supportate da
un'idonea  motivazione,  in  merito  alle  ragioni  che imponevano di
discostarsi dal parere del Consiglio di Stato.
        5. - Illegittimita' dell'intero art. 4 del citato d.m. n. 217
del 2002 per illegittimita' costituzionale dell'art. 4 comma 1, lett.
g)  del  citato  decreto  legislativo  n. 153  del 1999 riferita alla
prescrizione   concernente   i   requisiti   di  professionalita'  ed
onorabilita'  dei  componenti gli organi delle fondazioni, atteso che
la  materia,  secondo quanto rilevato dalla sezione nella gia' citata
ordinanza  di  rimessione,  sarebbe  di  competenza  esclusiva  degli
statuti.
        6.   -   Illegittimita'   dell'art.   5   per  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 4,  comma  3 del citato decreto legislativo
n. 153  del 1999. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1,
lett.  c)  del  medesimo  decreto  legislativo. Si contesta, in primo
luogo,   il  regime  di  incompatibilita'  previste  dalla  normativa
primaria e riguardanti non solo la societa' bancaria conferitaria, ma
anche   le   societa'   comunque  operanti  nei  settori  creditizio,
finanziario o assicurativo.
    Autonomamente  illegittima  sarebbe la norma regolamentare, nella
parte  in cui fornisce il criterio di individuazione delle fondazioni
di  minore  rilievo,  alle  quali  non si applica la disciplina sulle
incompatibilita'.
    Alla  medesima  conclusione  dovrebbe  pervenirsi  in merito alla
previsione   legislativa,  che  impone  ai  titolari  del  potere  di
designazione  ed  agli  stessi  designati  di non essere portatori di
interessi   riferibili   ai   destinatari   degli   interventi  delle
fondazioni.  In  tal  modo  si  finirebbe  con  l'escludere proprio i
soggetti    che   maggiormente   potrebbero   garantire   l'efficacia
dell'azione delle fondazioni.
    Un    ulteriore    profilo   di   illegittimita'   costituzionale
discenderebbe  dal  diverso  -  ed opposto - trattamento riservato ai
soggetti  designati dagli enti di cui all'art. 114 della Costituzione
dall'art. 4, comma 3 del decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Viziato ex se risulterebbe anche l'art. 5 del Regolamento, che si
sarebbe   limitato  ad  assumere  le  esemplificazioni  indicate  dal
Consiglio di Stato in sede consultiva, senza darsi minimamente carico
della  precisa  affermazione di quest'ultimo, circa l'impossibilita',
in  sede  attuativa,  di ampliare il dettato legislativo, riguardante
una  materia - il regime delle incompatibilita', appunto - di stretta
interpretazione.
    In  ogni  caso,  si  sarebbe  dovuta privilegiare l'altra opzione
suggerita  dal  parere  n. 1354/2002,  consistente  in  una  verifica
dell'Autorita' di vigilanza da effettuarsi ex post e caso per caso.
        7.  -  Illegittimita'  autonoma,  dell'art.  5  atteso che il
rinvio  agli atti di indirizzo, in punto di incompatibilita', sarebbe
viziato, stante l'insussistenza di un siffatto potere di indirizzo in
capo  all'Autorita'  di vigilanza, secondo quanto gia' rilevato dalla
Sezione nell'ordinanza n. 1196 del 2002.
        8.   Illegittimita'   dell'art. 6,  comma  2  per  violazione
dell'art. 7,  comma  1  del  decreto  legislativo n. l53 del 1999; in
subordine, illegittimita' derivata dall'illegittimita' costituzionale
di quest'ultimo in quanto il regolamento - a differenza della legge -
definirebbe in maniera vincolante la destinazione degli investimenti.
    Nel  caso si riscontri la conformita' della disciplina secondaria
a  quella  sovraordinata,  parte  ricorrente denuncia il contrasto di
quest'ultima con l'art. 41 della Costituzione.
        9.  -  Illegittimita' dell'art. 7, comma 1 per illegittimita'
costituzionale  dell'art. 6,  comma  5-bis  del  decreto  1egis1ativo
n. 153  del  1999  vizi  riferiti  alle  disposizioni  in  materia di
partecipazioni bancarie di controllo.
    La   censura   riguarda   sia   la   norma  primaria  che  quella
regolamentare.
    In  merito  a  quest'ultima,  se  ne  denuncia l'indebita portata
ampliativa, in quanto il testo legislativo non parlerebbe di societa'
capogruppo bancario, ne' farebbe riferimento alcuno alla possibilita'
che  detta  forma  di controllo possa prescindere comunque da accordi
fra le fondazioni.
    Quanto   alla   disposizione   legislativa,   essa   risulterebbe
censurabile  nella  parte  in  cui  consente  di individuare forme di
controllo   congiunto   "in   qualunque  modo  o  comunque  esso  sia
determinato".
    Sarebbe  comunque  irragionevole  il  divieto  posto nei riguardi
delle altre societa' bancarie.
    Contrariamente  a quanto affermato dal Consiglio di Stato in sede
consultiva,  l'assenza di accordi non sarebbe un fatto giuridicamente
rilevante  e non rientrerebbe nella formula legislativa riportata tra
virgolette.
        10.  -  Illegittimita'  autonoma dell'art. 7, commi 2 e 3 per
violazione  del  decreto  legislativo  n. l53  del  1999  atteso  che
l'ampliamento delle ipotesi di controllo, operato dal regolamento con
il  richiamo agli artt. 22 e 23 del t.u. bancario, difetterebbe della
necessaria  base  legislativa,  tanto piu' che la normativa da ultimo
citata sarebbe inapplicabile alle fondazioni.
    Alla   medesima   conclusione   dovrebbe   pervenirsi  in  merito
all'attribuzione  alla  Banca  d'Italia  del potere di individuare le
situazioni di controllo riconducibili alle fondazioni.
        11.   -   Illegibilita'   dell'art. 8,   commi   1  e  2  per
illegittimita'  costituzionale  dell'art. 25  del decreto legislativo
n. 153 del 1999 riguardante l'obbligo di dismettere la partecipazione
di  controllo  nella societa' bancaria conferitaria, per giunta in un
termine  prestabilito, in chiara violazione del principio della piena
autonomia  gestionale,  propria  delle  persone giuridiche di diritto
privato.
    La  norma  regolamentare  sarebbe,  poi, illegittima ex se, nella
parte  in  cui  fissa  al  15 giugno 2003 la scadenza del termine per
effettuare  tale  operazione  e  laddove  prevede che la scelta della
societa'  di  gestione  del  risparmio  (s.g.r.),  cui affidare detta
partecipazione  di  controllo, sia attribuita alternativamente (oltre
che alla fondazione) alla societa' bancaria conferitaria.
        12.  -  Illegittimita'  dell'art. 9  comma 6 del regolamento,
riferita  alla  previsione  della necessaria decadenza degli organi a
seguito  della  revisione dello statuto, in spregio anche ai principi
affermati dal Consiglio di Stato in sede consultiva.
        13.  -  Illegittimita'  dell'art. 9, comma 8 del regolamento,
vizio  che  riguarda  la  pretesa  stessa  di  dare  una  definizione
dell'attivita'  di  ordinaria  amministrazione  nelle  more  di detta
revisione.  Inoltre,  la formula utilizzata sarebbe censurabile nella
parte  in  cui ricomprende in detta nozione i "progetti di erogazione
gia'  approvati  nelle linee fondamentali" e in quella in cui prevede
una  soglia  di  150.000,00 Euro per i progetti per le autorizzazioni
preventive.
    Si  e'  costituito in giudizio il Ministero dell'economia e delle
finanze,    il   quale,   nella   memoria   difensiva,   controdeduce
specificamente ai singoli motivi di doglianza.

                            D i r i t t o

    1.  -  Viene  all'esame  del  tribunale  il  decreto del Ministro
dell'economia  e  delle  finanze  2  agosto  2002  n. 217, recante il
regolamento  previsto  dall'art. 11  della  legge  28  dicembre  2001
n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie.
    Avverso tale provvedimento vengono mossi numerosi rilievi, alcuni
dei  quali  investono  la  legittimita'  costituzionale  della  fonte
attributiva del potere regolamentare.
    Occorre,  innanzi  tutto,  individuare  la natura giuridica delle
fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e
che  costituisce  la  risultante  dell'evoluzione normativa, che, nel
corso  di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di
separazione  delle  stesse  dalle  banche  ex pubbliche conferitarie,
processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante
la privatizzazione dell'intero settore creditizio.
    Punto  di partenza di tale evoluzione e' la legge cd. Amato-Carli
30  luglio  1990,  n. 218  ed  il  conseguente decreto legislativo 20
novembre  1990, n. 356. Quest'ultimo contiene le "disposizioni per la
ristrutturazione  e  per  la  disciplina del gruppo creditizio" e, in
particolare,  al  titolo III, reca la disciplina degli "Enti pubblici
conferenti",  attribuendo  ad  essi  una  piena  capacita' di diritto
pubblico  e  di  diritto privato ed assoggettandoli alle disposizioni
legislative  appositamente  varate  e  a  quelle  dei loro rispettivi
statuti.
    La  prospettiva  muta  profondamente  con la legge c.d. Ciampi 23
dicembre  1998,  n. 461,  che  conferisce la delega al Governo per il
riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti.
    L'art. 2,  comma  1,  lett.  l),  in particolare, impone a questi
ultimi  di  adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando
decreto  legislativo,  stabilendo,  altresi', che "con l'approvazione
delle  relative  modifiche  statutarie  gli  enti  diventano  persone
giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale".
    Risulta    cosi'    evidente   l'opzione   legislativa   generale
dell'affidamento  della  materia delle fondazioni bancarie al diritto
privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul
regolamento  in  esame,  nell'adunanza  del  1 luglio 2002, che ne ha
altresi'  individuato  la  ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto
meno  morale,  del  patrimonio  accumulato nel corso di decenni dalle
banche  pubbliche  alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e
dei beneficiari del credito.
    Assume  rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia
di  detti  enti,  garantito  dal  citato  art. 2  comma 1, lett. l) e
riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria),
quanto  a  quello  di  svolgere  la  propria  attivita' istituzionale
(autonomia  gestionale).  I  limiti  di  tale  liberta'  sono  quelli
tassativamente  imposti  dalla  legge,  in  perfetta  coerenza con la
circostanza  che  le  fondazioni  bancarie  sono  il  prodotto di una
precisa   scelta   del   Parlamento,   chiamato,  percio'  stesso,  a
predisporre  una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e
del  corretto  perseguimento  dei  fini  istituzionali.  All'uopo, il
medesimo  art. 2  ha  fissato  i  principi  e  i criteri direttivi al
legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna
e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e'
stato  di  prevedere  un  regime peculiare, che si discosta da quello
dettato  dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche
quest'ultimo   sottopone  le  "ordinarie"  fondazioni  ad  un'attenta
vigilanza,  preordinata  a  garantire  il  perseguimento  dello scopo
indicato dal fondatore.
    La  precedente  esposizione consente di chiarire l'esatta portata
del  carattere  di  "specialita'"  dei  soggetti  in  parola, che non
riguarda  la  loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus
fra  gli  enti  pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene,
piuttosto,  alla  disciplina  cui  i  medesimi  sono sottoposti, che,
rispetto  a  quella  codicistica,  si  pone,  appunto, in rapporto di
species ad genus con tutte le conseguenze ermeneutiche ed applicative
che ne discendono.
    Il decreto delegato 17 maggio 1999, n. 153 si pone nella medesima
prospettiva,  esordendo con una definizione delle fondazioni bancarie
in tutto identica a quella della legge di delega.
    Analoga conferma viene dall'art. 11 della citata legge n. 448 del
2001,  che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per il
resto,  l'impianto legislativo precedente in maniera cosi' penetrante
da  avvertire  la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza
il   potere   regolamentare  di  coordinamento  con  le  disposizioni
contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999.
    La  prospettiva  non  cambia  neppure con la legge 15 giugno 2002
n. 112,  che,  convertendo  il  decreto-legge  15 aprile  2002 n. 63,
aggiunge  un  ulteriore  periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente
sostenersi  che l'ulteriore intervento normativo non ha alcun effetto
novativo della disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata:
        a)  dalla  lettera  dell'art.  5  citato.  Esso  puo'  essere
scomposto  in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e'
destinato a produrre:
          vi  e',  anzitutto, una conferma della precedente normativa
adottata,   espressa  dalla  proposizione  di  apertura  del  periodo
aggiunto:  "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del
1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999...";
          segue  una precisazione in merito alla natura giuridica dei
soggetti  in  parola,  che,  per  dirla anche qui con il Consiglio di
Stato,   rende  esplicita  l'esistenza  di  un  "regime  privatistico
speciale"  che  li  caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione
del  loro  regime  giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle
delle   altre  fondazioni,  in  quanto  ordinato  per  legge  ..."  -
costituisce,  peraltro,  la  migliore conferma della gia' evidenziata
portata  del  carattere  di specialita' impresso dal legislatore alle
fondazioni  bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla
successiva  elencazione,  che  si  limita  a  richiamare  i caratteri
salienti   della   disciplina   legislativa   precedentemente  varata
(riguardanti  il  modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e
la  gestione  del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri
applicativi della normativa che riguarda detti soggetti).
          si  stabilisce,  infine,  che  "la  disposizione  di cui al
precedente  periodo  costituisce  norma  di interpretazione autentica
della  legge  23  dicembre  1998, n. 461 e del decreto legislativo 17
maggio   1999,   n. 153".   Basta   in  proposito  osservare  che  la
giurisprudenza,  costituzionale  (cfr.  Corte cost. 23 novembre 1994,
n. 397)  ed  amministrativa  (cfr. Cons. Stato, V sez., 2 luglio 2002
n. 3612),   afferma  costantemente  che  la  norma  legislativa  puo'
qualificarsi     interpretativa     e,    quindi,    retroattiva    e
costituzionalmente  legittima  solo  quando  si  limita a chiarire la
portata  applicativa  di  una disposizione precedente, non integra il
precetto  di  quest'ultima  e  non  adotta un'opzione ermeneutica non
desumibile  dall'ordinaria  attivita'  di  esegesi della stessa: tale
risulta essere la norma in esame;
        b)  dalla  ratio,  e  dall'occasio  legis.  Emerge dai lavori
parlamentari  che  il  periodo  aggiunto all'art. 5 del decreto-legge
n. 63 del 2002 (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari
iniziali a seguito di condanna per aiuti di Stato") ha la funzione di
"esplicitare agli organi della comunita' europea le motivazioni della
particolarita'  del  regime  fiscale delle fondazioni, precisando che
non  si  tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione
del  relatore  dell'emendamento,  on. Alfano,  resa  alle Commissioni
parlamentari V e VI riunite).
    Lo  Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione
della  Commissione  CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata
giudicata  incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione,
di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del
1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le
fusioni  fra  le  banche.  La  soluzione  accolta  e' stata quella di
sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo
introdotto  per  le  fondazioni bancarie, in considerazione del fatto
che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale
o  di  impresa;  pertanto,  le  provvidenze  fiscali previste in loro
favore  non  sarebbero  suscettibili di produrre effetti perturbativi
del mercato.
    Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo,
appena   delineato,   non   apporta   alcuna  variazione  sostanziale
l'art. 80,  comma  20  della legge 28 dicembre 2002 n. 289, che, alla
lett.   a),   disciplina   un   aspetto   peculiare,   in   punto  di
incompatibilita'  degli  organi  delle  fondazioni  bancarie, e, alla
lett.  b),  si  limita  ad  una  proroga  del  periodo  riservato per
l'operazione  di  dismissione  della  partecipazione  nella  societa'
bancaria conferitaria.
    Le  conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e
di  affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello
evidenziato,  il  riconoscimento  della "piena autonomia statutaria e
gestionale"   delle  fondazioni  bancarie  assume  il  valore  di  un
principio  guida  sia per l'interpretazione che per la valutazione di
legittimita',   sub  specie  della  compatibilita'  con  esso,  delle
disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153
del  1999,  pur  dopo  le modificazioni introdotte dall'art. 11 della
legge n. 448 del 2001.
    Piu'   specificamente,  l'affermazione  della  "piena"  autonomia
statutaria  garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria
"costituzione",  che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben
puo'   conformare  l'esercizio  di  tale  potere,  per  garantire  il
perseguimento  degli  interessi  di  rilevanza  sociale  propri delle
fondazioni  (e  non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a
comprimerlo  fino  ad  annullarlo,  in  toto o per specifici aspetti,
tradendo  il  carattere  peculiare che essa stessa ha impresso a tali
soggetti.
    Analogamente,   l'affermazione   dell'autonomia   gestionale   e'
destinata   ad   assicurare   il   libero  esplicarsi  dell'attivita'
istituzionale  dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici
e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'.
    Il  problema  e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare
se  sia  stato  il  "grado di compressione che e' possibile imprimere
all'autonomia   privata   ...  senza  che  cio'  si  traduca  in  uno
stravolgimento  della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale,
che  la  Carta costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le
modifiche  introdotte dagli articoli 117 e 118 Cost.". L'espressione,
mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente
anche  di  replicare  all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di
parte  resistente,  che  ha  negato la configurazione di un possibile
vizio   di   costituzionalita'   nella   scelta  del  legislatore  di
discostarsi dal modello privatistico della fondazione.
    2.  -  Puo' a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi
di  ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto,
possono essere suddivisi in due tipologie:
        a)   censure  che,  pur  rivolte  nei  confronti  di  singole
disposizioni     regolamentari,    non    possono    essere    decise
indipendentemente    dalla    risoluzione    delle    questioni    di
costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie;
        b)  doglianze  che hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il
decreto  ministeriale  2  agosto  2002,  n. 217, nessuna delle quali,
pero',  suscettibile  di  produrre  l'integrale  effetto annullatorio
dell'atto  impugnato:  il  che  renderebbe  irrilevante  qualsivoglia
questione di costituzionalita'.
    Quest'ultima  precisazione  consente  al  collegio  di fissare il
proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi.
    La  prima  riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di
costituzionalita'  sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte
alle  norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per
accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse.
    La  seconda,  da  rinviarsi  all'esito  dell'esame  che andra' ad
effettuare  la  Corte  costituzionale,  che  ha  ad  oggetto  sia  le
disposizioni   attuative   strettamente   consequenziali  all'assetto
normativo  primario, sia quelle indicate alla precedente lett. b), in
considerazione   del   fatto  che,  come  risultera'  evidente  dalla
successiva  trattazione,  i  dubbidi  costituzionalita',  insorti nel
collegio,  assumono  un'importanza  preponderante  per quantita', ma,
soprattutto,  per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa
introdotta  nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il
pronunciamento   della   Corte   costituzionale   sulla  legittimita'
dell'assetto  normativo  primario, per una piu' compiuta ed esaustiva
disamina del complessivo testo regolamentare.
    Fatta  tale  premessa,  puo' passarsi all'esame del primo motivo,
che  riguarda l'art. 2 del decreto ministeriale n. 217 del 2002 e che
porta   all'esame   del   tribunale   la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  commi  1, 2 e 3 della legge n. 448 del
2001,   del  quale  la  norma  regolamentare  costituisce  la  fedele
applicazione.
    L'attenzione  si  appunta,  in  particolare, sull'obbligo imposto
alle  fondazioni  di  svolgere  la  loro attivita' esclusivamente nei
"settori  ammessi", prescegliendo, nell'ambito di quelli creati dalla
legge,  un  massimo  di  tre  settori  che, percio' stesso, diventano
"rilevanti".  Non  risulterebbe  risolutore il correttivo - frutto di
una sollecitazione in tal senso del Consiglio di Stato - che consente
di  effettuare  la  scelta  senza  tener conto della suddivisione dei
settori   ammessi  nelle  quattro  categorie  generali,  operata  dal
legislatore dei 2001.
    Parte   ricorrente   sostiene   che   tale  previsione  normativa
comporterebbe l'indebita compressione dell'autonomia statutaria, alla
quale  sarebbe  rimessa, in via esclusiva, la facolta' di individuare
il proprio raggio di azione.
    Il  vizio  sarebbe  aggravato  da  un'individuazione  dei settori
ammessi  del  tutto  casuale  o,  quanto  meno,  avulsa dalla realta'
storica  delle  fondazioni,  alle quali verrebbe assegnata la cura di
interessi  (per  tutti:  prevenzione  della  criminalita' e sicurezza
pubblica)    da   sempre   appannaggio   esclusivo   della   pubblica
amministrazione.  Un'ulteriore  prova in tal senso sarebbe il recente
ampliamento  dell'elenco con il riferimento ai compiti attinenti alla
realizzazione  di beni pubblici e di pubblica utilita', operato dalla
legge 1 agosto 2002 n. 166.
    In  via preliminare, va affermata la rilevanza della questione di
costituzionalita'  sollevata,  atteso  che  l'art. 2  del regolamento
impugnato  riproduce fedelmente il dettato legislativo, e, proprio in
ragione  di  tale identita', non puo' che subire la sorte della norma
legislativa che riproduce.
    Nel  merito,  la  prospettazione  di  parte ricorrente non appare
manifestamente infondata.
    La contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede:
        a) l'introduzione di numerosi "settori ammessi", partitamente
elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1);
        b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli -
tra  gli  ammessi  - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in
numero non superiore a tre (comma 2);
        c)   la   destinazione   dell'attivita'   di   queste  ultime
esclusivamente  nei  settori  ammessi e, in via prevalente, in quelli
rilevanti (comma 3).
    Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al
decreto  legislativo  n. 153  del  1999:  l'art. 2,  comma  2,  nella
versione   originaria,   riconosceva   agli   statuti  il  potere  di
individuare   i  settori  nei  quali  indirizzare  l'attivita'  delle
fondazioni e di stabilire l'entita' degli interventi da effettuare in
ciascuno   di  essi;  l'unica  limitazione  riguardava  l'obbligo  di
assicurare  la  cura  di  almeno  uno dei settori rilevanti, indicati
dall'art. 2,   lett.   e)   della  legge  n. 461  del  1998  (ricerca
scientifica,  istruzione,  arte,  conservazione  e valorizzazione dei
beni  culturali  e  ambientali,  sanita'  e assistenza alle categorie
sociali deboli). Tale compressione dell'autonomia statutaria - per la
sua portata - non determinava lo snaturamento dei soggetti in parola,
in  quanto  era  giustificata  dall'esigenza di garantire la cura dei
(pochi) settori rilevanti individuati, appartenenti, per giunta, alla
tradizionale   sfera   di  operativita'  delle  fondazioni  bancarie,
ponendosi  cosi'  come  una  forma  di  necessario bilanciamento - in
funzione della salvaguardia di interessi collettivi - dell'amplissima
autonomia attribuita ai soggetti in parola.
    Infine,  nell'originaria  versione del decreto legislativo n. 153
del  1999  non  era  imposto  alcun  raccordo  con  il  territorio di
riferimento,  ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle
fondazioni bancarie nel loro insieme.
    L'assetto  dato  dall'art. 11,  piu'  volte  citato,  fa  sorgere
fondati  dubbi  in  merito  alla  sua  compatibilita' con l'affermata
"piena"  autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il
comprimere,  in  maniera  eccessiva,  i due elementi peculiari di cui
essa  si  connota: lo scopo e l'utilizzo dei patrimonio della persona
giuridica.
     Tali effetti sono indotti:
        a)  dall'obbligo  di  operare  "esclusivamente"  nei  settori
ammessi,  che  preclude  la  possibilita'  di  scelta  di  ambiti  di
attivita', che, pur se non contemplati nell'elenco di cui all'art. 11
comma  1,  si  ascrivano  comunque  in quelli tradizionalmente propri
delle  fondazioni  bancarie  o  rivestano,  comunque,  una  rilevanza
sociale.
    Tale   conclusione  non  e'  inficiata  dall'obiezione  di  parte
resistente  che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza
degli  stessi  all'attivita'  istituzionale delle fondazioni bancarie
non   consentirebbero   di   configurare   una   rilevante  incidenza
sull'autonomia di queste ultime.
    Deve  osservarsi,  intanto,  che  la  questione  va correttamente
impostata  in  termini  di  principio  e  che,  pertanto,  essa  deve
riguardare   la   legittimita',   in   astratto,   delle  limitazioni
introdotte.
    Peraltro,     pur     volendo     seguire     il     ragionamento
dell'amministrazione,   deve  comunque  rilevarsi  che  l'elencazione
legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti
soggetti:  lo  dimostrano,  da  un  lato,  lo stesso art. 11 comma 1,
ultimo   periodo,  il  quale  avverte  la  necessita'  di  attribuire
all'Autorita'  di vigilanza il potere di modificare con regolamento i
settori    ammessi,   in   una   visione,   evidentemente,   dinamica
dell'attivita'  complessiva  da  riservare  alle fondazioni bancarie;
dall'altro,  l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge
n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima.
    La  suddetta  delimitazione,  spinta  fino al punto da eludere un
autonomo  potere  di  scelta  dei  soggetti in parola, si giustifica,
quindi,  solo  se  la  si  considera  come  una  manifestazione della
volonta'  di  sottoporre  questi  ultimi,  nel  loro  insieme,  ad un
penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che
risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e
3   dell'art. 11   della   legge   n. 448   del   2001,  che  seguono
immediatamente;
        b)  dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre
settori   di  attivita',  che  divengono  percio'  "rilevanti".  Tale
carattere   comporta  che  le  fondazioni  operino  in  essi  in  via
prevalente,   assicurando,   singolarmente   e   nel   loro  insieme,
l'equilibrata  destinazione  delle  proprie  risorse,  dando altresi'
preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale.
    La   prima   osservazione   critica,  che  ricalca  il  vizio  di
legittimita'  gia'  esposto  alla  precedente  lett. a), consiste nel
fatto  che  le  fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i
settori  rilevanti  nell'ambito  di  quelli tassativamente "ammessi",
sicche',  anche  a  tal  proposito,  esse sono costrette ad agire nel
solco  tracciato  in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente
un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente.
Altro  e',  insomma,  il poter operare in piu' settori, purche' lo si
faccia  anche  in  uno  di  quelli indicati dal legislatore, come era
previsto  in  passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare
nell'ambito   di   settori  -  non  importa  se  numerosi  -  imposti
dall'esterno.
    La   seconda   riguarda  la  limitazione  numerica  imposta,  non
riscontrandosi   alcun   interesse   collettivo  che  giustifichi  la
compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre.
    I  vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla
stregua  delle  conseguenze  che  la  scelta  triennale  dei  settori
comporta:  l'insorgenza  dell'obbligo di destinare ad essi la maggior
parte   delle  risorse  impiegabili  e  di  garantirne  l'equilibrata
distribuzione,   dando  altresi'  preferenza  a  quelli  di  maggiore
rilevanza sociale.
    L'intenzione  del  Legislatore  del 2001, a questo punto, risulta
chiara:   creare   un'interdipendenza   fra  i  soggetti  in  parola,
convogliando   e   coordinando   in   una   prospettiva  unitaria  le
potenzialita' espresse da ciascuno di essi.
    Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista
per   la   scelta   dei   settori   rilevanti,  quanto  l'imposizione
dell'obbligo  -  perche'  tale  esso deve configurarsi, a meno di non
volere  depotenziare  la  portata  di  una disposizione di legge - di
garantire   il   raggiungimento   del   risultato   complessivo   che
l'ordinamento si aspetta da detti soggetti.
    Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma
dell'art. 11  della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente
con  il  disegno  complessivo  delineato: l'esposizione, da parte del
Ministro  dell'economia e delle finanze, nella relazione previsionale
e   programmatica,   dell'ammontare  delle  risorse  complessivamente
attivate  nei  settori  ammessi, ai fini degli stanziamenti nei fondi
investimenti di cui all'art. 46 della legge citata.
    Prima   di   trarre   le  conclusioni  in  merito  al  dubbio  di
legittimita'   costituzionale  dell'assetto  appena  descritto,  puo'
agevolmente affermarsi che la questione sollevata da parte ricorrente
e' rilevante per definire il giudizio in corso.
    La  previsione legislativa, della quale ci si occupa e', infatti,
immediatamente  precettiva,  per  quel  che  riguarda  le  scelte  da
effettuare  da  parte  delle fondazioni bancarie (e la nota impugnata
con  i  motivi  aggiunti  ne costituisce la prova migliore); inoltre,
essa   costituisce   il   fondamento   del   potere  di  segnalazione
dell'Autorita'  di  vigilanza,  contemplato  dall'art. 2, comma 4 del
regolamento,  il  cui scopo e' di orientare l'azione dei destinatari,
atteso che, senza un intervento eteronomo, non risulterebbe possibile
quella   attivita'  di  concertazione  che  pure  l'art. 11  comma  3
espressamente impone.
    Non  puo'  negarsi,  inoltre,  conformemente ai principi espressi
dalla  giurisprudenza  amministrativa, anche di questa sezione (cfr.,
in  tal  senso,  per tutte, l'ordinanza di rimessione del 10 novembre
1997,   n. 2655,   che   ha   portato   alla   sentenza  della  Corte
costituzionale 27 novembre 1998, n. 383), che l'interesse primario di
parte ricorrente e' di sentirsi dichiarare la radicale illegittimita'
della  fonte  attributiva  del  potere  - che, nella specie, potrebbe
essere  non  solo  di  indirizzo,  ma anche sanzionatorio -, cosi' da
porsi  definitivamente  al  riparo  da un possibile riesercizio dello
stesso.  Militano,  in  favore  di  questa  tesi,  tanto  ragioni  di
giustizia  sostanziale,  che  di  economia processuale, tenuto conto,
altresi',  della  delicatezza  e  della  rilevanza degli interessi in
gioco,  che  postulano  l'eliminazione  di  ogni  possibile dubbio di
costituzionalita' della normativa primaria.
    Quanto  ai profili di non manifesta infondatezza, deve osservarsi
che  l'art. 11,  commi  2  e  3  della  legge n. 448 del 2001 ha come
risultato  di  assumere,  nell'ambito  organizzativo  della  pubblica
amministrazione,  persone  giuridiche  private,  pur  dotate di piena
autonomia  statutaria  e gestionale. Pertanto, pur non arrivando alla
conclusione  che queste ultime risultano trasformate in enti pubblici
strumentali,  l'assetto  innanzi  esposto  - per certi versi simile a
quello  dei  concessionari  di  servizi pubblici, descritti pure come
organi  indiretti della p.a. - si pone in insanabile contrasto con la
natura  privatistica  delle  stesse, che, se non consente l'eccessiva
compressione  del potere di scelta dei settori, ancor meno tollera il
loro   inserimento   in   un   ordinamento  sezionale,  orientato  al
perseguimento    di    un    risultato   collettivo   che   travalica
l'individualita'  di ciascuna di esse, incidendo, in tal modo, su una
tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e gestionale.
    Un'ulteriore   considerazione   si   impone   con  riguardo  alla
composizione  dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere
eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto
avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie.
    Se  queste  ultime  fossero completamente libere nella scelta dei
settori  in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla
legge,  esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la
propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore
affinita' con la loro storia.
    La  prospettiva  cambia  se  si  tiene  conto  del gia' descritto
risultato  complessivo  preteso  dall'art. 11  comma  3, che porta ad
ipotizzare  inevitabili  iniziative  dell'Autorita'  di vigilanza per
indirizzare  la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente,
i soggetti in parola rifuggirebbero.
    La   segnalata   eterogeneita',   in  primo  luogo,  rafforza  il
convincimento  che  il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle
fondazioni   bancarie   una   funzione  servente  dell'organizzazione
pubblica;  inoltre,  l'affidamento,  a  largo  spettro,  di ambiti di
attivita',  avulse  dalla  loro tradizionale sfera operativa, finisce
con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera
significativa,  su  uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui
le  persone  giuridiche  di  diritto privato, sia pur soggette ad una
disciplina speciale, ontologicamente si connotano.
    Da  quanto  esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica
questione  di  costituzionalita'  dell'art. 11 comma 1 primo periodo,
nella   parte   in  cui  esso  prevede  settori  -  segnatamente  "la
criminalita' e sicurezza pubblica", l'"edilizia popolare locale" e la
"sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto
estranei  alla  tradizionale  sfera  di  attivita'  delle  fondazioni
bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti
ai  pubblici  poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il
potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare
anche  d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti
e  non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici
o di pubblica utilita'", contemplata dall'art. 7, comma 1, lett. aa),
punto 2 della legge 1 agosto 2002, n. 166, che modifica l'art. 37-bis
della legge 11 febbraio 1994, n. 109;
        c)  un  ulteriore  aspetto  problematico  presenta il comma 1
dell'art. 11,   ma   e'  preferibile  posporne  la  trattazione  alle
conclusioni  in merito all'assetto legislativo descritto alle lettere
a) e b).
    A  tal proposito, il collegio reputa che non siano manifestamente
infondate  le  seguenti  questioni  di costituzionalita', riguardanti
l'art. 11,  commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001
(oltre  il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002),
per possibile contrasto rispetto:
        1)     all'art. 3     della    Costituzione,    sub    specie
dell'irrazionalita' legislativa, che rileva: a) come contrasto con il
disposto  dell'art. 2,  comma  1  del  decreto legislativo n. 153 del
1999,  attribuendo a quest'ultimo il rango, che gli compete, di norma
di principio, cui informare tutta la normazione di dettaglio; b) come
indebita   ed   eccessiva  compressione  dell'autonomia  privata,  da
intendersi,  quindi, non come allontanamento, tout court, dal modello
codicistico  di  fondazione,  quanto, piuttosto, come "stravolgimento
della  sua  stessa  nozione e del suo nucleo essenziale" (per mutuare
l'espressione utilizzata in sede consultiva);
        2)   all'art. 18   e   all'art. 2   della  Costituzione,  che
costituisce  l'ulteriore  sviluppo  di  quanto  detto in chiusura del
punto precedente. L'avviso del collegio e' che le modifiche apportate
dalla  legge  n. 448  del 2001 comportanola sostanziale negazione del
modello  voluto  dal  legislatore solo due anni prima e, soprattutto,
non  espressamente sconfessato, sicche' e' possibile affermare che il
decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni
bancarie  come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non
puo',  percio',  essere  intaccato  quello  che potrebbe definirsi il
"contenuto   minimo",   frutto   della  scelta  legislativa,  innanzi
evidenziata,   di  privilegiare  la  genesi  volontaristica  di  tali
soggetti.  Risultano,  pertanto, irragionevolmente compressi tanto il
diritto  di  associazione  dei  cittadini  (art. 18  Cost.), quanto i
diritti  dell'uomo  nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento
(art. 2  Cost.)  (sul  punto,  e' utile richiamare i principi sanciti
dalla  Corte costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1997 n. 248 e 29
dicembre  1993, n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti
degli  enti  creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al
decreto  delegato 20 novembre 1990 n. 356, con particolare attenzione
ai  rapporti  fra  le  originarie  fondazioni  bancarie e la relativa
liberta' statutaria);
        3)  all'art. 41  della  Costituzione,  che tutela l'autonomia
privata,  sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo
a  fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso
la  sovrapposizione  di  una  volonta'  eteronoma  a  quella  propria
dell'ente;
        4)  all'art. 117  e all'art. 118, comma 4 della Costituzione,
configurabile  in  relazione  all'assunzione  dei  soggetti in parola
nell'ambito  della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si
realizza,  in  particolare,  con  il comma 3 dell'art. 11 della legge
n. 448 del 2001.
    Quanto  all'art. 118, comma 4 della Costituzione, lo spunto viene
fornito  dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere
sullo  schema del regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il
mutamento della stessa nozione di autonomia privata che, alla stregua
del  principio  di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla legge
costituzionale   n. 3   del   2001,   risulta   oramai  orientata  al
perseguimento  non  solo di bisogni individuali, ma anche di utilita'
generale,   connotando,   conseguentemente,  un  nuovo  rapporto  fra
pubblico e privato.
    Piu'   specificamente,   il   citato   parere,   riprendendo  una
sollecitazione  proveniente proprio dalla Corte costituzionale (nella
nota  decisione  7  aprile 1988, n. 396), ha chiarito che "lo Stato e
ogni  altra  autorita'  pubblica  proteggono e realizzano lo sviluppo
della  societa'  civile  partendo  dal  basso,  dal  rispetto e dalla
valorizzazione  delle energie individuali, dal modo in cui coloro che
ne   fanno   parte  liberamente  interpretano  i  bisogni  collettivi
emergenti   dal  sociale":  ed  al  Collegio  appare  particolarmente
significativo    l'uso,   da   parte   della   Corte,   dell'avverbio
"liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma
restando   la  natura  privata  delle  fondazioni  bancarie,  con  le
implicazioni   in   punto   di   intangibilita'  dell'autonomia  gia'
evidenziata,  e'  consentito  al  legislatore introdurre strumenti di
vigilanza  e  di  controllo, che costituiscono la connotazione tipica
del regime privatistico speciale di tali soggetti.
    Dal  discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se
vi  e'  spazio  per  interventi  ab  externo  in  sede  di controllo,
altrettanto  non  puo'  dirsi  per atti di indirizzo e ancor meno per
interventi   di   carattere  dirigistico.  La  ragione  e'  evidente:
l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa
del  privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un
sistema  di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne',
tanto    meno,    sostituire   la   propria   volonta'   (nel   campo
dell'organizzazione,  dell'individuazione  dei  fini e della spendita
del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato,
che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica.
    Non  vi  e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi
dell'art. 11  comportano  una  pervasivita'  dei pubblici poteri, del
tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su
esposti.
    Non  appare  manifestamente  infondato  neppure  il  dubbio della
violazione  dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che
alcuni   dei   settori   indicati  dall'art. 11,  comma  1  rientrano
nell'ambito  delle  materie  che la norma costituzionale assegna alla
potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile,
la  ricerca  ed  i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva
delle    regioni    (quali    l'assistenza,   l'edilizia   locale   e
l'agricoltura).
    E allora, nulla quaestio, se la legge statale si limita a normare
il  solo  "ordinamento  civile";  se,  pero',  come  il  collegio  e'
orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di
sua  esclusiva  spettanza,  emergono  le possibili implicazioni sulla
sfera  di  attribuzioni  delle  regioni,  in  quanto  il  legislatore
finisce,  sostanzialmente,  con  il  disciplinare la singola materia,
riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo,
oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle
finanze,   in  attesa  dell'istituzione  dell'apposita  Autorita'  di
vigilanza;
        d)  residua  un'ultima  questione, relativa alla legittimita'
della   previsione   dell'art. 11,   comma  1,  ultimo  periodo,  che
attribuisce  all'Autorita'  di  vigilanza  il  potere di modificare i
"settori  ammessi"  con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17,
comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    Due sono i dubbi che tale previsione ingenera nell'interprete.
    Il  primo,  e piu' radicale, riguarda l'introduzione di una forma
di   delegificazione  ad  opera  di  una  fonte  secondaria  di  mera
esecuzione,  qual'e' il regolamento contemplato dall'art. 17, comma 1
citato.  Tale  risultato  non  e' consentito dall'ordinamento, se non
attraverso   i  regolamenti  cd.  di  delegificazione,  espressamente
contemplati dal comma 2 del medesimo art. 17, che, oltre a presentare
una  ben  diversa  veste  formale, presuppongono che le leggi, che li
autorizzano  ad  innovare  in  deroga al principio di gerarchia delle
fonti,  indichino  le  norme generali regolatrici della materia, che,
nella  specie,  e'  costituita  dal  raggio  di azione riservato alle
fondazioni  bancarie: di tali norme, nella specie, non vi e' traccia,
ne'  formalmente, ne', tanto meno, sostanzialmente, atteso che non le
si puo' ricavare dall'elencazione dei settori ammessi fatta dall'art.
11,  comma  1, in se' non particolarmente significativa, tenuto conto
anche  della  sua  disomogeneita'.  Ne  discende  che  l'Autorita' di
vigilanza  risulta  sostanzialmente  libera  di incidere, ad libitum,
sulla  fonte  primaria, in spregio al principio, sancito dall'art. 70
della  Costituzione,  che  riserva  in  esclusiva  al  Parlamento  la
funzione legislativa.
    L'ulteriore dubbio attiene all'attribuzione di un siffatto potere
regolamentare  all'autorita'  ministeriale,  con  le implicazioni, in
punto  di possibile violazioni dell'art. 117 della Costituzione, gia'
evidenziate alla precedente lett. c).
    3.  -  Il terzo motivo di doglianza porta all'esame del tribunale
la  questione  riguardante  la  composizione dell'organo di indirizzo
delle fondazioni bancarie.
    Si   assume,   in  via  primaria,  l'illegittimita'  della  norma
regolamentare,  che  travisando  la ratio legis, avrebbe previsto una
rappresentanza  in  senso proprio nell'organo di indirizzo degli enti
di cui all'art. 114 della Costituzione.
    In  via  subordinata,  parte  ricorrente  solleva la questione di
costituzionalita' dell'art. 11, comma 4, della legge n. 448 del 2001.
    In  punto  di  rilevanza,  deve  osservarsi che, contrariamente a
quanto  affermato  dalla  ricorrente,  l'art. 3,  comma 1 del decreto
ministeriale  n. 217  del  2002 riproduce fedelmente la formula usata
dal  legislatore, imponendo, nell'organo di indirizzo, la "prevalente
e qualificata rappresentanza degli interessi del territorio".
    L'attenzione   deve,  quindi,  spostarsi  sulla  norma  primaria,
avvertendo  subito,  pero',  che  la Fondazione Cassa di Risparmio di
Roma e' di tipo associativo.
    Occorre  partire  dall'art. 11,  comma  4  della legge n. 448 del
2001,  che  riguarda specificamente le fondazioni istituzionali; esso
ha   sostituito  la  lett.  c)  dell'art. 4,  comma  1,  del  decreto
legislativo  n. 153  del  1999  ed  ha  profondamente  modificato  la
disciplina  dettata  dall'originaria  versione  dell'art. 4, comma 1,
lett.   c)   del  decreto  legislativo  n. 153  del  1999.  Il  testo
precedente,  in  particolare,  sviluppando  i  principi dettati dalla
legge  di delega, stabiliva che gli statuti delle fondazioni bancarie
prevedessero,  nell'ambito  dell'organo  di indirizzo, "un'adeguata e
qualificata  rappresentanza  del territorio, con particolare riguardo
agli  enti  locali".  I  caratteri salienti di tale disciplina erano,
quindi,  l'attenzione  riservata  alle  istanze del territorio, delle
quali  gli  enti  locali  venivano  considerati  i  naturali soggetti
esponenziali,  e  la  sufficienza  di  una  rappresentanza,  sia  pur
minoritaria, di tali istanze.
    Deve osservarsi, preliminarmente, che l'individuazione degli enti
designanti,  effettuata  dalla  novella  del 2001, risulta pienamente
compatibile  con  i  principi  costituzionali,  atteso  che  la legge
sopravvenuta  si  e'  limitata  a  sviluppare l'assetto ordinamentale
introdotto dal decreto legislativo n. 153 del 1999 - e non contestato
ex  adverso -, adeguandolo, nel contempo, alla gia' ricordata riforma
del  Capo  V  della Costituzione, che ha attribuito un ruolo centrale
agli   enti  territoriali  intermedi,  indicati  dall'art. 114  della
Costituzione:  era,  percio',  del  tutto naturale che il legislatore
prendesse  atto di tale evoluzione e la trasfondesse in una normativa
destinata  ad  assicurare,  appunto, la piu' efficace e completa cura
degli interessi del territorio.
    Residua  l'ulteriore  problema,  centrale nella prospettazione di
parte    ricorrente,    di   stabilire   la   portata   del   termine
"rappresentanza"  ed,  in  particolare,  se esso vada inteso in senso
proprio,  sicche' i componenti dell'organo di indirizzo agirebbero in
nome e per conto degli enti designanti.
    Numerosi indizi deporrebbero in tal senso:
        a)   la   lettera   della  legge,  atteso  che  l'ordinamento
giuridico, sia pubblicistico che privatistico, attribuisce al termine
utilizzato - "rappresentanza" - uno specifico significato tecnico;
        b)  la  ben  diversa  formula utilizzata per l'individuazione
degli  altri  componenti  dell'organo  di  indirizzo, a proposito dei
quali   si   postula  l'"apporto  di  personalita'  ...  che  possano
efficacemente contribuire al perseguimento dei fini istituzionali", a
testimonianza  che  i  soggetti  designati sono destinati ad agire in
funzione (esclusiva) dell'interesse della fondazione bancaria, di cui
sono chiamati a far parte;
        c)   l'indicazione  che  solo  i  componenti  dell'organo  di
indirizzo   provenienti   dalla   societa'   civile  e  non  anche  i
"rappresentanti"  degli  enti  di cui all'art. 114 della Costituzione
posseggano  specifici  requisiti  "di professionalita', competenza ed
esperienza   nei   settori   in  cui  e'  rivolta  l'attivita'  della
fondazione";
        d)  la  precisazione  che,  per  converso, i "rappresentanti"
"riflettano  le  competenze nei settori ammessi in base agli articoli
117  e  118  della  Costituzione", vale a dire attribuzioni di natura
squisitamente pubblicistica e, comunque, avulse dalle finalita' delle
fondazioni in parola;
        e)  la  possibilita'  che  solo  detti "rappresentanti" siano
"portatori  di  interessi  riferibili ai destinatari degli interventi
delle  fondazioni",  quale eccezione alla regola, sancita dall'ultimo
periodo  dell'art.  11,  comma  4,  citato,  preordinata  a prevenire
possibili conflitti di interesse.
    Gli  elementi  elencati  porterebbero  a concludere per una netta
distinzione  di  natura  delle  due  componenti in seno all'organo di
indirizzo.   Le   regole   ermeneutiche,   peraltro,   impongono   di
privilegiare,  fin  dove  e' possibile, l'interpretazione delle norme
primarie che le renda compatibili con la Costituzione.
    Nella  specie, a fronte di quanto detto in precedenza, si colloca
l'art.  4, comma 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999, che, gia'
nella versione originaria, stabiliva che "I componenti dell'organo di
indirizzo  non rappresentano i soggetti esterni che li hanno nominati
ne'  ad  essi rispondono". Tale previsione non e' stata toccata dalla
novella del 2001.
    Pertanto,   a   meno  di  non  volere  affermare  un  difetto  di
coordinamento   a  livello  legislativo  (a  favore  del  quale  pure
militerebbero   le   precedenti   considerazioni   effettuate),  deve
escludersi  la sussistenza di un vincolo di mandato in capo a tutti i
componenti  dell'organo  di  indirizzo,  a prescindere, dunque, dalla
rispettiva  provenienza.  Il  termine  "rappresentanza"  va,  quindi,
inteso   in   senso   atecnico,   come   legame   meramente  genetico
intercorrente fra designante e designato.
    Fatta  tale  premessa,  occorre trattare l'aspetto evidenziato da
parte ricorrente, riguardante il riparto proporzionale dei componenti
dell'organo  di  indirizzo  ed,  in  particolare  la  regola  che  in
quest'ultimo   sieda   una  "prevalente"  rappresentanza  degli  enti
territoriali.
    Detta  prevalenza va, pero', intesa in senso relativo, in quanto,
come  si  e' detto in precedenza, la Fondazione Cassa di Risparmio di
Roma e' di tipo associativo.
    Per queste ultime, l'art. 11, comma 4 della legge n. 448 del 2001
fa  salva  la  previsione  dell'art. 4, comma 1, lett. d) del decreto
legislativo  n. 153  del  1999,  il quale, nella versione originaria,
attribuiva  all'assemblea  il  potere  di  designare  una  quota  non
maggioritaria  dei  componenti dell'organo di indirizzo, che, sommata
ai soggetti nominati per cooptazione, non doveva comunque superare la
meta' del totale dei componenti dell'organo in questione.
    Rispetto  a tale testo, l'art. 11, comma 5 della legge n. 448 del
2001  ha  proceduto alla soppressione della previsione riguardante il
potere   di   cooptazione,  sicche',  attualmente,  l'assemblea  puo'
provvedere a designare fino al 50% dei membri.
      L'ulteriore  50%  e'  sottoposto  alla ripartizione contemplata
dalla  precedente lett. c) dell'art. 4 del decreto legislativo n. 153
del  1999,  sicche'  la  contestata  "prevalenza" risulta essere solo
relativa.
    Da  quanto  esposto  deriva  che,  nell'organo di indirizzo della
ricorrente,  non  si  potra'  riscontrare  la prevalenza assoluta dei
"rappresentanti" degli enti di cui all'art. 114 della Costituzione e,
pertanto,  non  si  configurera'  alcuna maggioranza predefinita, che
possa  alterare  l'ordinaria  dialettica  decisionale  dell'organo di
indirizzo.
    Deve aggiungersi, anzi, che, da un lato, la variegata provenienza
dei membri e' suscettibile di arricchire tale dialettica, dall'altro,
il  legislatore,  attribuendo all'assemblea un cosi' pregnante potere
di  designazione,  ha  mostrato  di  tenere adeguatamente conto della
tradizione storica del peculiare tipo di fondazione.
    Tale  conclusione  si  basa  sul  carattere  di  specialita'  dei
soggetti  in  parola,  sul quale ci si e' intrattenuti in precedenza,
che,  se  non  tollera che il legislatore arrivi fino a precostituire
una  maggioranza  nell'organo  di  indirizzo  (come  avviene  per  le
fondazioni  istituzionali),  sicuramente consente che in quest'ultimo
sieda   una   rappresentanza,  percentualmente  significativa,  degli
interessi del territorio.
    Pertanto,  la  sollevata  questione  di costituzionalita' risulta
manifestamente infondata.
    4.  - Con il quinto motivo si impugna l'intero art. 4 del decreto
ministeriale n. 217 del 2002, che disciplina la materia dei requisiti
di professionalita' e di onorabilita' che devono essere posseduti dai
soggetti   che   svolgono  funzioni  di  indirizzo,  amministrazione,
direzione e controllo presso le fondazioni.
    Ai  fini  della  presente  trattazione,  rileva  la  questione di
legittimita'    costituzionale,   sollevata   in   via   subordinata,
riguardante l'art. 4, comma 1 lett. g) del decreto legislativo n. 153
del  1999;  in  proposito  parte  ricorrente  richiama  e fa propri i
principi enunciati dal Tribunale nell'ordinanza di rimessione n. 1196
del 2002.
    Nella    specie,   in   particolare,   il   vizio   consisterebbe
nell'invasione    della    disciplina   -   legislativa,   prima,   e
regolamentare, poi - di una sfera di esclusiva competenza della fonte
statutaria.
    Le   doglianze  mosse  direttamente  all'art. 4  del  Regolamento
possono   essere   risolte   indipendentemente   dalla  questione  di
costituzionalita', che, pertanto, e' irrilevante.
    5.  -  Il  sesto  motivo  del  ricorso ha ad oggetto l'art. 5 del
decreto  ministeriale  n. 217  del 2002 e porta altresi all'esame del
Tribunale  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11,
comma 7 della legge n. 448 del 2001, che, sostituendo l'art. 4, comma
3  del  decreto  legislativo  n. 153  del  1999, impone il divieto ai
soggetti,   che  svolgono  funzioni  di  indirizzo,  amministrazione,
direzione  o controllo presso le fondazioni, di ricoprire funzioni di
amministrazione,  direzione  o controllo presso societa' operanti nel
settore bancario, finanziario o assicurativo, ad eccezione di quelle,
non   operanti  nei  confronti  del  pubblico,  di  limitato  rilievo
economico o patrimoniale.
    Si   denuncia,  altresi',  l'illegittimita'  ex  se  della  norma
regolamentare,  in  quanto  essa, senza alcuna copertura legislativa,
procederebbe  all'individuazione  delle  societa' di limitato rilievo
economico e patrimoniale.
    Deve,  preliminarmente,  osservarsi,  in punto di rilevanza della
questione   di   costituzionalita'  sollevata,  che  la  disposizione
legislativa  e'  stata  fedelmente  trasfusa nel testo regolamentare,
tant'e'  che  il  Consiglio  di  Stato  ha  rilevato l'ultroneita' di
quest'ultimo   (segnatamente  dell'art. 5  comma  1),  non  mancando,
altresi',  di  segnalare  l'impossibilita'  di  esaminare  i dubbi di
costituzionalita', "pur da piu' parti ipotizzati".
    La  produzione  di  effetti  gia'  verificatasi  - e l'art. 5 del
Regolamento   impugnato  ne  e'  la  prova  -  comporta  l'attualita'
dell'interesse a sindacare la disciplina primaria, che non viene meno
per la sopravvenienza di una nuova normativa, la cui efficacia rileva
solo de futuro. In altre parole, pur dandosi atto che l'art. 80 comma
20  lett.  a) della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria
2003), ha sostituito l'intero art. 4, comma 3 del decreto legislativo
n. 153  del  1999,  introducendo una disciplina profondamente diversa
dalla  precedente,  risulta  comunque  indispensabile  che  la  Corte
costituzionale   si   pronunci   in   merito  alla  costituzionalita'
dell'art. 11,  comma  7  della  legge  n. 448  del  2001,  qualora il
Collegio  ritenesse non manifestamente infondata la questione stessa:
la  valutazione  di legittimita' del decreto ministeriale. n. 217 del
2002,  oggetto diretto del presente giudizio, deve avvenire, infatti,
alla   stregua   della   normativa   primaria   vigente   al  momento
dell'adozione del Regolamento stesso.
    Effettivamente   il   testo  dell'art. 4,  comma  3  del  decreto
legislativo  n. 153  del  1999, come sostituito dall'art. 11, comma 7
della  legge n. 448 del 2001, presta il fianco a dubbi in merito alla
razionalita'  e  alla  proporzionalita'  del divieto imposto rispetto
allo scopo perseguito.
    Parte  ricorrente,  giustamente,  lascia fuori dalla sua denuncia
l'incompatibilita'  riguardante  la  societa'  bancaria conferitaria,
atteso  che il principio cardine della riforma introdotta dalla legge
n. 461  del  1998,  e' di garantire, appunto, la netta separazione di
detta societa' dalla fondazione bancaria.
    Del  tutto ingiustificato ed eccessivo, risulta, per converso, il
regime  di incompatibilita' assoluta riguardante tutti i soggetti che
siano  impiegati,  in  posizioni  di  vertice,  in societa' bancarie,
finanziarie   od   assicurative;   in  tal  modo,  evidentemente,  il
legislatore  ha inteso introdurre una radicale separazione tra queste
ultime  e  le fondazioni bancarie, ipotizzando possibili interferenze
pregiudizievoli,  che  comporterebbero  un  legame inscindibile fra i
soggetti   in   parola   e  gli  istituti  di  credito,  diversi  dal
conferitario, le societa' finanziarie e quelle assicurative.
    Sul punto, si impongono due considerazioni di segno contrario.
    La prima attiene allo scopo perseguito dalla riforma Ciampi, gia'
innanzi evidenziato, che e' limitato alla sola banca conferitaria.
    La  seconda  e'  che  questa  contiguita' - in termini generali -
sarebbe pur sempre tutta da dimostrare (e in tal senso il trattamento
differenziato,  riservato  alle  societa'  di  minore rilievo, non e'
risolutore),  in  quanto,  a mero titolo di esempio, non si comprende
come  la presenza nell'organo di indirizzo di una fondazione bancaria
dell'amministratore   di   una  compagnia  di  assicurazione  (semmai
straniera o, comunque, senza particolari rapporti con le attivita' ed
il territorio di riferimento della fondazione stessa) potrebbe essere
pregiudizievole  per  la  corretta e neutrale attivita' gestionale di
quest'ultima.
    Da quanto esposto, risulta evidente che lo scopo, che la norma si
prefigge,  ben  potrebbe  essere  raggiunto  applicando  le ordinarie
regole  in  materia di conflitto di interessi, operando cosi' non una
scelta  radicale  e aprioristica, ma agendo caso per caso, tanto piu'
che  tali  regole  si  affiancano alla rigorosa disciplina in tema di
controllo  delle  societa'  bancarie  (diverse  dalla  conferitaria),
dettata dall'art. 6 del decreto legislativo n. 153 del 1999.
    Optando  per  tale  soluzione, il legislatore avrebbe ottenuto il
duplice    risultato    di    evitare    le   suddette   interferenze
pregiudizievoli,  senza,  pero',  precludere,  sempre  e  comunque, a
soggetti  particolarmente  adatti  di  partecipare  alla  vita  delle
fondazioni bancarie, con evidenti vantaggi anche di queste ultime.
    In conclusione, pur considerando l'amplissima discrezionalita' di
cui  gode  il  legislatore,  una  preclusione,  del  tipo  di  quella
contenuta nell'art. 11, comma 7 della legge n. 448 del 2001, comporta
l'eccessiva compressione della capacita' delle persone, in violazione
della  specifica  previsione  costituzionale  (artt. 2  e  22) che la
tutela,   incidendo  altresi',  specularmente,  sull'autonomia  delle
persone  giuridiche, sancita dall'art. 18 della Costituzione, aspetto
che,  in questa sede, assume un rilievo prevalente, in considerazione
del fatto che sono queste ultime ad agire in giudizio.
    Parimenti   non   manifestamente   infondata  risulta  essere  la
questione  di  costituzionalita'  dell'art. 11  comma  4,  piu' volte
citato,  che  ha  modificato  la  disciplina  dettata dall'originaria
versione  dell'art. 4,  comma  1,  lett.  c)  del decreto legislativo
n. 153 del 1999, che e' stato interamente sostituito.
    L'attenzione  di  parte ricorrente si appunta sull'ultimo periodo
della  disposizione  citata,  che  recita:  "Salvo quanto previsto al
periodo  precedente,  i  soggetti ai quali e' attribuito il potere di
designare  componenti  dell'organo di indirizzo e i componenti stessi
degli   organi  delle  fondazioni  non  devono  essere  portatori  di
interessi   riferibili   ai   destinatari   degli   interventi  delle
fondazioni".
    Il  contrasto con la Costituzione e' configurabile nella prevista
eccezione  alla  regola in tema di conflitti di interessi, alla quale
non  sono  sottoposti  i  soggetti,  designanti  e  designati, di cui
all'art. 114   della   Costituzione,   in   base  all'ultimo  periodo
dell'art. 4,  comma  1,  lett.  c) del decreto legislativo n. 153 del
1999 ("salvo quanto previsto al periodo precedente...").
    Tale  disparita' di trattamento non trova una sua giustificazione
razionale, tenuto conto che i componenti dell'organo di indirizzo, di
qualsiasi  provenienza  essi  siano, non sono legati da un vincolo di
mandato  con gli enti e le istituzioni che li hanno nominati, secondo
la previsione del gia' citato art. 4, comma 2 del decreto legislativo
n. 153  del  1999,  fatta salva dalle modifiche legislative del 2001.
Non  si individua, pertanto, la ragione di diversificare la posizione
dei  componenti  dell'organo di indirizzo designati dagli enti di cui
all'art. 114 della Costituzione da quella di tutti gli altri.
    La  conclusione  e'  che  non  appare manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 comma 4, ultimo
periodo, della legge n. 448 dei 2001, che sostituisce l'art. 4, comma
1 lett. c) del decreto legislativo n. 153 del 1999, per contrasto con
l'art. 3  della Costituzione, sia per intrinseca irrazionalita' della
previsione   legislativa,   sia   per  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  fra  posizioni  dei  destinatari in tutto equivalenti. A
tali   aspetti  vanno  aggiunti  i  vizi  derivanti  dalla  possibile
violazione   degli  artt.  2,  18,  41,  117  e  118  comma  4  della
Costituzione,  per  i quali si fa rinvio alla precedente trattazione,
laddove si sono individuati gli incomprimibili limiti che incontra il
legislatore nella disciplina dell'autonomia - statutaria e gestionale
- delle fondazioni bancarie.
    In  punto  di  rilevanza  del  profilo  in  esame, e' sufficiente
osservare  che  l'impugnato  art. 5  comma  2  del  Regolamento mutua
fedelmente  la  formula  contenuta  nella  legge, facendola precedere
dalla  proposizione:  "Salvo  gli  interventi  per  la  tutela  degli
interessi  del territorio", rendendo cosi' ulteriormente esplicito il
regime   differenziato   della   cui  legittimita'  si  dubita.  Deve
aggiungersi che lo stesso Consiglio di Stato, nel proprio parere, non
ha  potuto  che  limitarsi  a prendere atto di tale diversificazione,
osservando  che  essa costituiva il prodotto di un'inequivocabile (ed
intangibile,  in  sede  consultiva)  dizione  legislativa  (il "Salvo
quanto previsto dal precedente comma...", appunto).
    6.  - L'ottavo motivo del ricorso ha ad oggetto l'art. 6, comma 2
del decreto ministeriale n. 217 del 2002.
    In  via  subordinata,  la  Fondazione  Cassa di Risparmio di Roma
dubita  della  legittimita'  dell'art. 11 comma 11 della legge n. 448
del 2001, che ha modificato l'art. 7, comma 1 del decreto legislativo
n. 153  del  1999,  qualora quest'ultimo dovesse ritenersi vincolante
per le fondazioni in parola con riguardo alla destinazione dei propri
investimenti e, segnatamente, allo "sviluppo del territorio".
    Le  doglianze mosse direttamente alla norma regolamentare possono
essere     risolte     indipendentemente     dalla    questione    di
costituzionalita', che, pertanto, risulta irrilevante.
    7.  -  Con il nono motivo del ricorso viene portato all'esame del
Collegio  l'art. 7 del decreto ministeriale n. 217 del 2002, il quale
stabilisce,  al  comma  1,  che  il  controllo delle fondazioni sulle
societa'  bancarie  si  configura, nelle forme stabilite dall'art. 6,
commi  2 e 3 del decreto legislativo n. 153 n. 1999, o "comunque" sia
esso   determinato,   anche   quando   faccia  capo,  direttamente  o
indirettamente, in qualunque modo, a piu' fondazioni, anche se queste
non siano legate da accordi.
    L'illegittimita'  di  tale  previsione  consisterebbe,  in  primo
luogo, nel ritenere rilevante solo il controllo operato attraverso un
rapporto fra fondazioni, mentre, per converso, non assumerebbe alcuna
importanza  quello  discendente  dall'accordo  tra  una  fondazione e
soggetti  diversi  da  essa;  in secondo luogo, nella circostanza che
tale  controllo  prescinderebbe dalla volonta' effettiva dei soggetti
che  lo esercitano, sicche' potrebbe discendere da una situazione del
tutto casuale.
    Inoltre, la disposizione legislativa si porrebbe in contrasto con
il    principio   di   ragionevolezza   sancito   dall'art. 3   della
Costituzione,  in  quanto  non  troverebbe  un  logico  fondamento il
divieto  di  detenere  il  controllo azionario su istituti di credito
diversi dal conferitario.
    Illegittimo  risulterebbe  altresi' il criterio di individuazione
delle forme di controllo, atteso che la formula usata - "in qualunque
modo  e  comunque  esso  sia  determinato"  - risulterebbe quantomeno
indeterminata.
    Il  Regolamento  sarebbe  viziato  nella  parte in cui ne afferma
l'esistenza anche in mancanza di qualsivoglia forma di accordo.
    Per  valutare  la  rilevanza della questione di costituzionalita'
sollevata  nei  confronti  dell'art. 6 del decreto legislativo n. 153
del  1999, occorre partire dall'esame dei primi due commi dell'art. 7
del  decreto  ministeriale  n. 217 del 2002, osservando subito che la
dichiarata  intenzione  di quest'ultimo e' di "assicurare la certezza
normativa".   Tale   precisazione  fa  intendere  che  gia'  in  sede
regolamentare  si  e'  posto  il  problema  di  tipizzare  i  casi di
controllo delle societa' bancarie da parte di una fondazione.
    L'art. 7 citato riproduce, innanzi tutto, la formula dell'art. 6,
comma  5-bis  del  decreto  legislativo  n. 153 del 1999, aggiungendo
l'inciso finale "anche se queste non siano legate da accordi".
    Il  secondo  comma  e'  dedicato  all'effetto di chiarificazione,
operato  attraverso  il richiamo delle ulteriori ipotesi di controllo
indicate  dagli  artt. 22  e  23,  comma  2 del decreto legislativo 1
settembre 1993 n. 385.
    La  soluzione regolamentare non risulta censurabile, alla stregua
di  un  dettato  legislativo  che  lascia  un  amplissimo  margine di
discrezionalita' in sede attuativa.
    Per  convincersene,  e'  sufficiente  por  mente  alla dizione di
chiusura   del  comma  5-bis  dell'art. 6  innanzi  citato,  aggiunto
dall'art. 11,  comma  10  della  legge  n. 448  del  2001: la formula
utilizzata  -  "in  qualunque modo o comunque sia esso determinato" -
consente di configurare il controllo sulle societa' bancarie anche in
presenza  di  situazioni  di  mero fatto, che, in se', potrebbero non
essere significative della sussistenza di una posizione di controllo,
che e' pur sempre indispensabile verificare in concerto.
    La  conclusione  appena raggiunta riceve conferma dall'avviso del
Consiglio di Stato che, in sede consultiva, ha ritenuto conforme alla
normativa  primaria  l'inciso  "anche  se  queste non siano legate da
accordi".
    Viene  in  evidenza,  quindi,  l'art. 6  del  decreto legislativo
n. 153  del  1999, rubricato, appunto, "partecipazioni di controllo",
che  si  apre  con  l'affermazione  del  divieto per le fondazioni di
detenere   partecipazioni  in  enti  o  societa'  diverse  da  quelle
svolgenti  attivita'  di  impresa strumentali rispetto ai fini che le
fondazioni stesse sono chiamate istituzionalmente a perseguire.
    Poiche'  l'esercizio  della  discrezionalita' legislativa risulta
pienamente legittimo, tenuto conto della natura e delle finalita' che
l'ordinamento  intende  assegnare ai soggetti in parola, l'attenzione
deve   rapidamente   sostarsi  sulla  nozione  di  controllo  fornita
dall'art. 6,  che, nella versione originaria, vi dedica il secondo ed
il  terzo comma. Con il primo, si opera un rinvio all'art. 2359 commi
1  e  2 del codice civile; con il secondo, si chiarisce la nozione di
influenza   dominante   contemplando   tre   ipotesi   distinte.   E'
interessante notare in proposito che, mentre le prime due fattispecie
indicate  presuppongono  l'esistenza di appositi accordi tra soci, la
terza  riguarda  la  semplice  sussistenza  di "rapporti di carattere
finanziario  e  organizzativo", anche tra soci, che, pero', risultino
idonei  ad  attribuire  ad  una  fondazione  il potere di nominare la
maggioranza   degli   amministratori  o  di  controllare  l'assemblea
ordinaria.
    Trattasi,   comunque,   di   ipotesi   tipizzate,  che  postulano
l'individuazione  della  sussistenza  di  accordi  o, quanto meno, di
"rapporti  idonei",  tant'e'  che  tale  disciplina non e' oggetto di
contestazione in questa sede.
    Viene   posta   in   dubbio,   per   converso,   la  legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  comma  10 della legge n. 448 del 2001,
che aggiunge il comma 5-bis all'art. 6 del decreto legislativo n. 153
del  1999,  e  che configura una presunzione assoluta di controllo in
tutti  i  casi  in cui quest'ultimo sia riconducibile, direttamente o
indirettamente,  a  piu' fondazioni, in qualunque modo o comunque sia
esso determinato.
    Parte  ricorrente  muove  due  precise censure, che risultano non
manifestamente infondate.
    La  prima  discende  dalla  considerazione  che il comma 5-bis in
questione configura un collegamento fra le fondazioni bancarie e solo
fra  di  esse,  come  se fossero un settore in se' conchiuso, sicche'
assumerebbe  rilievo  anche la semplice circostanza di appartenere ad
esso,  a  prescindere  dall'esistenza  di  accordi o, quanto meno, di
rapporti,  giuridicamente  rilevanti,  fra  di  esse. Ha facile gioco
parte ricorrente ad osservare come nulla vieterebbe che un controllo,
parimenti   efficace,  potrebbe  configurarsi,  in  presenza  di  una
possibile  triangolazione  con  una societa' operante in un ambito di
attivita'  totalmente  diverso. L'unica giustificazione plausibile e'
che  anche  qui,  sia  pure  per  una finalita' diversa, si e' inteso
ipotizzare la gia' evidenziata settorializzazione delle fondazioni in
parola,   che   comporta   un'interdipendenza   ed  una  reciprocita'
intrinseca,  che  non  solo e' tutta da dimostrare, ma, in ogni caso,
non  e'  sicuramente  di  per  se'  rappresentativa  di  un possibile
controllo, addirittura indiretto, come quello postulato dalla norma.
    Volendo  sintetizzare  quanto  appena  detto,  in base alla norma
contestata,  e'  sufficiente la sussistenza di una mera situazione di
fatto  - intercorrente fra piu' fondazioni (e solo tra di esse) - per
determinare  un obbligo di dismissione, che dovrebbe riguardare tutte
le  fondazioni  che  sono interessate alla vicenda. Risulta del tutto
inaccettabile  questo  collegamento  immediato,  che, in primo luogo,
come  si  e'  detto,  prescinde totalmente dalle reali intenzioni dei
soggetti   coinvolti,  e,  in  secondo  luogo,  comporta  un'indebita
compressione  della certezza del diritto, in considerazione del fatto
che   l'intera   disciplina   della  materia  avrebbe  dovuto  essere
attribuita in via esclusiva alla fonte primaria, tenendo conto, da un
lato,  che  si  andava  ad  incidere  sulla  capacita'  delle persone
giuridiche  e,  dall'altro,  che il potere regolamentare era limitato
alla mera sfera attuativa.
    Le  considerazioni appena effettuate valgono anche per il secondo
aspetto  evidenziato,  che  assume una connotazione piu' propriamente
oggettiva,  riguardando l'atipicita' della formula "in qualunque modo
o   comunque   sia  esso  determinato",  che  consente  di  pervenire
all'inaccettabile  conclusione,  gia'  innanzi evidenziata, di potere
prescindere  dalla  verifica  sia della sussistenza di accordi (ferma
restando, sul punto, la piu' ampia latitudine dei mezzi di prova) fra
i  soggetti  coinvolti,  sia  della stessa intrinseca "idoneita'" del
mezzo utilizzato per il raggiungimento dello scopo che il legislatore
intende scongiurare.
    Va,  di  conseguenza,  sollevata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 11,  comma  10 della legge n. 448 del 2001,
per  contrasto  con  gli  artt. 2, 3, 18 e 41 della Costituzione, per
irragionevolezza   della   previsione   normativa   e   per   lesione
dell'autonomia,  statutaria  e  gestionale,  di persone giuridiche di
diritto privato.
    8.  - L'undicesimo motivo ha ad oggetto l'art. 8, commi 1 e 2 del
decreto  ministeriale  n. 217  del 2002 e, inoltre, la corrispondente
norma  primaria, vale a dire l'art. 25 del decreto legislativo n. 153
del  1999,  nella  parte  in  cui impone alle fondazioni l'obbligo di
dismettere  la  partecipazione di controllo nella rispettiva societa'
bancaria conferitaria.
    La   ricorrente   afferma   che   tale   previsione   legislativa
risulterebbe   gravemente   lesiva   dell'autonomia,   statutaria   e
gestionale,  dei  soggetti  in parola, ponendosi in contrasto con gli
artt. 2, 18, 41 e 42 della Costituzione.
    Muove,    altresi',    specifiche   censure   alle   disposizioni
regolamentari,  tutte,  pero',  insuscettibili  di  elidere l'obbligo
innanzi evidenziato.
    Deve  osservarsi, in primo luogo, che uno degli scopi della legge
di  delega  n. 461  del  1998  era di tenere radicalmente distinte le
fondazioni   bancarie   dai   corrispondenti   istituti   di  credito
conferitari.  Lo  testimonia  l'art. 1,  che, fissando l'ambito della
delega,  individua  l'oggetto della successiva disciplina governativa
nel  regime  fiscale  dei trasferimenti delle partecipazioni bancarie
detenute  dagli enti conferenti, presupponendo, quindi, la necessaria
effettuazione  di  quest'ultima  operazione. Si spiega cosi' anche la
regolamentazione  specifica  contenuta  nel  successivo  art. 4,  che
introduce  agevolazioni  fiscali connesse alla suddetta operazione di
dismissione,  a condizione che quest'ultima avvenga entro la fine del
quarto  anno  dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo
attuativo.   L'art. 4   contiene  un'ulteriore  conferma  del  valore
strategico   attribuito   a   tale  operazione,  facendo  discendere,
dall'inutile  decorso  dei  termine  prescritto,  la perdita, ai fini
tributari,  della  qualifica di ente non commerciale, gia' attribuita
alle fondazioni bancarie.
    Parallelamente,   sotto  l'aspetto  civilistico,  i  soggetti  in
parola,  in  linea con la loro vocazione a perseguire "esclusivamente
scopi  di utilita' sociale" [cosi' si esprime l'art. 4 lett. a) della
legge n. 461 del 1998], sono legittimati a detenere partecipazioni di
controllo  nelle  sole  societa'  che  svolgano  attivita' di impresa
strumentali ai fini statutari [lett. d) del medesimo art. 4].
    Pertanto,  l'art. 25  del  decreto  legislativo  n. 153 del 1999,
allorche'  detta  i  tempi per la dismissione della partecipazione di
controllo  nella societa' bancaria conferitaria (e non solo in essa),
si attiene fedelmente ai principi direttivi della legge di delega.
    Tale  conformita'  si  riscontra  nella  versione  originaria del
citato art. 25, il quale mutua dalla legge n. 461 del 1998 il termine
quadriennale, durante il quale e' consentito alle fondazioni bancarie
di  detenere  tale partecipazione, prevedendo, comunque, un'ulteriore
proroga  biennale,  con  la  perdita, pero', della natura di ente non
commerciale  dei soggetti in parola, proprio per venire incontro alle
eventuali  difficolta' connesse all'operazione di dismissione, senza,
peraltro  stravolgere  principi  ed  obiettivi della legge n. 461 del
1998.
    Da   quanto   esposto  emerge  la  manifesta  infondatezza  della
questione  di  costituzionalita'  sollevata,  atteso che l'autonomia,
statutaria  e,  soprattutto,  gestionale,  delle  fondazioni bancarie
viene riconosciuta dal legislatore proprio in funzione degli scopi di
utilita'  sociale,  che postulano la non appartenenza dei soggetti in
parola al mondo imprenditoriale.
    Da   ultimo,  la  precedente  trattazione  consente  altresi'  di
concludere   per   la   congruita'   del  (lungo)  termine,  previsto
dall'art. 25  del  decreto  legislativo n. 153 del 1999 per procedere
alla  suddetta dismissione, tenuto conto anche della possibilita' per
le   fondazioni  stesse  di  affidare  temporaneamente  la  quota  di
controllo  nella  societa'  bancaria  conferitaria ad una societa' di
gestione del risparmio.
    Solo  per  completezza,  deve  aggiungersi  che nessuna rilevanza
assume  nella  vicenda in esame la sopravvenienza dell'art. 80, comma
20 lett. b) della recentissima legge 27 dicembre 2002, n. 289, che si
e'  limitato,  per determinati tipi di fondazioni, a prolungare di un
ulteriore   triennio   il  periodo  durante  il  quale  e'  possibile
continuare  a  detenere le partecipazioni di controllo nelle societa'
bancarie  conferitarie,  rendendo  cosi'  ancora  piu' agevole, per i
soggetti  espressamente  contemplati,  l'operazione di dismissione di
detta quota.
    9.  -  Per le considerazioni che precedono, il Tribunale solleva,
in  quanto  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate, le seguenti
questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto:
        a)  l'art. 11,  commi  1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28
dicembre  2001,  n. 448  e  l'art. 7, comma 1 lett. aa) punto 2 della
legge  1  agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis della legge
11  febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41,
117 e 118 comma 4 della Costituzione;
        b)  l'art. 11  comma  1,  ultimo  periodo, della citata legge
n. 448  del  2001,  per  contrasto  con  gli  artt. 70  e  117  della
Costituzione;
        c) l'art. 11, comma 7 della citata legge n. 448 del 2001, per
contrasto con gli artt. 2, 18 e 22 della Costituzione;
        d)  l'art. 11  comma  4,  ultimo  periodo, della citata legge
n. 448  del  2001,  per  contrasto  con gli artt. 2, 3, 18 e 22 della
Costituzione;
        e)  l'art. 11,  comma  10 della citata legge n. 448 del 2001,
per contrasto con gli artt. 2, 3, 18 e 41 della Costituzione.
    Deve  disporsi,  pertanto,  la trasmissione degli atti alla Corte
Costituzionale,  con  conseguente  sospensione  del giudizio ai sensi
dell'art. 23  della legge 11 marzo 1953 n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.